Fenomenologia di diabolik

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Fenomenologia di Diabolik di Andrea Carlo Cappi Testo del saggio © Andrea Carlo Cappi, 2016 Testo del saggio © Solone srl per questa edizione Diabolik © Astorina srl Diabolik è un personaggio creato nel 1962 da Angela e Luciana Giussani Immagini di copertina (Enzo Facciolo) e illustrazioni © Astorina srl Collana: L’Arte delle Nuvole, 25 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa e Supervisione: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Stampato presso Industrie Grafiche Peruzzo – Mestrino (PD) grafica in copertina Sebastiano Barcaroli Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/NicolaPesceEdit instagram.com/edizioninpe


Fenomenologia di Diabolik di Andrea Carlo Cappi





Capitolo Due

Genesi del giallo a fumetti Adatto ai ritmi di un pendolare, carta economica, da sfogliare. Un fuorilegge al nero di china lanciato verso una nuova rapina. Fabrizio Canciani-Stefano Covri Esci Diabolik, da Delitti e canzoni (2008)

C’era una volta il giallo italiano. O forse no. Emilio Salgari aveva proposto una via italiana al romanzo d’avventura, prevalentemente di ambientazione esotica, ottenendo un plauso universale dal pubblico ma non troppa soddisfazione personale dalla critica e dagli editori. Quando l’eco del romanzo mystery arriva sulle nostre sponde, sembra quasi che siano pronte le barriere culturali per evitare che il filone possa attecchire da noi e produrre, chissà mai, qualche altro scrittore di grande popolarità. Nondimeno diversi autori cominciano a considerare interessante l’argomento: tra questi Carlo Lorenzini (in arte Carlo Collodi, ovvero l’autore di Pinocchio), che ne I misteri di Firenze si orienta addirittura sull’intrigo politico. È il 1929 quando Arnoldo Mondadori Editore apre con La strana morte del signor Benson di S. S. Van Dine la collana «I Libri Gialli», abbinandola come sua abitudine a un preciso colore della copertina 25


e dando vita senza saperlo al neologismo “giallo”, che indicherà tanto un romanzo poliziesco quanto un caso irrisolto di cronaca nera. Molti intellettuali guardano il genere con sospetto e continueranno a farlo per decenni. C’è chi ipotizza che sia un filone più connaturato al mondo anglosassone, senza far caso al fatto che abbia trovato subito terreno fertile in Francia. C’è chi sostiene che un giallo di ambientazione italiana sia addirittura impossibile, ignorando la comparsa sulla scena di Augusto De Angelis con le indagini milanesi del commissario De Vincenzi. E, come se non bastasse, il regime sostiene l’inesistenza del delitto e del crimine in una società perfetta quale sarebbe l’Italia fascista. Sicché gli autori italiani che decidono di affrontare questo tipo di narrativa, fra cui un giovane Giorgio Scerbanenco, sono tenuti ad ambientare i loro romanzi in luoghi ben noti per la loro propensione al vizio e all’omicidio, per esempio Boston. A rompere le uova nel paniere sono vicende come quella del Mostro di Sarzana, artefice di delitti efferati e brutali fra il 1937 e il 1938. Nel 1940 si scopre che è uno studente di nome Giorgio William Vizzardelli, sedicenne all’epoca dei fatti, che nella sua camera ha una copia di Delitto e Castigo di Dostoevskij. Ecco dunque l’attesa conferma per chi da tempo sostiene che gli omicidi letterari costituiscano istigazione a delinquere. Per la loro tranquillità, il Ministero della Cultura Popolare provvede a far chiudere nel 1941 tanto la collana «I Libri Gialli» quanto la sua emanazione da edicola sotto forma di pubblicazione periodica, «I Gialli Economici». In ogni caso nel 1940, la folla ha applaudito in piazza il Duce che trascinava gli italiani in una guerra ben più sanguinosa dei romanzi polizieschi. Complimenti. A un anno dalla Liberazione, nell’aprile 1946, mentre il noto rapinatore Ezio Barbieri è alla testa di una violenta rivolta nel carcere di San Vittore, «Il Giallo Mondadori» riprende a pubblicare in edicola i principali autori stranieri del genere. Il direttore Alberto Tedeschi propone nuovi autori italiani, come Franco Enna o Sergio Donati. Tuttavia certi pregiudizi e condizionamenti culturali ante26


guerra sono rimasti. Nonostante il successo individuale che avranno Giorgio Scerbanenco, Loriano Macchiavelli, Renato Olivieri e molti altri; nonostante il successo di storie made in Italy negli anni Sessanta-Settanta con la televisione e il cinema, il pubblico resterà diffidente per decenni nei confronti del giallo di autori e ambientazione italiana. A livello editoriale, il genere riuscirà ad affermarsi nel nostro paese a livello editoriale solo negli anni Novanta. Eppure già a partire dal 1946 il giallo è una lettura molto diffusa a livello popolare, forte anche della grande produzione nel mondo anglosassone che si consoliderà nel fenomeno americano dei paperback e troverà sfogo in Italia nelle pubblicazioni da edicola, per quanto in traduzioni non sempre attendibili. Anche molti autori italiani si lanciano nel genere, pubblicando storie di ambientazione straniera più o meno verosimile, presso collane periodiche più o meno serie, nascondendosi sotto pseudonimi stranieri più o meno improbabili che da un lato servono a vendere, dall’altro forse a nascondere il... marchio di infamia di autori di “paraletteratura”. Tra la miriade di collane distribuite in edicola negli anni Cinquanta c’è anche «Gialli della Metropoli», che come numero 3 pubblica il primo aprile 1957 un romanzo di ambientazione newyorkese intitolato Uccidevano di notte di Bill Skyline (be’, cosa c’è di più newyorkese della skyline di Manhattan?) nome dietro al quale si nasconde il giornalista Italo Fasan, prolifico autore di gialli, spesso appunto sotto pseudonimo. La trama racconta di una serie di omicidi perpetrati da un assassino che scrive alla polizia e ai giornali lettere firmate “Diabolic”. La scelta di questo nome potrebbe essere stata influenzata da uno dei più clamorosi e recenti successi cinematografici nel campo del thriller: I diabolici (nell’originale Les diaboliques) che il regista Henri-Georges Clouzot aveva tratto nel 1955 da un romanzo di Boileau e Narcejac, inducendo forse Alfred Hitchcock a realizzare nel 1958 un film da un’altra opera magistrale dei due autori 27


francesi, La donna che visse due volte. Il fatto è che meno di un anno dopo l’uscita di Uccidevano di notte, circa a metà del febbraio 1958, viene brutalmente assassinato a Torino un operaio della Fiat di nome Mario Giliberti. Il cadavere viene scoperto solo il 25 febbraio e nel frattempo l’assassino, indispettito, ha deciso di scrivere alla polizia e ai giornali, anche se le sue missive imbucate il 24 arrivano solo a caso gia aperto. Che sia stato il colpevole a scrivere le lettere è testimoniato dal fatto che, come in un gioco enigmistico, nel testo è celato l’indirizzo del luogo del delitto: via Fontanesi 20. L’assassino non sarà mai identificato, anche se per qualche tempo viene sospettato tale Aldo Cugini, conoscente della vittima, a carico del quale però non si trovano prove. L’elemento di maggior presa sui giornali, in questa vicenda, è la firma in calce alla lettera: “Diabolich”, che sembra riprendere quella dell’omicida di Uccidevano di notte con l’aggiunta di una h. L’effetto è quello di scatenare uno o più emulatori che cominciano a loro volta a scrivere lettere firmate “Diabolich”, promettendo la moltiplicazione dei delitti. Non passa un mese dall’omicidio di Torino che, sull’onda mediatica, l’editore Boselli ripubblica astutamente il romanzo di Fasan come n. 9 bis della collana «I romanzi della notte», stavolta accreditando il vero nome dell’autore e usando il titolo Diabolic (Uccidevano di notte). La nuova edizione è aperta da una prefazione del direttore di collana Bernardino De Rugeriis, in difesa dalle tipiche accuse di istigazione a delinquere che bersagliano il giallo. Sicché a partire dal film di Clouzot, in un’epoca in cui la vita di un film nelle sale cinematografiche è molto più lunga e intensa di quella odierna tra supporti video e canali televisivi, il termine “diabolic” in tutte le sue possibili grafie diviene sinonimo di assassino inafferrabile. Tant’è che nell’aprile 1962 – sette mesi prima che il primo numero di «Diabolik» arrivi in edicola – appare sugli schermi italiani Totò Diabolicus, parodia del genere giallo ispirata 28


al film britannico Sangue blu del 1949 e interpretata dal principe Antonio De Curtis in arte Totò, in cui il colpevole firma i propri delitti appunto con il nome “Diabolicus”. Sarà questa l’origine del nome che Angela e Luciana Giussani decidono di attribuire al loro personaggio, scrivendolo però con la K, che diverrà la lettera di riferimento di un’intera stagione del fumetto italiano? Ma perché scegliere come protagonista un criminale, ladro e assassino? C’è una leggenda in proposito, di sicuro con qualche fondo di verità. Angela Giussani, divenuta editrice sull’esempio del marito Gino Sansoni, pubblica e distribuisce giochi per cartolerie e la versione italiana di una serie a fumetti americana, «Big Ben Bolt», che da noi è divenuta «Big Ben» e non è stata coronata da un enorme successo. Osservando dalla finestra del suo appartamento-ufficio in piazzale Cadorna i pendolari che arrivano ogni giorno alla stazione omonima delle Ferrovie Nord per lavorare a Milano e ripartire la sera, pensa a una pubblicazione di formato tascabile, la cui lettura duri all’incirca un’ora, su misura per un viaggio su treni scomodi e affollati. Un albo a fumetti. Storie di suspense e mistero che catturino l’attenzione. Con un eroe mascherato, diverso però da chiunque altro. Anziché prendere a riferimento altri fumetti, perché non ispirarsi al feuilleton francese e, in particolare, ai suoi fuorilegge? Angela Giussani avrebbe trovato, abbandonata – manco a dirlo – su un treno, una copia del primo romanzo di Fantômas di Allain e Souvestre. Possiamo ipotizzare che si trattasse della riedizione Salani del 1954, dato che le prime, elegantissime edizioni italiane risalivano agli anni Dieci – e francamente non sarebbe stato il caso di dimenticarle in treno – mentre la bella collezione di Mondadori (con le copertine di Karel Thole e i testi sfrondati) sarebbe apparsa in edicola, guarda caso, solo dopo il successo di Diabolik, nel marzo 1963. Quel che è certo è che i primi tre numeri della nuova serie a fumetti – inaugurata nel novembre 1962 dall’albo Il Re del 29


Terrore – rappresentano un remake moderno proprio del primo romanzo di Fantômas, con Diabolik come criminale-trasformista, lady Eva Kant al posto di lady Beltham, l’ispettore Ginko in luogo di Juve e Gustavo Garian a coprire il ruolo del giornalista Fandor. Le somiglianze nella trama sono notevoli, ma non mi risulta che nessuno abbia mai protestato. A differenza di quanto accadrà a Sergio Leone quando risulterà che Per un pugno di dollari, il primo capolavoro dello spaghetti-western, è un remake non autorizzato di Yojimbo – La sfida del samurai di Akira Kurosawa (che peraltro, come preciserà Leone, ha a sua volta punti di contatto sia con Il servitore di due padroni di Goldoni, sia con Piombo e sangue di Hammett.) In ogni caso, così come faranno i western di Leone, la serie delle sorelle Giussani abbandona presto il modello di riferimento per seguire una propria strada. Si noti che le creatrici del personaggio si firmano “A. e L. Giussani”, nascondendo che si tratti di due signore. Forse pensavano che il pubblico fosse più propenso ad accettare una serie poliziesca scritta da uomini, malgrado Agatha Christie fosse ormai da tempo “la Regina del Delitto”, ampiamente stampata e ristampata nelle collane gialle di Mondadori. D’altra parte qui non siamo nel giallo classico e i due autori di Fantômas erano di sesso maschile. Curioso: in tempi più recenti lo scrittore americano J. A. Konrath, autore della serie sulla poliziotta Jacqueline “Jack” Daniels, ha scelto intenzionalmente di firmarsi con le sole iniziali, lasciando al pubblico la possibilità di pensare che si trattasse di un’autrice, non di un autore. Laddove J. K. Rowling (anche lei nascosta dietro iniziali imprecisate prima che se ne conosca il vero volto), reduce dal successo di Harry Potter, quando comincia a scrivere i romanzi polizieschi sul detective Cormoran Strike, adotta lo pseudonimo maschile Robert Galbraith, ma torna nella lista dei bestseller solo quando ne viene svelata la vera identità. Un altro aspetto interessante è il fatto che, alla dicitura iniziale 30


sopra il nome della testata, “Il fumetto del brivido”, viene presto sostituita la scritta definitiva “Il giallo a fumetti”, dando alla serie il suo giusto ruolo: siamo nei primi anni Sessanta, Giorgio Scerbanenco non ha ancora pubblicato presso Garzanti i romanzi con Duca Lamberti che inaugureranno il giallo italiano moderno. Ma in Italia è già nato il “giallo a fumetti”.

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Capitolo Cinque

Il ladro che ruba il tempo Diabolik è nato il 29 febbraio. Mario Gomboli

A volte i personaggi della letteratura, dei fumetti, del cinema e della televisione hanno un successo superiore alle previsioni dei loro stessi creatori, cui talvolta arrivano a sopravvivere, prolungando la loro carriera oltre la normale durata della vita di un essere umano. Il commissario Maigret doveva essere all’incirca trentenne quando apparve nei romanzi di Simenon alla fine degli anni Venti, ma era ancora in servizio alla morte dell’autore negli anni Settanta. Ian Fleming datava la nascita di James Bond intorno al 1924, eppure si è visto l’agente segreto in romanzi ambientati di volta in volta nell’anno in cui venivano pubblicati, fino al 2002, in cui non aveva affatto il fisico di un settantottenne. «Glissiamo sull’età», confessava all’epoca l’autore di memorabili sequel della serie, Raymond Benson, «dicendo solo che è più maturo rispetto a una volta.» Ma si potrebbe dire la stessa cosa del Parker di Richard Stark, dei poliziotti all’87mo Distretto di Ed McBain e dei personaggi di mille altre serie. Il mondo cambia tutt’intorno, loro rimangono pressoché uguali, senza invecchiare o invecchiando con estrema lentezza. Uno degli esempi più clamorosi è la serie cinematografica hollywoodiana degli anni Quaranta con Basil Rathbone nel ruolo di 49


Sherlock Holmes e Nigel Bruce in quello del dottor Watson: dopo i primi due film ambientati filologicamente a fine Ottocento, nelle pellicole successive i due protagonisti sono catapultati avanti di mezzo secolo, in piena Seconda guerra mondiale, dove le loro avventure vengono usate spesso a scopo di propaganda antinazista. Lo stesso discorso vale per gli eroi dei fumetti di maggiore successo del fumetto americano, attivi sin dalla Golden o Silver Age, che ormai dovrebbero tutti avere un’età venerabile e godersi una meritata pensione. Il che spiega perché ogni tanto ci siano crisi tra infiniti universi, rettifiche di continuità, reboot e versioni ultimate. Diabolik è forse l’unica serie a fumetti ad avere già nel proprio dna l’antidoto contro l’invecchiamento. Per cominciare, non si conosce esattamente la data di nascita del protagonista, ancora meno di quella di Eva Kant e degli altri comprimari. La tecnologia sfoggiata durante i loro colpi è fin dal principio quella tipica della fiction anni Sessanta, ossia... genericamente un po’ più avanti dei suoi tempi. Tuttavia i modelli di automobili sono quelli in commercio al momento dell’uscita degli albi – a meno che non si tratti di flashback nel passato dei personaggi – e nell’ultimo decennio sono apparsi computer e telefoni cellulari. Ma, come la geografia in cui si muovono i personaggi è quasi completamente immaginaria, così anche il tempo in cui si svolgono le avventure è diverso dal nostro. Mario Gomboli ha dichiarato scherzosamente che il compleanno di Diabolik è il 29 febbraio; o, più esattamente, che in quattro anni dei nostri per lui ne passa solo uno: ossia le storie narrate in quattro anni di pubblicazioni a fumetti equivalgono a un anno nella vita dei personaggi. Diabolik ed Eva non rubano sull’età, rubano direttamente il tempo. L’idea di questo scorrimento “bisestile” va applicata in realtà all’intero universo della serie. È vero che il mondo è cambiato intorno ai personaggi e oggi le nuove storie non si svolgono in un prolungato decennio anni Sessanta, bensì in un’epoca che somiglia molto al nostro XXI secolo. Ma nel mondo diaboliko il tempo 50


si è sviluppato in modo diverso. Il che ci aiuta a fare alcuni conti. Nel 2022 si compiranno sessant’anni dal numero uno della serie, del 1962, ossia da quando Diabolik si è stabilito definitivamente nello stato di Clerville. Ma per lui ne saranno trascorsi in tutto quindici. Così come ne saranno passati poco più di quattordici da quando ha conosciuto Eva Kant. Più difficile è stabilire la loro età esatta. Eva dovrebbe avere una data di nascita effettiva, che però non è mai stata specificata. Di Diabolik non si conosce neppure quella: era un neonato quando è approdato sull’isola di King, dove credo che nessuno degli abitanti si sia mai preoccupato di tenere il conto di quanto tempo fosse passato dal suo arrivo. E rimane piuttosto nebuloso anche il numero di anni che il giovane Diabolik ha dedicato alle sue imprese in Oriente. D’altra parte, conoscendolo, dubito che gli importi qualcosa di conoscere la propria età o di festeggiare il proprio compleanno. Ragionavo su questi aspetti nel 2007, mentre scrivevo Alba di sangue, il mio secondo romanzo di Diabolik, dopo cinque anni di lunga gestazione. Lo scrissi in sei settimane, esattamente il tempo in cui (a parte i flashback) si svolge la storia, che comincia dalla fine del precedente La lunga notte. In questo lasso di tempo, Diabolik ed Eva devono portare a termine ben sei colpi diversi, per poter raggiungere il loro obiettivo finale: in media, uno alla settimana. Non è stata una scelta casuale. Se applichiamo la teoria del “tempo bisestile” a tutta la saga – compresi gli speciali e gli albetti extra – notiamo che da quando stanno insieme Diabolik ed Eva mantengono appunto una media di un colpo alla settimana. Se si pensa a tutto l’impegno che richiede un singolo furto, stiamo parlando di due autentici stakhanovisti del crimine. Soprattutto lui, visto che è quasi sempre da Diabolik che parte lo spunto per entrare in azione, anche quando Eva sarebbe più propensa a godersi un periodo di meritato riposo. Ma questo ci porta a fare qualche altra riflessione. 51



Indice

Capitolo Zero Confessioni di un trafugatore

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Capitolo Uno Caccia al ladro

13

Capitolo Due Genesi del giallo a fumetti

25

Capitolo Tre Il fenomeno con la K

33

Capitolo Quattro Nozioni di geografia

39

Capitolo Cinque Il ladro che ruba il tempo

49

Capitolo Sei Elementi di psicologia

53

107



Capitolo Sette Elementi di economia

61

Capitolo Otto Vite di coppia

65

Capitolo Nove Diabolik contro Zerozerosette

75

Capitolo Dieci I mille volti di Diabolik e Eva

87

Capitolo Undici Del valore educativo del fumetto

97

Bibliografia

101

Ringraziamenti

103

109





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