in edicola il 20 maggio 2019
#02 | mag/giu 2019 6.50 €
EDIZIONI VERSANTE SUD
ARCO Arco prima degli spit La spiaggia delle lucertole Valle del Sarca Il Dain secondo Rolando Larcher Brento Rock Master : da Glowacz a Ondra Stefano Ghisolfi Adam Ondra Val Daone Boulder Personaggi: Heinz Mariacher, Luisa Iovane, Roberto Bassi, Fabio Leoni, Alfredo Webber Nuove proposte falesia Multipitch: Valle del Sarca Ideas: Heinz Mariacher Exploit: Jacopo Larcher libera Tribe, Ghisolfi su Queen Line, due 8c+ per Cameroni Vertical Tales: Francesca Berardo
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO
PHOTO: STORY TELLER-L ABS/DOLOMITES, SIMON GIE TL
SALEWA.COM
DRY BACK
Il nostro Apex Wall è uno zaino da alpinismo sviluppato per quelle giornate che iniziano prima dell’alba con avvicinamenti impegnativi, seguiti da salite e discese estenuanti. Lo abbiamo dotato del sistema brevettato Contact Flow Fit, che permette una migliore ventilazione della schiena prevenendo i colpi di freddo. La ridotta superficie di contatto e i canali di micro ventilazione dello schienale assicurano una schiena piÚ asciutta.
Sommario 004 Editoriale di R. Felderer, J. Larcher ed E. Pesci
STORIA DI COPERTINA: ARCO STORY
006 I gelati più buoni del mondo. Un paesaggio antico e la nascita dell’arrampicata moderna di Carlo Caccia 009 Prima dello Spit. Le origini dell’arrampicata nella Valle del Sarca di Giovanni Groaz 012 Heinz Mariacher… a ritmo di Swing di Carlo Caccia 016 Femmina! Quando Luisa Iovane scombinò il mondo verticale di Carlo Caccia 020 Ogni inizio contiene una “magia” La spiaggia delle lucertole di Maurizio “Manolo” Zanolla 028 Futura. Roberto Bassi: una vita in bilico tra autodisciplina e visione di Lia Beltrami 032 Fabio Leoni. Questione di esserci di Antonella Cicogna 036 Valle del Sarca. Esplorazioni in pausa pranzo di Maurizio Giordani 041 Il Dain secondo Rolando Larcher di Antonella Cicogna 048 Brento. Una delle pareti più belle e strapiombanti delle Alpi di Diego Filippi 052 Da Glowacz a Ondra. Angelo Seneci racconta il Rock Master di Carlo Caccia 056 9A a 48 anni… la Arco di Alfredo Webber di Eugenio Pesci 060 Stefano Ghisolfi. Storia di un migrante di Eugenio Pesci 062 Adam Ondra. I progetti incredibili di un pendolare di Riky Felderer 066 Val Daone Boulder. Il miglior granito delle Alpi ai piedi dell’Adamello di Andrea “Rouge” Armani
PROPOSTE
073 Multipitch: Valle del Sarca, ritorno obbligato di Samuele Mazzolini 082 Falesia: Pizarra di Alfredo Webber e Roni Andres
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084 Falesia: Val Lomasona news di Gianguido Dalfovo 086 Falesia: Epic Colt. Un’avventura lunga un anno di Marco Manfredini 088 Falesia: Padaro News di Gianfranco Bassani 090 Falesia: Pausa pranzo di Lorenzo De Bonis 092 Falesia: Il giardino delle occasioni perdute di Eugenio Pesci 093 Falesia: Ottava meraviglia di Eugenio Pesci 094 Libri: Valle della luce. La storia del Sarca verticale in un nuovo libro a cura di Eugenio Pesci
DUE GIORNI IN RIFUGIO
096 Il rifugio Croz dell’Altissimo. 1000 metri di storia alle spalle di Giuseppe Miotti
IDEAS
99 di Heinz Mariacher
EXPLOIT
102 Tribe di Jacopo Larcher 106 Queen Line 9b. Il tiro più duro di Arco e d’Italia a cura di Eugenio Pesci 108 Poison the Well e REM. Il ponte verso il futuro di Giuliano Cameroni di Alberto Milani
VERTICAL TALES
116 Miniracconto Kosterlitz di Francesca Berardo
IL GRAFFIO
119 Ricordati che devi morire! di Richard Felderer
JOLLYPOWER
120 Aumentare il proprio grado massimo. Consigli concreti di Alessandro Lamberti
GEAR GEEK
124 Climbing Cam. Pt. 2 di Fabrizio Calebasso
VETRINA
126 Proposte prodotti
D O W H AT Y O U C A N ’ T – B E
WHAT
YOU
CAN!
Editoriale
Testo Richard Felderer, Jacopo Larcher ed Eugenio Pesci
S
emplicemente Arco è uno dei posti dove ho sempre pensato di andare a vivere. Non un sogno puerile come potrebbe essere “vado a vivere a Yosemite”, che forse non ha senso. In vacanza si, a vivere non credo! Un pensiero ragionato su vari fattori. Il primo è che c'è lavoro, è una zona benestante con diverse opportunità. Avendo passato da molto la metà del mio cammino, a volte mi tocca ragionare da vecchio. Secondo perché, non sarò originale, ma è bella! Il centro storico è stato ripreso benissimo, c'è vita. Intorno la campagna e il panorama sono eccezionali. In mezz'ora arrivi in 100 falesie e se giochi bene con le esposizioni scali sempre in condizioni top! E in un'ora vai a sciare. Senza pensare che la vita non è solo arrampicata ma anche mountain bike, kite e altro. E fin qui sembra lo spot publicitario pagato dall'ente di promozione del territorio. Cosa che non è, e che un po' ci dispiace, perché un paffuto conto in banca non ci farebbe schifo! Ma poi siamo dei romantici sognatori, e non possiamo prescindere dal fatto che ad Arco si sia girata una parte importante del film dell'arrampicata Italiana e non solo, ci sono passati non dico tutti, ma tanti si! Ci sono tacche e svasi che andrebbero messi nel museo della storia dell'arrampicata, se si pensa a cosa e chi hanno visto! Personaggi e mani che hanno scritto pagine anche importanti di questa storia. E, concedetemi la banalità, alcune di queste pagine le hanno condivise con noi, con scritti inediti e sempre profondi. Il che non vuol dire che siano condivisi o condivisibili. Sia ben chiaro: lo scalatore più forte non per forza è quello che ha ragione. Ma di sicuro l'intensità della sua storia e del modo in cui la affronta gli riconoscono quantomeno autorevolezza. E siccome siamo persone ragionevoli, siamo anche consci del fatto che sia noi che loro possiamo cambiare idea. Se fossimo tutti d'accordo... sarebbe una fiera delle ovvietà, e tutto vogliamo tranne questo! E il disaccordo avviene anche in redazione quando ci accorgiamo che solo uno su tre può godere veramente delle proposte che, andiamo a fare. Ma Arco, al di la delle falesie storiche di tutti i gradi (la guida è praticamente la cosa più pesante che metti nello zaino!), è anche il teatro e laboratorio di difficoltà. E se la roccia non ci lascia passare, sarà il caso che ci alleniamo per riuscirci!
Grottosauro Adam Ondra, climbing in Arco. Foto: Giampaolo Calzà
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Heinz Mariacher
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Itw Carlo Caccia
Arco Story Heinz Mariacher
Introverso e controcorrente, mai sulle tracce degli altri ma sempre avanti, a indicare la via. Aveva un libro, una biografia di Charlie Chaplin, e si sentiva un po’ come lui: poeta e sognatore, vagabondo fuori dalla realtà, instancabile cercatore di qualcosa di romantico. E una delle sue creazioni, quella sulla Nord della LalidererSpitze, si chiama proprio Charlie Chaplin: aperta nel 1977 e sicuramente meno famosa dell’altra – Moderne Zeiten sulla Sud della Marmolada, del 1982 – per un doppio omaggio all’indimenticabile Charlot.
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einz Mariacher, classe 1955, ha scritto a modo suo la storia dell’arrampicata tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso: è stato protagonista sulle grandi pareti e poi nelle falesie, senza condizionamenti e sempre fedele a uno stile dove libertà era sinonimo di avventura. Impossibile raccontare tutto di lui in poche righe: diciamo soltanto, prima di ascoltarlo, che insieme alla sua compagna Luisa Iovane, a Roberto Bassi e a Manolo è stato uno degli scopritori di Arco e delle sue rocce, che rappresentavano una meravigliosa sfida e la possibilità di realizzare qualcosa di diverso.
liscio e compatto. In quel periodo ero ancora alpinista, convinto sostenitore dell’idea no spit, ma un giorno decisi di fregarmene e con Roberto Bassi aprii un’uscita diretta alla Renata Rossi. La chiamammo Specchio delle mie brame e fu la mia prima via a spit. Da quel momento guardai le rocce con occhi diversi e invece di cercare fessure, dove si potevano piantare chiodi o mettere dadi, cominciai a esplorare placche sempre più lisce. La Swing Area era la più affascinante, seguita dalla Spiaggia delle Lucertole e poi della Gola di Toblino».
Partirei con il chiederti come e quando avete cominciato a frequentare Arco e la valle del Sarca… «Non ricordo di preciso: comunque attorno al 1979, quando l’arrampicata sportiva non esisteva ancora, almeno in Italia. Avevamo sentito parlare di vie a più tiri sui Colodri e dopo un giro in Brenta mi ero fatto convincere a dare un’occhiata alla valle del Sarca. Sottolineo che per me, in quegli anni, l’arrampicata in falesia non contava assolutamente nulla: non la consideravo neanche come allenamento. Ovviamente, con questo approccio negativo già in partenza, la spedizione fu un totale fallimento: non riuscimmo neppure a trovare il sentiero tra i rovi per raggiungere la base della parete! Con occhio sicuro per la linea più bella, avevo preso di mira il pilastro dove anni più tardi fu aperta Zanzara e Labbradoro. Pieno di graffi e incazzato nero decisi che la battaglia contro le spine non confaceva alla dignità di un alpinista e tornammo a casa senza aver toccato roccia. Più tardi – non ricordo perché… – osammo un altro tentativo, che andò decisamente meglio».
A proposito della Spiaggia delle Lucertole: come hai scoperto quella lastra a picco sul lago? Hai un ricordo particolare di quel luogo unico? «In verità non l’ho scoperta io: credo sia stato Roberto Bassi con HonkyTonky. Un ricordo particolare? Ecco: stavamo chiodando un tiro nuovo – Manolo, Roberto e il sottoscritto – e guardando giù notammo un ragazzo che ci osservava con grande interesse, appoggiato alla R4 di Manolo. Niente di strano, a parte il fatto che stava frugando all’interno della macchina (si vedeva la sua mano attraverso il vetro del portellone posteriore)! Gli urlammo una sfilza di parole poco gentili, scendemmo il più velocemente possibile – da due lati: Manolo e Roberto in doppia e io di corsa per la cresta, per raggiungere l’ingresso opposto del tunnel e bloccare il ladro nel caso fosse fuggito verso Torbole – ma fu inutile: quello aveva un motorino e sparì in un attimo. Guardando la R4 sembrava tutto a posto, salvo poi scoprire che il tipo, forse il primo ladro specializzato in furti dalle auto degli arrampicatori della zona di Arco, aveva tagliato un vetro laterale».
Quindi siete partiti dai Colodri. Ma quali altre pareti e falesie hanno subito attratto la tua attenzione? E perché? «Arrampicando sui Colodri avevo presto realizzato che la roccia più bella non era quella delle vie che seguivano le fessure, ma quella delle placche in mezzo. Il problema erano le scarse possibilità di proteggersi su quel calcare
Ladro a parte, come siete stati accolti dalla gente del posto? I climber, a quei tempi, erano una novità assoluta… «I locali non si interessavano a noi, e andava benissimo così. Perché in questo modo potevamo divertirci inosservati e liberi di fare quello che volevamo. Il nostro unico amico del posto era il Bepi, che abitava
Heinz Mariacher, Tom & Jerry, 7c, Spiaggia delle Lucertole, Arco anni '80. Ai piedi le mitiche, omonime scarpette La Sportiva, di sua creazione. Foto: Arch. Mariacher
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Arco Story
Ogni inizio contiene una “magia” La spiaggia delle lucertole Testo Maurizio “Manolo” Zanolla
Non era importante l’aderenza ma tutto quello che c’era attorno. E attorno incredibilmente c’eravamo solo noi nell’estate della vita, ruvidi ed ingenui ma vivi, scesi dalle montagne a giocare con scarpe e regole diverse, in mezzo a un arcipelago di falesie sconosciute e mimetizzate da frutteti e sempreverdi. Ancora non contemplavamo il giallo e l’arancio, vedevamo solo il grigio,liscio e dritto, stemperato in una pianura contadina coltivata fra laghi e pieghe di una Valle protetta da gigantesche pareti, che contribuivano a confonderne le proporzioni. Sembrava che i ghiacciai l’avessero spianata verso l’abisso, tanto che i Nuovi orizzonti, immaginati da un lungimirante Leviti, apparivano vuoti e lontani. Scherzoso revival su portaledge Federica Mingolla, Katiucia Piazza e Matteo "Giga" De Zaiacomo alla Spiaggia delle Lucertole, Arco. Foto: Klaus Dall'Orto
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a i vigneti non precipitavano nel nulla, si fermavano sull’orlo di uno specchio d’acqua più grande degli altri, che si allungava oltre l’immaginazione. Per proseguire in quella direzione sembrava necessario salire sotto una vela, ma a noi le barche non interessavano, e in quel momento, neppure quello che c’era dall’altra parte. Ci bastava girare curiosi attorno a una Rupe Secca e anche se l’aria di quel lago, faceva maturare olive e limoni, Arco sembrava ancora troppo fredda d’inverno e troppo calda d’estate. Negli anni della fretta camminavamo frai suoi borghi vuoti senza negozi,insieme aquei pochi che andavano adagio e avevano già speso gli anni concessi dall’età, fra case che non costavano ancora quasi niente; ma nelle tasche,avevamo meno di quel quasi. Lasciavamo pochi spiccioli in gelateria, e ancor meno in panetteria, ma i nostri capelli incolti non sembravano così mal visti. Forse solo perché,in quel
posto prima di altri, hanno capito che ne sarebbero arrivati tanti altri come noi, e non tutti potevano avere le tasche vuote come le nostre. Non potevo concedere molto tempo alla scalata, ma quell’assaggio di arrampicata libera così pigra e calda tanto diversa dalla fatica sembrava piacermi. Non era necessario alzarsi di notte per raggiungere la base delle pareti e nemmeno bagnarsi i piedi nella neve sotto zaini pesanti, bastava scendere dalla macchina o aprire la cerniera di una tenda per avere davanti tutto in un silenzio, che era quasi blasfemo pensare durasse ancora a lungo. Al tramonto poi, quando mancava la luce,“una doppia” ti portava quasi in pizzeria. Eravamo in pochi e curiosamente assortiti, ma tutti contagiati dalla strana passione di cercare gli appigli più belli del mondo. Il più vecchio era un austriaco, preceduto dall’odore dell’aglio accompagnato da una veneziana ancora mite e, ogni tanto, da un montanaro monello.
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Arco Story
Brento
una delle pareti più belle e strapiombanti delle Alpi Testo Diego Filippi
Il monte Brento, con il monte Casale e il minore monte Biaena, formano un piccolo sottogruppo delle Prealpi Gardesane che separano la val Lomasona dalla valle del Sarca. Sono montagne modeste, semplici collinette boscose se viste da ovest; dalla val Lomasona o dalla piana del Bleggio. Precipitano invece con immense pareti rocciose verso est, verso la celebre valle del Sarca. Naturalmente, sono pareti ricche di storia alpinistica: già nel 1935 vediamo il trentino Bruno Detassis affrontare la grande parete del Casale (via del Gran Diedro) e, qualche anno più tardi, nel 1938, superare la magnifica Canna d’Organo al Piccolo Dain, quella che rimarrà una delle sue salite più difficili. Sempre sul Piccolo Dain, nel 1957, è Cesare Maestri ad attaccare e vincere il grande diedro sud-ovest. Jorg Verhoeven, assicurato da David Lama, su Brento Centro, 8b al Monte Brento. Foto: Heiko Wilhelm
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a è sicuramente Heinz Steinkötter il primo e grande esploratore di queste pareti. Trasferitosi da Colonia (Germania) nel Trentino, inizia una assidua esplorazione del gruppo di Brenta, aprendo numerosissime vie, tutte di grande valore ed estetica. Inoltre, nelle mezze stagioni, lo troviamo in una appassionata esplorazione delle pareti delle Prealpi Trentine, ad iniziare dalla Paganella, con un numero impressionante di vie nuove e la pubblicazione di una preziosissima guida: Il Gruppo della Paganella-guida per rocciatori. Monte Bondone: anche qui numerose prime salite sulle pareti del Palon e di Cima Verde. Lo troviamo addirittura in cordata con Reinhold Messner ad aprire una direttissima sulla parete est di Cima Palon (1967). Ovviamente non sono sfuggite alla sua curiosità anche le pareti della vicina valle del Sarca. È stato il primo a vincere la grande e repulsiva parete di Cima alle Coste, nuovamente con Reinhold Messner e accompagnati da Renato Reali, nel 1966. Ancora il
primo, nel 1969, a tracciare una via nuova sulla ormai famosa Parete Zebrata: via del 46º Parallelo. Monte Casale: altra via direttissima con Renato Comper nel 1970 e molte altre ancora. Ma di certo è la parete est del monte Brento, con i suoi immensi strapiombi, che più aveva stuzzicato la sua fantasia. Si erano da poco conclusi gli anni delle grandi direttissime a goccia d’acqua delle Dolomiti, le grandi pareti gialle e strapiombanti con difficili scalate in artificiale erano vinte,come la cima Grande di Lavaredo o la Roda di Vael. E la parete est del monte Brento? Non era certo inferiore per dimensioni e difficoltà! Quindi perché non provare a vincere anche quella parete, che rappresentava allora il maggiore problema del Sarca? L’esperienza sulle scalate in artificiale non gli mancava, così, raggruppato un ristretto numero di amici, tra cui un giovanissimo Marco Furlani, inizia, nel 1974, il primo tentativo agli strapiombi del Brento. Heinz, meticoloso organizzatore, come poi vedremo anche nel 1992, non lascia nulla al caso. Ha già visto
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Proposte falesia
Padaro News A cura di Gianfranco Bassani
Il mondo degli scalatori è davvero piccolo e a volte le vite di alcuni di questi si intersecano più volte e a distanza di tempo e sempre all’inseguimento della roccia migliore e della via più bella…ma anche di amicizie sincere. In questo caso mi riferisco a me e a Sauro Merighi, che conosco da quando vivevamo entrambi in Emilia-Romagna e che un bel giorno, mentre gli raccontavo che in quel periodo vivevo la scalata con una certa inquietudine e insoddisfazione, mi ha chiesto se avevo voglia di “chiodare”. Eureka … era quello che mi mancava. La mia esperienza di “scalatore” si stava evolvendo e in questo modo ritrovavo
l’entusiasmo che stava venendo meno. In quel periodo Sauro stava chiodando a Padaro e così ho iniziato. In questo modo ho potuto partecipare alla crescita di una delle falesie più interessanti di Arco …e che nasconde ancora delle sorprese. ACCESSO Dal ponte sul fiume Sarca, si attraversa il centro di Arco, in direzione Riva del Garda. Ancora nel paese si gira a destra in via Battisti, con direzione Laghel, svoltando poi a sinistra dopo 200 mt in V.le dei Capitelli, dove si trova l’Ospedale. Lo si segue per 2 km, si supera Vigne, si gira poi a destra nel paese di Varignano, seguendo ora per
Padaro: poco dopo l’inizio dell’abitato si trovano piazzole per parcheggio. Dal park percorrere via Montegrappa, girare a sx in via Carbonare. Arrivati alla fine della pietraia e appena inoltrati nel bosco al bivio girare a destra e “attraversare” i settori Ali di mosca e Cappello di paglia e continuando per evidente traccia dopo 30/40 metri incrociate il settore “Il poggiolo” che si raggiunge agevolmente affrontando una brevissima e facile salita con l’aiuto di una corda fissa. Proseguendo lungo il sentiero, dopo altri 30 metri, si giunge alla base del settore “Etico”. Entrambi i settori sono esposti ad Est.
Babsi Zangerl, Riflessi del rosso, 8b+, Pizarra, Arco. Foto: Jacopo Larcher
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Proposte falesia
Settore Il Poggiolo
Settore Etico 7a
7b+ 7a
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7c+
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SETTORE “IL POGGIOLO” Note: calcare grigio/giallo, placca con bombè 1. LA VIA DI PEPA
7a
20m
2. LITTLE CRACK
6b
20m
3. CONNECTION
6a+/6b
20m
4. A FERRO E F…IGA
7b+
25m
5. MIC
7c
25m
6. IL SOMARO DI PADARO
8a+
32m
7. PROGETTO
??(8a/8a+) 20m
8. PROGETO
??
N.B.: Per accedere alle vie 1 e 2 !!
20m
SETTORE “ETICO” Note: calcare grigio/giallo, placca con canne. Resta bagnato dopo piogge abbondanti 1. STRETTA FINALE
7a
18m
2. JACK SPARROW
6c+
18m
3. SALAZAR
6c+/7a
18m
4. ALLERGICO INCANTATO
7b+
22m
5. STRETTA IN MEZZO
7b+/7c 25m
6. ZERO ETICA
7b+/7c 25m
7. WET & DRY
7c+
8. SAUROMPI
7c
22m
Gianfranco Bassani, MIC, 7c, settore il Poggiolo, Padaro, Arco Foto: Michela Righi
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Ideas sottosezione
Rinviaggio d'epoca Heinz Mariacher in arrampicata ad Arco, negli anni '80: si noti il rinvio modello "origami". Foto: Arch. Mariacher
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Solo per puro caso ero diventato un po’ famoso fra gli insiders e quando arrivavano richieste per fare serate di diapositive e qualche rivista specializzata mi chiedeva di scrivere articoli sulle mie “imprese”, mi ero illuso (con troppo ottimismo) di poter avere una piccola influenza sullo sviluppo verso un’arrampicata “intelligente” per il futuro. Qui è necessario estendersi ancora più profondamente nei vecchi tempi,per far presente che nell’alpinismo degli anni ‘70 non c’era quasi più traccia di una “forma di vita intelligente”. In montagna tutti seguivano ciecamente lo status quo, incantati da predicatori e sostenitori della conquista a tutti i costi! L’avevo trovato un mondo stranissimo dal primo momento in cui mi ero avventurato nelle montagne! Così già dai primi anni sulle rocce avevo le idee molto chiare sul come si dovrebbe sviluppare l’arrampicata, per diventare di nuovo interessante: non solo la rinuncia allo spit, ma soprattutto all’artificiale! Pura arrampicata libera per aprire vie nuove, senza trucchi, come, per esempio, calarsi da sopra per preparare i passaggi. Principi semplici,mai diventati popolari, nemmeno ai giorni nostri! L’alpinismo di conquista continua a dominare, grazie al supporto di un giornalismo rimasto fermo ai vecchi tempi, e di chi si gode i vantaggi nel conservare tutto come è! Così pubblicamente non solo l’alpinismo sugli
ottomila, ma anche tutte le altre discipline saranno sempre di più nelle mani di un sistema di interessi che allontana l’arrampicata dalle sue origini. Anche se nel caso di Sport Climbing non c’è più nessun legame con il vecchio sistema dell’alpinismo, abbiamo a che fare con lo stesso problema: l’attività non si sviluppa più dall’interno, ma viene condizionata e definita dall’esterno, da gente e sistemi che non vivono l’attività direttamente.
È UN SISTEMA CHE APPROFITTA “ DEL PECORISMO DELLE MASSE DEI MEDIOCRI E SOFFOCA CON PREPOTENZA QUALSIASI TENTATIVO DI RINNOVAMENTO.
La resistenza verso questa nuova mono cultura forzata esiste fra i giovani, ma si esprime solo in indifferenza, almeno finché vivono lontani dal palcoscenico. Gli anni ottanta, i tempi d’oro dell’arrampicata in falesia: i tempi d’oro erano i tempi in cui l’arrampicata lontano dalla montagna non valeva nulla! Un controsenso? La vera passione e la libertà si trovano più facilmente lontani da interessi e soldi e la cosa più importante per l’arrampicata era avere tanto tempo. Chi ha tempo per vivere la propria vita
Ideas Heinz Mariacher sviluppa creatività e proprie idee. In quei tempi d’oro l’arrampicata era uno spazio lontano dalla società, un mondo segreto ed esclusivo per pochi spiriti selvaggi. Dare precedenza alle falesie in fondo valle era una specie di rivoluzione successa per caso e non cercata. Nei primi anni eravamo in pochi, ma poi il fatto del facile approccio e di protezioni sicure ha attirato sempre più gente. Purtroppo, col numero crescente di praticanti, la società ci ha scoperti, ha cominciato a civilizzarci e imporre le sue regole e valori. Presto sono state inventate le gare di arrampicata come sistema per inquadrarci meglio. L’arrampicata che prima non aveva nessun senso è stata integrata nel sistema e adesso ha senso, perché sta creando riconoscimento pubblico e business!
La generazione successiva era inizialmente ispirata dagli hippie-climbers e si era appropriata del loro lifestyle senza veramente considerare il background spirituale che lo aveva creato.Così la nostra è diventata una ribellione dimenticata e non ha cambiato nulla (come la gran parte delle ribellioni).
Wolfgang Güllich prova Pipistrello, 7b, Arco anni '80. Foto: Arch. Manolo
L’ARRAMPICATA SI È EVOLUTA “ DA MENTALITÀ HIPPIE A HIPSTERS
A TRENDIES (L’OPPOSTO DI AUTENTICO). IL CLIMBER INDIPENDENTE È DIVENTATO UNA SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE! L’IDEA DEL FREE CLIMBING È STATA INGOIATA DAL MAINSTREAM. Oggi il lato commerciale ha più influenza che mai, gli alpinisti “di punta” si mettono l’etichetta dello sponsor sul petto come i veri atleti le medaglie, e tutto quello che fanno è giustificato dall’importanza del brand che rappresentano. Sembra che non si accorgano che quello che fanno non è niente di speciale perché ormai sono in tanti che fanno tutti le stesse cose. Le idee? Non contano più nulla, perché anche l’idea più straordinaria sparisce in un mare di notizie insignificanti. Purtroppo anche l’arrampicata in falesia si è allontanata da qualsiasi tipo di cultura, dal suo passato e da pensieri oltre al successo personale momentaneo, e l’unico linguaggio rimasto sono numeri. Mi chiedo, quanti arrampicatori e alpinisti ci sarebbero in meno, se si togliessero i numeri per misurare la prestazione? Se poi si togliesse Instagram e Facebook e qualsiasi possibilità di comunicazione, quanti troverebbero ancora un senso nell’arrampicata? Le competizioni? Per me l’unica forma di arrampicata professionale. Purtroppo finirà tutto nelle mani di funzionari e manager, e la libertà dell’individuo sarà sempre più ridotta. La libertà di autodefinizione una volta era la particolarità del climbing in confronto ad altri sport. Ogni tanto bisognerebbe anche chiedersi: quanto importante è l’inviduo che arrampica o va a conquistare gli ottomila per il resto del mondo? Una nuova rivista di arrampicata potrà dare stimoli positivi per il futuro? Se offre spazio per varietà di opinioni e pensieri, sì. Se diventa un altro portavoce per chi vuole fare il “professionista”, no.
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Exploit
il ponte verso il futuro di Giuliano Cameroni Testo Alberto “Albertaccia” Milani
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Exploit Poison the Well e REM
Novembre 2000: ad un estremo dell’area di Cresciano, Fred Nicole libera Dreamtime e propone il primo 8C nella storia del boulder! In realtà, già da qualche anno Nicole annunciava la rinascita del bouldering ma, in un mondo paranoicamente fissato sul grado e sulla prestazione in falesia, servì un segnale forte per scuotere gli animi e portare una ventata di aria fresca… La salita di Dreamtime fu proprio quello, una bomba che, anche a livello mediatico, rappresentò l’esplosione di un movimento destinato a rivoluzionare l’arrampicata, risvegliando i climber da un torpore fossilizzato in abitudini e convenzioni ormai sterili.
I
l Ticino in particolare divenne il luogo in cui nuovi cammini venivano tracciati e dove chiunque poteva trovare riferimenti e stimoli. Cresciano e Chironico prima, la Val Verzasca e la Valle Bavona poi, erano la terra promessa del bouldering mondiale e il loro gneiss la roccia dei sogni. Tutti i big del tempo passarono di lì, principalmente per confrontarsi con le linee di Nicole. In queste aree sbocciarono future leggende come Bernd Zangerl, giunsero climber celebri come Ben Moon e Jerry Moffatt o giovani mutanti allora in piena affermazione, quali Chris Sharma e Dave Graham, giusto per citare i più famosi. Proprio Graham restò così affascinato dalle aree ticinesi da trasferirvisi per un lungo periodo, divenendo uno dei principali artefici dell’esplorazione e dello sviluppo dilinee che ora vengono considerate un riferimento. Dave liberò linee estreme di 8C, tra le quali la più rappresentativa fu “The Story of Two Worlds”: situata sulla faccia opposta dello stesso masso di Dreamtime, questo boulder è tuttora un riferimento di difficoltà con cui cimentarsi, per entrare a testa alta nel circolo dell’8C. Dave “guardò oltre”, fu il primo a confrontarsi con la storia del bouldering scritta da Nicole e da lì partì per scriverne lui stesso qualche pagina. Da lì in poi gli anni sono passati, il Ticino ha consolidato il suo status di destinazione d’obbligo, ma l’impulso creativo ha rapidamente perso stimoli e protagonisti. L’obiettivo di tutti è diventato solo quello di ripetere quanto già tracciato, dando l’erronea impressione che da qui fosse già stato “spremuto” tutto il meglio,promuovendo così anche una consumistica visione “usa e getta” del boulder… 2019: UNO SQUARCIO SUL FUTURO! Devono passare almeno una dozzina d’anni, prima che una luce nuova possa balenare tra questi massi, ed illuminare tesori che giacevano dimenticati nell’ombra!
Ancora una volta, la bomba esplode un po’ a sorpresa, anche sequalche avvisaglia c’era già stata: a novembre 2018 l’americano Shawn Raboutou, figlio d’arte dei celebri Didier e Robyn Erbesfield, aggiunge un paio di movimenti estremi al “blocco del carretto” della Val Bavona, l’iconico Off The Wagon. Senza esitazione o complessi propone l’8C+, il primo del Ticino! Per quanto durissimo e di un altro livello, questo blocco di Raboutou può essere considerato solo parzialmente innovativo, essendo una variante sit ad una linea già radicata nella storia del boulder ticinese. Eppure, non è che la prima evidenza di come il Ticino possa riservare ancora molte sorprese. Febbraio 2019, sono passate solo poche settimane e Giuliano Cameroni, l’énfant prodige locale, libera un mega progetto a Brione: Poison the Well. Una seconda, potente spallata per sfondare le porte del futuro, grazie anche alla storia di questa linea. Infatti, questo progetto era stato tentato a lungo e senza successo da Graham e forse prima ancora da Zangerl, due degli artefici principali della storia del boulder “post-Nicole”, qui però fermati da una linea troppo dura per loro. Poison the Well si sviluppa a sinistra del gettonato 8a di Pamplemousse e richiede a Giuliano otto giorni di lavoro intervallati dai necessari riposi. Infatti, dopo un inizio di 7C, si deve affrontare una sequenza chiave estenuante, costituita da una manciata di movimenti di forza estrema unita ad una precisione ancora più esasperata. Giuliano qui è a casa sua, da sempre conosce questi massi e negli ultimi anni ha raggiunto più volte l’8C, sia ripetendo i “classici” che liberando linee nuove. Anche per Poison the Well non c’è nessuna esitazione sulla difficoltà: 8C+. Un altro segnale che tutte le barriere, fisiche e mentali, stanno cadendo… Passa meno di un mese e l’eccessivo caldo di quest’inverno obbliga a ricercare le condizioni nelle ore notturne. A Cresciano, all’una di notte, Giuliano fa
Inquadra il QR-Code e guarda il video di Giuliano che libera Poison the Well e REM.
Giuliano Cameroni su Poison the Well, 8c+, Brione, CH. Foto: Paul Robinson
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Exploit Poison the Well e REM in cui spesso l’impatto dei climber ha avuto effetti negativi sulla roccia e sull’ambiente. Un esempio lo si è visto con il mucchio di materassi, immondizia e sporco sotto The Story of Two Worlds a Cresciano. Cosa ne pensi della “deriva” etica e di approccio che sembra verificarsi con la massificazione dell’arrampicata? Ciò che è successo a Cresciano è un caso più unico che raro ed è legato a un personaggio venuto dalla Polonia per provare unicamente The Dagger. Era un mezzo barbone, viveva sotto The Dagger e l’ha provato un sacco, portando lì i materassi e il resto…dopo di lui nessuno ha più pulito. Però in generale penso che i climber siano rispettosi dell’ambiente, non lasciano in giro sporcizia e non vedo fazzoletti, sigarette, mozziconi. Può capitare, ma in genere il climber è rispettoso… La cosa peggiore è un’altra e cioè che i climber non fanno attenzione a provare il blocco con le mani secche e pulite…se lo provi dopo aver toccato il salame il blocco si unge! Poi così resta, la roccia diventa lucida, si consuma e il blocco perde tutto. La fortuna del Ticino è che la roccia è comunque molto solida e ci vuole tanto prima di rovinarsi come quella di Magic Wood. Tuttavia, quello che mi sento in obbligo di dire è che i climber devono assolutamente fare attenzione a queste cose. Uno: arrampicare con le mani pulite, utilizzare la magnesite (non troppa), aspettare che la pelle sia secca ed arrampicare. Così non resta unto e grasso sulle prese, che oltre a rovinare il sasso, di certo non aiuta la salita. Per avere le migliori condizioni e non rovinare la roccia la pelle deve essere secca e fredda. Seconda cosa: non lasciare sulle prese troppa magnesite, sempre pulire le proprie tracce e lasciare il blocco pulito. Tre: possibilmente (e se ogni climber lo facesse non ci sarebbero questi problemi) alla fine di ogni sessione pulire il sasso con una bottiglia d’acqua e gli appigli diventano nuovi di zecca. Più si fa e meglio è. La roccia è unica! Ci sono blocchi a Magic Wood come Muttertag e Octopussy o blocchi famosi a Fontainebleau che si stanno rovinando e stanno perdendo il proprio fascino perché sono unti, senza gripe con la roccia rovinata. Nessun climber vuole questo e per far sì che non succeda bisogna seguire queste tre regole. A livello personale, quale è per te il significato del boulder e dell’esplorazione di nuove linee? Per me il boulder è la ricerca del limite. Cerco di combinare la bellezza con il limite, con la difficoltà più alta possibile. Quindi il Ticino è il paradiso per questo, con i suoi progetti bellissimi di 8C+, 9a e anche 9a+ eventualmente. L’8C+ è un grado molto difficile ma non penso che sia il limite, anzi penso che sia l’inizio
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del futuro. Ci sono progetti di 9a e forse anche 9a+ che sento essere possibili. Ovvio che serviranno anni ed anni prima di farli. Più il grado si alza e più tutto deve essere perfetto. L’8C+ è il mio massimo per ora, ma sento di poter migliorare molto. Da un lato la vedo come un’evoluzione del grado, nel senso che prima o poi sarà importante fare il 9a e se ci sarà il 9a+ sarà fantastico.Però non lo vedo come un obiettivo unico. Il mio obiettivo principale è liberare i blocchi più belli, poi più sono duri e meglio è! L’idea è fare entrambe le cose senza montarsi troppo la testa con il grado. Dando la precedenza alla bellezza, poi il grado verrà da sé. Voglio trovare sfide al mio limite e prima poi so che troverò quella sfida che sarà quel passo successivo per cui avrò fatto il 9a. Ripeto, è importante ma non voglio che mi stressi, non voglio che il boulder diventi un’ossessione. Quando troverò il progetto giusto, che mi ispira e che sarà di uno scalino successivo allora sarò contento ma non mi ossessiono unicamente per fare il 9a sennò diventa uno stress e non più un divertimento. E se la tua passione diventa uno stress… sei sulla strada sbagliata… Infine, un’ultimissima domanda: quali sono i tuoi prossimi progetti? Quest’anno e l’anno prossimo ci tengo a girare il mondo per ripetere i blocchi più famosi e più difficili. Ora sto provano Off The Wagon Sit, sono vicinissimo e spero di farlo prima di partire a metà aprile per il Colorado. Qui vorrei provare Hypnotized Minds, 8C+ e qualche altro blocco di 8C e 8B+. Poi Sudafrica, dove vorrei fare Livin’ Large e The Finnish Line, due dei blocchi assolutamente più belli del mondo, sicuramente nella top 5. Tornando a quello che ho detto prima, non è l’8C+ o il 9a che contano, è la difficoltà legata alla bellezza. Prima di fare il prossimo step, sento che devo prima confermare il mio livello sui blocchi mondiali di riferimento, gli 8c in America, Sudafrica, qui in Ticino ecc. per poi liberare i miei blocchi del livello successivo. Eventualmente vorrei andare a fare anche il blocco di Nalle, Burden of Dreams, e i due blocchi di Charles a Fontainbleau, perché se dovessi riuscire a salirli, ecco che confermerei il mio livello. Riuscire a fare Burden of Dreams significa avere le carte in regola per poter liberare i propri 9a: aprirli dopo aver ripetuto un po’ tutti i blocchi più duri dà loro molto più valore. Quindi, pur continuando a liberare blocchi (visto che mi piace un sacco), l’obiettivo per questi due anni è soprattutto cercar di ripetere le pietre miliari del passato e costruirmi un’ottima base sulla quale poi iniziare la mia carriera di apritore di blocchi…Ovvio che se nel frattempo troverò il mio progetto ideale…attutta!
SID R
OBE
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FRED NIC OLE
DANIEL A FEROLE
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MAURO CA
LIBANI
GABRIELE MORONI
Jollypower Aumentare il proprio grado massimo di allenamento mentale è molto sottovalutata dall’arrampicatore medio, mentre nel lavorato costituisce uno strumento importante quasi quanto l’allenamento fisico.
SPESSO BISOGNA RICORDARE “ UNA GRAN QUANTITÀ
D’INFORMAZIONI, E LA RIPETIZIONE MENTALE HA UN ENORME POTERE FISSANTE NELLA MEMORIA. COME QUANDO SI PREPARA UN ESAME E SI RIPETONO MENTALMENTE O A VOCE ALTA COSE CHE ALTRIMENTI, SOLTANTO LEGGENDOLE, FUGGIREBBERO VIA.
Foto: Luca Parisse
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Inoltre, con la ripetizione mentale, non solo si fissano nella mente le informazioni per così dire “verbali” o “esterne” (per esempio, il fatto che quel determinato appiglio lo si debba prendere con la mano destra) ma anche quelle interne, le sensazioni, quanto devo spingere o tirare, il ritmo giusto. Con conseguenze
positive sulla fluidità e sulla automatizzazione del movimento. Le immagini devono essere vivide e gestibili, vale a dire modificabili a nostro piacimento: non devono fluire passivamente come in un sogno, senza il nostro controllo. La loro efficacia in termini d’allenamento mentale dipende molto dal fatto che esse debbano essere polisensoriali: non devo solo ripetere mentalmente dove mettere la mano e il piede, ma devo cercare di coinvolgere tutti i sensi, avvicinandomi quanto più possibile alla realtà, “sentendo” il piede che spinge sull’appoggio, la tensione del muscolo, il colore della roccia, il dolore alle dita, in una unica, globale, tridimensionale esperienza di realtà virtuale,una sorta di masturbazione arrampicatoria che culmina nell’orgasmo della catena raggiunta. 2) Il maledetto peso. Scalando si lotta unicamente contro la gravità, l’unico modo per diminuire la gravità è diminuire la massa. Non se ne esce, qualunque essere o macchina che prevede un moto prolungato in salita, più è leggero e più sarà efficiente. Questo è forse l’unico aspetto che rende la nostra nobile attività per certi versi odiosa: che un fattore così insulso possa avere così tanta importanza. Anni fa vidi scalatrici famose fare degli 8a a vista sbagliando tutti
i movimenti, senza grazia né fluidità, soltanto perché pesavano 40 kg. In molti casi cinque chili in meno funzionano meglio di cinque anni di allenamento al trave. Per fortuna c’è una soglia limite, al di sotto della quale, salute, sanità mentale e prestazioni decadono vertiginosamente. Questa soglia è soggettiva e dipende dal nostro morfotipo. Se si scende al di sotto, la prima sensazione sarà di “acciaiarsi” subito, la seconda che le mani si aprono senza neppure dare il tempo agli avambracci di indurirsi, sintomo del fatto che non c’è più glicogeno nei muscoli, perché quel poco carburante che sta nel corpo viene utilizzato (a fatica) per le funzioni vitali. Se avete ancora del margine, potrete, in via eccezionale per chiudere il vostro progetto, tentare con il dimagrimento immediato. Tre kg in meno, solo per liberare questa via, per poi riprenderli subito. Il dimagrimento immediato è possibile, e anche abbastanza facile, ma non è consigliabile. Sono metodi usati da anni da chi pratica sport di combattimento, per rientrare nella categoria di peso. Sono metodi dannosi per la salute, quindi non ve li spiego, ma li potrete facilmente trovare su internet. I chili persi sono solo di acqua e glicogeno e li riprenderete poche ore dopo. Ma sono comunque chili. È vero che vi faranno diminuire la capacità aerobica generale, che tutto sommato per il vostro progetto non vi serve, ma le piccole asperità vi sembreranno più grandi e sul passaggio chiave le vostre dita saranno più forti. Se siete comunque decisi a rischiare il collasso, potete tentare con il dimagrimento veloce, ma ci vorranno un paio di mesi. Anche in questo caso, poi li riprenderete subito. Dovrete calcolare il vostro consumo calorico e ingerire meno calorie di quelle che consumate. Dopo pochi giorni il vostro organismo si metterà in modalità protezione, assimilando tutto e consumando meno, dunque dovrete abbassare ancora di più il totale delle calorie ingerite, in maniera tale da rimanere sempre con un risultato negativo. Il vostro corpo perderà massa, non ci sono storie, è fisica. Questa carta è molto potente, e non la potrete riutilizzare molte volte: non sprecatela. COROLLARIO Non trovare alibi: essere obiettivi con se stessi a tal punto che anche se fosse vero che la presa era umida o c’era troppo freddo o caldo o poca magnesite, non farlo notare, mai. E, soprattutto, non prendersela con il proprio assicuratore, anche se dovesse essere nel torto. Non perché non se lo merita, ma perché questo atteggiamento non è allenante.
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BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO Maggio 2019. Anno I. Numero 2 Direttore responsabile Richard Felderer Coordinamento editoriale Eugenio Pesci Jacopo Larcher Redazione Tommaso Bacciocchi Roberto Capucciati Matteo Maraone Marco Pandocchi Damiano Sessa Copertina Stefano Ghisolfi su Queen Line, 9b, Laghel, Arco Foto: © Sara Grippo Grafica Tommaso Bacciocchi
© Iker Pou su Panaroma, Cima Ovest di Lavaredo (@ Damiano Levati/Red Bull Content Pool)
Impaginazione Stefano Vittori Hanno collaborato Roni Andres, Andrea “Rouge” Armani, Gianfranco Bassani, Lia Beltrami, Francesca Berardo, Carlo Caccia, Fabrizio Calebasso, Antonella Cicogna, Gianguido Dalfovo, Lorenzo De Bonis, Diego Filippi, Maurizio Giordani, Alessandro Gogna, Sara Grippo, Giovanni Groaz, Alessandro “Jolly” Lamberti, Marco Manfredini, Heinz Mariacher, Samuele Mazzolini, Giuseppe Miotti, Eugenio Pinotti, Marco Scolaris, Alfredo Webber, Maurizio “Manolo” Zanolla Versante Sud Srl Via Longhi, 10 – 20137 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it Stampa Mediaprint srl – San Giovanni Lupatoto (VR) Distribuzione per l’Italia PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421
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TRE CIME DI LAVAREDO
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