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Storia Alpinistica
L’area delle montagne circostanti il Lario è ricca di pareti anche di sviluppo notevole, e tali da raggiungere in alcuni casi i 500metri. Se sulla Grigna Meridionale le pareti di rado superano i 200metri di altezza, in altre zone lecchesi, come sul Monte San Martino o sul versante sud del Grignone esse si presentano imponenti, verticali e di notevole interesse alpinistico. Questo vale di sicuro per il Sasso Cavallo, per la Corna di Medale, per il Pizzo d’Eghen, per il Sasso dei Carbonari, sino al solitario Forcellino. L’esplorazione e l’apertura di vie alpinistiche su queste pareti è iniziata in epoca primordiale, già nei primi decenni del 1900, a partire dalle affascinanti guglie della Grignetta, ove arrampicatori lombardi come Eugenio Fasana, che salì il Sigaro, o come Erminio Dones che aprì una difficile via sul Primo Magnaghi nel 1915, dimostrarono doti di coraggio e di capacità tecnica non comuni, superando la logica tardo ottocentesca di un alpinismo ancora legato solo alla pura esplorazione e evidentemente in evoluzione verso l’epoca del chiodo e della ricerca dei tracciati più difficili. Entro gli anni ’20molte delle guglie della Grigna furono salite, e cominciarono a essere frequentate per le vie normali, data anche la grande vicinanza a Lecco, Como e Milano. Ai rocciatori locali si aggiunsero altri provenienti da fuori, come Arturo Andreoletti, nel 1914 sulla Guglia Angelina, o come Giuseppe Dorn, giovane tedesco che lavorava a Milano e che si avventurava spesso da solo sui Magnaghi, alpinista di capacità fisiche incredibili, espresse soprattutto sul Monte Rosa in salite epiche per quei tempi. Gli anni ’20 videro la conclusione di un periodo pionieristico non ancora indirizzato alla valorizzazione dell’elemento atletico nell’apertura delle vie su roccia nelle Grigne: anche se Fasana e Dones erano valenti atleti dal fisico perfetto, ginnasta alla Forza e Coraggio il primo, campione europeo di canottaggio il secondo. All’inizio degli anni 30 la musica cambiò: un piccolo ma scelto gruppo di giovani operai lecchesi, fra cui si distinsero subito Riccardo Cassin e Mario dell’Oro (Boga), attaccò le pareti lecchesi alla ricerca della difficoltà, lungo linee impensabili fino a poco tempo prima. Sorretti da un entusiasmo eccezionale e da ottimi mezzi fisici questi giovani tempestarono le Grigne di nuove vie, con non rari passaggi in libera intorno al VI° grado, cominciando anche a raffinare la tecnica della scalata artificiale che verrà loro insegnata a dovere da Emilio Comici quando a metà degli anni 30 si presenterà al Corno del Nibbio in compagnia di Mary Varale, la celebre “ragazza dal giubbetto rosso” valente arrampicatrice e moglie del giornalista sportivo Vittorio Varale. Fu Boga, giovanissimo nel settembre del 1930
Giovanni Gandin Ercole Esposito “Ruchin” Vittorio Panzeri
ad aprire la nuova epoca insieme a Molteni e Villa salendo la Mongolfiera per la via Lario, classificata “estremamente difficile” nella Scala Welzenbach, ossia VI° grado. Mentre altri scalatori storici (come gli aristocratici milanesi Ugo di Vallepiana e Bonacossa, talora accompagnato dal re Alberto dei Belgi che era solito fare campagne estive in Grigna risiedendo al Rifugio Porta) continuavano ad aprire vie di media difficoltà, sul tipo dello Spigolo della Piramide Casati, Cassin e compagni salivano una dopo l’altra non solo le guglie e i torrioni sopra il Pian dei Resinelli, ma anche pareti più importanti, come la Medale. Nei primi anni 30 il valsassinese Giovanni Gandin si distinse come rocciatore puro, e guida alpina, aprendo il 27 giugno 1932 un itinerario difficilissimo sulla estetica parete sud del Torrione del Cinquantenario, sul cui secondo tiro piantò probabilmente il primo chiodo fisso della storia, nella forma di un fittone inserito in un buco di roccia migliorato. Al contempo superò passaggi in libera di VI grado. La via rimase irripetuta per circa 30 anni. Ma la caratteristica essenziale di questo alpinismo su roccia tipico dei lecchesi negli anni 30, inserendo nel gruppo anche il minuscolo Ercole Esposito (Ruchin) che morirà sulla Comici al Sassolungo poco prima della fine della seconda guerra, fu di certo la capacità di sperimentare in Grigna difficoltà elevatissime su tratti brevi, come in laboratorio, cosa che permise poi a questi ragazzi di esprimersi ad altissimo livello in Dolomiti e al Monte Bianco. Fra loro vanno ricordati Gigi Vitali, Ratti, fisicamente fortissimo, e soprattutto Vittorio Panzeri il massimo talento tecnico lombardo del periodo prebellico. Seppe dare il meglio di sé con l’apertura della Marinella al Primo Magnaghi, salendo un primo tiro quasi sprotetto e valutabile oggi 6a/6a+, ove fra l’altro ci si è chiesti come sia stato possibile piantare un chiodo su un passo in cui non si può togliere la mano per chiodare: forse venne usato un arcaico rampino di ferro, bisnonno del cliff-hanger attuale. Esaurite le pareti brevi - il Nibbio ormai diventato una palestra ginnica per un club a inviti – Cassin, Boga e gli altri passarono alle pareti più alte, iniziando con la famosa salita della Medale, significativa non per la difficoltà ma perché concettualmente apre di fatto alle vie di fondovalle, in un’ottica in fondo sportiva e non così legata alla vetta, quanto al puro superamento di pareti al di là della loro ubicazione. Lo stesso Cassin spaziò sul Pizzo d’Eghen per il temibile Camino Centrale, sul Sasso Cavallo e dei Carbonari, aprendo queste pareti solitarie e impegnative all’interesse sportivo di altri: fu così che Nino Oppio e Oreste Dell’Era nel 1939 aprirono sulla sud del Sasso Cavallo la “Via delle Cento Ore”, con vari bivacchi e grande uso di chiodi di vario tipo. A lungo classificata come la più difficile e ardita via su roccia delle Alpi Centrali e forse oltre. L’itinerario fu avvolto da un alone di leggenda fino agli anni 50.
Storia alpinistica Tramontati gli astri del ventennio, gli anni 40 furono abbastanza poveri di aperture sulle pareti lariane, e ci si limitò a itinerari di minore interesse, spesso su roccia non buona. Tuttavia, agli inizi degli anni 50 un vento di novità soffiò nuovamente sul lago e sulle sue pareti: il raffinamento delle tecniche di chiodatura e dei materiali, unito alla frequentazione ormai massiva delle Grigne da parte dei rocciatori lombardi aprì nuovi orizzonti a pochi scelti scalatori, come ad esempio i monzesi Walter Bonatti, Andrea Oggioni e Josve Aiazzi, che si diedero da subito alla ripetizione delle vie più difficili, trainati dal fenomenale Bonatti, ventenne, che superò una dopo l’altra la parete della Medale, la Torre Costanza, i Magnaghi, per itinerari di concezione innovativa e spesso di alto impegno tecnico. Ma anche gli anni 50 non furono ricchi di novità, e si dovette aspettare la metà del decennio successivo per vedere all’opera in zona apritori di vie creativi e determinati. Finita l’epoca delle prime o seconde ripetizioni delle antiche vie della Grignetta l’attenzione dei più attivi si focalizzò sulla Corna di Medale, una parete chiave nella storia dell’arrampicata su calcare nel nord Italia. La Medale fu attaccata per tracciati dall’estetica accattivante e molto esposti, in genere lungo sistemi di fessure e diedrini (il classico diedrino cieco e liscio della Medale…) ma anche per alcune placche, già a gocce, dove non sempre si poteva chiodare, partendo dall’esempio del forte Giorgio Brianzi che all’inizio del decennio aveva appunto aperto una via in questo stile in cima allo zoccolo sul pilastro sud-ovest. Fra il ’65 e il ’69 arrivano le vie di Tiziano Nardella, fra cui spiccano la Taveggia – in seguito un vero feticcio verticale – e la Milano 68, e di Alessandro Gogna che, in compagnia di Leonardo Cerruti, apre un itinerario storico di notevole impatto non solo locale. Sul finire degli anni 60 e negli anni 70 la Medale diventa una parete di riferimento internazionale, data la comodità e la bellezza delle vie. Agli inizi degli anni 70 si distinguono in zona alcuni giovani arrampicatori lecchesi, come Sergio Panzeri e Giancarlo Riva, che di lì a poco apriranno due vie storiche, una sul Pilastro Rosso del lago e l’altra sul Forcellino, seguendo le orme di Gigi e Giuseppe Alippi: quest’ultimo, il mitico Det, da annoverarsi tra i più forti rocciatori lombardi di sempre, a metà degli anni 70 apre sul “suo” Sasso Cavallo la via del Det, itinerario estremo sia in libera che in artificiale. Al fianco di Panzeri e Riva non può essere dimenticato Raffaele Dinoia, milanese, rocciatore di assoluta esperienza, già pronto al balzo sui gradi in arrampicata sportiva, disciplina che nel 1978 era agli albori. Ma gli anni 70 riuscirono in realtà a dire cose nuove, nel lecchese, per quanto riguarda l’apertura di vie su pareti, solo nella loro fase conclusiva, quando le note vicende sociali e politiche che mandarono in risonanza il mondo, attecchirono nella mente creativa di alcuni giovani scalatori decisi a chiudere i conti con un passato grondante retorica e ancora fermo a miti arcaici
Tiziano Nardella Alessandro Gogna Sergio Panzeri e Giancarlo Riva
dell’alpinismo. Attivissimo, in epoca pionieristica, e molto importante per la formazione dei giovani alpinisti lecchesi fu Don Agostino Butturini, insieme al Gruppo Condor: il Don, un vero personaggio chiave, ancor oggi attivo, iniziò all’arrampicata molti futuri talenti, e con alcuni di loro aprì vie spesso impegnative in Antimedale, Medale (via Luci della città, con Pietro Corti), sulla parete di Val Calolden e sul San Martino. Itinerari di rado divenuti classici ma testimonianze di un’epoca particolare di trasformazione dell’alpinismo su roccia nel lecchese. Ciò avvenne soprattutto per merito di un gruppo di milanesi, come Ivan Guerini, Monica Mazzucchi, sua compagna, Tiziano Capitoli, Mario Villa, Renato Comin, Ivano Zanetti, e altri, i quali anche attraverso un uso specifico dell’allenamento e delle logiche rivoluzionarie del movimento del Nuovo Mattino e di quello dei nascenti Sassisti della Val di Mello, iniziarono a ripetere in arrampicata libera tante vie difficili del lecchese, con risultati stupefacenti, che portavano la scala dei gradi in zona fino all’ ottavo grado. Forti di soggiorni in Verdon e in Dolomiti, i membri di questo gruppo, così come non pochi lecchesi, si fecero portatori di un modo nuovo di arrampicare, in fondo uno stile di vita, che privilegiava l’arrampicata in libera. Proprio in questo periodo si distinse per la sua attività esplorativa e di apertura di itinerari in stile free-climbing Andrea Savonitto, vero scopritore e valorizzatore dello Zucco dell’Angelone, in parte legato al gruppo di Guerini, ma sempre coerente con una propria personale impostazione alpinistica, poco legata a schemi e dogmatismi. Anche altri alpinisti lecchesi si distinsero in questi anni nell’apertura di nuovi itinerari, soprattutto nella zona dell’Antimedale, come i fratelli Daniele e Roby Chiappa. Il primo, nel corso di una lunga carriera alpinistica aprì varie vie al Lago, in Grignetta e salì fra l’altro il Cerro Torre con il gruppo di Casimiro Ferrari. La sua figura va inoltre ricordata per l’eccezionale impegno profuso nel Soccorso Alpino, che ricevette dalla sua azione, in zona, una spinta tecnica e operativa fondamentale. Ma verso il 1980/82 si cominciò a capire che per superare le placche verticali tanto tipiche della zona si doveva importare dalla Francia l’uso dell’ormai noto spit, parsimoniosamente presente già in Verdon. Fu Marco Ballerini, sul Sasso di Introbio a provarlo per primo su alcuni monotiri sportivi, lanciando nuove difficoltà e aprendo all’arrampicata sportiva, ben presto esplosa in zona in tre falesie storiche: Antimedale, Lago, Nibbio. L’uso dello spit scatenò in zona, nell’arrampicata sportiva, nella prima metà degli anni 80, molti lecchesi e milanesi, fra cui Giuseppe Bonfanti, i fratelli Dallona, Valerio Casari, Norberto Riva, Massimo Colombo, Carlo Besana, e tanti altri che non è qui possibile enumerare.
Storia alpinistica L’aumento delle capacità tecniche su roccia, dovuto alla frequentazione delle prime falesie lecchesi, portò ben presto a trasferire il gioco sulle pareti più alte: si schiusero allora inaspettati orizzonti, ossia la caccia alle placche, ai muri lisci, ove lo spit diventò la naturale guardia dell’arrampicata libera. Fu ancora la Medale a fare la parte del leone, intorno alla fine del 1984, quando, seguendo l’esempio di Manolo e Roberto Bassi (Zanzara e Labbradoro al Colodri di Arco, dall’alto però), Ivano Zanetti, Giovanni Chiaffarelli e Umberto Villotta salirono dal basso Breakdance, splendida via moderna, quasi subito liberata da Ballerini e Casari con difficoltà di 7b, e destinata a uno strepitoso successo internazionale. Da qui la prima rinascita della Medale: Mary Poppins (P.Vitali, 1983, 6c+), Mexico e Nuvole (Meciani, Bambusi, Melacarne, 6c, 1986), Altri Tempi (Pesci e Galli, 6c+, 1986), Sulla Rotta di Poseidone (Galli e Pesci, 1985, 6c), Saronno 87 (Uboldi e Compagni, 1987, 6c), Via dell’Anniversario (Uboldi e Borghi, 1986, 6a+), Gocce Imperiali (Giorgio Anghileri e compagni, 6c+ expò, 1987), Eternium (Panzeri, Garota, Manni, 1989, 6c), precedute però dalla madre di queste vie, Rebus aperta da Zanetti, Chiaffarelli e Pesci nel lungo inverno 1985/86. Questa via, impegnativa, esposta e tecnicamente complessa per alcuni tratti su ganci, è rimasta a lungo la più difficile della zona e anche oggi viene salita di rado e con le dovute cautele. A lato di questa attività massiva vi furono in questi anni anche aperture in stile più classico sul Grignone (Sasso dei Carbonari, Sasso Cavallo) così come su zone minori del Medale e dell’Antimedale: in particolare va ricordata la figura di Lorenzo Mazzoleni, che scomparirà purtroppo durante la discesa dal K2, impegnato proprio su queste pareti, sia in ripetizioni di prestigio che in vie nuove. Insieme a Giorgio Anghileri e Paolo Crippa “Cipo”, Mazzoleni può essere considerato una figura carismatica per l’alpinismo lecchese degli anni 80. L’inizio degli anni 90 vede una proliferazione di aperture su molte pareti della zona, sostenuta da una frequentazione sempre più massiccia di tutta l’area lecchese che si colloca ben presto fra le più gettonate del nord Italia per l’arrampicata moderna. Inoltre, l’uso del trapano in apertura dà adito da subito alla ricerca di itinerari ben protetti e mai troppo pericolosi, nel tentativo di portare definitivamente lo spirito dell’arrampicata sportiva su vie di più tiri. È tutto un fiorire di belle vie, in particolare in Grignetta (Nastassia Kinsky, 7a Primo Magnaghi, Pesci e Rivolta, 1989, roccia incredibile; Il Fantasma della Libertà, 6c, Torrione del Cinquantenario, Pesci e Zanetti, dall’alto, 1990) ma soprattutto sul Sasso Cavallo, dove Marino Marzorati, arrampicatore tecnicissimo e di alto livello, Norberto Riva e altri aprono numerose e storiche vie: Sognando California, 7a+ e A2; L’Altra faccia della Luna, 6b e A2; fino alla fantastica Dieci piani di Morbidezza
Andrea Savonitto Don Agostino Butturini Benigno Balatti
aperta da Riva, Tantardini e Villotta, lungo placche monolitiche con difficoltà di 6c obbligato, e un breve tratto di A1 liberato a vista da Giuseppe Dallona con difficoltà di 7c+/8a. Indubbiamente la più bella via su calcare delle Prealpi. Marino Marzorati è di sicuro fra i più titolati apritori di vie nel lecchese, sia per il livello degli itinerari, sia per la continuità nel tempo, corroborata da un’attività di ripetizione sulle Alpi svolta ad alto livello. Allo stesso modo non si può dimenticare Benigno Balatti, mandellese, probabilmente il massimo esperto della costiera Cavallo-Carbonari, dove, sin dagli anni 70, in cui fu il compagno principale del Det, ha aperto numerosissime vie nuove di stile classico, esplorandone altre poco ripetute e riportandole spesso a nuova vita storica, come ad esempio quelle del solitario Sasso di Sengg (via Vicenza, aperta negli anni 30 da Eugenio Vinante e, per l’epoca, molto impegnativa in arrampicata libera). Lo stesso Balatti vanta poi un’attività densissima in Grignetta, sul Forcellino e sullo Zucco della Penduliva. A ciò si aggiunga una nota e continua attività di ghiacciatore di alto livello sulle Alpi e non solo. Sempre negli anni 90 il fortissimo Paolo Vitali, insieme a Sonja Brambati apre numerose vie su strutture poco esplorate, come lo Zucco di Teral, la stessa Parete Rossa del San Martino – già salita da Vittorio Panzeri per una via difficilissima e mai ripetuta per una frana successiva – con puntate in Grignetta (Zerowatt, sulla Mongolfiera, con Pietro Corti, 1996, 6c+; Antiche Tracce, ancora con Pietro Corti, uno dei massimi esperti delle pareti lecchesi, ottimo arrampicatore e affidabilissimo estensore di topoguide tecniche, 7a+, 1995). Nel 1993 sul Sasso Cavallo Manlio Motto, allora nel momento d’oro che fece di lui uno dei più forti apritori del decennio a livello internazionale, con Mario Giacherio e Gianni Predan, sale Ibis, splendida via moderna di alta difficoltà. Al contempo fra il 1992 e il 1995 è il turno della impressionante (più che altro a vedersi) Parete del Forcellino, su cui ci si cala dal bordo per 300metri, dovendo poi per forza risalire… Gli esperti Garbi e Bergliavaz attrezzano dall’alto con un ciclopico e impegnativo lavoro tre vie, tutte divertenti e non facili (6c/7a): Astra, Discovery, Criss Cross, a cui si affianca nel 1996, tramite una voluta e studiata salita dal basso, Eclisse, 7b, aperta da Zanetti, Chiaffarelli e Pesci, dieci anni dopo la storica Rebus. Altre pareti vengono esplorate sul finire degli anni 90: nel 1995 è la volta del remotissimo Pizzo d’Eghen, ove Zanetti, D’Alessio, Chiaffarelli e Tamagni attrezzano dall’alto la bella e mai pericolosa Soffiando nel Vento, al cui primo spit si arriva però dopo quasi cinque ore di complesso avvicinamento. Mentre il Resegone con le sue bastionate diventa meta di un pubblico ampio, già dai primi anni 90, attraverso il continuo lavoro di apertura e attrezzatura svolto da Giuseppe Rocchi, massimo esperto di questa montagna, e da un piccolo gruppo di rocciatori di Calolziocorte, con molte
Storia alpinistica belle vie protette in modo moderno, ancora Paolo Vitali con Corti e Brambati negli anni successivi si dedica a nuovi itinerari al Dente del Lupo, alla Bastionata di Val Verde, in Grignetta, (L’altra faccia della Grigna, 6c+, Torre Costanza, 2003), culminati in tre vie nuove sulle pareti del lago, di notevole sviluppo e difficoltà (Panoramix, 7a+, splendida, Breva e Tivan, Chelidonia Express). Non mancano itinerari sparsi in Grignetta, soprattutto sulla bella e storica parete ovest del Primo Magnaghi, come la via Anna, 7a+, Bianchetti e soci; Il chiodo del Bigio, Quaresima e Pesci, 7a+; La monachella rossa, i medesimi, Cinquantenario, Il sol dell’avvenire, Re Depaolini e Pesci, ancora Primo Magnaghi, 6b+. Lo stesso Gerardo Re Depaolini deve essere considerato fra i più attivi esploratori del gruppo delle Grigne, ove ha alternato negli anni aperture di nuovi itinerari di ampio respiro (Falce e martello, alla Medale, 7b+, 400metri) con altri più brevi, in Grigna e in Antimedale. Nel contempo, a partire dalla fine degli anni 90, diventa trainante e attivissimo in zona il gruppo degli arrampicatori valsassinesi costituito soprattutto da Pietro Buzzoni, Adriano Selva e Andrea Spandri. Sono loro a fare la parte del leone negli ultimi sette/otto anni, con l’apertura di un alto numero di vie in zona: si inizia con l’esplorazione sistematica delle pareti della cresta di Piancaformia, proseguendo con la più recente area dello Zuccone Campelli, continuando con la Corna di Bobbio, per arrivare ancora al Pizzo d’Eghen, su cui Buzzoni e compagni salgono l’impegnativa Liberi di sognare, 600metri, 7b+, un gran vione in ambiente remoto, e dove Adriano Selva esprimendosi ai suoi massimi livelli apre nel 2005, insieme ad Andrea Spandri, Prigionieri dei sogni, itinerario moderno estremo, che può essere considerato fra i più difficili e impegnativi itinerari delle Alpi (7c+, 7b obbligato lontano dai chiodi). Ancora la Medale, il Sasso Cavallo, il Pilastro Rosso e il Forcellino, riservano novità dell’ultima ora, con quattro vie molto interessanti e di notevole sviluppo per la zona: La sezione aurea, 7c, 370metri, a destra della Cassin in Medale, aperta da Pesci, Chiaffarelli e Bastianello nel 2011, e Febbre da Cavallo sul medesimo Sasso, di Buzzoni e Tantardini, 7b, 300metri, Etica e Deontologia, di Selva e compagni al Pilastro Rosso e una nuova via attrezzata alla Parete del Forcellino, Aria, 7b+, per opera di Eugenio Pesci ed Eloisa Limonta nel 2011. Nel complesso si può dire che l’ormai trentennale attività di apertura di vie moderne nelle Grigne ha prodotto un gran numero di vie sicure e molto belle, di vario stile e sparse in vari ambienti, dal fondovalle, alle coste del lago, agli ambienti alpini. Purtroppo si deve constatare che il numero delle persone dedite a questa impegnativa attività di ricerca e di creazione di nuovi itinerari è limitatissimo, e si chiude in pratica intorno a una decina di storici appassionati che ancor oggi cercano di regalare a tutti gli arrampicatori nuove vie per belle avventure verticali.
Giorgio Anghileri Ivano Zanetti Adriano Selva e Pietro Buzzoni
Nei dieci anni trascorsi ad oggi dalla precedente edizione di questa ormai assai ponderosa guida alpinistica, sulle pareti lecchesi sono state aperte o attrezzate molte altre vie nuove, che non possiamo qui citare in dettaglio: vale però la pena di ricordare, per precisione tecnica, e sotto certi profili anche storica, soprattutto i difficili itinerari al Sasso Cavallo (If, Matteo Della Bordella ed Eugenio Pesci; Blu Nord, Eugenio Pesci e Marta Pirovano, sulla intonsa parete W), al Pizzo d’Eghen (Le porte del sogno, Andrea Cari’ e Pietro Buzzoni), alla Parete Rossa del San Martino (Luca Schiera e Dimitri Anghileri), a Pradello (Hotel du Lac, Pietro Buzzoni e Eugenio Pesci), al Pilastro Rosso (Sette birre col Berna, Dario Zamboni e compagni). A queste notevoli vie si affiancano numerosi itinerari soprattutto nella zona dei Campelli sopra Bobbio, nella zona della Cresta di Piancaformia (prevalentemente per opera di Pietro Buzzoni e compagni), in Grignetta (per merito dell’attivissimo ed esperto Giovanni Chiaffarelli, coadiuvato spesso da Federico Montagna; di Ivano Zanetti, di Eugenio Pesci), in Medale (Capolavoro di Natale di De Martini; Ticket to ride di Eugenio Pesci). Sempre nella inesauribile Grignetta sono da ricordare varie vie aperte con stile classico da Saverio De Toffol e Jorge Palacios, al Palma, Cecilia, alla Mongolfiera, al Fungo, alla bastionata della Cresta Segantini. Infine una menzione speciale va alle nuove vie sportive di Chiaffarelli e compagni al Monte Spedone sopra Calolziocorte, e a due interessanti vie sempre a carattere sportivo per firma di Giuseppe Rocchi sulla Torre Centa. A questi nuovi itinerari si devono aggiungere alcune notevoli realizzazioni in arrampicata libera, su itinerari di antico artificiale, soprattutto in Grigna, per merito prevalente di Matteo Piccardi e Gerardo Re Depaolini e in Medale, dove Luca Schiera introduce il livello 8, salendo in completa arrampicata libera la storica e sempre impegnativa via Rebus del 1986 Una lunghissima, secolare, storia verticale che permane, senza soluzione di continuità, e che promette ancora molte novità negli anni a venire, soprattutto per quanto riguarda l’alta difficoltà, Anche se il numero degli apritori e degli attrezzatori di itinerari di più tiri è sempre molto esiguo, e non c’è da stupirsi, data la difficoltà e l’impegno che questo tipo di attività richiede.
Eugenio Pesci Pietro Buzzoni