UP CLIMBING #20 - LIGURIA

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DIBIMESTRALEARRAMPICATA E ALPINISMO LIGURIA EDIZIONI SUDVERSANTE #20 | 2022set/ott €8.00 2022settembre20iledicolain P.A.inSpedizioneS.p.A.ItalianePoste MBPA/LO-NO/048/A.P./2019n°Aut. -NE/VRRocPeriodico COPERTINADISTORIA notizieUltimeIniziale /eraFinale FinaleRiviverefinalese /mondodal sparseMemorie“controvento”.dallaLocandadelRio /Ponente Toirano,RAW /Voltage /Highcalcared’autore /Novitàestivein valleNellaPennavaire /Val Muzzerone /streghe /delleSpaziovitale /Liguriamultipitch /BoulderinLiguria /LiguriaalzoZero /Liguriadighiaccio / Geopark:BéiguadelcuoreNeldaimontialmare /Suisentieri dell’ardesia FOCUS Mystic…SintraPortogallo,:

È la tua personale.vetta It’s thanmoreajacket.

Brette Harrington / Baffin Island

006 Finale era Iniziale di Alessandro Gogna

055 Da "Un sogno lungo 50 anni" Storie dell’arrampicata finalese 1968-2018, di Alessandro Grillo (Versante Sud, 2018)

012 Ultime notizie dal mondo finalese di Marco Tomassini

056 Novità estive in Val Pennavaire di Matteo Gambaro

FOCUS 108 Sintra Mystic… di Massimo Cappuccio

072 Muzzerone di Davide Battistella

Sommario

026 Rivivere Finale “controvento”. Memorie sparse dalla Locanda del Rio di Mosè Carrara

094 Liguria di ghiaccio di Serafino Ripamonti

088 Liguria alzo Zero di Christian Roccati

VETRINA 118 Proposte prodotti

034 Ponente High Voltage di Matteo Felanda

STORIA DI COPERTINA

076 Spazio vitale di Marco Pukli

084 Boulder in Liguria di Matteo Ceschina e Sonia Barbieri

004 Editoriale di Eugenio Pesci

062 Nella valle delle streghe di Fabrizio Rossi

100 Nel cuore del Béigua Geopark: dai monti al mare di Andrea Parodi

046 RAW di Andrea Gallo

048 Toirano, calcare d’autore di Roberto Chiesa

104 Sui sentieri dell’ardesia di Enrico Bottino

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078 Liguria multipitch di Andrea Parodi

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N

Editoriale

Testo Eugenio Pesci

Questa considerazione introduttiva ha però un suo fine preciso: guidare verso quella regione italiana che, sotto il profilo della sua complessità territoriale, non ha probabilmente eguali nel nostro Paese. Distesa e allo stesso tempo arroccata e compressa, come è storicamente stato, fra gli Appennini, le Alpi e il mare, la Liguria rappresenta senza dubbio un concentrato unico di verticalità ed orizzontalità, che chiunque sia stato a scalare, ad esempio, sulla pietra del Finale, avrà di sicuro, magari in una bella giornata d’inverno, almeno per un istante percepito.

Certo una regione con una tradizione alpinistica antica e di eccellente livello, animata da personaggi di rilevanza nazionale come ad esempio Gianni Calcagno e Alessandro Gogna, per fare alcuni tra i nomi più noti, affiancata ben presto dall’esplosione, è il caso di dirlo, dell’arrampicata moderna sulle rocce finalesi, per lungo tempo primo e venerato santuario internazionale della trasformazione che il climbing ebbe fra il 1978 e il 1988. Ma la Liguria è molto più che Finale, ed in questo numero, molto denso di informazioni, oltre alle novità della roccia a buchi, di cui ci parla Marco Tomassini, troverete anche le falesie dell’entroterra di Albenga, sulle orme di Matteo Gambaro, i settori storici di Toirano, le vie caratteristiche in traverso poco sopra il mare, il boulder di Cravasco, la Liguria di ghiaccio, una panoramica delle vie di più tiri a firma Andrea Parodi e molto altro. Non abbiate paura a scriverci se abbiamo dimenticato qualcosa! Restando in regioni non lontane dal mare, questo numero si conclude con un focus sulla zona di Sintra, in Portogallo, a firma e fotografie di Massimo ImportanteCappuccio.ricordare che tutto il numero è stato coordinato, insieme al sottoscritto, da Serafino Ripamonti e Fabrizio Rossi.

el panorama geografico europeo ci sono alcune regioni estremamente particolari: si potrebbe fare un elenco, volutamente ristretto, in base alle caratteristiche dei luoghi e delle popolazioni, ma sarebbe qui fuori luogo e anche superfluo.

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Matteo Gambaro, The fog, 7c, falesia Capradura, Val Pennavaire

Foto: Arch. M. Gambaro

Storia 6

InizialeeraFinale

Storia 7

Testo Alessandro Gogna

Fino a che avevo abitato a Genova nessuno si era mai accorto di quelle bellissime scogliere d’entroterra, dalla pietra così singolare da essere chiamata pietra del Finale, di lavorazione tenera quanto esteticamente irripetibile: dalla Via Aurelia erano sempre state invisibili, prima dell’inaugurazione dell’autostrada Savona-Ventimiglia. E anche se Alessandro Grillo mi aveva accennato, già nell’ottobre 1968, di aver scoperto quel nuovo eldorado di arrampicata, non avevo mai avuto né occasione di visitarlo né di desiderare di farlo.

I liguri locali, seguendo il carattere della loro proverbiale scontrosità, non interferirono quasi mai con la nostra invasione. Da un anno all’altro e improvvisamente, le viuzze del bellissimo centro storico di Finalborgo si trovarono gremite, non solo il sabato e la domenica, di folcloristiche e colorate frotte di arrampicatori, come anche vi furono molti episodi di posteggi selvaggi alla base delle pareti. La mattina tra le 8.30 e le 9.30 al Bar Centrale potevi fare anche venti minuti di coda prima che ti servissero! I forni sfornavano focaccia in quantità industriali, per le vie sentivi parlare un po’ tutte le lingue. In quella schifezza che era la discarica di Monte Cucco, nessuno di noi aveva problemi a “sporcare”, mentre di certo facevamo più attenzione negli altri siti, come Perti o Rocca di Corno, forse i più frequentati. Ci furono alcuni bar e trattorie che con noi fecero la loro fortuna, anche perché la nostra frequentazione andava a integrare perfettamente il turismo balneare estivo. E questo i liguri locali lo videro molto bene, anche se il loro cuore non si ammorbidiva certo di fronte al colore verde delle nostre tasche. Un pagliericcio senza lenzuola né coperte e senza neanche traccia di riscaldamento o di prima colazione poteva costare, anche in pieno inverno, 10.000 lire. Non tardammo a individuare le eccezioni a questo

Storia Finaleera Iniziale 8

Il periodo esplorativo a Finale durò quasi quindici anni, più o meno fino al 1982 quando anche lì comparvero i primi spit, cioè i chiodi infissi praticando un foro artificiale con il punteruolo o con il perforatore, segnando così l’inizio della cosiddetta arrampicata sportiva. Nei primi tempi i “pionieri” come Alessandro Grillo, Gianni Calcagno, Eugenio e Gianluigi Vaccari (ma non erano i soli) affrontavano le varie pareti di 4 o 5 lunghezze di corda con l’intento di “vincerle”, esattamente come si era sempre fatto in montagna.

Era senza dubbio destino che le rocce finalesi incanalassero queste esigenze, assieme alla valle dell’Orco, alla valle del Sarca e alla valle di Mello (solo per rimanere in tema italiano), mentre la Grignetta, che tanto aveva significato in precedenza (e forse proprio per quello), dovesse per qualche tempo rimanere un po’ indietro.

“ERANO ANNI DI GRANDE CAMBIAMENTO. GLI ANNI SETTANTA, NOTI IN AREA ALPINISTICA PER IL FAMOSO NUOVO MATTINO, VIDERO IL GRADUALE ACCOSTAMENTO DI UN ALPINISMO CLASSICO E ANCORA BEN LEGATO ALL’AVVENTURA TIPO BONATTI E MESSNER, A UNA MANIERA DI INTENDERE L’ARRAMPICATA CHE IN EFFETTI ERA DISTANTE PARECCHIO DA QUELLA PRECEDENTE: IL RIFIUTO DELLA MONTAGNA COME SOFFERENZA, COME MODALITÀ AUTORITARIA E CODIFICATA, COME COMPORTAMENTO CANONICO PER ABBRACCIARE INVECE UN’AZIONE PIÙ GIOIOSA, PIÙ SPORTIVA E PROBABILMENTE MENO ROMANTICA, IL COSIDDETTO FREE CLIMBING.

La loro bravura evitava un eccessivo spreco di arrampicata artificiale, ma di certo non si poteva ancora dire che lo scopo principale fosse quello di salire quelle pareti in quello stile che stava definendosi come “arrampicata libera” e che imponeva il non uso per la progressione di qualunque aggeggio, chiodo, nut, cuneo o cordino che fosse. Ma già dal 1975, quando con la definizione di A0 si affermò la distinzione tra libera e artificiale, si notarono i primi timidi tentativi di non ricorrere neppure all’A0 per salire un determinato tratto di parete. Fu un passaggio epocale, perché da allora fu chiaro che la pratica dell’arrampicata a bassa quota e in falesia avesse più le

n giorno di febbraio del 1972 mi ritrovai alla base di Monte Cucco, nei pressi di quella che già allora era una discarica fumante: ero del tutto inconsapevole che, a partire da qualche anno dopo, Finale sarebbe diventata la meta di parecchie centinaia dei miei weekend (e non solo).

U

caratteristiche di un “gioco” che non di un’avventura. Mentre dal 1983 in poi gli itinerari nuovi aperti a Finale ebbero quasi tutti le caratteristiche delle vie sportive, la valle di Mello e la valle dell’Orco rimasero due dei pochi luoghi dove il free climbing (inteso come arrampicata libera contrapposta all’arrampicata libera sportiva) potesse essere ancora largamente praticato. Oggi sono gli attuali templi del free climbing in Italia. Finale dunque si sviluppò come arrampicata sportiva ben prima di tanti altri centri che vennero in seguito e rappresentò quel modo di fare vacanza arrampicatoria che oggi è suddiviso con altri centri, come val Pennavaire in Liguria, oppure San Vito lo Capo in Sicilia, oppure ancora le falesie di Amalfi in Campania, tutti luoghi assimilabili a Finale Ligure per panorami e atmosfere. Un qualcosa di mezzo tra le Calanques e l’isola di Kalymnos. In ultimo, due parole per la valle del Sarca, tra Riva del Garda e Trento, perché questa ha la caratteristica di avere entrambe le frequentazioni e vi si pratica abbastanza indifferentemente sia il free climbing che l’arrampicata sportiva. Lo testimoniano il migliaio di vie non attrezzate o attrezzate solo in parte assieme alle centinaia e centinaia di monotiri delle diverse falesie. A parte Amalfi, ho personalmente avuto la fortuna e la ventura di vivere tutti questi luoghi proprio ai loro inizi, quando le primissime vie venivano aperte, qualche volta anche da me. C’ero, insomma. E mi fa particolarmente piacere parlare dello sviluppo che c’è stato.

miei “gregari”, paragonati a bestie addomesticate. Purtroppo a un certo punto (1983) la gestione della Locanda del Rio fu ceduta. La Signora non ce la faceva più a seguire tutto quel massacrante lavoro. Per noi, dispiaciutissimi, fu una notizia pessima, per qualche tempo il nostro “Circo” rimase orfano di una sede che gli fosse adeguata. La cosa dispiacque certamente anche ad Andrea Gallo e soci che avevano appena aperto, nello stesso stabile e dalla parte opposta della Locanda del Rio, il primo negozio di articoli d’arrampicata del Finalese, il mitico Rock Store. Che in seguito si trasferì in pieno centro a Finalborgo. Trovammo sfogo alle nostre esuberanze serali in un’osteria della frazione di Carbuta, che ribattezzammo “la Carbuta”.

Storia Finaleera Iniziale 9

A Scignôa (la Signora), come da tutti era chiamata, ci accoglieva a fine pomeriggio con porzioni gratuite delle sue appetitosissime focaccine (in genere avanzate dai pantagruelici pranzi che quel luogo gestiva a mezzogiorno con altro genere di frequentatori). Il vino rosso “nostralino” scorreva a fiumi, alla fine della serata eravamo sempre su di giri e il conto non era mai punitivo. In genere a metà cena arrivava anche suo figlio Gianni, da noi chiamato Giannibelin per via del suo fitto intercalare di un “belin” ogni tre o quattro parole. Ce ne raccontava di tutti i colori. In genere io dormivo nel mio furgone Volkswagen verde, i miei compagni in tenda dove capitava (più che altro dove avevano la forza di piantarla a quel punto critico della serata). Qualche volta si usavano due o tre precise grotte con tanto di pavimento di sabbia, ma in genere queste erano terreno di caccia dei tedeschi, o di altri nordici, che le occupavano per settimane intere. Nelle giornate più fredde qualcuno di noi dormiva nella soffitta della Locanda del Rio, regno incontrastato di Giannibelin, tra pagliericci, pungiball e pile altissime di riviste porno. Lì infatti A Scignôa, forse per via delle troppe scale, non metteva mai piede. Del resto Giannibelin un anno aveva vinto il cosiddetto trofeo del Gallo d’Oro, il premio che veniva dato annualmente a quello dei giovani locali che più aveva fatto “conquiste” femminili durante l’estate, cioè che più si era distinto sulle spiagge finalesi e che più aveva tenuto alto il prestigio del maschio locale. Le straniere valevano doppio, nel punteggio. Fu un periodo goliardico, finalmente eravamo riusciti a portare allegria, leggerezza, clamore ed esagerazioni in un ambiente, quello “alpinistico”, dove ogni eccesso era messo con rigore all’indice. Guarda caso cominciavano anche ad arrampicare parecchie ragazze, in tutta evidenza attirate dal nuovo movimento, cosa che la stragrande parte di loro ben si guardava di fare nei decenni precedenti. Non eravamo certo i soli a far casino, ma il nostro gruppo era guardato come tra i più attivi in questo senso. Ricordo che una volta ebbi modo di ascoltare di nascosto quello che alcuni nostri amici, più tradizionalisti, dissero venendo a sapere di una via nuova che avevamo fatto, sicuramente soffiandola a loro: “Belin, l’hanno fatta Gogna e il suo Circo!”. Immediatamente battezzammo la via, aperta a Monte Cucco, “il Circo”. Che si riferiva a ciò cui loro paragonavano le nostre “pagliacciate”, alla nostra assenza di serietà, e naturalmente sottolineando la “pochezza” di spirito dei

comportamento. A Feglino c’era la mitica Locanda del Rio, tenuta da una signora piuttosto corpulenta, che ci voleva davvero bene. Il trattamento era oserei dire amichevole (anche da parte del marito), specialmente considerati gli standard liguri.

30. ILNONSOCHÈ 6c+ 15m (2° tiro) È la prosecuzione del 2° tiro della via del traverso. Un bel muro compattissimo ma su ottime prese

26. MIKROBA 7c 22m Verticale a buchetti, difficile

38.

19. IL BUCO NERO 6c+ 35m Roccia bellissima. Consigliata

20. AL DI LÀ DEL MARE 6c 35m Molto varia e divertente

42. HYPERZOT 7a 34m Parte

27. MITICA L1 6c 22m Grandi prese e resistenza su roccia grigia. Generalmente bagnata dopo grandi piogge

29. VIA DEL TRAVERSO L2 6b+ 25m Diedro con passo chiave in uscita L3 6a 35m Traversa completamente a destra, tiro poco frequentato

21. CARTELLINO ROSSO 6c 18m Muro compatto tecnico e di dita preceduta da una bella fessura

34. LA CENGIA ALLEGRA 7a 28m Fessura, muro grigio strapiombante e placca

35. DITA DA CANI 6c+ 28m Molto bella e verticale, dita e continuità con sequenze di movimenti molto belli e da ben memorizzare L’ALAPAGA 7a+ 25m Un bel muro tecnico con diversi passaggi di dita, ribaltamento molto delicato a metà, consigliata MIX MASALA 7c 20m Verticale e dura con passo singolo UMORI AMARI 6c 40m Ad una prima parte nell’erosione rossastra seguono un diedrino di difficile impostazione una splendida placca grigia a goccette passaggio tecnico e di forza, piuttosto morfologico, per superare il tettino dal percorso un po’ complesso. In alto è possibile passare dritti sul tettino anziché restare a destra nel diedrino da non perdere, roccia perfettissima, parte in diedro una decina di metri a destra della precedente (breve corda fissa: assicurarsi), linea molto bella, consigliata Tifone

, 7c Bric Scimarco Superiore. Foto: Simona Castellini 16 Storia Ultime notizie dal mondo finalese

25. KATANA 7b 22m Bel muro verticale con passo delicato a metà, consigliata

32. STEFANO CUNEO L2 6b+ 25m Placca tecnica L3 6a 20m Traversa a destra e sale su placca tecnica

40. AFA LETALE 6c 25m Itinerario

16. IL SENSO DEL DOVERE 6b+ 35m (2° tiro) Piacevolissima arrampicata su roccia eccellente, parte in comune con Il dubbio, ma quando questa piega decisamente a destra verso la sosta sospesa sul bordo della grotta, Il senso del dovere prosegue dritta

33. PIETRA STREGATA 6b+ 25m Parte su muro grigio verticale, breve tratto centrale in comune con la via precedente, in un diedrino

41. TUTTI QUESTI TEMERARI UCCELLI 6c 32m Itinerario

36.

15. CAMURRIA 7a 15m Parte nel grottino rosso a destra de Il Dubbio

18. LA FESTA DEL LAVORO 7a 35m Splendida arrampicata su placca grigia lavorata

17. LA VIA DEL CAMPO 6c+ 35m Attacca in una fessura subito a destra del grottino di Camurria. Nella parte centrale si sovrappone a Il Dubbio. Non ha la sosta, è quindi necessario uscire sugli ultimi due chiodi de La festa del lavoro

37.

22. LE FALSE PROMESSE 6c 20m Via molto tecnica, di dita

ed

39. ORBITA QUADRATA 7a+ 25m Un

28. OLTREMITICA 6c+ 13m (2° tiro) È la prosecuzione di Mitica, linea di grande valore estetico

23. FESSURINA 6b+ 20m Un bel muro ben lavorato solcato in alto da una fessurina

31. IL DIRITTO 7a+ 20m (2° tiro) Anche questa è una prosecuzione del 2° tiro della Via del traverso; molto bella, aerea e spettacolare

24. SUPERFESSURINA 6c 15m (2° tiro) È la prosecuzione di Fessurina, su roccia molto bella

Claudio Lo Monaco su

Storia

campeggiato per due anni sotto il Monte Cucco. Abbiamo gustato belle arrampicate, buon vino, buone canne, buone tagliatelle. Torniamo a casa. Ciao. Paolo e Giacomo [?].

28/12/80 - 2/1/81

PER (NON) CONCLUDERE E RITROVARSI, SOTTO LA PIETRA DEL FINALE

AbbiamoDiario

Rivivere Finale “controvento”.

A settembre la brezza torna a soffiare controvento, s’incanala nelle vallette sospese. Qualcuno si lega, carica il primo appoggio, sente crepitare i grani di magnesio tra le falangi e la roccia. Poi più nulla. È il silenzio degli altipiani. La storia continua.

Sono tornato a Feglino in autostop per recuperare una motocicletta. Ho con me una corda leggera e due ferri nello zaino. Più tardi ritroverò i fratelli Del Conte, due vecchi amici, per salire insieme il Diedro Rosso a Monte Cucco, via chiodata nel maggio del ’68. Attraverso a piedi l’abitato e mi ritrovo l’autostrada sulla testa. Penso a quanto, in falesia, quel rombo dia fastidio e a come poi, via via che si arrampica, ci si faccia l’orecchio. Qui sotto, però, è terrificante. Sappiamo che la grande opera – secondo un meccanismo tristemente noto ad altri casi,

non solo italiani – non si è imposta per assuefazione, ma per ricatto. Ripenso alle parole di Bonora: «L’hanno fatta negli anni Sessanta. Come a Calice, doveva passare fuori dal paese, invece hanno buttato giù tre o quattro case e una chiesa. Il Cardinal Siri, a Genova, non ha mosso un dito. Non si sono fatte vere proteste. Qui non sapevano neanche cosa fosse un’autostrada, ma dalla Regione premevano perché l’opera fosse completata. Allora passavano anche meno macchine… Il paese ne ha tratto qualche vantaggio: a chi hanno comprato il terreno, chi è andato a lavorare per l’Autostrada, eccetera. L’abbiamo vissuta più noi come un pugno nello stomaco, le generazioni successive. Ormai ce ne facciamo una ragione». Proseguo in direzione di Orco e incontro due ragazze di Vercelli con i rinvii che tintinnano attaccati all’imbrago, che mi chiedono dove comprare dell’olio d’oliva. Penso ai vecchi contadini e alla “zampa di gallina”: «Qui», spiegava ancora Gianni, «piantavano gli ulivi vicini, a triangolo, a mo’ di “zampa di gallina”, perché sulle olive che cadevano nella fascia sottostante c’era diritto di raccolta. Una volta si erigevano i muri a secco, ma mica per mostrarli. Le coltivazioni si estendevano su in alto fino al Ciappo dei Ceci». Con Gianni si è parlato di molto altro ancora: di biodiversità, del ritorno sostenibile a un’economia agricola basata sulle specie locali (come le pesche o le albicocche vallegín), guardando anche alla lezione della Langa; della chiusura della Piaggio, dove lavorava il 70% della popolazione attiva finalese; di una cooperativa nata per il rilancio del territorio, poi naufragata per un bando comunale esoso, con voci di spesa eccessive e sproporzionate per i piccoli imprenditori (dal 2020, i B&B si sono moltiplicati in tutta l’area). Mi dirigo verso Monte Cucco scendendo da Orco. In testa ho ormai un “troppopieno”, una polifonia che mi martella le tempie. Taglio per la boscaglia e le tracce si confondono. In decenni di cambiamenti, le etichette dell’ignoranza contadina, della marginalità sociale degli scalatori, dello scarso peso economico del privato che tenta nuove strade per un progetto di vita hanno funzionato come alibi del potere – declinato a più livelli – per cautelarsi contro eventuali “effetti collaterali indesiderati”. Oggi Finale non è solo una vetrina pronta al consumo, in quella splendida cornice che si definisce “Capitale dell’Outdoor”. È, semplicemente, molto di più. Basterebbe osservare, discutere, prestare ascolto a un ambiente fisico e umano capace di accoglierci, non fosse che per il tempo di una salita, come protagonisti.

vicine, a Montesordo. Scalando non pensavi che saltasse il chiodo. Lo consideravi inevitabilmente sicuro, un po’ come ora i resinati, se no non lo avresti fatto. C’è da dire, però, che eravamo anche un po’ incoscienti. Nell’82 ho aperto vie che sono tornato a ripetere col senno di poi: era davvero troppo. Ne ho rimesse a posto due ai Tre Frati, in Valle Aquila. Su Buon compleanno (gocce spettacolari) ho praticamente raddoppiato i resinati! [ride]».

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climbing del Finalese è arrivata la FOR YOU CARD: un innovativo stru mento in vendita sul territorio della Finale Outdoor Region (il compren sorio che comprende Finale Ligu re, i comuni costieri da Spotorno a Pietra Ligure e molti dell’entroterra, tra cui Orco Feglino e Calice Ligure).

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Ponente High Voltage Viaggio laboratorineiliguri dell’alta difficoltà. La storia, il mito e i “giovani rallati”... 34 Storia

Erano quelli gli anni in cui nascevano gli 8 “old school”, cioè quei tiri contraddistinti da gradazione stitica e stile di arrampicata molesto, condito da uno o più severi passi di blocco di dita. Poi la rincorsa all’alta difficoltà cedette parzialmente il passo al “pop”: gli anni Novanta hanno visto fiorire innumerevoli falesie di 6 e di 7, anche se alcuni deliri sui liscioni verticali, ad opera del magister di placca Luca Lenti, tengono ancora botta. Suoi i puzzles verticali come Vienna (1989), 8b, a Cucco Orientale o Senza chiedere permesso (1999), 8c, irripetuto, ai Missili. Ma nei ’90 inizia ad affacciarsi anche un altro campo di gioco, che terrà banco per il resto a venire: lo strapiombo feroce. È sempre Gallo ad aprire i battenti di questa giostra: nell’estate del 1996 attrezza, il Grotto di Perti, un grande antro dove a farla da padrone sono la resistenza, la continuità, la ghisa su forti pendenze, ma anche una buona dose di forza di dita per gestire i finali muri di uscita. Andrea tira fuori dal cilindro Caboni (8b), e Transcaboni (8b+).

Lorenzo Fornaro

A ovest, bisogna andare a ovest, a ovest è sempre meglio. E infatti in Liguria la roccia migliore è a Ponente. Ed anche quella più difficile. Uno dei pionieri della “ricerca del difficile nel facile” negli anni Ottanta fu Andrea Gallo: scarpette assurde ai piedi, metodi di allenamento spartani, ma tanta determinazione e voglia di spostare la linea dell’orizzonte ben più in là, cercando l’appiglio più piccolo.

hi sta leggendo ora queste righe, dovrebbe aver già idea di chi sia Andrea e di cosa abbia fatto: Hyaena e Ombra sono masterpieces ben noti, annata 1986 l’una e 1988 l’altra. Chi tenta queste vie, non prova degli 8b+ qualsiasi, ma tiri che hanno una loro personalità, caparbia e decisa, specchio del loro ideatore. Ma Andrea firmò in quegli anni la libera di tanti altri rompicapo e spaccadita finalesi: Bananna Stranna (1984, “solo” 7c+...), Radical Chic (1985, il primo 8a finalese), Jamin-a (1987, 8a+), Poi Capace (1988, 8a+), Hueca Solo (1989, 8b, ad oggi irripetuta...).

35 Storia

Foto: Miriam Nan

tt Testo Matteo Felanda

su Il dolore è adesso 8b (sua creazione e FA), Falesia Zambaland.

C

Un pro dell’arrampicata è quasi scontato: è il suo effetto totalizzante, come sappiamo tutti staccare la spina è terapeutico, ci fa stare semplicemente bene. Un contro invece è che appunto… è troppo totalizzante. Come tutte le droghe all’inizio ti chiede poco e in cambio ti offre molto, ma col passare del tempo il rapporto s’inverte e, se non vuoi avere un’ossessione ma una sana passione, devi tenere a mente che ci sono anche altre cose fighe da fare e ogni tanto mollare un po’ fa bene.

GIOVANI RALLATI CAPITOLO 2: DAVIDE CARENA

Storia Ponente

A proposito del “tabù” del 9a a Finale, cosa ci dici? Detta così sembra un po’ un paradosso, però c’è un fondo di verità e una spiegazione. Premetto che non ho mai fatto vie di quel grado, anche se a luglio 2020 ho salito San Ku Kai, che poi è stato sgradato a 8c+. Sicuramente a Finale ci sono linee che possono assurgere al livello 9a, ma qui emerge una delle particolarità del Finalese, ossia la difficoltà ad attribuire un grado. Da un lato si risente dell’impostazione “storica” locale: grada stretto e non sbagli mai! Dall’altro vi sono molti fattori esterni di cui bisogna tenere conto: la morfologia della roccia, il genere di scalata, molto tecnico e non così facilmente allenabile e, in cima a tutto, le condizioni climatiche: bisogna davvero girare con l’igrometro in tasca. Anche io ho provato Dingo, e ho ben compreso la difficoltà di Ghisolfi a gradarla: a seconda della temperatura, del gradiente di umidità, delle condizioni di aderenza, questo tiro passa dall’essere impossibile all’essere tentabile. Serve veramente la coincidenza astrale di tanti elementi. E bisogna comunque tenersi tanto di dita. Bisogna

Ho iniziato con i miei genitori, visto che mio padre scala e chioda nel Finalese dai primi anni Ottanta.

Veniamo ad un altro giovane interessante: Davide Carena, ossia l’approccio pigro all’alta difficoltà. Anche Davide è genovese, diciannovenne, e anch’egli di nobile schiatta finaleros, giacché suo padre faceva parte di uno dei primigeni gruppi scalatorii finalesi, i “Cravasards”. Anche Davide a Finale ha fatto pressoché tutto, seppur il suo primo 8a l’abbia chiuso in terra straniera, Reve de papillon a Buoux, a 12 anni. A 14 anni ci dà dentro: sua una delle poche RP di En attendant Berhault, il tetto di 8b, e poi gli 8b+ di Hyaena e Noi ad Andonno. A seguire gli 8b+ di Pianbernardo, Full Conctact e Minitraxion Arrivano poi gli 8c e 8c+, Blow, Resistencia Mecanica, in Val Pennavaire e Alien carnage a Castillon. Fino all’ex 9a di San Ku Kai a Entraygues. Gli sponsor si interessano a lui e così mette in saccoccia Scarpa, E9 ed Edelrid. Questi i fatti, ma veniamo ora alle parole.

In falesia mi portavo i giochi... ho questo ricordo delle macchinine e altra roba, che mi interessava di più del materiale da arrampicata. In verità, macchine e motori mi hanno sempre affascinato, infatti da ragazzino mi piaceva fare motocross, avevo una mini moto e ci sballavo parecchio.

Quali sono i pro e i contro della passione per la scalata?

Però anche scalare mi piaceva: era divertente stare tutto il giorno all’aperto, i tiri mi entravano con una certa facilità (fosse stato più faticoso non so se mi ci sarei dedicato, perché sono un po’ pigro...). Il punto di svolta, però, è stato Reve de papillon. Buoux mi prendeva molto bene: la roccia molto simile a quella di Finale e l’ambiente bucolico, bello dormire nel furgone, far la vita nei boschi, e poi questo tiro, che mi è entrato in soli tre giri. In quello buono, peraltro, non avevo ancora fatto la sezione superiore, quando ho passato il crux, mi sono ritrovato pressoché a vista, chiaramente mi sono un po’ cagato... Da quel momento ci ho preso gusto a provare cose ben più difficili e a dare anche una mano a chiodare. Mio

papà Mauro e il suo amico Geppe sono sempre in giro a metter su corde, pulire, disgaggiare. Crescendo sono passato dal semplice “provatore” di vie, alla fase di creazione: ho iniziato ad aprire delle vie secondo le possibilità che intuivo. Mi piace citare l’aerea sezione di Perti centrale, dove è uscito un bell’8b+ su canne e bombè, Mana, e poco dopo, un altro tiro dello stesso grado, Ferro vecchio. Sono tiri molto ariosi, si parte da una cengia sospesa e non hanno ancora ripetizioni. E poi ci siamo dedicati alla Cava Sanguineo. In effetti, si tratta proprio di una cava dismessa, dove la roccia rimasta intonsa è di grande qualità. Quindi, superati alcuni primi tratti di taglio di cava, si giunge a grandi muri strapiombanti a buchi. Qui c’era già un 8b chiodato e liberato da Gianni Duregato (Barbagianni), quindi il muro prometteva dei bei bastoni. Peraltro Gianni è proprio l’arrampicatore che più mi ha ispirato, per stile di scalata e per il modo di intenderla, quasi più di ricerca, per se stesso, piuttosto che per dimostrare qualcosa agli altri. Comunque, alla Cava Sanguineo mi sono dedicato alle sezioni più difficili, mentre mio padre e Geppe hanno tirato fuori numerosi tiri più facili, allestendo anche una vera e propria cengia (la falesia infatti è denominata “Cengia degli Infami”), visto che alla fine gli piace costruire cenge! Qui ho da poco liberato due tiri che si aggirano entrambi sul 8c/+, Maccaja e Creuza de mà; ora sto tentando un concatenamento fra i due, il cui esito potrebbe essere 9a.

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High Voltage

GLI INIZI...

Foto:

Davide Carena Alessio Chiappino

alzarsi presto la mattina, con la frescura invernale, e, più importante, bisogna riuscire a controllare la testa, cosa che, per uno un po’ svogliato, diventa un po’ un ostacolo. Forse è più probabile fare un 9a a Oliana, perché i nuovi metodi di arrampicata ti consentono di girare su vie di continuità e resistenza più agevolmente. Però Oliana non è dietro casa.

42 Storia Ponente High Voltage

PER CONCLUDERE E quindi? Siamo al termine di questo resoconto storico che molti forse conoscevano già, ma è sempre utile capire da dove si è partiti, perché è il luogo in cui si sta tornando. L’arrampicata sportiva è oggi orientata su altri luoghi e altri generi di scalata, dove il risultato

I pro e i contro della passione per la scalata?

è monetizzabile nel medio breve periodo. Ceuse, Margalef, Oliana, non è che i tiri là siano più facili, è che ti puoi allenare più agevolmente per quei target e ottenere risultati, senza startela a menare troppo. Sotto questo profilo, la Val Pennavaire è messa un po’ meglio. Ma il Finalese? Per il Finalese puoi massacrarti di sospensioni e trazioni al trave su lista piccola, ma non puoi di certo allenare l’attesa delle “I PRO DELL’ARRAMPICATA LI SAPPIAMO TUTTI: ARRAMPICHIAMO PERCHÉ CI FA STARE BENE. SCALARE MI DIVERTE E MI DIVERTO ANCORA DI PIÙ SE SONO INSIEME AI MIEI AMICI, AMO L’ASPETTO GIOCOSO DELLA FALESIA. CHE POI ARRAMPICARE È UN GIOCO, NO? I CONTRO SONO PIÙ SOGGETTIVI, PER ME UN CONTRO È L’AVVICINAMENTO DI ALCUNE FALESIE, PER ESEMPIO CEUSE, CHE È LA FALESIA, PERÒ IL SUO SENTIERO DI ACCESSO È L’INFERNO!

Sono una frana. È vero che oggi tutto passa attraverso i social media. Ed è vero che se hai degli sponsor, devi far vedere le tue realizzazioni. Su questo devo impegnarmi un po’ di più. Anche se, per contro, ciò avrebbe una sua utilità, perché mi farebbe piacere che altri provassero le falesie che ho chiodato e i tiri che ho liberato. Che rapporto hai con il mondo delle competizioni? All’inizio non mi interessavano, per me l’arrampicata che contava era su roccia e stop. Poi invece ci ho preso gusto, perché per un ragazzo di 13/14 anni è molto più divertente stare a contatto con i coetanei. La cosa che mi piace di più è la componente sociale: mi piace la socialità fisica, non quella “virtuale” e l’ambiente delle gare funziona da moltiplicatore di occasioni di incontro. Non sono mai stato un tipo spiccatamente competitivo, quindi per me l’aspetto principale delle gare, durante i primi anni, era stare in gruppo e conoscere gente nuova. Per lo stesso motivo mi piace tracciare blocchi e percorsi per gli altri: mi diverte inventare problemi e mi incuriosisce vedere come vengono risolti, mi esalta se si trovano anche altre méthodes

Parliamo dei social...

43

NDR: La presente rielaborazione storica è il frutto dell’analisi di documentazione specialistica (ALP n. 162/1998 –Vivalda Ed.; Finale 8.0 e Finale 51, A. Gallo –IVert Ed.) e di conoscenze personali. Nessun arrampicatore è stato maltrattato nel compimento di questo articolo.

condizioni climatiche ottimali, anche se c’è chi le vie le sale ugualmente con umidità al 80%... Insomma, a Finale le vie bisogna corteggiarle, anche a lungo, e bisogna avere quindi più pazienza. E ciò, ovviamente, mal si concilia con questa società del tutto-subito. Ma l’arrampicata, come la vita, è ciclica, le cose dopo un po’ si ripropongono, uguali ma ammantate di un velo di entusiasmo, che le fa apparire nuove. E tornerà

di moda la pazienza e la noia e, con esse, lo spaccarsi le dita su questi rompicapo di roccia.

74 Storia Muzzerone

Davide Battistella, padre di Viola, su No siesta, 8b.

a chiodare alcuni nuovi itinerari e a frequentare la zona come una palestra di allenamento soprattutto nei mesi invernali, in vista delle salite estive in montagna. Nei primi anni Ottanta, spinti anche dal vento di novità proveniente dal vecchio continente passando dal Verdon la Valle dell’Orco e la Val di Mello, entrammo in scena io ed altri scalatori della zona tra cui Roberto Vigiani, Mattia Di Bono e Massimo Ginesi e cominciammo a ripetere in libera i vecchi itinerari alpinistici e cominciando a chiodare con spit nuove vie divenute poi storiche sia per la bellezza che per le difficoltà come Mamy on sight 7b, Delirium Post Mortem 7c pazzesco di placca e Banzai 7c+ in Parete Centrale, tre miei gioielli che riuscii a liberare per primo in una simpatica corsa a chi per primo riusciva a fare la prima libera. Ancora oggi sono tiri pochissimo ripetuti, veramente old style. Erano gli anni dell’esplorazione del Muzzerone, ci spingevamo sempre più verso questo paradiso incontaminato alla ricerca di nuove pareti e le scoperte furono incredibili, sia per la qualità della roccia che trovavamo che per la bellezza di questi pilastri a picco sul mare inesplorati, dove forse eravamo i primi a mettere i piedi. Giornate di sole, di polvere del trapano, di pantaloni di Lycra, di spit, di martellate sulle mani, di scottature alla schiena, di profumi di macchia mediterranea... Insieme al fortissimo Roberto Vigiani negli anni Ottanta ci spingemmo ad esplorare le rocce più nascoste e sperdute, fino alla Parete Striata, una parete completamente a picco sul mare alta 200 metri con accesso alpinistico dove chiodammo dal basso la via Tempi duri, una multipitch con difficoltà fino al 7a sullo strapiombo sommitale, una via divenuta poi storica.

Foto: Arch. D. Battistella

“LA FINE DEGLI ANNI OTTANTA E I PRIMI ANNI NOVANTA FURONO BELLISSIMI PERIODI DI SCOPERTE E DI CHIODATURE IN OTTICA SPORTIVA, FINO AD ARRIVARE ALLA SCOPERTA DELLO SPECCHIO DI ATLANTIDE, UNO DEGLI STRAPIOMBI FORSE PIÙ BELLI DEL MONDO. LUOGO IMPRESSIONANTE E SPETTACOLARE, DOVE IL GAS E LE DIFFICOLTÀ NON HANNO NULLA DA INVIDIARE AL MITICO VERDON.

Qui abbiamo passato buona parte dei nostri anni più belli a chiodare e a cercare di ripetere itinerari divenuti famosi e spettacolari come Gilgamesch 8a, Rosa shocking durissimo 8b ma soprattutto la super-fotografata No siesta, un bellissimo e durissimo 8b liberato da Roberto Vigiani nel ‘91 e salito da me nel ‘94, ma soprattutto la prima libera femminile di mia figlia Viola, che a 16 anni nel 2020 la sale in pochissimi tentativi in una giornata di aderenza pazzesca... E vederla salire da lei, dopo 30 anni, è stata e rimarrà un emozione incredibile: largo ai giovani!

75 Storia Muzzerone

Testo Marco Pukli Con 0 probabilità su 100 che ci succeda una certa cosa, può capitarci che proprio quella cosa si verifichi lo stesso. È in quel momento – mentre osserviamo il sole che sta esplodendo, o più semplicemente mentre affondiamo nella pancia di un transatlantico considerato inaffondabile – che capiamo che chi ci ha garantito il 100% di successo, o ci ha preso per il culo o è un cretino. Difficile che sia entrambe le cose, saper fregare per bene gli altri in genere esclude la capacità di fregarsi da soli, caratteristica questa in cui invece eccellono gli stupidi.

e, poi, la profezia che “ce la faremo di sicuro” ce la siamo inventata noi stessi per noi stessi – siamo dei guerrieri, vinceremo! - allora la situazione si fa preoccupante: non solo ci devastiamo i piedi a forza di zapparceli da soli, ma siamo pure convinti che una bella zappata sui piedi faccia molto bene allo spirito.

Il lavoro degli altri – le vie non mie - lo trovo sempre eseguito in modo troppo superficiale, troppe cose

In azione mentre chioda al Bauso centrale.

vitaleSpazio

Marco Pukli

S

troppo poche le volte in cui le cose girano così come dovrebbero girare. In genere, le cose vanno così come vanno, alla “belin di cane”, come si dice dal Muzzerone a Montecarlo (escluso). Nel mio mestiere di “chiodatore” – attrezzando vie d’arrampicata su roccia – mi ritrovo molto spesso a fare i conti con un ben impostato pessimismo. Mi è quasi impossibile trovare, su una via di arrampicata esistente, una chiodatura perfetta, sulla quale si può realmente scalare tranquilli; ed è estremamente difficile, per me, chiodare bene una via.

I pollicioni, in questo caso particolare, ragionano meglio. È forse sulla scia di questi sentimenti che quando sento dirmi cose del tipo “vai tranquillo al cento per cento”, oppure “tutto OK, non c’è problema”, raddrizzo le antenne, e mi predispongo in modo automatico al malumore. Non riesco a non considerare che sono

76 Storia

Foto: M. Felanda

77 Storia

Tutto OK un cavolo! Quando vado a controllare, trovo una sosta malandata, con un moschettone di quelli che uno lascia alla sosta perché non si fida più ad usarlo per scalare, magari pure messo su un solo anello di una catena gigantesca ma arrugginita.

C’è una grande distanza tra le regole, per così dire matematiche, che illustrano con esattezza cosa è bene e cosa è male nella chiodatura di una via, e le sensazioni di cui si nutrono gli scalatori.

I chiodatori – o forse solo alcuni chiodatori – o forse solo io e Pierre Brizzi e Lorenzo Cavanna e pochi altri – mettono invece spesso da parte la scalata, e pensano a quegli aspetti che consentono agli scalatori di non spiaccicarsi a terra, pur non volendoli distogliere da quell’imbambolamento che tanto li rende sereni e audaci nelle loro performance. In più, non tutti i chiodatori sono chiodatori. Mi spiego: sei un chiodatore se e solo se sai creare una via bella, non se sai solo chiodarla bene. Mille vie ben chiodate ma poco interessanti non fanno una bella via, e non fanno un chiodatore.

Gli scalatori sono sempre molto presi dalla scalata, si

Figlio mio, ti sei calato su una sosta che avrebbe potuto ucciderti, e non te ne sei neanche accorto. Niente, riesco assai raramente a trovare una via chiodata a dovere. Schifezze, tante, dal punto di vista tecnico – e qualche volta anche dal punto di vista estetico. Quello che manca, in fondo, è il rispetto di un “postulato” la cui semplicità è disarmante: è necessario che una via sia bella e ben chiodata, non è sufficiente che una via sia solo o bella o ben chiodata.

Per esempio, una regola ci dice che non si deve mai poter cadere per terra, punto e basta. La sensazione di “potere volare fino a terra” è invece qualcosa di molto più etereo, inafferrabile, diciamo che uno rischia di diventarne pienamente consapevole solo nel momento in cui tocca il suolo e si rompe i malleoli, e a quel punto ovviamente è già troppo tardi.

Riunione tecnica tra esperti al Rifugio Bozano/ Franco e Noemi Perotti, Valter Savio, Marta e Marco Pukli

Foto: Arch. M. Pukli

importanti sono tralasciate, aspetti fondamentali ma sottili non vengono neppure presi in considerazione. Intorno a me vedo troppe vie in cui apparentemente non sembra che ci siano dei grossi problemi, ma che guardando meglio non vanno bene per niente. Limitata profondità di analisi dei possibili percorsi sulla roccia, comprensione grossolana dei problemi relativi all’esatto punto in cui posizionare i chiodi, scarsa disciplina nelle varie fasi di lavorazione (pulizia delle prese, disgaggio, eccetera), poca memoria o addirittura menefreghismo nei confronti degli itinerari esistenti... Di fatto, quando scalo una via, non mi va (quasi) mai bene dov’è messa la sosta (mi accorgo che l’hanno messa dove veniva comodo metterla calandosi dall’alto, o traversando da un’altra via, e non nel punto migliore in assoluto). Non mi va bene il tipo di chiodi utilizzati, magari piccoli piccoli piccoli in un posto in cui ci va tanta tanta tanta gente. Non mi va bene che si possa cadere a terra sui primi chiodi, anche se, mi si dice, “lì non si cade, è facile”. Non sopporto quando le vie sono troppo vicine una con l’altra, e manca agli itinerari il loro spazio vitale, che poi è anche il mio, di spazio vitale. “Com’è la sosta?” Quante volte avrò fatto questa domanda a degli “scalatori semplici” appena scesi dalla via? Centinaia, e ogni volta una delusione. “Tutto OK, c’è il moschettone aperto di calata!”.

Qualche via “vera”, però, ogni tanto si incontra. In questo caso il giudizio degli “scalatori semplici” non conta, non si misurano queste cose a stellette, asterischi e faccine sorridenti. Tutte le vie della falesia messe insieme non valgono quella via. E, caso strano e apparentemente contradditorio, quella via potrebbe anche non essere chiodata perfettamente, pur mantenendo il 100% del proprio interesse. La via che ti resta nel cuore non ha bisogno di essere perfetta. Scalandola, si attiva da sé, senza avvisare, un pensiero o qualcosa di simile, prepotente, su cui non c’è modo di discutere, e ti lascia un po’ spaesato.

“Questa è la via più bella che ho mai scalato”.

divertono, puntano a delle grandi soddisfazioni, vivono le loro giornate in modo assai emotivo, oltre che sportivo.

Mi viene da dire, anche se forse sarebbe meglio che stessi zitto, che le vie “vere”, agli occhi di un chiodatore esperto, quasi non esistono, e se esistono sono delle rarità, delle eccezioni. Dei miraggi.

Forse però la stiamo mettendo giù un po’ troppo dura. Non tutto l’alpinismo glaciale in terra ligure è così assurdamente effimero. A oriente della regione, in fondo al lungo solco della Val d’Aveto, il crinale appenninico segna il confine dove la Liguria diviene

Foto: Archivio S. Righetti

Tooling

passi con ramponi e piccozze e del più impegnativo Canale Roberto, dove, sul finire degli anni Ottanta, Martino Cattoni e Fabio Villa cominciano ad armeggiare con i passaggi su misto. L’intuizione è quella giusta: visto che da queste parti il ghiaccio vero è per lo più un miraggio, perché non spingersi alla ricerca di linee dove il ravanage sulla roccia ofiolitica e le zolle gelate fa la parte del leone? È la filosofia stoica fatta propria dal parmense Stefano Righetti, che, a partire dagli anni Novanta, è fra i più attivi frequentatori dei canali della Est e dà il via all'esplorazione della verticale parete Nord del Pennino, l’elegante dente roccioso posto a nord del Penna, dove traccia diversi itinerari di misto moderno, proteggendo i passaggi più

in guardia rispetto al carattere di queste salite da rapina: “Di certo, deve piacere il genere, indubbiamente particolare: non è il misto del Monte Bianco, con fessure perfette, friend bomba e neve rigelata al punto giusto! Deve piacere l’avventura e la voglia di “ravattare”, ma è necessario sapersi proteggere adeguatamente su terreni non esattamente “granitici”, anche se non particolarmente difficili. In condizioni di neve dura e zolle gelate potrebbe risultare anche divertente...”

al mare e andare in cerca di quei versanti dove il leccio cede il posto al faggio e al castagno, dove i boschi diventano pensili e, assieme a un variegato assortimento di ciappe di roccia e canali, formano le tessere di puzzle che, con un po’ di fantasia, si possono anche chiamare pareti.

Il giovane alpinista savonese Gabriele Canu, degno rappresentante del suddetto manipolo di improbabili cercatori del ghiaccio mediterraneo, mette subito

Stefano Righetti alla sosta del quarto tiro di Sogno di Rocca

Emilia. Qui l’eterna estate mediterranea fa a pugni con l’inverno padano e non sono poi così rari i round che quest’ultimo riesce ad aggiudicarsi. E qui gli alpinisti liguri e parmensi si contendono, sin dalla fine degli anni Settanta, il parco giochi glaciale di casa. Le pareti Nord Ovest ed Est del Monte Penna (1741 m) sono probabilmente quelle più cariche di storia invernale. Qui si trovano anche vie per le quali, vista la relativa frequenza con cui vanno in condizioni e il numero di ripetizioni, si può scomodare l’appellativo di “classiche”. È il caso del facile Canale Nord, quello dove tanti scalatori locali hanno mosso i loro primi

Storia Liguria di ghiaccio 96

E bisogna fare presto, prima che il buon Dio si accorga di aver sbagliato a settare l’impianto e riporti le leve del termostato nella posizione consueta.

Qualcuna di queste linee non è neppure tale. È anche meno di un fantasma, è una teoria, una speranza. Così nell’estate del 2006 Stefano Rignetti e Davide Chiesa si calano in esplorazione dall’alto della Rocca, piazzano qualche spit e attendono... Nell’inverno successivo un breve intermezzo da piccola era glaciale fa sbocciare colate verticali e stalattiti. Nasce così Sogno di Rocca Tooling (120 m, M6), la prima via di misto moderno della parete. Fine della storia? Non ancora. La stagione pandemica 2020/21 limita drasticamente le migrazioni dei local verso mete più prestigiose, muri di neve alti quasi due metri ingombrano le strade della Val d’Aveto e le temperature sono quelle giuste: il parco giochi riapre i battenti! Anche il veterano dell’alpinismo ligure Luciano Peirano ha qualche visione da trasformare in realtà, e assieme a Luca Pareti, dà vita a Fantasia Martincana, un potpourrì di quattro tiri fra neve, ghiaccio, zolle gelate e fessure larghe e strapiombanti, salito in gran parte in stile trad (indispensabili friendoni maxi per la lunghezza finale) e, anche in questo caso, con qualche spit anti-infarto. L’ultimo tiro attende ancora la libera, ma si annuncia decisamente ostico (M8?).

Come le grandi pareti dei Monti Pallidi anche la Rocca del Prete è prima di tutto una storica palestra per le scalate di più tiri su roccia, ma gli anfratti e i canali che dividono i vari settori dell’articolata struttura sono lì a suscitare visioni invernali... L'esplorazione comincia negli anni Settanta, con la salita dei percorsi più facili ed evidenti e i primi tentativi di accaparrarsi il gioiello più scintillante di questo tratto d'Appennino: la bella Cascata dell’Acquapendente, 55 metri di puro ghiaccio verticale (III/5, 90/95º), che verrà poi salito nel 1994 da Eugenio Pinotti ed Enzo Ramelli.

Fulvio Scotto apre il Canalino della Befana sul Monte Sciguelo con primiattrezzaturaAnni80.

Foto: Guido Pasi

Se il Monte Penna è la versione tascabile delle Grandes Jorasses (scherziamo eh!), la vicina parete Sud Ovest della Rocca del Prete potrebbe essere l’equivalente mignon di qualche croda dolomitica (una Sud della Marmolada in scala 1:10?).

Qualche rara sbuferata invernale nel corso degli anni Novanta materializza sulle pareti della Rocca le sottili linee di improbabili goulotte fantasma. Nascono così la difficile Children’s time (100m TD+, S. Busca e M. Cattoni) e l’elegante Filo di Scozia (165m TD, L. Calderone e E. Pinotti).

scabrosi con qualche provvidenziale spit. La più ripetuta e “celebre” di queste vie è Superpsyco, cinque tiri aperti dall’alto nel 2011, dove le difficoltà arrivano all’M7+.

Storia Liguria di ghiaccio 97

La prima tappa è il Monte Rama (1150 metri), l’altura che sorge subito alle spalle dei centri rivieraschi di Cogoleto e Arenzano. Questo è il regno di Andrea Parodi, imperterrito frequentatore (e narratore) dei monti liguri e delle Alpi del Sud Ovest e a lui lasciamo il compito di descrivere questo angolo della Liguria di ghiaccio. “A differenza dei vicini monti Sciguelo e Argentèa, che a settentrione si saldano all’altopiano sommitale, il Monte Rama sorge in posizione più isolata e possiede anche una vera parete Nord - racconta Andrea Negli inverni freddi e nevosi questa si trasforma in un piccolo angolo di alta montagna: roccia, neve e ghiaccio, con in più un po’ di alberelli che, tutto sommato, non sono tanto spiacevoli, perché si

Fino a qui abbiamo raccontato un alpinismo invernale quasi possibile. Ora è tempo di spostarci a ovest, fra i cucuzzoli dell’Appennino genovese, dove il mare lo puoi toccare quasi allungando la mano e i sogni delle scalate invernali si fanno ancora più evanescenti.

112 Focus Sintra Mystic…

su Jumping Jack flash, 6c, Capuchos

CARLOS SIMES PORTUGAL Escalada em Rocha EDIZIONI VERSANTE SUD COLLANA LUOGHI VERTICALI CLIMBING SimesCarlos AF-anuncio-mutant-148x210mm.pdf 26/6/17 15:19 PORTUGAL RochaemEscalada28,00 € ISBN: 978 88 98609 734 O primeiro guia completo da escalada em rocha em Portugal. Cobre de forma selecio nada a maioria das vias e zonas de qualida de da totalidade do território continental e procura representar uma comunidade de escaladores que se começou a desenvolver desde o final dos anos 50. Ilustra a sua his tória e protagonistas na interação com os nossos aproximadamente 700km litorais, de onde se erguem falésias atlânticas, e com as paredes de um interior mais ou menos de sertificado. Uma grande atualização de toda a informação até hoje divulgada. Caos, medas e paredes graníticas no Norte (Peneda Gerês Serra da Estrela), o mode lado cársico central (Serra do Sicó), paredes aleatórias de basalto, quartzito ou arenito, os internacionalmente visitados blocos de Sintra, o calcário costeiro da Arrábida e Sa gres, entre outros; mereciam já uma divul gação abrangente e detalhada. Ainda um contributo para uma atividade que, nas suas diferentes facetas (escalada desportiva, tradicional, de largos, psicobloco e bloco), merece ser descoberta e aprofundada pelo reduzido e privilegiado núcleo de escalado res nacionais. dificuldade portuguesas, quipando aopoucoteveugenssidadeGraduou-sefalésiasdeDundee,seestenderamunsanosemMontserratportodaar-livre,eforadetemporada Fotógrafo Ricardo Santiago Graduado em interesse paradePortuguesaTemcadoOdecer”,crescendoporatéespecializou-sevida,escaladaseureconhecidoemdiversastidoumatravésSintra(BoulderSintra)avisibilidade PhotographyBrásJorge Fotografia: RICARDO ALVES Focus Sintra Mystic… 113

Piccola falesia immersa nel bosco, un affioramento di granito che offre delle placche appoggiate con vie abbastanza semplici, ideali per i principianti e per le scuole di arrampicata. Ci sono in tutto una decina di vie quasi tutte abbastanza facili e ben chiodate.

Diogo Oliveira

FAROL DA GUIA

Adventures Portugal, offrono servizi completi di tour delle falesie, noleggio attrezzatura e stage per i principianti. Invece Digas e Laura di SintraBouldershop, sono specializzati nel bouldering, loro offrono un servizio di tour degli spot e noleggio di crashpad, e hanno anche un piccolo shop con tutto il necessario per l’arrampicata. Il Portogallo e l’area di Sintra in particolare sanno come lasciare un bel ricordo e la voglia di tornare ai viaggiatori, e sicuramente fare base a Saltyway contribuisce a rendere ancor più ricco il viaggio. Climbing Spot consigliati:

Foto: M. Cappuccio

Diogo Oliveira su via do Jorge, 6b, Penedo de amizade Foto: M. Cappuccio

Arrampicata Sportiva

Settore storico, cartolina perfetta di una falesia sull’oceano in Portogallo, (faro, scogliera e mare). Circa 80 vie dal IV fino al 8b su ottima roccia e tutto chiodato in Titanio. Farol da Guia è sicuramente una delle falesie più frequentate dell’area di Sintra, grazie al grande numero di vie, ad un accesso breve e con tante zone che offrono esposizioni diverse che la rendono piacevole sia in inverno che in estate. Qui oltre alle vie ci sono molte possibilità di fare bouldering tra i grandi massi alla base.

PEDRA AMARELA

Rock Experience Nix Man Fleece

Progettati per muoversi in totale libertà, questi pantaloni da donna sono realizzati in tessuto leggero, morbido e resistente approvato Bluesign, con trattamento DWR completamente privo di PCF. Le ginocchia sono preformate e la vita alta elastica permette un fit confortevole. Sono inoltre dotati di due tasche anteriori compatibili con l’imbrago e una tasca con zip sulla coscia. Vestibilità regolare. eu.blackdiamondequipment.com

Dotato di due tasche frontali, taschino laterale sulla gamba destra, vita elasticizzata e coulisse a fondo gamba è disponibile anche nella versione maschile. ande.it

Sempre più attenta a soddisfare le diversificate esigenze degli scalatori, E9 propone una new entry nella sua collezione 2022: F-APE9, il pantalone uomo in lino e cotone organico con grande resistenza allo strappo ed elevata elasticità. Un capo dalla vestibilità skinny che amplia la gamma fitting di E9, dotato di un comodo elastico e dei passanti in vita, distinguibile dal ricamo sul retro. 100% Made in Italy. Colore in foto: Tobacco. www.e9planet.com

Nix è una felpa sviluppata in stretta collaborazione e con i feedback del gruppo alpinistico dei Ragni di Lecco. In parete o in ascese alpinistiche quello che è richiesto ad un fleece è un’elevata capacita termica e un’ottima traspirazione abbinata a leggerezza in termini di peso. Realizzata in filato Octupus, ottenuto da fibre di poliestere con una sezione a croce con otto sporgenze attorno ad una fibra cava, risulta quindi estremamente leggera senza però scendere a nessun tipo di compromesso in termini di assorbimento del sudore e capacità termica. La vestibilità è confortevole grazie alle cuciture piatte che evitano qualsiasi sfregamento, mentre il cappuccio aderente protegge al meglio da freddo e vento e può essere indossato comodamente sotto il casco. rockexperience.shop

F-APE9

Black Diamond Technician Jogger

Patagonia Down Sweater

di Patagonia offre il giusto calore tutto l’anno. Ma con l’arrivo dell’autunno lo si apprezza ancor di più. Per questo Patagonia propone il nuovo Down Sweater appena ridisegnato, per offrire una migliore vestibilità, è leggero, antivento e realizzato in ripstop nylon NetPlus® riciclato al 100% prodotto con materiali post-consumo e realizzato con reti da pesca L’imbottitura in piuma d’oca certificata RDS al 100%, lo rende ancora più caldo e leggero, riducendo nel complesso l’impatto ecologico di oltre il 25%. Disponibili in diversi modelli: uomo, donna, con e senza cappuccio. eu.patagonia.com

Vetrina prodotti

Versatile pratico e comodo, il nuovo pantalone Fresia proposto da Ande in cotone elasticizzato (97% CO+ 3 % EA), è l’ideale per le attività outdoor come boulder, arrampicata e facili e veloci escursioni, ma anche bello da indossare nel tempo libero.

Ande Fresia

Vetrina prodotti 119

Per chi, oltre agli avvicinamenti alle falesie, desidera scoprire e vivere al giusto passo il territorio del finalese, Marco Tomassini ha recensito ben 70 percorsi tra Borgio Verezzi, Finale Ligure e Noli nella nuova edizione della guida Sentieri di Finale, edita da Versante Sud. Anche se il trail running è l’attività regina per godersi l’adrenalina di questi sentieri, anche il più riflessivo camminatore può godere di questo spettacolare territorio ricco di salite ripide e nervose e di discese tecniche che degradano repentinamente verso il mare, immersi in un paesaggio che svela tra i boschi le sue ricchezze: grotte, castelli, strade, terrazze e borghi di altri tempi. www.versantesud.it

Versante Sud

TX2 Evo

La tomaia è priva di cuciture ed è molto resistente.

Parvat Eco Not Ego!

La Sportiva

Sentieri di Finale

Spesso nell’arrampicata le pareti più belle richiedono gli approcci più lunghi e a volte più difficoltosi. Proprio per queste situazioni Salewa propone la nuova Wildfire 2, un concentrato di protezione, stabilità, versatilità e precisione. Questa scarpa da approccio, è comoda per correre, sicura per scalare, precisa per arrampicare, infatti il Salewa Switchfit System permette di stringere i lacci attraverso l’occhiello aggiuntivo facendo avanzare il piede verso il puntale. Così con una sola mossa la scarpa da avvicinamento si trasforma in una resistente scarpa da arrampicata adatta alle vie più facili su roccia. La Wildfire 2 è dotata di suola Pomoca, che assicura una presa adeguata su terreni tecnici e misti. Lo speciale puntalino nella parte frontale della suola offre un miglior controllo per i passi piccoli e le situazioni difficili. www.salewa.com

La scarpa adotta un pacchetto suola con battistrada risuolabile che ne raddoppia il ciclo di vita e impiega materiali con un’ampia percentuale di componenti riciclati per garantire un minor impatto ambientale.

Il tessuto utilizzato per la tomaia, i lacci, il plantare Ortholite® Hybrid Approach e parte dell’EVA dell’intersuola sono realizzati con materiali riciclati e vegan friendly. La suola Vibram® IdroGrip con climbing zone è concepita per il massimo grip su terreni tecnici. www.lasportiva.com

Che i climbers siano sempre più attenti al rispetto dell’ambiente e di conseguenza anche ai processi di produzione e di smaltimento dei materiali di arrampicata, è cosa nota. Se poi si nasce e si cresce ad Arco, meta di rilevanza mondiale per ogni climber, di corde che consumandosi sulle pareti poi diventano inutilizzabili se ne vedono tante. Ma cosa farne? L’idea giusta è venuta ai fondatori di Parvat, un brand che dal 2021 ha avviato un progetto per il riciclo di vecchie corde d’arrampicata. Tramite processi artigianali, le vecchie compagne di avventura, prendono nuova vita trasformandosi in porta magnesite, cinture, fasce e portachiavi. In questo modo diminuiscono rifiuti e inquinamento, nascono prodotti unici, il tutto contribuendo alla salvaguardia del nostro Pianeta. www.parvatclothing.com

TX2 Evo è la calzatura più leggera della serie approach Traverse X di La Sportiva, che soddisfa le esigenze di grip, protezione, minimo ingombro e leggerezza richieste in avvicinamento tecnico e durante le vie multi-pitch.

Per godersi al meglio le falesie Finalesi, dove spesso la progressione si svolge su piccoli appigli o gocce, Scarpa propone la nuova pensata proprio per questo tipo di arrampicata. Nuovi materiali e innovative tecnologie hanno permesso di rendere questo modello iconico ancora più performante. La forma asimmetrica e fortemente arcuata concentra tutta la potenza sull’alluce. L’inserto TPS combinato con il sistema di tensionamento X-Tension offre precisione e potenza ottimali su piccole prese senza sacrificare la sensibilità. www.scarpa.net

Versante Sud Srl Via Rosso di San Secondo, 1 – 20134 Milano tel. +39 02 7490163 info@up–climbing.comversantesud@versantesud.it

© Versante Sud 2022 Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della pubblicazione senza autorizzazione dell’editore. Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019

Distribuzione per l’Italia PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421

Copertina

Hanno collaborato Alessandro Gogna, Alessandro Grillo, Andrea Gallo, Andrea Parodi, Christian Roccati, Davide Battistella, Enrico Bottino, Fabrizio Rossi, Marco Pukli, Marco Tomassini, Massimo Cappuccio, Matteo Ceschina, Matteo Felanda, Matteo Gambaro, Mosè Carrara, Roberto Chiesa, Serafino Ripamonti, Sonia Barbieri

Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it

Matteo Gambaro su progetto, falesia Sorgente, Val Foto:Pennavaire© Elena Chiappa

Stampa

Correzione di bozze Fabrizio Rossi

DIBIMESTRALEARRAMPICATA E ALPINISMO

Impaginazione Francesco Rioda

Aziende Grafiche Printing srl – Peschiera Borromeo (MI)

Grafica Tommaso Bacciocchi

Tommaso Bacciocchi Roberto Capucciati Matteo Maraone Marco DamianoPandocchiSessa

Coordinamento editoriale Eugenio AlbertoSamuelePesciMazzoliniMilani

Numero 20 IL PROSSIMO NUMERO TRAINING IN EDICOLA A NOVEMBRE alallenasiLamerti“Jolly”Alessandro Fuente)laDeCarlos(©GüllichPan

Redazione

Settembre 2022. Anno IV.

Direttore responsabile Richard Felderer

Disegni Eugenio Pinotti

QUESTIONE DI EQUILIBRIO ANDE.IT - ANDEPOINT.IT LECCO - CLUSONE - MORBEGNO - NEMBRO - CALALZO DI CADORE PROSSIMA APERTURA CREMENO (LC)

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