Guido Mori: “Il food retail, fine dining compreso, funziona se mette al centro la qualità”
Indovinate chi è il migliore in cucina?
Guido Mori: “Il food retail, fine dining compreso, funziona se mette al centro la qualità”
Guido Mori: “Il food retail, fine dining compreso, funziona se mette al centro la qualità”
Indovinate chi è il migliore in cucina?
Guido Mori: “Il food retail, fine dining compreso, funziona se mette al centro la qualità”
19 Si parla di...
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Sviluppo rete
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Vetrina Prodotti
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Il futuro del food service: investimenti privati e crowdfunding per crescere
bene significa stare dentro a un costo”
il Tribunale di Milano
Registrazione n° 52 del 30/1/2007
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mercati - FORMAGGI
Formaggio nel fuoricasa: gusto, qualità stabile e funzionalità
35
mercati - SUGHI, SALSE E CONDIMENTI
Sughi, salse e condimenti: gusto e shelf life essenziali
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Coordinamento editoriale
Claudia Scorza
Responsabile editoriale
Nicola Grolla n.grolla@edizionidm.it
Progetto grafico
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Formaggio nel fuoricasa: gusto, qualità stabile e funzionalità
43
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Cassa, Pos, buoni pasto: i pagamenti diventano integrati
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Antica Pizzeria Da Michele, Obicà, Farinella
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FOCUS CANALE - SUPERMERCATI
Non chiamateli “solo” supermercati
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ANTICIPAZIONI SUL PROSSIMO NUMERO
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Forte della sua tradizione, Bergader ha fatto della strategia internazionale un faro che ha permesso di mettersi in ascolto delle richieste reali del mercato e dei consumatori grazie a un’analisi condotta a livello globale per comprendere come i consumatori utilizzassero lo storico erborinato Edelpilz, il grande classico dell’azienda. Il risultato lo si vede oggi: nell’inalterata ricetta casearia di sempre, il prodotto si presenta sui mercati nella nuova veste di edelblu. Le versioni edelblu Classic e Gourmet, edelblu Cream ed edelblu Cubes, sono state concepite in quattro tipologie di packaging mantenute identiche in tutto il mondo, per venire incontro alle aspettative dei consumer e in virtù di una scelta strategica che proietta a livello internazionale, ma radica nelle singole realtà locali, grazie alle attività di in-store promotion, nei supermercati, i veri luoghi di culto per l’assaggio dei questo prodotto. Afferma Antje Müller De Leo, direttrice marketing e comunicazione internazionale dell’azienda: “La relazione con il cliente finale è per noi un asset su cui investiamo da sempre. Ecco perché, a livello di scelta comunicativa e di brand, abbiamo fortemente voluto rendere inconfondibili le diverse offerte edelblu, portando più persone a gustarne la fragranza, il sapore e a provarne l’utilità in cucina. Vogliamo raccontare una storia attraverso la degustazione del formaggio, creando un vero e proprio “innamoramento”, poiché da sempre in Bergader crediamo nel valore dell’incontrarsi nel punto vendita, creando attese e soddisfacendo le esigenze più ricercate”.
www.bergader.it
Cenone food retail: che spinta arriva dal Natale?
dati elaborati dal centro studi Confimprese sulle previsioni di vendita del mese di dicembre 2024 è interessante notare un cambiamento sostanziale nelle abitudini di consumo che inciderà sui fatturati: il 27% delle famiglie dichiara di volere aumentare la spesa in alimentari, mentre il 44% di spendere meno in ristorazione. «Si arricchisce, dunque, il carrello della spesa a discapito dei consumi fuori casa», ha commentato Mario Resca, presidente di Confimprese. Quasi una doccia fredda per chi si aspettava che i consumi festivi portassero alla chiusura col botto, come da tradizione, fra un panettone e un brindisi fuoricasa. Si tratta del risultato di un trend che già in estate aveva eroso qualche certezza, dal momento che secondo il bilancio della stagione da parte di Fipe si è registrato un calo delle presenze turistiche nel terzo trimestre pari al -1,4%; un ammanco di 2,9 milioni di persone. Non resta che il cenone al fast food?
Forse, no. Ma ipotizzare un cenone all’interno di una catena, non è più così strano grazie all’evoluzione del settore e la comparsa dei primi network fine dining. L’Italia, patria delle mini-catene, sta quindi vivendo anche la nascita del fenomeno delle catene premium. Un fenomeno già presente all’estero (come non dimenticare l’avventura di Jamier Oliver?) e che sta prendendo piede anche in Italia. Un paio di esempi. Il primo è Giacomo Milano: 10 locali in città e un processo di ottimizzazione avviato dalla famiglia Rovati che si appresta a dare i suoi frutti. Tenendo come punto fermo l’elegante ristorante originario, il gruppo punta ad aprire con lo stesso format anche in città come Roma, Venezia e all’estero (oltre che avviare un nuovo brand che incorpora tutte le botteghe esistenti). Il secondo è De Santis: storica paninoteca, all’alba dei 60 anni di attività, si è regalata la prima apertura estera, a Londra (per cui ha realizzato anche una special edition), e un piano di sviluppo globale grazie ai suoi sandwich all’italiana. Due simboli della milanesità così autentica da non sembrare nemmeno una catena ma di crescere come tale.u
LA FRASE DEL MESE
«È possibile creare una catena fine dining, l’importante è abbracciare una gestione che ti garantisca la scalabilità e la riproduzione del brand secondo un modello aziendale in cui food cost, costo del lavoro, revenues, ammortamenti, ecc. sono elementi essenziali da considerare».
(Giampaolo Grossi, amministratore delegato Giacomo Milano)
u Food retail e finanza, priorità alle Pmi strutturate
BANCHE, FONDI DI INVESTIMENTO, CROWDFUNDING, BUSINESS ANGEL E NON
SOLO: GLI INVESTITORI
DEL FOOD HANNO RIPRESO
SLANCIO NEL 2024. RISTORAZIONE E FILIERA I FOCUS.
OLTRE IL CONTO ECONOMICO, ESG E OTTIMIZZAZIONE
DEI PROCESSI I KPI CHIAVE
Dopo un triennio 2020-22 complicato, in cui il mercato degli investimenti si è raffreddato, i player finanziari del settore sono tornati attivi. La cessione a CVC de La Piadineria è stata forse l’operazione simbolo, accompagnata dalla cessione ad Alto Partners di Fradiavolo da parte di Gioia Group. Infine, la cessione di Temakinho da parte di Cigierre e l’ingresso in campo di Mutares per il rilancio del brand. Uno scatto più che un sussulto. Passata l’incertezza post-pandemia, in cui peraltro qualche operazione è stata conclusa (come Equinox su Pizzium ed Eulero, F2G e Milano Investments in Poke House oppure Dufry e Autogrill che hanno dato vita ad Avolta), il punto d’incontro fra insegne
e capitali è stato ritrovato nel 2023 seguendo due direttrici: «Da un lato, la riorganizzazione delle reti esistenti o dgli assetti societari, come successo a Pescaria, Burger King e KFC. Dall’altro, il sostegno a format emergenti e riconoscibili, come Langosteria o Concettina ai Tre Santi. Un movimento di consolidamento che è proseguito anche nel 2024», afferma Maria Teresa Ceglia, director transaction services di PwC. Nel contempo, crescono anche le operazioni all’estero (come dimostra il caso americano dell’Antico Vinaio), ma rimane un canale marginale rispetto a quello domestico, segno che «magari non siamo così dinamici a livello di acquisizioni ma lo siamo a livello di export del format e di aperture», aggiunge Ceglia.
In generale, va detto che le operazioni M&A nei mercati di consumo mondiali sono tutte in fase di rallentamento: -23% rispetto allo scorso anno secondo i dati PwC pubblicati luglio sul primo semestre 2024. A valore, la discesa è del 12%, mitigato dalla presenza di operazioni di grandi dimensioni nel retail e packaging. A livello italiano, i volumi sono calati del 19%, con il food sempre in testa alla classifica: 46 operazioni completate su 176. Insomma, l’interesse c’è e per il prossimo anno dovrebbe concentrarsi su alcuni Kpi. Il primo è composto da scontrino medio e occupancy. A questo si aggiunge la Capex, «che ci dà la misura della scalabilità del modello, ossia di quanto è necessario investire per espandere ed esportare il format e in quanto tempo va a break even a livello di flussi di cassa», sottolinea Ceglia. Ecco allora che il futuro potrebbe prendere due strade: concept fast food molto veloci, magari senza seduta, con bassi costi fissi, ticket medio accessibile oppure una proposta fine dining, più luxury e di alto profilo dove l’esperienzialità fa la differenza, «magari combinata con l’hospitality. Diversi operatori stanno alzando l’asticella e vedono nelle catene di hotel una destinazione naturale per lo sviluppo estero del proprio format», conclude Ceglia.u
Fra i primi fondi di investimenti italiani a credere nel food retail, con il suo Taste of Italy, DeA Capital ha investito in La Piadineria e Alice Pizza. Il primo format è stato recentemente ceduto, mentre il secondo è tutt’ora in portafoglio. In entrambi i casi, la scelta è ricaduta su format QSR per ragioni di scalabilità: limitati investimenti per l’apertura di nuovi punti vendita con un pay-back ridotto, gestione della supply chain centralizzata ad impatto minimo sul punto vendita, personale in numero limitato, break even basso e proposta gastronomica verticale. «Sulla base delle aspettative di rischio-rendimento di un fondo di private equity i formati di food retail quick service aumentano le possibilità di raggiungere, in tempi relativamente brevi, elevati rendimenti grazie all’impat-
to sull’Ebitda e sulla generazione di cassa con programmi accelerati di apertura di punti vendita diretti. L’investitore deve essere propenso a investire mezzi finanziari sia per supportare gli investimenti necessari per incrementare la rete di negozi a gestione diretta sia per dimensionare progressivamente la struttura centrale di persone necessarie per la gestione di un business complesso», spiega Stefano Caspani, managing director. Ma come si scelgono i target giusti? La valutazione di un investimento di basa innanzitutto sulle analisi della performance storica dei ricavi, Ebitda e posizione finanziaria netta. In particolare, nel settore food&beverage «sono fondamentali anche le analisi degli investimenti in impianti e macchinari necessari per la crescita, oltre a quelli in ricerca e sviluppo per assicurare all’azienda costante competitività nel mercato. La vera decisione di investimento è però legata alla comprensione della potenzialità di crescita dell’azienda in esame. Elementi che non sempre sono catturabili da un indice sintetico», afferma Caspani. Eppure molto utili se, come succede a DeA Capital, gli investimenti sono spesso deal “primari”, ovvero in aziende di media dimensione dove la proprietà è ancora al 100% nelle mani della famiglia dell’imprenditore e il livello di managerializzazione è limitato.
Nata nel 2015, AVM Gestioni è una società di gestione del risparmio con una strategia di investimento che punta sulla crescita per aggregazioni delle Pmi italiane. Comprese quelle attive nel food in senso lato a cui la realtà finanziaria ha dedicato il fondo, della durata di sette anni, Italian Fine Food. Il fondo nasce con l’obiettivo di creare una piattaforma capace di moltiplicare la visibilità dei brand sotto il proprio ombrello e mettere a fattor comune possibili sinergie logistiche e commerciali. «Si tratta di un fondo finalizzato alle eccellenze del Made in Italy. Ad oggi abbiamo effettuato investimenti in tre segmenti di interesse: agrifood (con Savini Tartufi che include anche la gestione del ristorante Casa Savini, ndr), panificati (Europan Sud, ndr), nutraceutica a partire da realtà con 30-70 milioni di fat-
turato. Stiamo già valutando tre possibili operazioni su pesto, acqua minerale e integratori», spiega Giovanna Dossena, principal di AVM Gestioni. Per selezionare i profili giusti, il fondo guarda non tanto alla performance finanziaria attuale delle imprese, che può essere soggetta a congiunture sfavorevole determinate da fattori esogeni, ma a tutto il ciclo di vita dell’azienda: «In cosa consiste il vantaggio competitivo? Questa è la domanda da porsi – rivela Dossena - Poi ovvio c’è il business plan, ma questo si può aggiustare. L’importante è che stia in piedi la combinazione prodotto-mercato-tecnologia. Quando questa è coerente, allora la guardiamo a discapito anche dei numeri». Ovvio, ci sono alcuni indizi che possono risultare più rilevatori di altri come le strutture di impresa flessibili, gli interessi geografici eterogenei (soprattutto quando si parla di aziende produttive o di trasformazione, molto dipendenti dall’approvvigionamento della materia prima), l’implementazione dei criteri Esg. Aspetti che si possono riscontrare anche in un’azienda di ristorazione: «L’idea di trovare una rete di ristoranti che favorisca il fatturato delle imprese in cui abbiamo investito circola anche tra di noi. Dobbiamo ancora identificare il target giusto, ma sappiamo che sul mercato ci sono delle opzioni con la possibilità di realizzare multipli importati nel food retail», conclude Dossena.
Fondata e guidata da Corrado Passera nel 2018, Illimity ha saputo ritagliarsi uno spazio nel panorama bancario italiano a fianco delle Pmi e MidCap, ossia aziende con fatturati che vanno dai 15-20 milioni ai 500 milioni-1 miliardo. Detto diversamente, realtà recenti con un certo profilo di profittabilità ma con prospettive di crescita anche attraverso momenti di discontinuità societaria e dimensionale. «L’entry point sono i 4,5 milioni di fatturato», afferma Stefano Ortolano, head of structured finance della divisione corporate banking Focus anche su alimentare e ristorazione. Catene comprese. «In Italia si contano ancora relativamente poco, ma i fondamentali per crescere ci sono. Lo spartiacque è stato il Covid che ha generato una certa selezione», aggiunge il manager. Ad oggi, sono state circa 35 le strutture organizzate valutate da Illimity, di queste solo una decina ha visto finalizzare un finanziamento. Spesso con un approccio tailor made. All’esito positivo concorrono alcuni elementi essenziali. Innanzitutto, la struttura dei costi. Poi la generazione di cassa, sia al servizio del debito sia al ritorno per l’investitore. Andando più nel dettaglio, la lente d’ingrandimento si posa sul grado di innovazione e attrattività della customer experience, la reddittività (anche a metro quadro), l’incidenza dei costi di struttura sulla rete, il piano di espansione, l’implementazione Esg, il peso reputazionale, ecc. «La ristorazione è una cosa seria, soprattutto se si fa a catena – riconosce Ortolano – Spesso si dà per scontata; alla fine siamo una nazione di cuochi. Per riuscire, però, serve un’interpretazione moderna e con competenze trasversali». Qualche esempio che ha visto coinvolta Illimity? Il Mannarino, che ha reinventato la macelleria pugliese; Macha, accompagnata da 20 a oltre 45 locali; Alice Pizza nella sua fase di ramp up; La Piadineria in occasione del secondo round di acquisizione; Burger King per l’attività in franchising. «Noi siamo dei finanziatori. Interveniamo in catene che si affacciano per scalare la dimensione con finanziamenti personalizzati sulla base delle strategie di crescita condivise. Operazioni nel limite del possibile personalizzate che hanno durata tra i 5 e i 6 anni per la messa a regime del network con la possibilità, dopo due-tre anni, di rinnovare il finanziamento», racconta Ortolano. A questo si aggiungono altri strumenti che prevedono l’utilizzo di garanzie statali ed europee come Sace Futuro o il Fondo europeo per gli investimenti che danno accesso a tassi di interessi più bassi per fondi destinati a innovazione e sostenibilità.
Di Riccardo Petrantoni (founder & managing director di Range Ventures Pty. Ltd)
Il settore della ristorazione, un mercato che in Italia supera i 92 miliardi di euro, è tra i più dinamici e promettenti, ma anche altamente competitivo. Trasformare un'idea brillante in un business di successo, tuttavia, richiede capitale, visione e una strategia solida. Come si finanzia una startup nel food service? E come attrarre investitori in un panorama che ancora vede una forte predominanza di attività indipendenti? Ecco alcuni passi chiave.
Definire una proposta di valore unica - Nel food service, un'idea originale è fondamentale, ma altrettanto importante è la sua capacità di risolvere un problema o soddisfare una domanda non ancora completamente coperta. Pensiamo a un esempio di successo in Spagna: Grosso Napoletano, una catena di pizzerie nata a Madrid nel 2017 e rapidamente cresciuta fino a diventare un punto di riferimento per la pizza napoletana. La chiave del loro successo è stata una combinazione di autenticità, standardizzazione e innovazione. Offrendo un prodotto di qualità ispirato alla tradizione italiana, hanno unito un design moderno a processi di franchising efficienti, dimostrando come un modello ben strutturato possa scalare rapidamente senza compromettere gli standard.
Fonti di finanziamento: le opzioni migliori - Le opportunità di raccolta fondi per le startup del food service sono molteplici, e scegliere la giusta fonte di finanziamento dipende dalla fase del business e dagli obiettivi. Ecco le principali modalità di finanziamento per avviare o scalare una startup nella ristorazione:
Bootstrapping: Investire risorse personali o chiedere aiuto a familiari e amici può essere il primo passo. Questo approccio richiede molta cautela, ma permette di mantenere il controllo totale sull’attività.
Crowdfunding: Piattaforme come MamaCrowd o Crowdfundme offrono l'opportunità di lanciare il business a pieno regime. Attraverso il crowdfunding, puoi coinvolgere direttamente i consumatori e creare una community di sostenitori fin dal principio.
Angel Investors: Gli investitori privati, se ben coinvolti, possono essere fondamentali nelle fasi iniziali. Oltre al capitale, portano con sé esperienza e network, che possono accelerare lo sviluppo dell’attività e aprire nuove opportunità.
Venture Capital: Una volta che il modello di business è stato validato e dimostra potenziale di scalabilità, i fondi di venture capital possono diventare cruciali per la crescita.
Scegliere la modalità di finanziamento più adatta dipende dalla fase del progetto e dagli obiettivi a lungo termine. Un mix strategico di queste opzioni può essere la chiave per trasformare un’idea di ristorazione in un business di successo.
Creare un Mvp e testare il mercato - Un Minimum viable product (Mvp) permette di testare la tua idea con costi contenuti e raccogliere feedback dai consumatori. Che si tratti di un pop-up restaurant, un evento di degustazione, o un home restaurant, un Mvp permette di validare l'idea prima di investire troppo capitale.
Innovazione - Il futuro della ristorazione si costruisce su tre pilastri: tecnologia, sostenibilità e nuovi modelli di consumo. A livello internazionale, le dark kitchens continuano a guadagnare terreno, offrendo un'alternativa snella e scalabile ai ristoranti tradizionali. In questo contesto, aziende come REEF Technology, con le sue cucine mobili integrate nei centri urbani, stanno trasformando il delivery. Un altro trend di grande impatto è l’integrazione di Llm e analisi predittiva per ottimizzare le operazioni e migliorare l'esperienza del cliente. Ad esempio, catene come Sweetgreen negli Stati Uniti stanno implementando sistemi di machine learning per gestire al meglio i flussi di lavoro, ridurre gli sprechi e personalizzare l’offerta. Infine, l’uso di piattaforme di realtà aumentata per migliorare la customer experience rappresenta una nuova frontiera. In Asia, alcuni ristoranti stanno sperimentando menu interattivi che offrono un’anteprima visiva dei piatti in 3D, aumentando la soddisfazione del cliente e incentivando le vendite.
Ilsettore del food service sta vivendo una trasformazione profonda, spinta da nuovi modelli di consumo, di tecnologia e di finanza. Oggi, per crescere e innovare, i ristoratori e gli imprenditori possono contare su strumenti quali il crowdfunding e gli investimenti privati, capaci di coniugare esigenze di capitale e coinvolgimento diretto dei consumatori. A partire dal crowdfunding che, in breve tempo, è diventato una delle principali leve per finanziare progetti innovativi. Piattaforme come Mamacrowd o Doorway permettono agli imprenditori di raccogliere fondi direttamente dai piccoli investitori. E sono tanti e diversi i format - come Delivery Valley, Lievità o AmiPokè - che hanno potuto accelerare la loro crescita grazie a questo strumento che non solo garantisce capitale iniziale, ma crea una base di sostenitori fidelizzati, pronti a sostenere il business anche dopo il suo avvio.
Ma il food service sta diventando sempre più attraente anche per gli investitori privati: i venture capital e gli angel investor guardano, infatti, con interesse a startup che offrono soluzioni innovative, come il delivery ottimizzato tramite intelligenza artificiale, i menu personalizzati basati sui dati nutrizionali o i sistemi di pagamento integrati. Due casi di successo sono quelli di Pokehouse e Miscusi che, grazie a una serie di round di finanziamenti, sono riusciti ad accelerare l'espansione e l'innovazione.
Il coefficiente disruptive di entrambi gli strumenti è il coinvolgimento dei consumatori nei processi di finanziamento, un autentico cambio di paradigma per il settore. Se attraverso il crowdfunding i clienti diventano ambasciatori del brand creando una relazione più profonda e duratura con l’azienda, nel caso degli imprenditori, invece, si aprono nuove strade per ottenere capitali senza doversi affidare esclusivamente a prestiti bancari o a grandi investitori. Il futuro del food service è tutto sulla capacità di innovare e coinvolgere il pubblico, sia come consumatore che come investitore ma senza trascurare la gestione attenta del cash flow e una crescita sana dell’azienda. E mentre il settore continua a evolversi, una cosa è certa: chi saprà sfruttare al meglio queste opportunità sarà in prima linea nel disegnare il food service di domani.u
Danilo Gasparrini
Imprenditore del food retail e ceo di Salty Consulting, azienda di consulenza nata nel 2024 che unisce competenze diverse per supportare l'imprenditoria della ristorazione a catena offrendo una serie di servizi innovativi: dalla consulenza strategica alla target audience, dal set up delle operations al business data analysis e molto altro.
GUIDO MORI:
“Cucinare bene significa stare dentro a un costo”
IL FONDATORE DELL’UNIVERSITÀ DELLA
CUCINA ITALIANA VANTA ANCHE UN NUTRITO SEGUITO SOCIAL. MERITO DEL SUO STILE CAUSTICO E SINCERO, CHE
SCOPERCHIA I NON DETTI DELLA
RISTORAZIONE E DEL CIBO. «LE STELLE
MICHELIN? NON SONO UN RIFERIMENTO»
Professore, imprenditore e consulente. Ma anche membro della Fic (Federazione italiana cuochi) e fine conoscitore gastronomico. Guido Mori, classe ’78, una laurea in chimica in tasca prima di dedicarsi alla cucina, da lavapiatti a cuoco, non è solo un fenomeno social da migliaia di views. La sua pagina Instagram conta 130mila follower. Consigli, recensioni, un tono spesso caustico ma sincero (come la rubrica “Cucinare con rancore”). Frutto di anni di formazione e impegno declinati in un messaggio diretto. Lo stesso che passa anche da Radio Cusano Campus (dove ha coniato il neologismo “vegarne”) e nei suoi interventi podcast (da vedere il dibattito fra vegetariani e carnivori su Muschio Selvaggio). Argomento del momento, panettone e pandoro: «Partiamo dalle basi: c’è un disciplinare – afferma Mori – E in questo non rientra l’utilizzo di una quantità enorme di crema: quello al massimo è un lievitato morbido farcito».
Quindi, spazio al panettone artigianale?
A patto che sia artigianale per davvero. Non c’è niente di male a farli non artigianali, ma va dichiarato piuttosto che far passare come plus una lievitazione di 72 ore che rientra nel disciplinare. Il panettone è una ricetta in cui non ci si improvvisa, bisogna essere formati, avere un laboratorio dedicato e farli in modo continuativo. Anche la corsa dei piccoli artigiani a mettere la firma sulla limited edition non mi convince. Alcuni prodotti son fatti male davvero. Come quelli vegani. Anche questo, non può essere chiamato panettone se non ha burro e uova. Per non parlare della deriva fit, a favore dell’alimentazione iperproteica, che per fortuna è un po’ scemato. Così come i fenomeni food porn. Per non sbagliare, meglio puntare su quattro categorie: panettone classico alla milanese, panettone al caffè, panettone al cioccolato e panettone innovativo. Sta a noi acquirenti fare la scelta. Per esempio, dal Sud Italia arrivano diverse proposte interessanti per un dolce che è sempre stato considerato settentrionale.
Qualche settimana fa è stato anche il momento delle Stelle Michelin. Che valore hanno oggi? Non le ritengo dei riferimenti per la cucina. Alla base, ci sono due enormi problemi. Il primo è che le stelle vengono appuntate da un’azienda privata che prende finanziamenti dalle realtà produttive della filiera presenti nei ristoranti. Se chi ti paga è anche chi devi valutare, beh, si perde un po’ il senso. In secondo luogo, non esiste una struttura dichiarata delle valutazioni. Certo, si sa che il riconoscimento arriva per la cucina, il servizio, la cantina, ecc. ma non come questi criteri vengano soppesati. A questo, poi, si collega la questione della giuria: oltre al giornalista ci vorrebbe un team multidisciplinare.
Nemmeno il criterio “economico” sembra considerato. Eppure sembra determinante tanto quanto il gusto per il buon esito di un’attività. Anche stellata. A patto di fare le cose fatte bene. Ad oggi, molti ristoranti stanno in piedi pagando 4-5 figure come lo chef e i capipartita la metà di quello che dovrebbero essere pagate e fatte lavorare anche turni di 12 ore. Gli altri? Stagisti. Magari pagati in nero. E poi magari si chiede 50 euro per un piatto. Cucinare bene significa innanzitutto stare dentro a un costo. In generale, c’è ancora scarsissima conoscenza economica all’interno del settore. Si pensa sempre che il buon andamento di un locale sia una questione di sorte o di cuore, volontà. Ma solo chi fai i calcoli sta in piedi.
Pensa che il fenomeno delle catene di ristorazione possa essere una risposta a questa mancanza di imprenditorialità? Le catene godono di un grado di organizzazione che gli permette di servire grandi quantità di prodotto ammortizzando i costi sui vari punti vendita spesso grazie
all’introduzione di un laboratorio centralizzato. Una mossa che genera una crescita interessante se si utilizzano queste capacità per realizzare un buon prodotto e tenere sotto controllo di costi di approvvigionamento e fidelizzare il fornitore. Anche il fine dining potrebbe giovarne riscoprendo l’idea del bistrot all’italiana. Penso sia una scommessa interessante, rivolta a un pubblico giovane che una cena fuori a 55 euro a persona può permettersela.
La cucina italiana, candidata a Patrimonio Unesco, rimane comunque la base. Da cosa è caratterizzata?
La cucina italiana è un insieme di tecniche, che per la prima volta ha raccolto Gualtiero Marchesi, utilizzate per cucinare al meglio un alimento. Una ricetta, quindi, cambia in base alla sua tecnica. Un esempio? La carbonara nel quartiere ebraico di Roma con il prosciutto d’oca al posto del guanciale è ancora una carbonara. Poi ovvio la cucina italiana è diversa e più potente perché è come la nostra cultura: multietnica, pronta a imparare, aperta a qualsiasi interferenza e all’internazionalizzazione. Come la Pasta all’Alfredo.
Dal 2022, fondatore e proprietario dell’istituto di formazione Università della Cucina italiana. Dal 2019, direttore del master e corso di alta formazione di Arti e scienze culinaria all’atneo IUL dove dirige anche i master in arti bianche e pasticceria e giornalismo enogastronomico. Alle spalle, anni di docenza fra il Cordon Bleu di Firenze e Alma. La specializzazione è in cucina scientifica e tecniche moderne. Membro della Fic, per la quale ha ricoperto ruoli in ambito didattico. Come consulente, ha affiancato Ditta Artigianale, Manifattura Tabacchi e molti altri ristoranti per la revisione delle linee alimentari e l’avvio dell’attività.
In quanto docente, che giudizio dà delle nuove leve di sala e cucina? Perché si continua a parlare di scarsità di manodopera? Quando ho iniziato io a lavorare in cucina devo ammettere che mi son fatto trattare come uno schiavo. Quindi sposo le rivendicazioni delle giovani leve della ristorazione. Da parte mia, quando faccio un colloquio, cerco sempre di partire dalle basi: stipendio, ore e ferie. Poi si parla del contenuto del lavoro. D’altronde nessuno va a lavorare per l’onore ma per necessità. Poi c’è la questione degli annunci di lavoro. Molti locali non trovano personale semplicemente perché hanno comunicato male, con errori o omissioni oppure veicolati nelle piattaforme sbagliate. Dal punto di vista gastronomico, invece, come formatore mi stupisco sempre dell’incontro fra i giovani e la materia prima.
Nel frattempo, però, questa materia prima è in forte cambiamento. Dal free from al flexitarianesimo, siamo di fronte a rischi o opportunità per il nostro patrimonio enogastronomico? Tutto ciò che è novità fa parte della cucina italiana. Siamo continuamente in evoluzione. Tanto che finiamo con il chiamare “tradizione” una cosa che magari è nata solo 10 anni prima. Le influenze dell’ultimo periodo si sposano bene con la cucina italiana. Basti pensare a tutta la sua offerta vegetale, con proteine nobili, il rispetto dei cicli di cottura, ecc. Dopo un periodo in cui le nostre abitudini si erano sbilanciate su grassi e proteine c’è un rinnovamento delle tecniche italiane che reinterpretano i bisogni di oggi.u
Personalizzazione, benessere e sostenibilità sono al centro dello scenario 2025 della ristorazione secondo i trend analizzati dalla piattaforma TheFork. Grazie alla collaborazione con l'agenzia NellyRodi, l'applicazione (che recentemente ha lanciato anche la versione aggiornata del gestionale TheFork Manager) ha tracciato le direttrici dello sviluppo del fuoricasa per l'anno prossimo. Dagli ingredienti in (come superfood, bevande naturali, pesce sostenibile, ecc) a quelli out (cibi sovraesposti, menu elaborati, alcolici tradizionali, ecc), passando per le innovazioni sul punto vendita (come la possibilità di dividere il conto o l’aiuto dell’IA in cucina e del robot cameriere in sala), il prossimo anno della ristorazione è una sfida sia gastronomica che gestionale per soddisfare un cliente che cerca libertà di scelta e inclusività; anche quando è da solo a tavola.u
Le bollicine tengono, ma nel fuoricasa calano vino, cocktail e spirits secondo gli ultimi dati diffusi da Federvini in occasione della fine dell'anno: l’aperitivo cede l’1,9% in termini di presenze, la cena lo 0,8% che però segna un +1% a valore, mentre diminuiscono sensibilmente i consumi nella notte (-4,4%). Andamenti in chiaroscuro, quindi, che si inseriscono all'interno di un quadro comunque resiliente per i comparti produttivi rappresentati dall'associazione di categoria: nei primi 8 mesi dell'anno l’export di vini supera i 5 miliardi di euro e gli spirits mettono a referto un +4% (per un totale di 1,2 miliardi di euro generati).u
Un premio da un milione di euro è il regalo sotto l'albero di Natale pensato dal fondatore de All'Antico Vinaio, Tommaso Mazzanti, per il suo staff. La notizia, comunicata via social, prevede di corrispondere questa cifra convertendola in un welfare fino a tremila euro a persona, una settimana di ferie in più rispetto al contratto nazionale e, per 5 fortunati, addirittura una settimana alle Maldive in resort 5 stelle da condividere con chi vorranno. «Quest’anno ho deciso di alzare ancor di più l’asticella», ha spiegato Mazzanti. Rispetto allo scorso anno, il bonus cresce di 500 euro a persona u
Dal 3 al 6 febbraio 2025, a Riva del Garda va in scena la 49° edizione di Hospitality - Il Salone dell’Accoglienza, la manifestazione internazionale leader in Italia per il settore Horeca, che si preannuncia davvero unica con contenuti nuovi e oltre 800 aziende che abbracciano tutti i segmenti del comparto. L’esposizione è suddivisa nelle quattro aree tematiche (Beverage, Contract&Wellness, Food&Equipment, Renovation&Tech) e nelle tre aree speciali Solobirra, RPM–Riva Pianeta Mixology e Spazio Vignaiolo che animeranno il padiglione B4 fino a mercoledì 5 febbraio. In fiera, molte occasioni di networking con buyer nazionali e internazionali e opportunità di formazione con Hospitality Academy, oltre a masterclass, degustazioni, cooking show e concorsi. A Hospitality 2025 debuttano H Experience, il format dedicato alle iniziative esperienziali, pensate per offrire momenti unici e coinvolgenti ai visitatori, che comprende Di Ognuno, lo spazio immersivo con focus sull’accessibilità, sviluppato con Village for all - V4A e Lombardini22, che quest’anno indagherà la Sala Colazione Inclusiva; The Spirits Escape, novità dell’area RPM per un’esperienza multisensoriale nella miscelazione; e una mostra a cura di ADI-VTAA sulla ristorazione outdoor e AI Playground, uno spazio interattivo con soluzioni AI based per migliorare processi e performance.u
Le tre maggiori piattaforme di food delivery attive in Italia hanno diffuso i dati in vista della fine del 2024 fotografando lo stato dell’arte delle consegne di cibo a domicilio. Su Deliveroo, Glovo, Just Eat gli italiani hanno confermato vecchie abitudini (pizza e hamburger) e sorpreso con nuovi trend. I risultati del report Deliveroo 100, per esempio, hanno messo al primo posto dei piatti più desiderati il poke personalizzabile (mentre a livello globale, per la prima volta, è un dolce a primeggiare), seguito da hamburger, piadina, schiacciata e pizza. Per Glovo, la varietà delle scelte degli italiani sta aumentando, con un'enfasi sulla diversità dei sapori. La cucina americana, per esempio, ha registrato una crescita del +108%, con gli smash burger protagonisti assoluti della scena (+111%), diventando la più richiesta davanti alla cucina italiana e le opzioni salutari (aumentate del +95% grazie alle performance di prodotti e piatti senza glutine e delle scelte vegetariane e vegane). Tuttavia, le tendenze più sorprendenti riguardano la cucina di nicchia: dalla thai (+511%), con piatti come il Pad Thai e il ramen fritto, alla cucina libanese (+379%), con i suoi iconici piatti come shawarma e falafel. Just Eat, infine, dopo aver stilato il profilo delle quattro tipologie di consumatore (puristi, edonisti, sentinelle, seguaci), ha acceso un faro sulla città di Milano: dopo la pizza, che rimane regina incontrastata, al secondo posto del podio trionfa la cucina giapponese, seguita da hamburger, cinese e poke, a testimonianza di una forte apertura verso le proposte internazionali e healthy. Tra i piatti più ordinati, dopo la classica Margherita, spiccano la Diavola, gli involtini primavera e l’opzione "componi la tua pizza"; scelte che combinano tradizione e personalizzazione. Nella Top 5 dei piatti preferiti dai milanesi sono presenti anche riso alla cantonese, edamame e la Marinara. Anche i dolci occupano un posto speciale nella classifica degli ordini: i più richiesti sono il tiramisù, la vaschetta gelato da 500 gr e la focaccia con crema alla nocciola, un mix perfetto di golosità tradizionali e contemporanee.u
A Milano, firmato il manifesto del banqueting e del catering
Giusto in tempo per le festività, arriva la firma a Milano del Manifesto del banqueting e del catering promosso da Anbc. Il documento offre delle linee guida fondamentali per l'organizzazione degli eventi a partire dalla scelta accurata dei fornitori e dall'adozione di pratiche rispettose delle normative. Passaggi chiave per sostenere un comparto che, nel 2023, ha registrato un fatturato complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro, con un aumento del 10% rispetto all'anno precedente, grazie al lavoro stabile di 14mila risorse (che diventano oltre 100mila nei periodi di picco) u
Prima in via De Amicis (fine novembre), poi su corso Buenos Aires (inizio dicembre) a Milano, l’insegna Popeyes ha aperto i battenti anche in Italia, dove ha portato per la prima volta la sua offerta di pollo fritto in stile Cajun. Un omaggio alle origini di New Orleans del brand, che là ha dato avvio al suo sviluppo nel 1972 (oggi conta su un totale di 4.800 ristoranti nel mondo) e ora è di proprietà di Restaurant Brands Europe. A fare da registra, il master franchisee spagnolo. A livello di layout il format si contraddistingue per la palette arancione, i kiosk per il self ordering all’entrata, il free refill per le bevande e il bancone con cucina a vista. Nel menu, pollo fritto e precedentemente marinato per 12 ore in un mix segreto di spezie.u
Miscusi raggiunge quota 10 locali a Milano (16 in totale)
Esono 10 per Miscusi a Milano: il brand della pasta fondato da Alberto Cartasegna il 14 novembre ha raggiunto cifra tonda grazie al locale di corso Garibaldi. Si tratta di un punto vendita che occupa 280 mq e serve circa 95 coperti interni e 60 esterni. Quasi un flagship per l'insegna nata nel 2017 e che ha saputo mettere a terra i capitali raccolti a maggio dello scorso anno (round da 10 milioni di euro). Ad oggi, i locali sono 16, di cui tre a chiara trazione tecnologica visto che implementano l’offerta di pasta fresca con un servizio agile, senza servizio al tavolo e una modalità di ordine automatizzata u
KFC apre a Modena e punta sul drive-thru
Da Modena passa lo sviluppo dei format drive-thru di KFC (il 30% delle prossime nuove aperture). Nei pressi del complesso commerciale Modena Ovest, l’insegna del Colonnello Sanders ha inaugurato il primo punto vendita cittadino, che prevede un affaccio tra l'Autostrada del Sole e la Via Emilia. La corsia per le auto è dotata di un totem di tipo touch-screen con schermata di riepilogo ordine che si aggiorna automaticamente. Anche il pagamento avviene in maniera automatica direttamente al totem: una volta confermato e saldato l’ordine, si ritira il menù allo sportello in modo ancora più rapido u
Temporary store ad alta quota per Pescaria, che porta la sua cucina di mare a Courmayeur all'interno dei locali del rifugio di montagna The Outsider Courmayeur. Con 100 posti a sedere tra veranda e una stanza interna, il punto vendita propone, a partire dall'1 dicembre, la formula Unusual Kitchen con un menu appositamente pensato dallo chef Peppe Guida e che, per la prima volta nella storia del brand, accoglie prodotti a base di carne. Accanto ai panini con tonno, polpo o gamberoni arrivano quindi anche le ricette con wurstel artigianali e il burger valdostano.u
Da Milano a Londra, la storica paninoteca meneghina De Santis ha deciso di regalarsi un'apertura internazionale per i suoi primi 60 anni di attività. Dal 27 novembre è attivo il nuovo locale all'interno del Mercato Metropolitano di Mayfair, dove l'insegna porta la sua esperienza di gusto unica in pieno stile milanese che vanta 6 location; compresa l’originale di corso Magenta. Per l’occasione è stato aggiunto anche un panino al menu, il London: con roast-beef, cheddar, cetriolini, cipolla rossa di Tropea, pomodoro, maionese e senape.u
Al Centro commerciale I Petali di Reggio Emilia ha fatto il suo debutto il format Roadhouse Express del Gruppo Cremonini: velocità di servizio e offerta conveniente . Il nuovo modello di ristorazione prevede che il cliente scelga tra i menu esposti, faccia l’ordine e paghi in cassa, ricevendo un tracker da portare al tavolo. Il personale consegna quindi quanto ordinato e rimane a disposizione per eventuali altre richieste aggiuntive. Il menu è suddiviso in 4 categorie : piatti classici di carne Roadhouse, i piatti della “tradizione italiana”, una selezione di focacce farcite e i bur ger. u
Pinsami Professional, tre referenze per rinnovare i menu
Pronte in poche minuti, ideali per creare piatti gourmet tenendo sotto controllo il food cost, le proposte Pinsami Professional conquistano i menu delle feste e non solo. Frutto di un'attenta selezione degli ingredienti, lavorate con cura artigianale e lievitate per almeno 24 ore, queste basi pinsa si rivelano una soluzione gastronomica in più per stupire i propri clienti (anche come alternativa al classico pane) e facilitare il lavoro di chi sta in cucina (sono già precotte). Disponibili nel formato ambient, fresco e frozen.u
SpecialT, lo specialty coffee di Caffè Trucillo per l'Horeca
Dai suoi viaggi in piantagione, Antonia Trucillo porta all'interno della Hippocratica Roastery gli ingredienti da cui nasce SpecialT: lo specialty coffe di Caffè Trucillo per l'Horeca. Si tratta di una serie di single origin 100% Arabica (da Brasile, Honduras e Guatemala) caratterizzate da una tostatura artigianale e ideate per garantire un'esperienza di consumo più profonda del caffè nei locali del fuoricasa impegnati nella divulgazione della coffee culture.u
Stock Spirits porta in Italia i whisky giapponesi di House of Suntory
Grazie alla distribuzione di Stock Spirits, arrivano in Italia i whisky giapponesi di House of Suntory a partire dalla limited edition Tsukuriwake 2024. Si tratta di una linea di quattro referenze che esplorano la diversità, l'innovazione, l’artigianalità e l’arte del blending delle distillerie artigiane di Yamazaki e Hakushu che, proprio lo scorso anno, hanno festeggiano i 100 anni di attività. La produzione vede l’impiego di legno e acciaio inossidabile per la fermentazione, di 16 alambicchi di 7 diversi tipi e di cask realizzate con legno di diverse querce e di varie dimensioni.u
Compagnia Italiana Sali, una linea per bar e ristoranti.
Dal fior di sale di Sardegna al sale rosa dell’Himalaya, Compagnia Italiana Sali dedica una linea all'Horeca. Si tratta di un insieme di prodotti pensati per rispondere alle esigenze di un canale che, in Italia, tra ospitalità, ristorazione e catering, conta circa 405mila aziende attive e genera un valore di circa 17 miliardi di euro. Alle esigenze del settore, per esempio, risponde il dispenser per le bustine monouso e monodose da un grammo: ideale per bar, mense e ristorazione collettiva a garanzia dell’igiene e contro ogni spreco.u
FORMAGGIO NEL FUORICASA: GUSTO, QUALITÀ STABILE E FUNZIONALITÀ
u Caseifici GranTerre a tutta Dop anche nel food retail
u Bergader, il gusto erborinato a misura di cubetto
u Bayernland, qualità e affidabilità in stile bavarese
u Fattorie Garofalo organizza la divisione foodservice
CASEIFICI GRANTERRE, BERGADER,
BAYERNLAND E FATTORIE GAROFALO
GUARDANO CON SEMPRE MAGGIORE
INTERESSE ALLA CRESCITA DEL FOOD
RETAIL E ADATTANO LE LORO
PRODUZIONI ALLE RICHIESTE DEI
PROFESSIONISTI SENZA DIMENTICARE
IL TERRITORIO
La produzione lattiero casearia italiana rappresenta un pilastro dell’agroalimentare italiano (con una quota del 10% del fatturato di tutta l’industria alimentare nazionale pari a 19 miliardi di euro) di cui la produzione di formaggi occupa una quota del 68% per un valore di 13 miliardi di euro. A dirlo è lo studio PwC su dati Assolatte, Ismea e Federalimentare elaborato in occasione della fiera B2Cheese di Bergamo. In particolare, i 57 formaggi a denominazione Dop e Igp generano ormai stabilmente più di 5 miliardi di fatturato per volumi che hanno raggiunto 593mila tonnellate (45% del totale formaggi). Fra i canali di vendita, la ristorazione riveste un ruolo importante: su 20mila locali monitorati dalla società di ricerca GriffeShield 1 su 4 serve formaggi Dop e Igp, ma sono valorizzati al massimo solo da un 10% di questi.
Fra un Parmigiano Reggiano con vendite in aumento e un Grana Padano in diminuzione, Caseifici Granterre ha saputo mantenere la sua leadership nella Gdo (specialmente nel segmento dei bocconcini/cubetti e del grattuggiato) e rifornire il canale foodservice, che vale il 15% del fatturato. Il tutto in un mercato fortemente inflattivo con aumenti che si sono tradotti in una maggiorazione del costo al consumi intorno agli 1,2-1,5 euro peri formaggi duri. « La stessa dinamica si sta verificando anche nel settore del burro - afferma Maurizio Moscatelli, ad Caseifici Granterre - Siamo molto preoccupati da quello che sta succedendo in quanto gestire aumenti a doppia cifra dei prezzi è un duro colpo per tutta la filiera». Compreso il fuoricasa. «Nel canale Horeca, grandi performance continuano a registrare i prodotti di servizio come il burro monoporzioni e i Petali di Parmigiano Reggiano Parmareggio e Grana Padano dei Caseifici Italiani Agriform e le bustine monodose di Grattugiato di Parmigiano Reggiano Parmareggio. Ottimi risultati sta anche raggiungendo il mascarpone GranTerre nei formati da 500 grammi e 2 chili. Inoltre da un paio di mesi è partito il burro senza lattosio nel formato da 1 chilo, pensato prevalentemente per il mondo delle pasticcerie e destinato ad un segmento di mercato in crescita», precisa Moscatelli. Fra i clienti dell’azienda ci sono format food retail di successo come Capatoast, La Piadineria, McDonald’s e Autogrill confermando come la ristorazione, soprattutto commerciale, sia «un volano importante per far crescere i volumi dei prodotti e la notorietà deli stessi». Sul piatto, Caseifici GranTerre mette un continuo lavoro di innovazione e ricer-
ca che negli anni ha permesso di diversificare prodotti pensati per un consumatore attento alla qualità, alla naturalità e alla tipicità dei formaggi Dop. «Nel mondo industria c’è un buon potenziale di sviluppo legato alla Dop come ingrediente all’interno di un altro prodotto. Un esempio classico è il sugo per il quale oggi notiamo un crescente interesse per materie prime più qualificate a discapito di formaggi generici, in quanto il consumatore apprezza molto la sicurezza che questo tipo di prodotto garantisce», conclude Moscatelli.
Nonostante un contesto di mercato complesso, la prima metà del 2024 ha segnato una crescita significativa per Bergader, che ha superato gli obiettivi previsti. Il segmento foodservice ha mostrato segnali positivi, premiando nuovi prodotti di alta qualità e versatili come la gamma Edelblu. «Per il secondo semestre, le prospettive restano ottimistiche», afferma Diego Farinazzo, direttore marketing Italia. Fra i best seller dell’azienda primeggia Edelblu Cubes: cubetti pratici e versatili pensati per il foodservice nel formato maxi da 500 grammi, ideali per ricette calde e fredde. Grazie alla loro dimensione di soli 6 mm, garantiscono una distribuzione uniforme e una fusione perfetta in forno. Questi prodotti offrono un gusto erborinato deciso e autentico, riducendo gli sprechi e adattandosi alle esigenze di pizzerie, ristoranti e gastronomie. Una soluzione funzionale e distintiva per ogni proposta culinaria. «Cuochi e pizzaioli elogiano Edelblu Cubes per la
scioglievolezza perfetta, l'ottima tenuta in cottura. La ricetta di questo formaggio dalle caratteristiche venature blu ha quasi 100 anni di storia ed è da sempre utilizzata con successo in tutte le cucine del mondo, con una resa particolarmente efficace sulla pizza. La shelf life generosa e il packaging pratico garantiscono un’ottima gestione in cucina. Anche il prezzo è percepito come competitivo, considerando la qualità superiore e la versatilità del prodotto, che ne fanno un elemento distintivo per ricette gourmet», spiega Farinazzo. Caratteristiche che fanno di questo prodotto un immancabile alleato in cucina insieme a tutta la gamma Bergader che si distingue «per un mix di tradizione casearia e capacità di lettura delle esigenze di consumo attuali, con prodotti naturalmente privi di lattosio e preparati con caglio microbico; quindi, adatti a chi sceglie una dieta vegetariana. Tutta la gamma Bergader, prodotta nel cuore delle Prealpi bavaresi, unisce autenticità del territorio montano di provenienza e gusto inimitabile grazie a oltre un secolo di esperienza casearia», conclude Farinazzo.
Presente nel canale foodservice da 55 anni, Bayernland è un’azienda con le radici piantate in Baviera e gli occhi che guardano al mercato tricolore. Nonostante il dominio delle produzioni Made in Italy, infatti, l’azienda con sede a Vipiteno e centro logistico a Verona (dove è presente un catalogo di 150 referenze pronte alla spedizione) è riuscita a ritagliarsi la sua fetta di mercato con alcuni dei classici d’Oltralpe come Emmental, Guda ed Edam. «Questi sono i nostri formaggi da taglio best seller – racconta Thomas Siller, direttore commerciale e marketing – che per il canale foodservice vengono proposti in soluzioni pratiche già tagliate, affettate o cubettate. A questo trittico si aggiunge poi la mozzarella a filoni, in bocconcini o filoni realizzata a partire dal latte bavarese dei nostri più di 2.000 soci conferitori. Infine, l’altra punta di diamante è il formaggio spalmabile, utilizzato per esempio anche in alcune preparazioni di sushi». Non sorprende, quindi, che su 170 milioni di fatturato realizzati nel 2023, il 55% arrivi proprio dal foodservice. «I professionisti si aspettano qualità al giusto costo. A differenza di un consumatore finale, che può concedersi qualche sgarro, il conto economico da gestire è più rigido per chi ha un’attività fuoricasa. Per questo ci chiedono un prodotto stabile nel tempo, garantito allo stesso standard qualitativo 365 giorni all’anno e un prezzo accessibile. Da parte nostra abbiamo il supporto della Fic che attesta la funzionalità dei prodotti in cucina e pizzeria in termini di prestazione come scioglievolezza, tenuta al calore, sapore, ecc. A tutto questo, poi, va aggiunto il nostro lavoro sull’allungamento della scadenza. Questo dà una grossa mano nella gestione quotidiana delle scorte. Stessa cosa si può dire del packaging, con
un formato che ormai è allineato su confezioni che vanno da uno a due chili. Su questo, inoltre, in vista dell’introduzione di regole più restrittive sull’utilizzo della plastica a livello Europeo, stiamo già studiando delle alternative, così da non riversare sul cliente eventuali aumenti dovuti all’utilizzo di questo materiale e per aumentare il nostro impegno in sostenibilità», conclude Siller.
Con oltre 60 anni di storia alle spalle, Fattorie Garofalo ha deciso solo negli ultimissimi anni di puntare con decisione sul canale foodservice (che oggi vale il 9% del fatturato della cooperativa) attraverso una strategia direzionale e una legata ai grossisti. Una scelta sostenuta dalla volontà di andare incontro a un canale in forte evoluzione dove l’equilibrio fra qualità e standardizzazione offerto dal produttore campano è sempre più un vantaggio competitivo. D’altronde, Fattorie Garofalo può contare su una filiera integrata orizzontalmente e verticalmente che va dall’allevamento di capi bufalini nelle aziende agricole (7 quelle collegate alla società e 12mila i capi allevati) alla trasformazione delle materie prime (circa 38 milioni di litri di latte lavorati all’anno) in Mozzarella di bufala campana
Dop e altre specialità per finire sugli scaffali della Gdo, nei banchi frigo dei negozi specializzati (compresi quelli a marchio Fattorie Garofalo, molto diffusi nel canale travel retail) e nelle cucine di catene e ristoranti singoli (per un totale di 10 milioni di chili di prodotti immessi sul mercato ogni anno). Per andare ancor più incontro
alle esigenze dei professionisti, Fattorie Garofalo ha «riorganizzato l’assortimento. Oltre alla Mozzarella di Bufala campana
Dop in versione monodose abbiamo aggiunto la confezione da 16 pezzi e quella da 18. Entrambe facili da stoccare in frigo. Inoltre, abbiamo aumentato la taglia della Ricotta di Bufala Dop che ora viene commercializzata in formato da 1,5 chili. L’anno prossimo contiamo di innovare ancora l’offerta con referenze frozen, adatte a chi ha bisogno di un uso più calibrato della materia prima», racconta Alfio Schiatti, chief commercial officer dell’azienda. L’obiettivo è quello di valorizzare al massimo la materia prima anche nel fuoricasa: «Pizzerie, catene e ristoranti indipendenti medio-alti sono i nostri target. Oggi ritengo che la Mozzarella di Bufala Dop debba avere la stessa visibilità che ha nel retail dove è avvenuto ciò che si è visto nel mondo del vino, ossia: andare oltre la denominazioni e tenere in considerazione il territorio, l’azienda produttrice, le tecniche produttive, ecc. Il tutto seguendo anche un altro caso di successo, come quello del Parmigiano che, a fianco alla referenza più classica, ha saputo introdurre lunghe stagionature che ne differenziassero l’offerta. Una cosa che si può fare anche con la mozzarella e il suo grado di freschezza», rivela Schiatti. Approccio che risponde anche alla crescente polarizzazione dei consumi e alla richiesta di valore aggiunto che arriva tanto dai consumatori finali quanto dai clienti: «Il prezzo è un tema da sempre. Per questo va superato offrendo un servizio a 360° che passa dalla qualità stabile del prodotto alla logistica, dalla formazione al customer care, senza per questo rinunciare al gusto autentico del prodotto stesso», conclude Schiatti.
Cibi bruciati? Cibi stracotti? Una montagna di pentole da lavare? Non più. iVario. Cambia le regole del gioco.
SALSE, SUGHI E CONDIMENTI: GUSTO E SHELF LIFE ESSENZIALI
u Biffi, 250 milioni di bustine di salse monodose vendute in Italia
u Da Menù cresce l’interesse per il food retail
u Saclà, approccio tailor made per il foodservice
BIFFI, MENÙ, COSERVE ITALIA E SACLÀ
VEDONO NEL FOODSERVICE UN ASSO PORTANTE DELLA LORO OFFERTA. AD
ACCOMUNARLE, LINEE DI PRODOTTO DAL
SAPORE AUTENTICO, EQUILIBRATO E
FUNZIONALI IN TERMINI DI CONSERVAZIONE
Immancabili alleati in cucina. Capaci di cambiare volto o arricchire un piatto. Elemento essenziale per diverse ricette. Salse, sughi e condimenti sono gli ingredienti che non devono mancare nella dispensa di un ristorante. Dalle pizzerie ai locali di cucina italiana, etnica e non solo, queste categorie di prodotto professionale stanno vivendo un’evoluzione in termini di preparazioni, packaging e componente di servizio (prezzo compreso, visto i recenti aumenti sulle materie prime) per andare incontro alle esigenze dei professionisti (spesso alle prese con mancanza di personale, picchi di ordinazioni e necessità di magazzino). Uno scenario comune ai quattro player del settore interpellati da Ristorazione Moderna.
Con un peso del 30% sul fatturato totale, che nel 2024 dovrebbe chiudersi tra i 154 e i 160 milioni di euro, per Biffi il canale del fuoricasa è un canale strategico. Dai sughi ambient a quelli freschi, dalle salse alla maionese, l’azienda nata nel 1966 a Lodi punta a una crescita del giro d’affari fra gli 8 e i 10 milioni rispetto allo scorso anno. Merito anche di alcuni best seller professionali: «Se guardiamo al numero di pezzi, possiamo certamente dire che le bustine
monodose di maionese, ketchup, salse e condimenti sono i nostri best seller: chiuderemo il 2024 con quasi 250 milioni di bustine monodose Biffi vendute in Italia. Per noi questo asset è fondamentale perché ci permette di dare visibilità al brand, e soprattutto di far assaggiare i nostri prodotti; che poi il consumatore troverà in altri formati in Gdo, creando così un circolo virtuoso di comunicazione e sampling. Gli altri due bestseller del foodservice sono la maionese in flacone squeeze e il pesto fresco da 1.5 kg, sempre più richiesto e apprezzato anche dagli specialisti del settore», afferma il direttore commerciale Stefano Bartoletti. Due i cardini su cui punta Biffi: il gusto e la resa di servizio. «Con i prodotti Biffi i professionisti sono sicuri di trovare soluzioni che hanno sempre i medesimi e altissimi standard qualitativi. Abbiamo un R&D con
14 persone che lavora ininterrottamente per migliorare ogni giorno le prestazioni delle nostre referenze», sottolinea Bartoletti. A queste caratteristiche si aggiunge anche una buona dose di italianità: «Siamo il maggior produttore Italiano di salse, e questo per noi è un vanto e un plus che spendiamo anche on-pack. In quanto italiano, poi, cerchiamo di valorizzare i prodotti del nostro territorio», ricorda Bartoletti. In molte referenze viene utilizzata un’ingredientistica Dop italiana, come ad esempio il Pecorino Romano Dop nel nostro sugo Cacio e Pepe, il basilico Genovese Dop nel nostro Pesto premium, il pomodoro 100% Italiano nel nostro Ketchup o nei nostri sughi rossi.
Per Menù, il 2024 dovrebbe concludersi con un ulteriore consolidamento della crescita, +3-4% già conseguita nel 2023. Una quota importante arriva dalle performance all’estero, mentre l’Italia rimane il principale mercato con il 65% delle quote e una certa vivacità del comparto pizzeria. Andamenti garantiti da una strategia multicanale operata dall’azienda di Medolla (MO) attiva dal 1932: bar, pub, gastronomie, macellerie, panifici, ecc. Compresa la ristorazione a catena, «un segmento che abbiamo iniziato ad approcciare negli ultimi anni e in cui registriamo crescite consistenti», rivela Federico Masella, marketing e national key account manager. Fra i best seller dell’azienda dedicati ai professionisti ci sono la Pomodorino (condimento base di verdu-
re e pomodoro, lavorato fresco subito dopo la raccolta), la Cacio e Pepe e il Pesto alla genovese fresco. La prima ha un confezionamento versatile in latta da 400 grammi fino a un chilo o in busta da 12 chili. Anche la seconda è contenuta in latta da 560 grammi. L’ultimo viene distribuito in formato busta da 800 grammi e come squeezer da 500 grammi. Specifiche che devono poi tenere conto delle altre richieste dei professionisti: «Il prezzo è un parametro importante per il valore del prodotto. Oggi i professionisti sono sempre più abituati a interpretare
la qualità in termini di food cost, quindi non in termini assoluti ma in base alla resa che quel prodotto ha sulla singola ricetta», precisa Masella. Obiettivo che Menù persegue investendo in tecnologia e innovazione: «Tolte le referenze HPP con una shelf life di 5-6 mesi a 4° C, tutti gli altri prodotti hanno una grande comodità di stoccaggio e non hanno bisogno di congelamento. Molto apprezzato, poi, è il packaging formato busta che fa risparmiare spazio e facilita lo smaltimento. A livello di gusto, invece, abbia mo spinto sui gusti esotici, come le chutney con un tocco italiano, e sulle ricette della tradizione, a partire da un grande classico come il ragù alla bolognese - ha afferma to il manager - Di particolare interesse, è la Cacio e Pepe realizzata come una salsa da usare in mantecatura, ridu cendo così i tempi di preparazione in cucina. In generale, abbiamo adottato un approccio con etichetta pulita e in clusivo per andare incontro anche alle nuove esigenze di consumo». Un catalogo che può funzionare anche nel food retail dove «si sta strutturando un modello all’italiana con catene medio piccole guidate da una nuova generazione di imprenditori per cui l’aspetto culinario è importante ma non è l’unico e richiede un alto tasso di standardizzazione per funzionare su più punti vendita», conclude Masella.
Saclà, approccio tailor made per il
La linea pesti dedicata alla ristorazione ha trainato le performance 2024 di Saclà nel canale foodservice, dove l’azienda punta a registrare una crescita a doppia cifra. Un trend che «dimostra che stiamo percorrendo la strada giusta verso una crescita sostenibile e ad alto valore
aggiunto, in linea con le esigenze dei nostri clienti», esordisce Alessandro Vincenzi, global sales manager. Best seller, la ricetta ligure disponibile in confezioni da 950 e le creme spalmabili da 580 grammi. A questo si aggiungono i prodotti studiati per le esigenze della ristorazione moderna con un approccio tailor made. «I nostri prodotti vengono particolarmente apprezzati per la loro versatilità di utilizzo, questo perché le nostre ricette si prestano a diversi tipi di lavorazione, sia a caldo che a freddo. Ad esempio sono ottime basi per la realizzazione di pizze gourmet, la nostra crema di zucca, oppure adatte per sfiziose focacce. Tutti presenti nel nostro catalogo con diversi formati specifici per le esigenze degli operatori e con shelf life tale da consentire preoccupazioni di gestione del magazzino», ricorda Vincenzi. Alla base di tutte le preparazioni, materie prime selezionate, preferibilmente di origine italiana e provenienti da una filiera biologica.
Da sempre impegnata nella ricerca di packaging in grado di preservare la qualità e la bontà dell’alimento confezionato, ILIP unisce alle elevate performance tecniche e meccaniche dei suoi prodotti l’attenzione all’ambiente
IlipBio è la linea realizzata con innovativi biopolimeri a ridotto impatto ambientale. Piatti, bicchieri, posate, vassoi e imballaggi per gastronomia compostabili in bioplastica compostabile, certificati EN13432.
Fibraware® è la gamma di stoviglie e imballaggi per alimenti take-away realizzati con materiali naturali rinnovabili come il legno e fibre vegetali idonei all’uso con cibi caldi e freddi - soluzioni conformi alle normative in matria di sicurezza alimentare, realizzati in carta, polpa di cellulosa e legno.
HEATSEALING MASTER - SLICE MASTER - STRETCH MASTER TRE GAMME DI VASSOI PER IL CONFEZIONAMENTO DI ALIMENTI FRESCHI
I vassoi, disponibili in R-PET, Mater-Bi® compostabile o come multistrato PET/PE, sono stati progettati secondo i principi dell’Eco-Design per garantire le migliori performance con il minimo utilizzo di materiale e nell’ottica dell’Economia Circolare per favorire il riciclo dei vassoi.
Vassoi termosaldabili per il confezionamento In atmosfera modificata (M.A.P.).
Vassoi termosaldabili per il confezionamento di prodotti affettati e il confezionamento in atmosfera modifi cata (M.A.P.).
Vassoi per il confezionamento con linee automatiche che utilizzano film estensibile o flow pack.
CASSA, POS, BUONI PASTO: I PAGAMENTI DIVENTANO INTEGRATI u SumUp fra Tap-to-pay e integrazione all in one u Dojo porta in Italia il Pos per l’experience economy u Satispay evolve, dai pagamenti ai buoni pasto u Coverflex, il buono pasto a zero commissione
SUMUP, DOJO, SATISPAY E COVERFLEX
GUIDANO LA SECONDA ONDATA DELLA
CASHLESS SOCIETY IN CUI CONNETTIVITÀ, FACILITÀ DI INSTALLAZIONE
E GESTIONE DEGLI STRUMENTI DI
WELFARE DIVENTANO LA PRIORITÀ
La diffusione della cashless society, la moltiplicazione dei canali di ordinazione e vendita (dal kiosk alle piattaforme di food delivery), la flessibilità degli strumenti di pagamento digitale (buoni pasto compresi) rendono necessario un approccio omnicanale da parte del ristoratore. Da qui l’esigenza di dotarsi di strumentazioni integrate che trasformano il punto cassa, abilitano il self payment e traducono i dati di pagamento in importanti informazioni per monitorare l’andamento del business. Senza dimenticare il cliente e le sue esigenze.
Presente in 36 mercati a livello globale in 4 continenti e con oltre 4 milioni di esercenti che utilizzano le sue soluzioni di pagamento, SumUp è riuscito a farsi largo nel panorama fintech al fianco degli small merchant e crescendo con loro (fino al miliardo di transazioni registrate su base annua a inizio dicembre). Lo testimonia l’Ebitda che, già nell’ultimo trimestre del 2022 e per tutto il 2023 è stato positivo e ha favorito una raccolta finanziaria di 1,5 miliardi di euro guidata da Goldman Sachs (la più grande operazione di private credit in Europa) con cui l’azienda punta a ripagare il debito e cogliere nuove opportunità. A partire dall’Italia, «tra i Top 4 Paesi europei per SumUp», afferma Gianluca Cotroneo, business development lead. Quattro i prodotti di punta di SumUp. Il primo è Cassa Lite, un prodotto pensato per i piccoli commercianti, un tablet proprietario di Su-
mUp con a bordo l’app dedicata che permette al merchant di accettare il pagamento con carta e non solo e utilizzare un’interfaccia personalizzabile e intuitiva. Poi c’è il conto aziendale, un conto smart che prevede riduzione delle commissioni, incassi del transato entro 24 ore, bonifici gratuiti e una card per i prelievi allo sportello. La terza soluzione è l’attivazione del Tap-to-pay su iPhone che permette al commerciante di accettare il pagamento direttamente tramite smartphone. Infine, Solo Lite: un Pos entry level che vuole rendere lo strumento il più facile possibile, un card reader che si collega allo smartphone per funzionare. «Le richieste dei professionisti sono per prodotti che assicurino velocità e costanza di connettività, la facilità di installazione, il tempo di accredito del transato. Ma ancora oggi c’è chi si sorprende dell’assenza di costi fissi», spiega Cotroneo. Un riflesso condizionato che racconta della varietà di merchant raggiunti da SumUp. Nel tempo, la fintech ha saputo differenziare i suoi canali di
acquisizione clienti. «Inizialmente siamo nati come eCommerce che negli anni si è evoluto fino a un approccio customizzato per Paese di riferimento. A questo si aggiunge anche il marketplace Amazon. Poi c’è la distribuzione retail, in cui siamo stati fra i primi a credere. Infine, il porta a porta con un team dedicato e il segmento B2B», racconta Cotroneo. Il prossimo passo? «Tap-to-pay e integrazione dei nostri servizi in una soluzione all in one sono le priorità».
Dalla Gran Bretagna all’Italia, Dojo ha fatto il suo debutto nel nostro Paese a ottobre e, in pochi mesi, ha saputo farsi riconoscere grazie a una suite completa di strumenti di pagamento digitali e in presenza all’interno dell’experience economy. «Stiamo cercando di ricalcare il successo Uk, dove siamo presenti da circa 15 anni, contiamo su una quota del 20% del mercato e abbiamo registrato un fatturato di 350 milioni di sterline nel 2023 con circa 32 miliardi di transazioni gestite. Guardiamo alla ristorazione con interesse: già oggi in Italia la metà delle nuove acquisizioni sono in questo settore», afferma Antonio Di Berardino, general manager di Dojo Italia. Alla base dell’offerta di Dojo ci sono un Pos e una piattaforma di pagamento nativa, cloud based che può facilmente integrarsi con diversi sistemi di cassa. Un sistema che abilita
diversi servizi: «Innanzitutto, l’accredito del transato al lordo, il giorno dopo l’incasso, su qualsiasi banca. Successivamente, la possibilità di effettuare il pagamento al tavolo in mobilità grazie a un Pos con connettività 4G permettendo all’utente finale di utilizzare la funzione di split payment, sia alla romana che in maniera personalizzata. Infine, diamo la possibilità di modificare la banking windows permettendo, in particolare alle attività con attività notturna, di riconciliare sul giorno precedente le transazioni che hanno sforato la mezzanotte.
Il tutto garantendo una comunicazione efficiente dei dati al commercialista», spiega Di Berardino. In generale, però, sono tre le richieste principali dei professionisti: «Affidabilità della connettività, velocità della transazione anche nei momenti di picco e facilità di installazione», sintetizza il general manager che riconosce come in Italia si sia ormai diffuso un approccio che premia «il valore aggiunto delle soluzioni di pagamento piuttosto che il valore della transizione singola». Da sottolineare, infine, l’attenzione alla customer care, sia in fase di vendita (con approccio face-to-face) sia in quella di post-vendita (con un servizio assistenza che risponde in 16 secondi, dall’Italia e risolve il 90% delle problematiche alla prima chiamata).
L’unicorno italiano dei pagamenti, capace di chiudere nel terzo quarto del 2024 un round di finanziamento da 60 milioni di euro, sostenuta dai tre principali investitori Addition, Greyhound e Lightrock, ha dato avvio a un nuovo capitolo della sua storia. Dopo essersi affermata nei pagamenti mobile, infatti, Satispay ha deciso di aprirsi al mercato dei welfare benefit (raggiungendo in poco tempo 17mila aziende clienti e 62mila utilizzatori) e di preparare il lancio, previsto per il prossimo anno, di nuovi servizi di investimento rivolti agli utenti. Un’evoluzione, insomma, che coinvolge un 30% di clienti attivi nella ristorazione. I buoni pasto e i fringe benefit hanno integrato le funzioni dell’app nata nel cuneese nel 2013. Per i commercianti, «il pagamento tramite Buoni Pasto o Fringe avviene esattamente come per qualsiasi altra transazione Satispay, senza necessità di formazione aggiuntiva, allo stesso modo per gli utenti l’utilizzo risulta estremamente fluido perché hanno la possibilità di integrare i buoni con il loro wallet personale. Inoltre, il fatto di essere già un sistema di pagamento indipendente ha semplificato notevolmente l’introduzione di questi nuovi servizi», spiega Angela Maria Avino, chief business development office. L’avanzata della cashless society nel nostro Paese, quindi, sta portando i suoi frutti e testimonia «la crescente digitalizzazione dei comportamenti quotidiani e la crescente fiducia verso le soluzioni tecnologiche. Il prossimo passo significativo che Satispay compirà già nel 2025 sarà l'espansione nel settore degli investimenti direttamente attraverso l'app», afferma Avino. Satispay, infine, deve il suo successo anche alla possibilità di condividere la quota del conto fra commensali: «La funzionalità di pagamento peer-to-peer è stata fin dall'inizio uno dei principali punti di forza di Satispay. L'importo medio per transazione, che viene suddiviso tra gli utenti, è di circa 23 euro. Ogni utente effettua mediamente tre transazioni al mese. In generale, il numero medio di transazioni mensili riguarda circa 1.150.356 utenti, all'interno della nostra community di oltre 5 milioni di persone», conclude la manager.
Attiva in Italia a partire da inizio 2023, Coverflex ha deciso di rivoluzionare il mercato dei buoni pasto con una piattaforma dedicata alle spese in bar, supermercati e ristoranti. Il punto di forza sta nelle zero commissioni (rispetto ai picchi del 20% per transazione che si possono registrare nel nostro Paese) richieste. «I buoni pasto Coverflex sono elettronici, digitali e sostenibili. L’azienda carica i buoni sulla Coverflex Voucher Card (circuito Visa, ndr) in dotazione a ciascun dipendente, che a sua volta può aggiungerla ai wallet digitali come Apple Pay e Google Pay. Il lavoratore ha inoltre accesso all’applicazione Coverflex tramite la quale può monitorare il numero di buoni a disposizione, ricaricare in pochi secondi i crediti personali per effettuare un’unica transazione in cassa e consultare la mappa di attività convenzionate presso le quali è possibile usare Coverflex», spiega Francesca Pedroni, head of network Coverflex. Lato commerciante, l’accettazione delle soluzioni Coverflex garantisce la velocizzazione dei tempi di checkout con transazioni rapide e contctless. «Soprattutto nell’ambito del buono pasto, l’operatività in cassa tende ad essere alta: abbiamo quindi introdotto la possibilità di chiudere la transazione con un solo “tap” della carta combinando buoni pasto e crediti personali», aggiunge Pedroni. Coverflex offre un’integrazione con il sistema di monetica e il front-end di cassa, permettendo una gestione fluida e automatizzata delle transazioni. Ogni transazione viene registrata in tempo reale, semplificando la contabilità e garantendo l’invio corretto dei corrispettivi e della stampa scontrini. «Questa integrazione è fondamentale per distinguere facilmente tra buoni pasto e moneta elettronica, riducendo errori manuali e ottimizzando i processi amministrativi. Inoltre, sulla nostra piattaforma l'esercente ha accesso a report completi che forniscono visibilità in tempo reale su flusso di cassa, incassi giornalieri, performance per punto vendita e suddivisione degli importi per quota incassata dividendo tra buoni pasto e moneta elettronica», conclude Pedroni. Tra i brand già noti che hanno sposato il circuito Coverflex ci sono: Pescaria, To.market ,I love Poke, La Filetteria, Slow Sud, That’s Vapore e Tigros.
u Antica Pizzeria Da Michele, l’artigianalità fatta catena oltre i 60 locali
u Obicà rilancia al 2025: apertura in Francia e focus sulla formazione u Farinella, cucina mediterranea pronta per il franchising
NATA NEL 1870 A FORCELLA, L’INSEGNA HA SAPUTO COGLIERE
L’OPPORTUNITÀ DEL FOOD RETAIL E
ANDARE ALLA CONQUISTA DEL MONDO PIZZA CON LA SUA OFFERTA CLASSICA
MA SENZA DOGMI E UN BUSINESS
BASATO SUI DATI
ALondra, in occasione del World Pizza Summit 2024 organizzato da 50 Top, Antica Pizzeria Da Michele ha confermato il secondo posto fra le migliori catene artigianali di pizzerie nel mondo conquistato già lo scorso anno. Un premio che Alessandro Condurro, ceo di Antica Pizzeria Da Michele in the world ha voluto condividere con tutta la rete e uno staff di oltre 1.200 dipendenti. L’insegna, che ha ormai tagliato i 150 anni di attività, ha saputo costruire un network di 61 store a livello globale, partendo da Forcella. «Un percorso iniziato una decina di anni fa e che ora ci vede protagonisti dagli Usa al Giappone, in 4 continenti su 5. L’ultima apertura è stata in Libia, a Tripoli attraverso la società Antica Pizzeria Da Michele in the world che è la holding detentrice del marchio, del diritto di immagine e del 100% delle società che gestiscono le pizzerie in Campania. Fuori dalla regione lavoriamo in affiliazione. Poi abbiamo
una piccola partecipazione in una scuola di pizzaioli ad Aversa mentre i locali di Napoli sono a sé, proprietà della famiglia Condurro», spiega l’ad. A conti fatti, parliamo di un fatturato che dovrebbe aggirarsi intorno ai 16-17 milioni di euro a fine anno.
Pizza (anche frozen) e materia prima gli assi Alla base del successo del brand, c’è innanzitutto la pizza: semplice e buona come vuole il format originale che si tramanda da cinque generazioni nel rispetto della tradizione e tenendo fede alle indicazioni del fondatore, Michele Codurro, che volle la pizza napoletana solo nei gusti Marinara e Margherita senza l’aggiunta di papocchie che ne alterassero il gusto e la genuinità. A queste si aggiungono una selezione delle ricette classiche della pizzeria italiana anni ’80: Capricciosa, Prosciutto e funghi, 4 Stagioni, ecc. Mentre all’estero, qualche eccezione in più è consentita (a partire dall’utilizzo di salsiccia di capra nei Paesi musulmani). «La pizza della tradizione, comunque, piace sempre a tutti – rivela Condurro – Questo non significa che non manchino le innovazioni. Con Roncadin, per esempio, abbiamo portato la nostra pizza nei reparti frozen della grande distribuzione. Un palcoscenico che permette di far conoscere ancor di più il nostro marchio. Ma una pizza,
per quanto gourmet resta e deve restare democratica, popolare. La nostra offerta di Napoli, dove una Margherita costa ancora 6 euro, ne è l’esempio. Questo non significa che questo sia il limite, ma indica un’accessibilità in base al contesto. Negli altri store, per esempio, dove è possibile anche abbinare la pizza al calice di vino o alla birra artigianale, lo scontrino medio arriva a 15-19 euro a persona. A Londra, invece, una pizza Salsiccia e friarielli costa 18 euro dopo la Brexit. E negli emirati si arriva anche a 65». Prezzi che valgono la qualità delle materie prime grazie a una filiera selezionata: Caputo per la farina, Fortunato per i pomodori, Masturzo per l’olio di oliva, ecc. Tutto parte da Napoli così da garantire lo stesso standard in tutti i locali.
I fondi bussano alla porta Guardando allo sviluppo del brand le idee sono chiare: «Per Natale arriveremo a 65 punti vendita. Nel 2025 sono già programmate 15 aperture all’interno di una strategia di espansione che passerà dagli Usa a Francia e Germania. Nel Vecchio Continente, inoltre, vogliamo portare avanti il nostro progetto frozen così da
costruire una solida base prima del salto dall’altra parte dell’Atlantico. Contestualmente non dimentichiamo le radici. Con il nostro locale di Forcella, il vero e proprio gioiello di famiglia, stiamo realizzando il museo della pizza “Michele Experience”. Un modo per intercettare il crescente turismo che ha invaso la città di Napoli nell’ultimo periodo», rivela Condurro. Asset che potrebbero far gola a qualche fondo. «Qualcuno ha bussato alla porta. Ma la mia risposta è semplice: tutto è in vendita ma tutto ha un prezzo. Finché non lo raggiungiamo, continuo a divertirmi».
Blockchain in pizzeria, anche per i clienti
Nel frattempo, non si perde tempo e, dietro la tradizione del servizio e della proposta, Antica Pizzeria Da Michele ha saputo costruire un’attenta struttura logistica e organizzativa puntando sui dati: «Siamo la prima catena di pizzerie certificata con blockchain – dichiara Condurro – questo significa tracciabilità delle materie prime non solo a garanzia nostra e dei nostri partner ma anche a quella del cliente. Attraverso un QR Code, chi vuole saperne di più sulla nostra ingredientistica potrà identificare con facilità il suo percorso nella filiera. Infine, ci siamo aperti con decisione al food delivery, che funziona bene soprattutto all’estero dove non è più un side business».u
DOPO AVER FESTEGGIATO I 20 ANNI DI ATTIVITÀ , L’INSEGNA DI CUCINA
ITALIANA E PIZZA RIPRENDE LO SVILUPPO (CON MCARTHURGLEN).
AL CENTRO DELL’OFFERTA, MOZZARELLA E NON SOLO. PRESTO AL VIA L’ ACADEMY INTERNA
Dopo aver festeggiato i 20 anni di attività, Obicà è pronta a riattivare lo sviluppo. Nel 2025, attesa l’apertura in Francia, all’interno del Designer Outlet di McArthurGlen a Giverny. Un primo passo con vista Parigi (che accrescerà la rete composta da 20 locali, la maggior parte in Italia) reso possibile da un andamento solido. «A livello italiano, nel 2023, abbiamo chiuso con 28,2 milioni di euro di ricavi Pensiamo di attestarci sulle stesse cifre nel 2024. Per l’estero, la controllata americana, dopo i 4 milioni dello scorso anno, si attesterà intorno ai 2 milioni di euro, dovuto principalmente alla chiusura del locale al Flat Iron, dove le condizioni di affitto non erano più sostenibili alla fine del contratto di locazione. La società Uk, invece, abbiamo chiuso con 5,85 milioni di euro il 2023 e prevediamo di assestarci sullo stesso livello anche per l’anno in corso visto che uno dei locali nella City di Londra non sta performando al massimo mentre gli altri due stanno andando meglio dello scorso anno», spiega Davide Di Lorenzo, ceo di Obicà. Da sottolineare anche la prestazione del punto vendita travel retail di Malpensa: con il T2 chiuso fino a maggio, i viaggiatori EasyJet transitavano dal T1 dove sorge il locale, per un aumento di 2 milioni sulle vendite.
L’evoluzione del menu Obicà
Numeri di un business maturo, che dopo due decenni ha trovato una formula chiara passando da mozzarella bar a vero e proprio ristorante di cucina italiana; pizza compresa, introdotta in menu nel 2012: «La prima location aperta non permetteva di fare una cucina completa, quindi abbiamo puntato sui piatti freddi. Dopo il successo iniziale abbiamo allargato il menu e il servizio. Rimane il concetto di “mozzarella bar” a cui si affiancano piatti di tutta la cucina italiana. Capita che chi viene a trovarci pensi a un menu di cucina campana, ma non è così, abbiamo eccellenze da tutta Italia. D’altronde la base del concept è: cucina semplice fatta con ingredienti di qualità. Una scelta che premia, considerata anche la conoscenza del consumatore medio più alta», aggiunge l’ad. Non sorprende, quindi, che in alcuni ristoranti il livello di clienti ricorrenti sia al 60%. Per stupirli, Obicà ha puntato sulla proposta beverage. Alla tradizionale selezione di vini italiani, meglio se bio o naturali, si affianca la carta cocktail ideale per il momento dell’aperitivo e diretta a un target più giovane. A completare l’offerta, la caffetteria. Molto gettonata tanto da abbassare lo scontrino medio a 23 euro.
Partner semi-artigianali per l’export
Alla base di tutto, ovviamente, la mozzarella. Obicà si rifornisce dal Caseificio la Bufalat, vicino Paestum. Un rapporto consolidato (in 20 anni sono state vendute oltre un milione di mozzarelle) così come quello con la maggior parte dei fornitori alimentari, chiamati a uno sforzo organizzativo e produttivo tale da sorreggere la domanda del network: «Sono i nostri partner ormai. Continuiamo a ricercare prodotti nuovi e innovativi, premiando le eccellenze capaci di reggere i volumi delle nostre richieste e la possibilità di esportare all’estero; quindi un profilo semi-artigianale. Questo ci ha fatto superare momenti bui come la Brexit. Ogni locale viene rifornito direttamente, non utilizziamo prodotti congelati né abbiamo un laboratorio centralizzato. Ogni preparazione è fresca e giornaliera», spiega Di Lorenzo.
Academy e micro-learning per formare il personale
Standard di servizio che richiedono qualità difficili da trovare sul mercato del lavoro: «Questo rimane un lavoro dove è richiesto un po’ di sacrificio. Post-Covid, le persone hanno scelto un diverso equilibrio vita-lavoro e si sono allontanati dal settore. Per questo abbiamo deciso di affrontare la questione direttamente. Da un lato, abbiamo ridotto il ricorso alle agenzie del lavoro; dall’altro stiamo avviando la nostra academy interna e un corso di micro-learning virtuale è in rampa di lancio. «Cerchiamo di dare uno standard di lavoro ai profili più giovani, favoriamo la crescita interna. Ci siamo arresi all’idea di trovare persone già professionalizzate, su cui spesso c’è una concorrenza sleale da parte di alcune realtà che ancora si affidano al nero per promettere stipendi più alti. Per questo la formazione che offriamo passa anche da una presa di coscienza sul brand e sulle possibilità di crescita di un lavoro regolare», conclude Di Lorenzo.u
L’INSEGNA HA TAGLIATO IL TRAGUARDO DEI 20 ANNI DI ATTIVITÀ : 20 LOCATION, ALTRE 4 IN ARRIVO NEL
2025, APERTURA ALL’AFFILIAZIONE. NEL MENU, SPAZIO
A PROPOSTE PIÙ AGILI MA SEMPRE DI QUALITÀ:
DAI PRIMI ALLA PIZZA
Nato nel 2004 da un’idea di Pasquale De Angelis, con un passato nell’industria alimentare, e affidato alla figlia Ylenia in qualità di ceo dal 2007, Farinella ha ormai raggiunto i 20 punti vendita confermandosi una delle poche realtà familiari capaci di dare vita a un business a catena (presenti in azienda anche le sorelle di Ylenia, Martina e Federica. Merito delle esperienze dell’attuale amministratrice delegata, per diversi anni direttore operativo e ceo del franchising McDonald’s in Campania. «Una vera e propria palestra – conferma De Angelis - Tutto quello che ho imparato in termini di organizzazione e standardizzazione del processo l’ho portato in Frarinella e declinato per una cucina mediterranea in sinergia con mio padre impegnato a creare una filiera controllata a supporto della catena così da ottimizzare i tempi di lavorazione e aumentare i margini». Una struttura integrata, quindi, che ha il suo centro in un laboratorio con 150 persone che fornisce l’80% del fabbisogno dei ristoranti, siano essi in Olanda o a Marcianise.
Nel 2025, cucine più piccole e sale più grandi L’approccio ha dato i suoi frutti anche nel 2023, un anno di forte crescita e vera ripresa post-Covid chiuso a 30 milioni di fatturato. Numeri che si spera di ripetere anche nel 2024: «Soprattutto nella prima metà dell’anno in corso abbiamo subito il rimbalzo della crisi, legata soprattutto all’inflazione e al carovita che ha ridotto le uscite, ma ci siamo difesi bene. Dall’ascolto dei direttori dei punti vendita abbiamo deciso di mettere mano al menu con una proposta più competitiva, snella e veloce», racconta De Angelis. Questo permetterà anche di sostenere lo sviluppo in franchising previsto per il 2025 (già avviati i contatti con master franchisee esteri), mentre saranno 4 le aperture dirette. Quest’ultime porteranno in dote anche la revisione del format, con un arretramento e diminuzione dei locali cucine che lasceranno spazio a sale più ampie e confortevoli. Anche il forno a legna
sarà dismesso a favore di un forno elettrico a nastro. Mentre per alcuni punti vendita ci sarà l’occasione di testare i kiosk per il self ordering. Operazioni che, da un lato, rispondono a un’esigenza immobiliare, leggi: aumento degli affitti. «I costi si sono alzati. Una volta si diceva che il fitto fosse l’ago della bilancia e non dovesse superare il 10%. Oggi non è così. Non solo nelle grandi città ma anche nei centri commerciali, dove abbiamo una media di affitto che va dal 20 al 25% del fatturato». Dall’altro lato, rafforzeranno un network di cui fanno parte anche un locale in Olanda e uno a Marsiglia. Differenze con l’Italia? «All’estero il coperto medio è più alto, intorno ai 30 euro per coperto rispetto ai 27 in Italia. Il cliente straniero adora provare più portate del menu e condividerle all’interno di un punto vendita dall’atmosfera vivace, con layout luminosi, cucine a vista e musica di sottofondo».
Il menu di Farinella, grandi classici e pizza
D’altronde il menu prevede piatti tipici come la Cacio e Pepe, la Nerano, la Carbonara. Oppure la pizza, con impasto madre, prima lievitazione di 24 ore in laboratorio e poi termina il processo sul punto vendita, ad alta digeribilità. Margherita protagonista ma spazio anche a Bufalotta, 4 Stagioni, Marinara, Diavola, ecc», aggiunge De Angelis. Alle spalle di questa offerta, oltre alla logistica, c’è un parterre di storici fornitori, tutti Made in Italy: Greci e Folzani per i prosciutti, Icab per i pomodori San Marzano e la passata per le pizze, Agugiaro e Casillo per la farina, De Santis e Agrioil per l’olio di oliva, i consorzi Grana Padano e Parmigiano per i formaggi. Poi le farine sono Agugiaro e Casillo. Olio De Santis e Agrioil. Ingredienti che vengono combinati dall’executive chef e confezionati per rendere semplice il loro utilizzo in cucina. In Farinella, infatti, viene meno la divisione fra operatori di sala e cucina permettendo a tutti di ricoprire più posizioni di lavoro e quindi necessitano di task semplici. Ad aiutarli, anche un investimento nell’area digitale che automatizza la gestione della comanda, dalla presa in carico alla cucina e fino al feedback per il magazzino e il riordino.u
u Non chiamateli “solo” supermercati
L’ESEMPIO DI IPER LA GRANDE I E I DATI CIRCANA DIMOSTRANO CHE
LA GDO SI STA EVOLVENDO VERSO UN APPROCCIO OLISTICO
ALL’ALIMENTAZIONE; SIA IN CORSIA CHE IN TAVOLA INTEGRANDO
IL MENU CON L’ASSORTIMENTO A SCAFFALE
Ilsupermercato ha cambiato faccia: non solo un luogo dove comprare freschi, freschissimi e prodotti confezionati, ma anche un locale dove consumare colazioni, pranzi e aperitivi. L’ibridazione con la ristorazione è ormai in corso da diversi anni e i risultati sembrano definire una nuova customer experience. A testimoniarlo è, innanzitutto, una ricerca Circana a livello europeo secondo cui, nell’ultimo anno, i consumatori del Vecchio Continente hanno speso 888 miliardi di euro in cibo e bevande e che il 37% di questa spesa è stata destinata a ristoranti e supermercati per prodotti relativi al “consumo immediato”. Una dicitura che racchiude referenze acquistate per essere mangiate o bevute subito e che non richiedono ulteriori preparazioni: pasti pronti e snack come panini, insalate, cibi caldi e bevande solitamente acquistati presso bar e ristoranti ma ora disponibili anche nei supermercati. A determinare questa diffusione dei ready-to-eat o ready-to-drink è la richiesta di prossimità e accessibilità che arriva dagli acquirenti e frutto delle evoluzioni dettate dalla pandemia. Tanto è vero che se la ristorazione commerciale ha visto la propria quota di mercato scendere dal 79% nel 2021 al 77% alla fine di giugno 2024, i canali non commerciali come il retail hanno registrato una crescita, passando dal 21% al 23% nello stesso periodo. «I consumatori non sono più legati alle categorie tradizionali. Prendono decisioni basate sull’accessibilità, sul valore e sull’esperienza a prescindere che provengano da un ristorante a servizio veloce o dallo scaffale di pasti pronti di un supermercato», ha chiosato Edurne Uranga, vicepresident di Foodservice Europe di Circana.
L’esperienza di Iper La grande i
L’integrazione fra ristorazione e grocery, quindi, marcia veloce. E spesso va oltre. A dimostrarlo è il caso di Iper La grande i. L’insegna di ipermercati di proprietà del Gruppo Finiper Cano-
va, infatti, ha da poco avviato il restyling dei suoi ristoranti a marchio Ristò (compresa una rivisitazione del logo e della palette cromatica, che ora vira sul verde) trasformando un format self service in un vero e proprio locale con servizio al tavolo e diverse aree gastronomiche. Ma qual è il grado interazione raggiunto con lo scaffale del supermercato? Lo abbiamo chiesto a Martino Giannubilo, direttore acquisti freschi tradizionali Iper La grande i.
Da dove arriva la materia prima dei ristoranti Iper La grande i? Molte materie prime dei ristoranti arrivano dai canali di acquisto degli ipermercati. In alcuni casi gli ingredienti sono scelti tra prodotti selezionati dei marchi: Iper, il Viaggiator Goloso, ecc. La scelta assortimentale delle materie prime, infatti, parte anche dalla ricerca dei prodotti più idonei per la ristorazione.
Qual è il target di riferimento e quali i servizi messi a disposizione nei ristoranti?
Il format di ristorazione Iper è stato ideato avendo come riferimento una clientela variegata. I dettagli dell’arredamento, la comodità della sala e il menù sono stati studiati al fine di soddisfare sia il lavoratore che ha poco tempo per il pasto, sia la famiglia che vuole passare una piacevole serata in compagnia. Stiamo anche iniziando ad approcciare al mondo del delivery soprattutto nelle location in prossimità dei centri abitati. Si tratta infatti di un particolarmente interessante per Iper e che verrà potenziato nel 2025.
Quanto vale lo scontrino medio nei ristoranti?
Lo scontrino medio si aggira intorno ai 18 euro con una media di due referenze acquistate. Possiamo anche dire che è in crescita soprattutto perché stiamo riscontrando un aumento della clientela serale e nei fine settimana. Sempre più persone scelgono i nostri ristoranti per eventi, cene private e aziendali.
Perché Iper ha scelto di investire sulla ristorazione?
La storia della ristorazione di Iper inizia con la somministrazione di prodotti preparati nei laboratori interni e si evolve fino alla creazione di ristoranti veri e propri. Questo settore ci consente di innovare piatti tipici della cucina italiana, introducendo al contempo pietanze etniche, asiatiche e regionali. Lo sviluppo dei piatti pronti parte dai reparti freschi dell'ipermercato e continua con soluzioni takeaway sempre più precise e adattate ai gusti locali e alle tradizioni culinarie dei territori che ci accolgono.u
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ANTICIPAZIONI PROSSIMO NUMERO
Il prossimo trimestrale digitale di Ristorazione Moderna vi aspetta a marzo. Ecco i temi di cui parleremo:
MERCATI:
Fornitori birra
Fornitori alternative vegetali
Fornitori farine, creme e panne per dolci
COVER STORY: Beer&Food Attraction
FOCUS CANALE: Food service dolce
CASE HISTORY:
Pasticceria, cioccolateria e gelateria
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