Prima edizione Ottobre 2012 ISBN 978-88-96634-59-2 Copyright © 2012 VERSANTE SUD S.r.l. Milano via Longhi, 10, tel. 027490163 www.versantesud.it I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Copertina
Monte Corvo, sulla cresta d’uscita del Mozzone (foto Cristiano Iurisci)
Testi
Cristiano Iurisci
Mappe
Cristiano Iurisci, Lorenzo Di Tullio per la mappa generale
Fotografie
Dell’autore dove non diversamente specificato
Stampa
Monotipia Cremonese (CR)
Ringraziamenti Il primo ringraziamento va a Enzo Paolini per aver sin da subito creduto in questo progetto e per avermi confortato, incitato e incoraggiato nei difficili momenti iniziali della stesura della Guida. Segue un lungo elenco di persone a cui devo molto, prima fra tutte Anna Mastrantonio alla quale ho dato il gravoso compito di rendere più leggibile il mio mediocre italiano; a Vincenzo Abbate, che ha rappresentato - e rappresenta tutt’ora - la biblioteca vivente di buona parte delle vie dell’Appennino e dell’ ”Appenninismo”; a Manilio Prignano che ha curato quasi tutta la parte storica, oltre ad avermi suggerito importanti spunti, fino a passare per il prezioso e preciso contributo storico del fortissimo Claudio Arbore. Da costoro e da tanti altri - tra i quali G.Guzzardi, R. Zavarella, P. Calandrella, R. Quaranta, F. Burattini, G. Fega, R. Le Donne, F. De Angelis - ho ricevuto un prezioso ausilio, anche se mi è difficile ricordare, a due anni di distanza dall’inizio della “storia”, proprio tutti coloro che hanno contribuito non poco alla realizzazione dell’Opera. Ma sono molte le persone conosciute anche solo per questa occasione alle quali esprimo la
Nota
L’alpinismo è uno sport potenzialmente pericoloso, chi lo pratica lo fa a suo rischio e pericolo. Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiornate in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate, e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi scalata.
mia riconoscenza, persone comunque tutte unite dalla stessa mia passione per l’alpinismo e, soprattutto, innamorate delle nostre montagne. Vorrei quindi ringraziare Stefano Ardito per l’autorevole incoraggiamento a scrivere la guida, Maurizio Sola per l’ospitalità e la cordialità dimostratami, Luigi Ferranti per essere sia ottimo compagno di scalata che profondo conoscitore storico di fatti e luoghi. Aggiungo ancora tutti coloro che con il loro supporto fotografico hanno reso la guida più chiara ed estetica, primo fra tutti P. Sabbatini, a seguire F. De Angelis, T. Palermi, A. Tenaglia, D. Micozzi, A. Angelucci, e altri ancora che per brevità non posso elencare, ma sono tutti compresi. Senza dilungarmi oltre, un particolare ringraziamento è rivolto ai miei compagni più cari di scalata con i quali ho vissuto profonde e intense avventure come il fortissimo Gabriele Basile, Nicola Carusi, Luca Luciani, Rino Iubatti, Stefano Supplizi, lo stesso Luigi Ferranti, Silvio Cataldo, Marco Sbaraglia, e infine, ma non ultimo, Giorgio Ferretti che mi ha introdotto in questo fantastico mondo quale è l’alpinismo invernale.
Cristiano Iurisci
GHIACCIO d’APPENNINO Salite scelte di goulottes, cascate di ghiaccio, creste nell’Appennino Centrale Monti Sibillini, Monti della Laga, Gran Sasso, Monti Reatini, Monte Velino, Monte Sirente, Monti Simbruini-Ernici, Massiccio della Majella e del Morrone, Monte Genzana-Greco, Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise, Monti del Matese
EDIZIONI VERSANTE SUD
A mia moglie e ai miei due figli che sono la mia prima gioia di vita, ancor prima della montagna stessa.
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Corno Grande dalla Portella come l’hanno vista i Sella (foto Alessandro Tenaglia) h
Mentre termino di scrivere le ultime righe di quest’opera, vengo a sapere che Manilio non c’è più, scomparso improvvisamente in un incidente nella sua amata montagna. Dopo averglielo proposto, Manilio Prignano si era appassionato a questo progetto proprio perché convinto, come spesso mi ripeteva, che il lavoro sarebbe diventato una pietra miliare della letteratura alpinistica dell’Appennino. Non so se lo diventerà, ma il suo contributo
è stato fondamentale per rendere l’ opera più completa sotto tutti i punti di vista; il suo aiuto, sin dal suo primo timido ingresso al progetto, ha elevato di non poco lo spessore culturale dell’elaborato, soprattutto attraverso le sue conoscenze e il suo amore per l’Appennino. Purtroppo non avrà la gioia di vedere realizzato questo nostro sogno, che dedico interamente a lui. Grazie ancora, Manilio. 5
Presentazione 6
Presentazione Il libro di Cristiano Iurisci viene a colmare un vuoto importante nell’editoria di montagna, in quanto descrive in maniera organica e sostanzialmente completa le salite invernali che si possono compiere in un territorio vasto e alpinisticamente significativo dell’Appennino Centrale. Un territorio che si estende dalle Marche al confine campano-molisano, per una lunghezza di c. 250 km da NO a SE, e che rappresenta il settore più impervio della catena appenninica, il vero cuore. L’areale coperto dalla guida annovera tutti i più importanti massicci appenninici, dai Sibillini al Gran Sasso, dal Velino-Sirente ai Monti della Marsica, tanto per citare i più significativi. Massicci che, a parte l’eminente eccezione del Gran Sasso, che eccelle per la quantità e qualità delle vie di roccia, si qualificano più per l’attività invernale che per quella estiva: infatti, benché la catena sia essenzialmente formata da rocce calcaree, versanti con pareti rocciose sono alquanto rari. Ciò è in buona parte conseguenza della notevole copertura arborea e boschiva, favorita dalle elevazioni relativamente modeste, se paragonate alle Alpi, e dalla posizione del territorio a latitudini relativamente basse e prossime al bacino Mediterraneo. I pochi versanti rocciosi, inoltre, sono non di rado costituiti da rocce rotte, e dunque risultano poco attrattivi per l’arrampicata su roccia. Non così per le salite invernali su pareti, lungo creste e all’interno di canalini e canaloni, che in buon numero caratterizzano i rilievi oltremodo dissecati e frastagliati dell’Appennino. Salite che, come ci spiega l’Autore nell’interessante capitolo sul clima e sui microclimi appenninici, si distinguono da quelle effettuabili nell’arco alpino per le caratteristiche
del tutto peculiari della copertura e tipologia della neve. Tali caratteristiche risultano anzi addirittura variabili da massiccio a massiccio, in funzione dell’esposizione dei versanti e delle correnti dominanti. La tradizione delle salite invernali in Appennino è di lunga data, ma si è dipanata in misura differente lungo l’arco montuoso e senza che si sviluppassero conoscenze precise e diffuse. Molte delle vie riportate dall’Autore sono state percorse invero già da numerose decadi e rappresentano, tra i relativamente pochi frequentatori della montagna appenninica invernale, delle salite ormai classiche. Ma la conoscenza, e i dettagli stessi di molte di queste vie sono noti solo per via orale o dispersi in pubblicazioni ormai datate e sovente irreperibili. Se negli anni più o meno recenti solo per alcuni massicci sono state stampate le relazioni delle salite invernali più importanti, ma all’interno di monografie alpinistiche (si pensi alla guida CAI-TCI Gran Sasso), mancava certamente un lavoro dedicato unicamente a tali salite, puntuale ma di respiro regionale, e soprattutto svolto in maniera organica e da una singola penna, tale da avere una valutazione comparativa omogenea delle informazioni. In più, non è sbagliato affermare che l’opportunità, forse anzi la necessità stessa di una tale guida è insita nella materia, nel particolare “terreno di gioco” di cui si tratta. Non dimentichiamo che le condizioni per le salite invernali variano rapidamente, a causa delle oscillazioni climatiche: e non mi riferisco qui al “riscaldamento globale” di cui tanto si riempiono la bocca i media disinformati, ma alle naturali variazioni che avvengono con diversi periodi e che riusciamo a cogliere pur nella nostra limitata esperienza temporale.
Pertanto, è logico che le relazioni sulle salite su neve, ghiaccio e misto vadano aggiornate rapidamente; e le informazioni finora disponibili sono datate da diversi anni e in molti casi da vari decenni. La prima cosa che colpisce nella guida è il numero di itinerari riportati. Si tratta di ben 273 ascensioni, tutte descritte in maniera precisa e dettagliata, di varia difficoltà. Numerosi sono gli itinerari di difficoltà contenuta, cosa che incontrerà il favore della maggior parte degli alpinisti. Se molte di queste salite sono poste in massicci noti e frequentati, l’Autore ci invita anche a scoprire angoli remoti dell’Appennino, sconosciuti ai più. La guida propone infatti salite ingiustamente dimenticate o poste in luoghi piuttosto isolati, ma dove si può ancora riscoprire un alpinismo genuino e tradizionale. E non si tratta solo di classiche ascensioni in parete o in cresta, che conducono alle maggiori cime. Ci sono anche numerosi itinerari sulle poche ma difficili cascate scovate qua e là nei valloni dell’Appennino. E scopriamo che non sono limitate agli alti massicci, al Gran Sasso o alla Laga: effimeri flussi gelati sono stati risaliti addirittura finanche nel Matese, in Molise e Campania! L’Autore ha percorso personalmente la maggior parte degli itinerari descritti (e consideriamo l’impegno negli spostamenti!). Iurisci è certamente un alpinista classico, nel senso pieno del termine. Infatti la sua ricerca, motivata da una profonda passione, lo ha portato non solo a ripercorrere itinerari già aperti, dei quali esistevano solo scarne informazioni, ma anche a scorgerne e crearne di nuovi, assieme a diversi compagni di cordata, compreso chi scrive. Una delle maggiori difficoltà, come accennato, è stata la mancanza di informazioni preesistenti, in particolare quelle di tipo storico. Molte notizie storiche sono state rinvenute attingendo a informazioni edite e inedite. Certamente il reperimento di informazioni alpinistiche su queste montagne non è operazione semplice. Benemerito è pertanto il capitolo di introduzione storica, che fissa a grandi tratti lo svolgimento
storico della esplorazione alpinistica invernale in Appennino. Un valore aggiunto di questa guida è che consentirà e favorirà certamente nuove esplorazioni a chi ha desiderio e curiosità. Difatti, nonostante le potenzialità relativamente limitate dell’Appennino, proprio la non ancora capillare diffusione della pratica alpinistica invernale su tutto il territorio fa sì che siano presenti ancora discrete possibilità di salite su pareti e versanti defilati, e su linee ancora da immaginare. Luigi Ferranti
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Introduzione
Introduzione Sono passati pochi giorni dal tragico terremoto all’Aquila che mi ritrovo con Luigi sotto lo Jacobucci, un canale sulla parete Est dell’Intermésoli, al Gran Sasso. Il tracciato è logico e la via non difficile, secondo le poche e scarne parole presenti sulla guida; ho intenzione di risalirlo sci in spalla tranne che per il tratto di misto. Ci siamo svegliati alle due di notte per attaccare all’alba poiché è nevicato un poco e il versante è facile alle slavine. Due ore dopo l’attacco mi trovo ancora al primo terzo di canale, di cui ho appena superato il primo – facile - salto di III. Ma facile dove? Sbuffando sull’inadeguatezza e inesattezza di certe valutazioni anni ‘20 dico a Luigi che sarebbe il caso di riscrivere qualcosa sull’alpinismo invernale in Appennino. Proseguo nel canale ancora per poco, cioè fino a quando mi trovo davanti un altro breve salto roccioso che blocca l’accesso ai facili pendii superiori. La roccia qui è liscia e compatta e non si riesce nemmeno a piantare un chiodo decente. Poco più in basso, a destra, ne trovo due vicini collegati con cordino e moschettone. Ah! – penso - probabilmente già altri hanno sbattuto il muso su ‘sto canale! Già altri si sono dovuti ritirare! Nessuno lascia una sosta così ben fatta con tanto di moschettone. Luigi! –grido -, molla la corda che mi calo, qui c’è ancora del difficile e non possiamo più perdere tempo in questo budello, fra un paio di ore qui viene giù di tutto!Preparo la doppia… e nella mia mente, intanto, una strana idea prende corpo: oggi non è la prima volta che mi capita, qui c’è davvero bisogno di scrivere o riscrivere una guida. Ci sono alcune idee o sogni che lungamente immaginiamo di realizzare, ma che mai ci
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impegniamo a portare avanti, vuoi perché li consideriamo inutili o li riteniamo tali, vuoi perché veramente irrealizzabili, o più semplicemente perché ci convinciamo di non essere in grado di metterli in pratica. La guida Ghiaccio d’Appennino è stata per me uno di quei sogni. L’idea L’idea, nata all’inizio solo per modificare o correggere itinerari già conosciuti e descritti, aggiungendone magari solo alcuni di nuovi, si è trasformata con il passare del tempo, maturata anche grazie al mio lungo girovagare su queste montagne. Unendo i percorsi, ha quindi prevalso l’ipotesi di costruire una guida tutta nuova, dove fossero raccolte tutte le potenzialità alpinistiche invernali di queste montagne, ritenute oggettivamente e soggettivamente migliori. Infatti, tanto più scalavo pareti e canali, conosciuti e non, quanto più mi accorgevo di quanto fosse bello, vario e mai noioso l’Appennino. Più credevo che queste montagne non avessero nulla di nuovo da dire, poiché tutto era già stato salito scalato e illustrato da tempo, più scovavo pareti e versanti incantevoli. Sono fermamente convinto che l’avventura può essere ancora possibile in Appennino, e che l’alpinismo invernale sia la giusta chiave di lettura per vivere e riscoprire queste montagne. Il perché Perché scrivere una guida di tipo invernale sull’Appennino? Per trasmettere e condividere con chi legge lo stesso mio amore che ho per questi rilievi, unito al desiderio di far capire e
Punta Macerola, Supercanaleta, variante alta g
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Introduzione 10
comprendere quali caratteristiche di alta e severa montagna una stagione come l’inverno può donare a queste cime, solo in apparenza tondeggianti e bonarie. Se in estate la mente dell’alpinista è rivolta al solo Gran Sasso, o più raramente ad altri gruppi “centrali”, in inverno potrebbe spaziare su decine di montagne “interessanti”, vagare con infinite possibilità di scelta fra canali, versanti e pareti, in un ambiente che nulla ha da invidiare a quello delle Alpi. Infatti sono convinto che è proprio in questo periodo dell’anno che gran parte dell’Appennino acquista interamente una dignità alpinistica, poiché è proprio in questa stagione che le sue cime e le sue creste, apparentemente gentili, cambiano volto. L’elevata nevosità, la vicinanza dal mare, i forti venti, le improvvise bufere, alternati a momenti di caldo sole mediterraneo, sono tutte caratteristiche che possono velocemente trasformare anche radicalmente il paesaggio creando arabeschi di ghiaccio, enormi cornici di neve, imbrattando di galaverna e neve intere pareti di una montagna. Come anche l’opposto, che in breve una parete corazzata di ghiaccio torni a essere una repulsiva parete di rotta roccia erbosa; tutto sta a cogliere l’attimo, il momento giusto, proprio come nelle più famose Highland Scozzesi (culla dell’alpinismo tutto piccozze e ramponi) o nelle lontanissime cime Patagoniche. L’Appennino è tutto questo: è anche scoprire che un divertente e facile canale può diventare velocemente un inferno dantesco, in completa balia di venti da vera tempesta. L’inverno rende l’Appennino montagna vera, da rispettare, dove la preparazione atletica e mentale conta molto e per la cui frequentazione l’esperienza acquisita negli anni, unitamente ad adeguate capacità tecniche, sono da considerarsi essenziali.
L’idea diviene realtà Nel panorama delle pubblicazioni già presenti, però, mancava una guida che rispondesse a tali caratteristiche, cioè che facesse riscoprire, esaltando le potenzialità alpinistiche, anche i gruppi e massicci minori, descrivendone itinerari solo apparentemente minori. Nonostante queste premesse, tuttavia, per diverso tempo l’idea di tracciare e riportare gli itinerari invernali su carta rimane a lungo tale, almeno fino al terzo tiro di corda di una famosa via sulla seconda Spalla del Corno Piccolo, cioè fino a quando il mio compagno Gabriele lancia l’idea, stuzzicandomi: “Cristià, ma perché non scrivi una guida di itinerari invernali?” …proposta in quel momento immediatamente rifiutata! Passano i giorni, ma le parole di Gabriele mi ronzano continuamente nelle orecchie, fino a che mi convincono che non sarebbe stato proprio inutile scrivere una guida, o almeno a provarci! Dentro di me sapevo non sarebbe stata una semplice compilazione di itinerari alpinistici già famosi, magari anche solo riveduti e corretti. Cresceva la consapevolezza che avrei voluto e potuto condurre il lettore, l’alpinista o l’appenninista a desiderare di conoscere luoghi e percorsi ritenuti secondari o poco importanti. Condurlo a soddisfare il suo desiderio di avventura e di conoscenza su percorsi alpinistici poco noti, magari stimolarlo a vedere con occhi diversi pareti ritenute per nulla interessanti, magari anche a due passi da casa... Con queste premesse nasce Ghiaccio d’Appennino, diretta a tutti quegli alpinisti ‘bravi’ e meno ‘bravi’, forti e meno forti che hanno desiderio di scalare questa porzione di montagne a cavallo fra i due mari. Una guida che non vuole essere un semplice elenco di itinerari ma che cerca di evidenziare e spiegare le caratteristiche climatiche che rendono possibile la formazione della neve e
del ghiaccio e che sono i veri protagonisti di questo genere di salite la cui comprensione, a mio avviso, diviene basilare per l’alpinismo invernale. Una guida che invita a “leggere” la neve e le sue innumerevoli forme, a capire la lenta trasformazione del singolo fiocco di neve in plastico ghiaccio da goulotte. Trovato quindi l’editore, ero certo che il lavoro sarebbe stato lungo e non privo di difficoltà e che sarei stato al centro dell’attenzione del mondo alpinistico, sia durante che dopo la stesura della guida. Pensieri questi che non mi hanno comunque impedito di gettarmi a capofitto nell’impresa. Mio malgrado, la fase di partenza è risultata forse la più tormentata: due mesi dopo quell’entusiastico giorno ero ancora fermo al primo capitolo. Con fiducia, ma quasi inutilmente, attendevo gli indispensabili aiuti esterni richiesti a coloro che come me amano e scalano queste montagne, che avrebbero dovuto contribuire a rendere maggiormente completo il lavoro da me intrapreso, ma tant’ è che in quelle prime battute ero alquanto scoraggiato dalla vana attesa. Trascorrono ancora alcuni giorni e ricevo una lettera scritta di getto e a mano, come di quelle che oggi si vedono nei film storici oppure relegati a ricordi neanche troppo lontani dell’era pre-internet, quella delle lettere e dei francobolli. È di Enzo, un signore che ha da poco passato l’età di mezzo, ma che nel suo piccolo ha fatto parte della storia dell’Appenninismo, uno dei pochi (per fortuna solo in quel periodo) disposto ad aiutarmi.
Le uscite invernali che ho fatto 15/20 anni fa erano animate dalla tua stessa passione ma si sono svolte in un ambito più ristretto e a un livello tecnico più modesto. Sono state molto importanti per la mia vita, ma senz’altro di poco conto per la “storia dell’alpinismo”, tanto che non mi sono mai curato di inviare relazioni ufficiali delle mie salite. Mi bastava e mi basta parlarne con i pochi appassionati che conosco. Invece penso che sia giusto che le tue realizzazioni, di altro spessore rispetto alla mie, abbiano la giusta considerazione e il dovuto risalto. Quindi documentale, proponile, ti ricordo però che “precisazioni”, rivendicazioni, polemiche (“prima io!”, “prima quell’altro”) sono purtroppo una costante dell’alpinismo su carta… Tu hai sicuramente i numeri per risolvere pure questi passaggi. I miei migliori auguri per le tue prossime scalate e per la stesura della “tua” guida. Enzo Paolini Sulmona, 5 gennaio 2011 Sono state proprio queste intense frasi che mi hanno esortato definitivamente a continuare a scrivere e ad accantonare e superare tutti i possibili ostacoli che avrei incontrato nel portare a termine questo lavoro.
Concise ed essenziali sono le sue parole, che al contrario mi rincuorano molto: Caro Cristiano, ho ancora negli occhi le immagini di salite e di paesaggi che hai proposto l’altra sera. Ho voglia stamattina di metterti per iscritto (per quello che valgono) i miei complimenti al tuo alpinismo di ricerca.
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Indice
1 Monti Sibillini Settore Settore Settore
Settentrionale Monte Bove-Monte Bicco Centrale (o della Sibilla) Meridionale (o del Vettore) Monte Vettore
2 Monti della Laga
55 64 71 90 97 104 112
Settore Settentrionale 118 Settore Meridionale (o del Gorzano) 125 3 Gran Sasso 140 Catena Meridionale 148 Pizzo di Camarda 148 Cresta Nord delle Malecoste 150 Pizzo Cefalone 153 Catena Settentrionale 155 Val Vomano 155 Monte Corvo 159 Pizzo Intermesoli 163 Massiccio Centrale (o del Corno Grande) 168 Corno Piccolo 169 Versante Occidentale o dello Scrimone 176 Corno Grande 174 Versante Orientale 176 Versante Settentrionale (Paretone) 176 Versante ONO della Vetta Orientale 176 Monte Prena 194 Monte Camicia 197
12
4 Monti Reatini
208
Settore Settore
214 215 215 222 230
Settentrionale (o del M. Cambio) Meridionale (o del Terminillo) Valle Organo-Sassetelli Terminillo Monte Elefante
5 CATENA DEL Monte Velino
238
Settore Nord-Orientale (o Cagno-Ocre-Cefalone) Settore Centro-Occidentale (o Monti di Campo Felice-Duchessa) Settore Centro-Orientale (o monti di Piano di Pezza-Magnola) Magnola: Sentina e Costa della Sentina Settore Meridionale o del Velino-Cafornia Serra di Celano
247 250 256 261 265 278
Monte Bove Nord 2112 m.
Monte Priora 2332 m.
1
Monte Vettore 2476 m.
2
Cima Lepri 2455 m. Monte Gorzano 2458 m.
Monte Cambio 2081 m.
4
Monte Terminillo 2217 m.
Monte Corvo 2623 m. Monte S. Franco 2132 m.
5
3
Corno Grande 2912 m. Monte Camicia 2564 m.
Monte Ocre 2209 m.
Monte Morrone Monte Rotondo 2141 m. 2062 m. Monte Velino 2487 m. Monte La Magnola 2243 m. Monte Sirente 2348 m.
6
Monte Morrone 2061 m.
La Majelletta 1995 m.
7
Monte Amaro 2793 m.
Monte Porrara 2137 m.
Monte Cotento 2015 m.
8
Monte Viglio 2156 m.
Pizzo Deta 2041 m.
Monte Pratello 2056 m. Monte Marcolano 1944 m. Monte Cornacchia Monte Marsicano 2245 m. Monte Greco 2283 m. 2003 m.
9
10
Monte Petroso 2249 m.
Serra le Gravare Monte Meta 2242 m. 1961 m. Monte Mare 2020 m.
11
Monte Miletto 13 2050 m.
6 CATENA DEL Monte Sirente
282
Settore Settentrionale Punta Macerola Settore Centrale o del Monte Sirente Settore Orientale o della Neviera
288 290 305 314
7 Monti Simbruini-Ernici
324
Settore Monti Simbruini Settore Monte Viglio o dei Cantari Parete NO M.Viglio (Circo della Parete) MONTI Ernici Pizzo Deta
330 331 334 337 338
8 Majella e Morrone Settore Settentrionale o della Majelletta Settore Centrale o delle Murelle-Acquaviva Monte Focalone Monte Acquaviva Cima Murelle Settore Sud-OVEST (o del Monte Amaro) Settore Monte Porrara Settore Monte Morrone
348 354 355 356 360 365 371 371 374
9 Monte Genzana-Greco
378
Settore Meridionale o del Monte Greco
382
10 Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio e Molise (O Monti Marsicani) 386
14
Monti di Villavallelonga Montagna Grande-Terratta-Marsicano Monti della Meta-Mainarde Settore Settentrionale o della Camosciara-Petroso Sottogruppo Camosciara-Boccanera Sottogruppo Petroso-Jamiccio-Altare Monte Meta-Monte a Mare Mainarde Monti delle Gravare-Rocca Altiera
392 394 400 400 400 403 408 422 428
11 Monti del Matese
432
Tamburo-Miletto Fondacone-Campanarielli Grotta delle Ciaole Anfiteatro o della Grande Conca La Gallinola Gallinola Parete NE Gallinola Settore Orientale Monte Mutria
438 439 441 446 452 453 455 457
INDICE ITINERARI PER DIFFICOLTĂ€ E DISLIVELLO
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Monte Bove Nord 2112 m.
Monte Priora 2332 m.
1
Monte Vettore 2476 m.
2
Cima Lepri 2455 m. Monte Gorzano 2458 m.
Monte Cambio 2081 m.
4
Monte Terminillo 2217 m.
Monte Corvo 2623 m. Monte S. Franco 2132 m.
5
3
Corno Grande 2912 m. Monte Camicia 2564 m.
Monte Ocre 2209 m.
Monte Morrone Monte Rotondo 2141 m. 2062 m. Monte Velino 2487 m. Monte La Magnola 2243 m. Monte Sirente 2348 m.
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Monte Morrone 2061 m.
La Majelletta 1995 m.
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Monte Amaro 2793 m.
Monte Porrara 2137 m.
Monte Cotento 2015 m.
8
Monte Viglio 2156 m.
Pizzo Deta 2041 m.
Monte Pratello 2056 m. Monte Marcolano 1944 m. Monte Cornacchia Monte Marsicano 2245 m. Monte Greco 2283 m. 2003 m.
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Monte Petroso 2249 m.
Serra le Gravare Monte Meta 2242 m. 1961 m. Monte Mare 2020 m.
11 Monte Miletto 15 2050 m.
Monti Sibillini 54
Palazzo Borghese h
Panoramica sui Sibillini g
Monti Sibillini I Monti Sibillini sono un esteso e importante gruppo montuoso a cavallo delle regioni Marche ed Umbria la cui cima più elevata, il Monte Vettore, raggiunge la quota di 2476 m che è la quarta per ordine d’altezza di tutto l’Appennino. Oltre al Vettore, la lunga catena dei Sibillini comprende altre cime che superano la soglia dei 2400 m di quota la Cima del Redentore, Cima del Lago e il più famoso Pizzo del Diavolo!, oltre a una lunga serie di vette, alcune anche imponenti e severe che superano i 2000 m. La varietà dei paesaggi offerti da questo massiccio è notevole, si passa dalle forme tipicamente appenniniche rappresentate numerose su tutto il versante occidentale e gran parte di quello nord orientale, con cime dall’aspetto spesso tondeggianti e poco appariscenti, a luoghi dalle caratteristiche diametralmente opposte, in cui sono gli ambienti severi e alpestri a essere i protagonisti con la presenza di alte e turrite vette dall’aspetto più tipicamente dolomitico. Esempio di queste ultime sono le cime che circondano la Valle del Lago di Pilato e la cima di Monte Bove Nord. Ad arricchire la diversità dei paesaggi è la complessa orografia di tutto il massiccio che presenta cime importanti ed elevate anche esterne alla cresta principale, disposte in genere lungo contrafforti laterali, allineati a NE. Le lunghe ed estese vallate che si aprono tra questi contrafforti, unite all’erosione differenziale - glaciale in quota, fluviale più in basso - e alla presenza di larghi ed estesi altopiani carsici hanno prodotto una molteplicità di forme e paesaggi che rappresentano la ricchezza dell’intera catena dei Sibillini.
Cenni storici sull’alpinismo invernale nei monti Sibillini I Sibillini hanno l’onore di registrare la prima salita invernale di rilievo nell’Italia Centrale. Damiano Marinelli, famoso viaggiatore e geografo, nonché alpinista, con le guide G. Cicoria e Capocci il 4 marzo del 1876 sale sia la vetta più alta, allora correntemente indicata con il nome di Cima di Pretare, e a seguire Cima del Redentore, a quei tempi chiamato Monte Vettore. Quest’ultimo viene tra l’altro raggiunto risalendo con tutta probabilità il ghiaione sud, tutt’oggi considerato un percorso alpinistico, seppur facile (PD-). La lontananza del gruppo da Roma, a quei tempi unico centro alpinistico del centro Italia, si fa sentire e la successiva visita è quella di Gualerzi e compagni del 1892 che toccano anche loro le due vette più alte unendole però con un bellissimo percorso di cresta1. La successiva fase non aggiunge novità nella ricerca di obbiettivi, che restano le cime principali del gruppo, a cambiare, però, sono i mezzi impiegati. Tra le due guerre, infatti, il maggior promotore dell’alpinismo sui Sibillini, Angelo Maurizi, di origini milanesi, ma marchigiano d’elezione e residente a Castelsantangelo sul Nera, porta avanti una sistematica esplorazione della catena attraverso lo scialpinismo, che in questo periodo viene di fatto considerato l’unico modo di praticare di alpinismo in inverno. Insieme agli sci, in ogni caso, fanno la comparsa i ramponi che nel corso di questi percorsi vengono utilizzati per i tratti più impegnativi, come a esempio il superamento delle “roccette” sopra il Lago di Pilato. La salita parziale, nel 1937, della cresta NE del M. Bicco non cambia la sostanza delle cose: perché si avvii un vero sviluppo dell’alpinismo invernale bisognerà attendere il secondo dopoguerra.
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Monti Sibillini 56
La prima salita invernale di un versante chiaramente alpinistico è quella della Via del Canalino, sulla SE del Vettore, nel 1956 (A. Puleggio, D. Martelli, E. Filipponi, I. Castellani), cui segue la parete N del M. Bicco, che vede ancora in azione i fratelli Maurizi e alcuni dei protagonisti dell’alpinismo maceratese: Moretti, Perucci e Alviti. Negli anni 60 i progressi dell’alpinismo marchigiano portano alle prime salite degli ascolani sul Pizzo del Diavolo e dei maceratesi sul Monte Bove. I primi conducono a termine l’impegnativa invernale al Canalone nord della parete nord (Raggi e Capponi,1961) e poi il canalone Maurizi alla Punta Maria, sul versante est (Saladini, Alesi, 1964), i secondi invece, oltre a divertirsi sui canalini di M. Bove nord, salgono quasi completamente la via Maurizi alla parete est, una bella impresa, anche se manca il finale2. La salita completa della parete riuscirà al determinato perugino Giulio Vagniluca nel 1970, per una via nuova e di grande impegno, su terreno assai innevato. Lo stesso aveva già superato nel 1967, sempre con notevoli difficoltà di misto, anche la parete nord per lo Spalto orientale. Nel dicembre del ‘71, Vagniluca sale per primo in invernale anche la via di roccia più bella della montagna, la
Alletto – Consiglio allo Spigolo nordest, che viene ripetuta subito dopo da diverse cordate formate da alpinisti di varia provenienza. Tra questi vi è anche Giancarlo Alessandrini che, insieme a Lino Liuti, entrambi di Jesi, aveva superato in prima invernale la grande classica della parete nord (via Maurizi – Taddei) nel febbraio dello stesso anno. Negli anni 70 le cronache alpinistiche registrano anche le prime sortite invernali di Massimo Marchini e Paola Gigliotti, che dopo alcune prime invernali di vie di roccia, a partire dalla via della Pera, del gennaio 1980, spingeranno decisamente in avanti l’evoluzione dell’alpinismo invernale con la ricerca metodica di vie di interesse esclusivamente invernale al Monte Bove. L’elemento tecnico che permette quest’avanzamento è senz’altro da ricercarsi nell’applicazione sistematica dell’innovativa tecnica della piolet-traction, probabilmente sperimentata per primo sui Sibillini e sull’Appennino intero da Marco Florio nel 1974 nel corso della difficile salita solitaria della diretta al Pizzo (sottogruppo del Vettore). Gigliotti e Marchini, attraverso una sempre maggiore specializzazione e una completa sintonia con la “loro” montagna, arrivano a spingersi fino ai limiti dell’”estremamente difficile”,
con la salita della Via dei Cristalli (1985), tutt’ora irripetuta, sulla parete nord del Bove. Da ricordare, anche per l’originalità, l’idea molto apprezzata, ma poco o niente seguita da altri in Appennino, di realizzare traversate alpinistiche di più giorni. Questa esperienza totalizzante e di grande suggestione, ma anche dura e impegnativa viene realizzata sui Sibillini nell’inverno del 1982 concatenando una serie di vie, tra cui alcune nuove, a conferma del preponderante senso di avventura ed esplorazione. I due non si limitano tuttavia ad applicare la nuova tecnica solo sulle grandi vie di montagna, ma scoprono e salgono anche diverse cascate ghiacciate nelle valli dell’Ussita : sono le prime dell’Appennino. Non sono i soli però, anche il fortissimo ed eclettico Antonio Mari fin dal gennaio ’81 è impegnato in questo genere di scalata, ha infatti preso di mira una colata che è un’impresa già il solo raggiungerla: la cascata “Le Vene”, nella Val Tenna. Si tratta di un salto che oppone fortissime difficoltà tecniche e ambientali, difficoltà che rimarranno per molti anni le più alte superate su cascata in Appennino. L’ascolano deve rinunciare a pochi metri dall’uscita, tuttavia porterà a termine la scalata della cascata nell’ ’85. In questa decade si registrano inoltre diverse dure prime invernali di salite su roccia, tra cui la Florio – Calibani alla est di Pizzo del Diavolo effettuata da Vagniluca e Moncada nel 1976, il cui impegno sarà riconfermato da Tiziano Cantalamessa, Alesi e Ciarma nel corso della seconda ripetizione, la Direttissima sempre sulla stessa parete, Mari e Cannella, 1988, la Vagniluca – Cecchini al Castello, con ancora Cantalamessa protagonista insieme a Franceschi e ancora altre. Si tratta di salite spesso assai dure, che si inseriscono nel filone delle grandi invernali che negli stessi anni venivano realizzate sulle grandi pareti del Gran Sasso. Gli anni 80 tuttavia non sono solo anni di avanzamento per l’alpinismo di punta, ma si assiste anche qui come nel resto dell’Appennino a un allargamento della base e l’attenzione agli itinerari di esclusivo interesse invernale si riflette anche nell’apertura di molti itinerari di media difficoltà. Emblematica in tal senza l’attività di Marco Florio che dopo l’attività di punta svolta negli anni precedenti, torna in montagna dopo un periodo di assenza e si dedica insieme a un folto gruppo di amici (tra i più assidui, L. Castelli, F. Alessi, A. Marfoli…) all’esplorazione di canali e creste spesso lunghissimi anche se non particolarmente tecnici. Altri invece preferiscono difficoltà più concentrate e si dedicano a risolvere problemi ancora non presi in considerazione, forse proprio perché in estate l’interesse alpinistico di certe strutture si azzera o
quasi. Rientrano in questo campo le salite alla Nord di Cima del lago (A. Mari in solitaria nel 1980) o la Diretta alla q. 2415 di Catalucci e compagni nell’’82, ma quasi tutti gli ascolani attivi in quegli anni, spesso in gruppo, hanno lasciato un segno sulle nevi del Vettore: Tito Ciarma, Stefano Pagnini, Tiziano Cantalamessa, Giuseppe Fanesi, Alessio Alesi, Alberico Alesi, Pierpaolo Mazzanti, Maurizio Calibani… Negli ultimi vent’anni, sulle pareti dei Sibillini vengono realizzate diverse prime invernali di dure vie di roccia, ma la spinta esplorativa sul piano degli obiettivi di puro interesse invernale sembra essersi un po’ affievolita. Non mancano tuttavia alcune realizzazioni di gran classe, come la cascata ” Rangerino Ice”, (2003) caratterizzata da tratti molto duri di dry tooling, e la prima invernale della via “Accurti – Zannini” alla Est di Palazzo Borghese (2002), entrambi messe a segno forte dalla cordata D’Amico – Olivieri. Nelle ultime stagioni, si fanno notare Iurisci e compagni, che piuttosto che dedicarsi alla ricerca di nuovi tracciati, si affacciano sui Sibillini richiamati dal fascino degli itinerari storici effettuando tra l’altro la (probabile?) prima ripetizione della Gigliotti-Marchini alla Punta Anna, sulla Est del Bove. Manilio Prignano
1 - Gualerzi rivendicherà la prima salita del Redentore, in virtù di una non esplicita dichiarazione del Marinelli riguardo il raggiungimento di questa vetta, nella stringata relazione dello stesso. 2 - La salita integrale sarà poi effettuata da Paola Gigliotti e Massimo Marchini nell’inverno 1985.
fValle Lago Pilato e Monte Vettore (foto Ilona Mesits)
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Frammenti di alpinismo 58
Frammenti di alpinismo Monti Sibillini Ussita, ore 23.45: i lampioni color arancio cercano di dare un caldo tono a un freddo (-5°C) e deserto piazzale in una notte di metà gennaio. Cristiano è appena ripartito con la sua Opel e penso con preoccupazione alle sue tre ore di macchina che lo separano da Lanciano da farsi dopo una giornata infinita come questa. Apro il portellone del furgone e butto la roba alla rinfusa: sono stanco, vorrei dormire, anzi dovrei dormire, ma domani è un altro giorno e si lavora. Come per Cristiano, anch’io devo sorbirmi un paio d’ore di macchina prima di giungere a casa. Accendo e scaldo il motore, pulisco poi il ghiaccio formato su parabrezza e finalmente parto anch’io. Poi, il mio pensiero torna di nuovo alla giornata appena passata, ovvero al tentativo di salire la via della Pera, sullo Spalto Orientale della parete nord del Monte Bove Nord; alla fuga da casa stamattina alle due di notte per giungere qui: a salire siamo saliti, e poi siamo anche scesi. A lottare abbiamo lottato, ma alla fine ci siamo arresi. La Parete Nord del Bove è divisa in tre spalti: Orientale, Centrale e occidentale. Si impone con un dislivello di oltre 700 metri che salgono verso il cielo direttamente dai sottostanti boschi di faggio ed è composta interamente da rocce carbonatiche della formazione chiamata “Calcare Massiccio”, di cui presenta anche l’affioramento più grande per spessore dell’intero Appennino. Il termine “massiccio”, però, in questo caso, è solo un termine geologico poiché non è sempre indicativo della solidità della roccia che si incontra su questa parete. Di roccia solida e “massiccia” si può parlare unicamente per lo spigolo NE, dove passa la via AllettoConsiglio, che di conseguenza risulta essere anche la linea di salita più logica dell’intera
parete, e senz’altro la più ripetuta in estate. Il resto della Parete è un labirinto di canali, cenge e banconi di calcare, quest’ultimo a volte rotto o a volte talmente compatto da non poter essere scalato, presentandosi liscio e privo di appiglia, e quindi a elevatissime difficoltà. Il nostro tentativo sviluppa un poco a destra dello spigolo, nel ripido scivolo tra lo Spalto Orientale e Centrale, nel tratto più ripido e con il maggior dislivello della parete. Questa salita fu affrontata per la prima volta con successo dalla fortissima cordata GigliottiMarchini, alpinisti che aprirono bellissimi itinerari addirittura negli inverni dei primi anni ottanta e che all’epoca fecero scalpore per le difficoltà affrontate. Il fascino di questa parete mi ha sempre attratto, la sua severità salta subito all’occhio da chi risale la valle da Ussita verso Casali. Sembra un mondo diverso dal resto dell’Appennino: una bastionata enorme e isolata con uno sviluppo veramente impressionante ed una Morfologia che sa poco di Appennino, mostrandosi turrita e verticale come le più famose Dolomiti. Le sue guglie, come ‘La Pera’ o ‘La Mitria’, sono veramente uniche. L’amicizia con Cristiano è nata anche perché, un giorno di settembre sul Monolito al Gran Sasso, mi chiese: ……”ma tu, la conosci la nord del Bove?”. Era curioso, si capisce…non c’era mai andato a scalare. Io la conoscevo, ma ancora non abbastanza. Avevo affrontato le sue vie più facili anche in inverno, ma c’era ancora molto di quella parete che non conoscevo. Le condizioni invernali in questa montagna sono così varie che risulta sempre difficile fare previsioni sullo stato della neve e del ghiaccio in parete, così come nei canali. È la parete nord di una certa importanza più a settentrione dell’Appennino centrale, quella che prima di tutte prende i venti e le perturbazioni provenienti da nord, quella che
presenta le temperature più fredde anche in quelle “tiepide” giornate invernali tipiche del clima mediterraneo. Ci sono stato diverse volte: d’inverno la prima volta, poi d’estate, poi ancora d’inverno; questa montagna nella stagione fredda è sempre una sorpresa, bisogna aver un passo sicuro nella neve, come nel misto, come sull’erba gelata, oltre ad avere un buon senso di orientamento: è infatti facile perdersi nella sua grandezza. Su questo tipo di terreno è molto difficile proteggersi e, dato il suo dislivello, le condizioni della neve dal punto di attacco all’uscita cambiano sempre: si può partire con la neve gelata alla base e trovare farina in cima, oppure avere neve non trasformata nei primi tiri e galaverna sugli ultimi. Cristiano e io eravamo allenati in quel periodo, molto affiatati, e anche molto veloci. Avevamo salito pochi giorni prima sia la via dell’Arco Naturale sulla nord del Sirente in 5 ore, che la Gigliotti-Marchini allo Spalto Centrale sempre in 5 ore, tempi che ci avevano entusiasmato tanto da farci illudere di poter ripetere la mitica Via della Pera in giornata, e per di più, in uno dei giorni più corti dell’anno… Così partiamo leggeri, senza materiale da bivacco e con il minimo indispensabile per affrontare una salita del genere. Usciti dal bosco troviamo poca neve, ma ghiacciata dalle recenti piogge. Andiamo quindi su veloci e in poche ore siamo già al caratteristico gendarme della “pera”. Poco a monte ci accorgiamo che la via della Pera, che da qui segue un canale-goulotte a sinistra del gendarme, oggi non è proprio in condizioni ottime: infatti non c’è ghiaccio e la goulotte non è continua, l’aspetto non sembra essere affatto invitante. Proseguire e forzare per la via originale non ha dunque senso: con noi abbiamo due foto della parete vista di taglio e scattate pochi giorni prima dallo Spalto Centrale, valutiamo quindi la possibilità di proseguire per una variante sulla destra che sembra uscire a ridosso dell’intaglio tra Spalto
Orientale quello Centrale, anche se consci di salire lungo i pendii più ripidi dell’intera parete. Sappiamo che non è facile, ma è ancora presto (sono le 10.30) e abbiamo ancora molte ore di luce davanti, siamo già a metà parete, e ci vogliamo provare. I primi tiri cominciano facili, su neve farinosa, ma facili, poi però le cose cambiano: più saliamo più ciascun tiro si presenta impegnativo, con pendenze crescenti e purtroppo sempre su neve non trasformata. Troviamo condizioni di neve farinosa fin sopra i 70 gradi, mentre a volte sotto la farina troviamo addirittura dell’erba bagnata. Procediamo quindi piano, sempre più piano, e il tratto di parete “aperta”, quello sottostante gli intagli tra i due spalti, ci porta via ore preziose, arrampichiamo tiri di 50 metri quasi senza protezioni, su neve pessima. Tentiamo un’uscita verso sinistra, così da poter ritornare, con un lungo ed esposto traverso, alla via della Pera. Ma quella logica cengia che ci sembrava facile e percorribile, sia in foto che dal basso, si rivela impossibile: faccio un passo e sento il bisogno di un profondo respiro per e affronto un altro passo tentando di non scivolare; trascorre il tempo, spendo parecchi minuti, si va avanti lenti, avrò fatto forse, cinque sei metri…- ”Noo! Di qua non si può andare!” - urlo a Cristiano che il traverso a sinistra non è percorribile. Guardiamo ora tutto a destra, c’è quel camino, forse si esce di là, forse si esce proprio nell’intaglio tra i due spalti. Torno indietro, il tempo scorre, parte Cristiano dalla sosta e ci troviamo all’intaglio…con il pendio di neve che lascia sempre più spazio alla sola roccia. Siamo ormai in piena parete, scherzando ci diciamo che almeno ora possiamo fare una buona sosta con chiodi! Da qui l’unica cosa fattibile è affrontare la placca che traversa a destra, anche se inquietante…la roccia è liscia e verticale e non sarà meno di V° grado. Parto ed è subito dura…qualche metro di ghiaccio attaccato alla roccia, i centimetri di spessore del ghiaccio veramente pochi, quindi
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Frammenti di alpinismo 60
arrivo alla base di strapiombi dove l’unico modo per traversare è un pendolo. Sistemo un paio di protezioni non troppo convincenti e inizio a calarmi in diagonale verso la base del camino: nel mezzo del traverso trovo due chiodi! Dovrebbero essere di una vecchia via di Moretti & co…, ci passo la corda e vado a far sosta alla base del camino di uscita, con la consapevolezza che da lì passa una via e che, dopo tanto cercare, sappiamo che è possibile uscire. Ora tocca a Cristiano affrontare il traverso. Sale senza problemi fino all’ultima protezione (chiodo) che toglie con molto timore perché conscio di dover ad affrontare una breve discesa e il difficile traverso-pendolo oltre lo spigolo. Durante il traverso infatti, per uno strano gioco di corde, perde l’equilibrio: lo tengo forte dalla sosta, e lo vedo pendolare nel vuoto...per fortuna i due chiodi vecchi di 30 anni di Moretti hanno tenuto! Lassù, nella parte più esposta della parete, a strapiombo su 600 metri di scivolo, le emozioni devono durare poco: bisogna subito reagire e proseguire. Calo Cristiano sulla sottostante e aerea cengia, che percorre velocemente verso di me. Dopo un inevitabile momento di commozione per l’accaduto decidiamo di forzare i tempi per proseguire: ne abbiamo infatti perso molto per affrontare questi ultimi tiri e, anche se l’uscita non sembra lontana, la stanchezza comincia a farsi sentire. Quest’ultimo evento però ci fa essere molto più cauti di prima. Parto per il camino, salgo 10..15…20..metri di terreno non certo facile, poi affronto con fatica uno strapiombo, giungo su un esile ballatoio, mi affaccio e capisco subito che non è la fine. La parete non finisce lì, forse un altro tiro, o due, o addirittura tre ci separano dalla fine dalle difficoltà. È già molto tardi, le 16.00 passate, e abbiamo solo 30-40 minuti di luce. A questo punto dico:< Basta! getto la spugna!>, infilo un bel chiodo e mi faccio calare in sosta. Dove siamo non c’è posto per bivaccare, - “ci sarebbe una
grotta a metà parete...ma non abbiamo ne viveri ne nulla per coprirci…” -, ne parliamo frettolosamente mentre allestiamo la prima calata – “..abbiamo solo 7 chiodi”- , sappiamo che dobbiamo ridiscendere tutta la parete nord con quel poco materiale. – “Ok, calma e sangue freddo, ormai è notte e non ci corre dietro nessuno…non possiamo sbagliare: fare doppia dove veramente serve e il resto arrampicare in discesa, è l’unico modo per tornare a casa… con calma..”-. In un clima surreale tra stelle e forse visioni, impieghiamo più di 6 ore per tornare sui nostri passi…finalmente arriviamo alla macchina stravolti, senza ridere nè piangere, solo stanchi e con gli occhi sbarrati…siamo stati ospiti di un ambiente meraviglioso che con la sua grandezza stavolta ha detto No. Rimane da fare “solo” il già detto viaggio in macchina. Alle tre del mattino ognuno è più o meno arrivato a casa sua, 25 ore dopo esserne usciti pieni di vigore. Ci chiamiamo più volte per telefono durante il viaggio: Cristiano verso Lanciano, io verso Perugina. Ci facciamo coraggio per affrontare il viaggio di ritorno tra le immagini della giornata rese psichedeliche dalla stanchezza e gli occhi che inevitabilmente barcollano. Oggi la ricordo come una giornata solare, anche se di sole se ne è visto niente…una giornata che è comunque servita ad accrescere l’esperienza e l’amicizia di alpinisti del sud. A distanza di tempo rivedo la foto col tracciato, e conoscendo un po’ meglio quella parete, mi stupisco, non per quanto vicini all’uscita siamo arrivati, ma di come siamo riusciti a uscirne. E la risposta è senza dubbio nel fatto che lassù c’era una cordata di amici e non due semplici alpinisti. Grazie Cristià! Gabriele Basile
Pizzo del Diavolo, Canalino Nord h
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Monti Sibillini 62
Aspetti climatici I Sibillini sono le montagne più settentrionali descritte nella guida e le meno mediterranee, anche dal punto di visto climatico. Gli inverni sui Sibillini si presentano con caratteristiche quasi intermedie tra quelli alpinoorientali (Dolomiti-Friuli) e quelli dei restanti massicci dell’Appennino centrale. Di conseguenza il suo clima invernale è mediamente di tipo continentale, quindi più favorevole alla formazione di colate di ghiaccio, sia in aperta montagna che nei fossi più profondi. I Sibillini sono infatti meno soggetti alle calde rimonte africane (scirocco), o a quegli intensi episodi di tiepido libeccio che investono invece più direttamente le zone più meridionali dell’Appennino. Qui le cascate di ghiaccio sono relativamente più numerose e rimangono in condizioni più a lungo che altrove. Differente è la situazione che riguarda la neve da goulotte e neve pressa (A.I.). Infatti, sui Sibillini questa tipologia di neve non è sempre la norma, se non localmente; a volte (raramente) può non presentarsi affatto, oppure mancare per buona parte dell’inverno o non essere presente dovunque. Il caldo vento stabilizzante di libeccio qui arriva attenuato e ormai fresco, con risultati che incidono poco sul manto nevoso. Di solito abbondanti e ripetute nevicate a inizio stagione (novembre e dicembre) sono cruciali per la formazione di questa tipologia di neve, in quanto in questo periodo il clima è più dolce, con la pioggia che può ancora cadere abbondante alle quote più elevate, stabilizzando e rendendo omogeneo il manto nevoso. Con queste premesse, le condizioni non
potranno che migliorare nel corso dell’inverno. Se invece la neve arriva tardi, magari con abbondanti nevicate fino a bassa quota, c’è il rischio che rimanga inconsistente e soffice (ovvero non trasformata) per lunghi periodi. In questi casi l’A.I. si trova solo nei colatoi e couloir ripidi e incassati, dove valanghe e slavine trasformano la neve, oppure nei versanti più assolati e/o meridionali. Ciò non significa che nei Sibillini non vi siano itinerari su ottima neve, anzi, ma vi è il rischio di trovare solo neve farinosa e inconsistente se non si presta attenzione all’evoluzione meteo. Per il suo clima più freddo e continentale la neve nei versanti nord si trasforma molto lentamente, per cui il pericolo valanghe rimane spesso latente, non strettamente correlato a sbalzi termici o ingenti nevicate come avviene in cime e massicci pariquota dell’Appennino Centrale. Geografia generale La catena dei Monti Sibillini può essere suddivisa in tre settori principali ed un paio secondari che descriveremo nei particolari più avanti nella guida. Il primo settore, che chiameremo Settentrionale, comprende cime e vette quali il Monte Bove, il Pizzo Berro e La Priora e tutte quelle che si trovano settentrione del valico di Passo Cattivo. A meridione del valico abbiamo il Settore Centrale (o della Sibilla) che comprende cime quali La Sibilla e il Palazzo Borghese; infine, un terzo ed ultimo settore che chiameremo Meridionale (o del Vettore), che ha inizio a sud di Forca Viola, nel quale si elevano tutte le più alte quote dell’intera catena quali la Cima del Redentore e il Pizzo del Diavolo e del Vettore stesso.
Pizzo Berro e Monte Priora h
Parete N M. Bove, G. Basile durante il tentativo invernale allo Spalto Orientale h
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Monti Sibillini – Settore Settentrionale 64
Settore Settentrionale Geografia e morfologia alpinistica La prima importante elevazione del settore è data dal Monte Rotondo, una grossa e vasta montagna alta 2103 m dalle forme solo apparentemente molto dolci e tondeggianti. In realtà è una montagna complessa, incisa a settentrione da selvagge e solitarie valli a truogolo glaciale che in basso divengono canyon (Acquasanta), mentre strette forre a meridione possono essere terreno di gioco (piuttosto raramente però, sigh!) per le cascate di ghiaccio. Alla testata della bella Val di Tela si erge la breve parete NNE del Rotondo di un certo interesse invernale. Appena a sud la Forcella di Fargno (1811 m) unisce questa grossa montagna al resto della catena dei Sibillini. Tale importante valico mette
in comunicazione i due versanti, quello Adriatico attraverso la Valle di Bolognola a quello tirrenico con la Val d’Ussita. A sud della forcella, la cresta principale torna a salire toccando i 2092 m del Pizzo Tre Vescovi, una svettante ed elegante cima che è culmine d’incontro di tre importanti creste e di altrettante valli. Da questa, un grosso costone si distacca in direzione est alla vicina ed elegante cima di M. Acuto, che a nord precipita con una breve ma interessante parete; la medesima cresta poi prosegue ancora più larga e bonaria fino alla Forcella Bossette (1701 m) e alla bonaria cima Castel Manardo, (1919 m) che fa da spartiacque tra la Valle di Bolognola e la più amplia e importante Val’Ambro. La cresta principale vera a propria, invece, procede verso sud scendendo alla Forcella di Val d’Ambro
(1913 m), quindi riprende a salire fin sui 2100 m disegnando un’elegante parete triangolare di rocce de erba di un certo interesse alpinistico invernale. Ora la cresta prosegue più esile e rocciosa fino a toccare i 2259 m del Pizzo Berro, una bella e aguzza cima, che scende ripida e rocciosa specie verso sud e che rappresenta anche l’unico versante di un certo interesse alpinistico invernale. L’asse principale della cresta ora diviene E-O: a oriente di distacca l’importante cima della Priora, alta 2332 m, mentre a occidente, oltre l’esile Forcella della Neve
(1960 m) prende inizio l’importante sottogruppo del Bove-Bicco , in cui si concentra il maggiore interesse alpinistico di tutto il settore settentrionale, come vedremo meglio nel paragrafo successivo. La Priora è un’ampia e panoramica montagna, dall’aspetto compatto e tozzo, poco incisa su quasi tutti i versanti; ha una vetta dalla vaga forma triangolare, per questo motivo i suoi versanti hanno un limitato interesse invernale se non in lunghi e facili canali (ma faticosi) che risalgono il suo versante nord.
Pizzo Berro (foto Micozzi) h
M. Bove, parete Est (foto T. Palermi) k
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Ultimo tiro sul Monte Acuto h
Monti Sibillini â&#x20AC;&#x201C; Settore Settentrionale
1 Diretta NORD Monte Acuto Parete N Monte Acuto, 2035 m Primi salitori ignoti Difficoltà: AD-, 35/45°, tratti 55° passi 60/65° Dislivello sola via: 320 m, sviluppo: 400 m, (dislivello totale: 550 m) Tempo per la sola via: 2h30’; tempo totale: 7h Materiale: n.d.a, 3-4 ch. da roccia, 3-5 fittoni da neve; eventualmente 2-3 lunghi ch. da ghiaccio Salita interessante che si svolge sul ripido versante N di questa bella ed elegante cima, ben visibile e svettante già dagli impianti di Bolognola. È un itinerario non difficile ma da non sottovalutare, specie con scarso innevamento; da effettuare in inverno inoltrato fino a tutto marzo, quando è sicuramente scalabile tutto su neve abbastanza consolidata e compatta (si spera). Prestare molta attenzione in caso di neve fresca e instabile o dopo rialzi termici: la convessità del versante convoglia le valanghe e slavine sulla linea di salita. Accesso: dalla SS77 che collega Macerata con Foligno, all’altezza di Polverina uscire per la SP98 in direzione degli impianti di Bolognola, distanti 21km. Giunti al paese si prosegue a salire per i vicini impianti di Pintura di Bolognola, dopo 4km si perviene a un piazzale (1330 m circa) dove si parcheggia. Si segue la
lunga sterrata (innevata d’inverno) che parte sulla dx e che taglia il versante N del monte Castel Manardo (1917 m); dopo circa 4km sempre in leggera salita, la strada giunge a traversare il colatoio imbutiforme sulla verticale della vetta, da dove si attacca, 1700 m circa, 1h30’. Relazione: seguire il più centrale degli impluvicolatoi del versante, quello che punta dritto in vetta. Con buon innevamento i primi 200 m sono prevalentemente su neve su pendenze tra i 40/45°, con qualche saltino più ripido (55°). Più in alto il pendio si fa più ripido (50°) e regolare, saliti 100 m si giunge alla comba sottostante la ripida e triangolare sezione finale; ora è possibile risalire dritti fino in cima per poi proseguire su esile ed esposta crestina per altri 20 m in vetta (consigliabile, AD+; 80 m a 65/70°, passi 80° su neve e zolle d’erba gelata; possibilità di assicurazione con ch. sulle poche rocce affioranti o fittoni da neve), oppure prendere la rampa nevosa ascendente verso sinistra, 70 m 55°, tratto finale 60/65° a raggiungere la cresta, quindi per questa (esile e d esposta, 50°, misto facile) si perviene in vetta in vetta. Discesa: si scende verso O, per intuitivi e ripidi pendii si perviene alla sella che separa il M. Acuto dal Pizzo Tre Vescovi, quindi si discende per largo canalone
Monte Acuto 2035 m. Pizzo Tre Vescovi 2092 m.
Forcella del Fargno
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2 Diretta Monte Rotondo Parete NE M. Rotondo, 2102 m Paola Gigliotti, Massimo Marchini, marzo 1984 Difficoltà: D-, 45/50°, tratto 70/75° e misto Dislivello: 200 m, sviluppo: 270 m, (dislivello totale: 1000 m) Tempo per la sola via: 2h; tempo totale: 9h Materiale: n.d.a, 3-4 ch da roccia, 3-5 fittoni da neve, eventualmente qualche ch. da ghiaccio itinerario breve e forse un poco marginale, che risulta poco o affatto ripetuto, ma che citiamo soprattutto come “scusa” per affrontare d’inverno il versante N di questa grossa e tozza montagna (M. Rotondo) incisa a N a da bellissimi, selvaggi e isolati valloni di origine glaciale (come quella della Val di Tela), oltre a godere degli splendidi panorami sulla parete del Bove offerti dalla sua cima. L’avvicinamento in salita è (purtroppo) lungo e complesso, più breve e diretta è invece la discesa, specie se effettuata con gli sci ai piedi (se
foto F. Burattini
Monti Sibillini – Settore Settentrionale
l’innevamento lo consente); pertanto si consiglia di affrontare l’itinerario con un innevamento presente e sufficiente pure a quote medio basse. Il periodo più indicato è la fine inverno (metà febbraio-fine marzo), poiché le giornate sono più lunge e la neve è più trasformata e portante, sia in parete che lungo l’avvicinamento. Accesso: da Casali di Ussita; dalla statale SS77 che collega Macerata con Foligno si esce in direzione di Visso che si raggiunge in 19km. Si prosegue poi in direzione di Ussita (5 km), quindi altri 5km conducono alla località di Casali. Dalla piazzetta dell’abitato (1060 m) girare a sx e, per viuzze portarsi in direzione dell’evidente vallone a monte e a sx del paese (il Vallone su IGM) dove si parcheggia appena possibile. Si prosegue ora a piedi o con gli sci più o meno seguendo il fondo de il Vallone fino a incrociare la grossa sterrata che taglia il versante S della montagna (1760 m, 2h15’), quindi facilmente si guadagna la cima, 3h20’. Si lasciano gli sci (eventualmente) e si percorre la cresta in direzione E abbassandosi attraverso una esile crestina fino alla Sella della Ciucciolara, 1912 m, 30 min dalla vetta. Ora si scende nel grosso circo glaciale sottostante dell’alta Val di Tela fino al fondo pianeggiante della conca glaciale (1800 m); 4h30’.
fino a q. 1750 m quando si inizia a traversare verso sinistra (N) a raggiungere la forcella di Bassetta (1701 m) da dove ci si cala per il versante N fino a riprendere la strada sterrata percorsa all’andata, 2h15’ dalla vetta.
M. Rotondo 2103 m.
Forcella Cucciolara
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Relazione: (primi salitori) dalla conca si nota una lunga fascia rocciosa trasversale che impedisce l’accesso ai pendii superiori; più o meno al centro, questa si mostra più alta e compatta, costituita da bancate rocciose variamente fessurate di maiolica. Si attacca immediatamente a destra di queste bancate verticali per canale sinuoso (prima a dx, poi a sx) a superare un tratto abbastanza ripido ma l’unico che permette il superamento dalle lunga fascia rocciosa che taglia trasversalmente tutta la parete. Ora con un tiro di corda si risale la faccia sx dell’intaglio, (55°, tratto 70° e misto facile) fino pervenire al largo pendio concavo superiore a 55° che si segue fino in vetta con pendenze decrescenti (50/45°, poi 35°). Discesa: con gli sci, o a piedi, lungo l’itinerario di salita. 3 Direttissima NORD PRIORA Parete Nord della Priora 2332 m Primi salitori ignoti Prima discesa in sci: Liuti nella primavera del 1983 Difficoltà: PD+(evitabile), altrimenti F+, 30/45°, passi a 55/65° (evitabile) Dislivello: 1000 m, sviluppo: 1250 m; (dislivello totale: 1500 m) Tempo per la sola via: 2h30’; tempo totale: 10h
Materiale: minima attrezzatura alpinistica, eventualmente spezzone di corda, 3-4 ch da roccia e qualche fittone da neve itinerario lungo, al limite tra alpinismo ed escursionismo, che risale il versante N di una montagna isolata e remota dalla cui vetta si godono eccezionali panorami sulle maggiori cime del massiccio. Risulta consigliabile se concepito e salito presto al mattino e con gli sci in spalla, sfruttando la dura neve primaverile di una parete N, per poi effettuare una delle più appaganti discese sciistiche dei Sibillini. Se fatto tutto a piedi risulta piuttosto faticoso e, forse, meno interessante. Da effettuare assolutamente con neve stabile e assestata tra la fine di marzo e la fine di aprile, in pieno inverno la neve non trasformata renderebbe la salita eccessivamente faticosa. Consigliabile anche a inizio stagione, quando la neve copre solo le alte quote (sopra i 1400 m), in questo caso però la parte bassa potrebbe opporre difficoltà maggiori. Accesso: da Pintura di Bolognola (vedi it. 2) si percorre per 3.2km la sterrata che conduce alla forcella del Fargno, giungendo a 1600 m circa sotto la verticale del punto più depresso della cresta che collega il Pizzo Tre Vescovi con il Castel Manardo. Risalire il pendio fino alla forcella della Bassette,
La Priora 2332 m.
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1701 m, 1h15’ che affaccia nella Val d’Ambro. Successivamente si scende sottostante valletta della Pescolletta (visibile la pozza che dà il nome alla depressione), fino all’imbocco della strada per il Rifugio Rinaldi che è alla testata della valle; senza raggiungerlo si scende per via intuitiva fino alla base dell’evidente canale valanghivo (quello centrale dei tre più evidenti) sulla perpendicolare della vetta intorno 1320 m di quota, 2h30’. Relazione: risalire l’ampio canale su neve indurita dalla valanghe per 200 m dislivello (1550 m), qui il canale restringe divenendo più ripido e incassato; si sale per altri 100 m fino a un salto ripido su erba e ghiaccio di fusione che si supera direttamente (tratto 55/65°) oppure è possibile aggirarlo (studiare la possibilità lungo la discesa dalla Forcella Bassette) guadagnando il pendio sinistro per ripidi pendii prima che la valle si stringe. Usciti dalla forra si sale pendio a 30/35°, ora con percorso logico e mai obbligato, si prosegue a salire su pendii aperti ma mano più ripidi (fino a 45°) fino a perviene in vetta. Variante sinistra : risale il canale di sinistra osservando
la parete dei tre principali che solcano il versante, con pendenze nella forra iniziale fino a 50°. Variante di destra (Wolfgang, 1988): sale il canale di destra. Disceso nel 1988 è il meno interessante dei tre. Variante (Via Classica): sale il canale tutto a destra del versante; raramente salito, ma utilizzato per la discesa o come itinerario di sci ripido (vedi discesa). Discesa: direttamente dalla vetta per il versante N (OSA) su percorso parallelo a quello di salita (vedi variante Via Classica). Superato il tratto iniziale a 45°, si piega a sinistra (orografica) su pendio meno ripido (30°), quindi ci si immette nel canale più netto della parte bassa che torna a farsi più ripido (35° continui) fino a guadagnare il fondovalle. Altra soluzione è proseguire dalla vetta in direzione Ovest verso la sella che separa la Priora dal Pizzo Berro (2100 m circa) quindi si scende per il canale N (BSA/OSA, tratto 35°). Giunti sul fondovalle si riprende la strada sterrata dell’andata, risalendo alla F.lla Bassette (1h dal fondo) quindi sci ai piedi fino al parcheggio.
Monte Bove-Monte Bicco Geografia e morfologia alpinistica A oriente della Pizzo Berro e della Priora, oltre l’importante valico della Forcella della Neve, che mette in comunicazione la lunga Val di Tenna con la Val di Panìco, la cresta si innalza fino ai 2155 m che rappresentano l’anticima est del Monte Bove Sud. Sul versante rivolto a nord e nord ovest di questa anticima, che quindi guarda la Val di Panìco, si aprono due attigui circi glaciale solcati da canalini dall’elevato interesse invernale. Un secondo e quasi identico circo glaciale si apre verso ovest, appena oltre la cresta, alla cui testata risiede la vetta del Monte Bove Sud che, con i 2169 m è la più alta del settore. Anche questo circo è solcato da interessanti, anche se brevi, itinerari invernali. Ancora a occidente si eleva il Monte Bicco, 2052 m, una bella cima di forma triangolare che offre anch’essa interessanti itinerari su neve e misto. Una lunga cresta collega il Monte Bove Sud dal Monte Bove Nord (2112 m) che è la cima più alpestre e dall’aspetto dolomitico di tutta la catena dei Sibillini. Questa cima precipita sia a N che a eNE con due grosse e ben distinte pareti, che si elevano mediamente per 500 m fin quasi a 700 m. La parete nord è caratterizzata da tre cime principali chiamate spalti, separati uno dall’altro da profondi colatoi e alternati a ripide balze rocciose. Questa caratteristica principale della parete N del Bove, ovvero l’alternanza di profondi orridi, colatoi, camini a lisce balze rocciose, e lunghe e larghe cenge trasversali ne fanno un difficile terreno invernale, con salite alquanto labirintiche, senza o quasi logiche linee di salita osservabili da lontano: piuttosto una parete dove si è alla costante ricerca della giusta linea di salita per raggiungere la vetta. La parete Est è solo all’apparenza più logica e lineare, con quei suoi lunghi e quasi paralleli colatoi che solcano un po’ tutto il versante. La parte bassa è infatti altrettanto complessa e labirintica, molto simile alla parete nord, con torri, diedri, camini, cenge e colatori non direttamente collegati a quelli a monte. Su queste pareti però si trovano alcuni degli itinerari invernali più estetici, tecnicamente difficili e di soddisfazione non solo dei Sibillini ma, forse, dell’Appennino Centrale.
4 Canale Nord MONTE BICCO Monte Bicco, 2052 m. A. Maurizi, S. Datti, M. Mattei, 10 marzo 1937 Difficoltà: AD-, 40/45°, passi di misto fino al III Dislivello: 280 m, sviluppo: 500 m; (dislivello totale: 800 m) Materiale: n.d.a, 3-4ch. roccia, friend o dadi Tempo per la sola via: :1h30’, tempo totale: 6h itinerario classico d’inverno, ripetuto abbastanza di frequente, ottimo come primo approccio per le vie su misto vista la vicinanza agli impianti e l’ambiente abbastanza addomesticato dall’uomo. Evitare di affrontarlo con neve fresca o che ancora impiastra le placche di roccia caratteristiche della via, poiché ovviamente molto più difficile! Accesso: raggiunto il medioevale paese di Visso (vedi it. 2), si prosegue in direzione di Norcia e per la vicina dalla località sciistica di Frontignano (17km). Dalla base degli impianti di risalita, si prende a piedi la strada sterrata in leggera discesa a sx dell’Hotel Felicita. Dopo aver lungamente attraversato boschi misti di faggi e pini si entra nella Val di Bove (1290 m, 25 min). Ora si volge a dx, risalendo la Val di Bove su evidente traccia prima, per poi radure sempre più ampie (intorno a 1500 m) quando si risale in direzione dell’evidente parete alla cui base insistono radi faggi; poco oltre si traversa verso sx, fino alla base della spigolo NE, 1h30’. Nota: è possibile giungere fin qui utilizzando gli impianti di risalita di Frontignano abbreviando di circa 40min; dal termine della funivia traversare verso la base della cresta NO del Bicco e, girato l’ “angolo”, si perviene ai pendii settentrionali sottostanti la parete Nord. Traversare tutta la parete e proseguire come sopra. Relazione: risalire il canalino, 45/55° per 100 m fino a una selletta, quindi per roccette (III) a dx si perviene in cresta; ora senza possibilità di errore, aggirando ora a dx ora a sx varie placche e gendarmi (max III°, alcuni spit e ch. in loco) si giunge in vetta. 4a Variante cresta integrale A. e G. Maurizi, P. Perucci, 22 settembre 1957 (400 m D, 3h30’); Itinerario che rende la salita più completa ma anche più difficile. Variante spesso (o quasi soprattutto) frequentata d’estate. Relazione: si attacca sul lato sinistro dello spigolo, per placca (III) di roccia che in pochi metri termina in un camino sulla sinistra, che, se ben innevato, si trasforma in una rampa nevosa a 60/75° fino alla base del camino. Percorrere il camino (5m III, o misto 75°) oltre il quale si prosegue per cengia che
f Panoramica sul Monte Bove
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conduce alla sosta. Superare la paretina sovrastante affrontando una fessura in obliquo a sinistra (III+, misto, passo chiave) oltre la quale si esce su ripida cengia nevosa che si segue sulla destra per aggirare una placca di rocce compatte che, in caso di scarso innevamento, conviene affrontare direttamente (III, vari chiodi) giungendo sul filo destro della cresta. Ora su pendio nevoso interrotto da placche rocciose più o meno affioranti si prosegue fino a giungere a un terrazzo dove ci si affaccia (sulla sinistra) sul profondo canale risalito dall’itinerario originale (Canale N del Bicco). Ci si cala per via intuitiva alla selletta e si prosegue come per la via originale. Discesa: vi sono tre possibilità: la prima (più breve e raccomandabile) è di scendere per il canale Maurizi (toponimo alpinistico alquanto diffuso nei Sibillini…), cioè del canale che si apre in direzione Est tra il Bicco e il M. Bove sud. Velocemente si scende nella parte alta della Val di Bove, quindi si
prosegue al centro del vallone fino alla base dello spigolo della cresta ENE del M. Bicco, quindi si prosegue per il percorso fatto all’andata. La seconda possibilità è in direzione SE, seguendo l’esile cresta che collega il Bicco alla cima di Monte Bove Sud; costeggiando gli impianti, poi si prosegue su fondo del canale fino a macchie di bosco che si superano perdendo ancora quota, intorno 1500 m si traversa verso sx intercettando un sentiero che, poco più a valle (1350 m), si ricollega alla grossa mulattiera già presa all’andata, 1h30’. Oppure per la rocciosa cresta NO (panoramica) fino a un punto meno roccioso dove è possibile entrare comodamente nella sottostante val di Bove, quindi in comune fino alla base degli impianti, (questa soluzione 1h40’).
foto D. Micozzi
Monte Bicco 2052 m.
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5 Diretta Maurizi Parete Nord Monte Bicco, 2052 m A. e G. Maurizi, M. Moretti, V. Alviti, P. Perucci; inverno 1957 Difficoltà: AD-, 45/55°, passi di misto facile Dislivello sola via: 200 m, sviluppo: 250 m; (dislivello totale: 800 m) Materiale: n.d.a, 3-4ch. roccia, 3-4 fittoni da neve, eventualmente friend o dadi Tempo per la sola via: 2h, tempo totale: 6h La parete NO del Bicco è una piccola palestra di facile ghiaccio e misto, priva di pericoli oggettivi, dal facile accesso e rientro. La linea qui proposta è la più logica e diretta alla vetta. Considerare che è possibile salire un po’ ovunque, specie con molto innevamento, in questo caso la parte sx della parete offre brevi ma intensi canali/goulotte. La parete è in condizioni da fine dicembre a fine marzo. Accesso: come per itinerario 5 fino ai larghi pendii sottostanti la parete N del Bicco, (1h30’) puntando a
un canale che incide la fascia rocciosa basale appena a dx del perpendicolo della vetta. Relazione: superare la fascia rocciosa basale per canalino che da dx a sx (tratto 55°) raggiunge un plateau nevoso, salire verticalmente per 80 m a 45/50° fino alla base della seconda fascia di roccia solcata in questo tratto da un evidente canale ad “Y”. Risalire tale canale (20 m 55°), quindi prendere il ramo destro (passi 60°) uscendo su plateau nevoso a 50°. Salire dritti per 40 m fino alla base di una lunga fascia rocciosa (coperta con molto innevamento) che si supera ove possibile (passi di misto) fino a raggiungere la base di una più alta fascia rocciosa. Deviare quindi sulla sx per andare a prendere una rampa nevosa in diagonale a sx (50°) che muore su roccette che conducono in cresta, si volge a dx e in breve si raggiunge la vetta (brevi passi misto). Con innevamento sufficiente è possibile anche puntare dritti alla vetta, con brevi e facili passaggi di misto. Discesa: come per it. N. 5.
Monte Bicco 2052 m.
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Canale Primavera (foto M. Profeta) h
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