Il diario di Gian Burrasca

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Claudio Nizzi gianni de luca

IL DIARIO DI GIAN BURRASCA

Siamo (stati) tutti Gian Burrasca

Sono passati ormai quarant’anni da quando Il giornalino di Gian Burrasca comparve per la prima volta, a episodi, in dieci numeri del settimanale «Il Giornalino». Era il 1983, e lo sceneggiatore Claudio Nizzi diede vita alla riduzione a fumetti dell’omonimo romanzo - in forma di diario e illustrato da immagini - scritto da Vamba (al secolo Luigi Bertelli) e pubblicato nel 1907. La trasformazione dei testi di Nizzi in disegni e vignette fu af data a Gianni De Luca, una delle colonne portanti della rivista per ragazzi delle Edizioni San Paolo.

Per chi è stato bambino fno agli anni Ottanta del secolo scorso, le pagine piene delle strampalate imprese e avventure di Giannino Stoppani, bambino di nove anni soprannominato “Gian Burrasca” dai suoi stessi familiari, erano una lettura se non obbligata quanto meno scontata (va comunque detto che il libro di Vamba continua a essere ristampato e disponibile tutt’oggi, assurto ormai dopo un secolo di vita al ruolo di classico della letteratura per ragazzi). Seppur ambientate agli albori del xx secolo in un mondo che già subito dopo la seconda guerra mondiale non esisteva più, le peripezie, gli scherzi e le vicende del giovane protagonista restano agli occhi delle generazioni successive fresche, divertenti ed esilaranti, grazie al forte grado di immedesimazione che Vamba riesce a creare tra il protagonista e i lettori e merito dell’efcace galleria di personaggi e comprimari che arricchiscono la storia.

Nizzi e De Luca sentono l’obbligo, già all’epoca della pubblicazione del primo episodio su «Il Giornalino», di avvertire i lettori fn dalla pagina iniziale che il fumetto che stanno per leggere sono “le disavventure di un ragazzo vissuto tanto tempo fa. Sono tanto diverse dalle vostre? Giudicate voi”. È lo stesso Giannino, protagonista delle sette vignette di questa prima tavola, a rivolgersi direttamente al pubblico con uno sfondamento della “quarta parete” che è leit motiv continuativo dell’intero adattamento e settando anche i canoni della struttura

grafca scelta per quest’opera da De Luca, sempre alla ricerca della sperimentazione e alle prese, stavolta, con uno stile volutamente caricaturale, lontano dal realismo della sua cifra stilistica, ma non meno audace e sorprendente per soluzioni scelte.

Se Nizzi nella struttura narrativa della riduzione a fumetti decide di mantenere la componente episodica data al suo romanzo da Vamba, adatta per di più a una pubblicazione a puntate, che ha come risultato una trama costruita come sommatoria delle avventure vissute una dietro l’altra da Gian Burrasca, senza soluzione di continuità, De Luca dal canto suo – almeno all’apparenza – sembra mettere da parte l’arditezza di certe soluzioni sulla resa del tempo e del movimento sulla pagina, per concentrarsi su una struttura di tavola più canonica, forse più adatta a un racconto dedicato a lettori più piccoli.

Questa semplicità compositiva arriva come risultato immediato agli occhi del lettore, ma sofermandoci in un’analisi più dettagliata delle tavole vediamo come essa sia frutto di una ricerca grafca intensa e minuziosa su segno, composizione e struttura che ha, in questo caso, un unico obiettivo: la messa su pagina di una comicità che oggi defniremmo slapstick, fruibile immediatamente e con un’efcacia straordinaria da un pubblico di giovani e giovanissimi.

Cominciamo dal segno: una linea chiara modulata da sinuosi contorni in cui linee più spesse di pennello racchiudono i contorni dei personaggi in primo piano e degli elementi di scena più importanti ai fni del racconto, mentre pennini a china dalla punta più fne defniscono spazi, oggetti e fgure sullo sfondo, da un lato riempiendo le vignette al massimo livello di dettaglio e dall’altro evidenziando ancora di più il massiccio contorno dei personaggi protagonisti in primo piano.

Una linea chiara alla De Luca, ovviamente, e che il bianco e nero di questa nuova edizione che vi apprestate a leggere esalta ancora di più nelle sue peculiarità (la pubblicazione originaria sulla rivista fu a colori). Un tratto nitido, continuo e preciso, sinuosamente e morbidamente modellato, in cui gli spazi creati dai netti contorni sono riempiti dal fumettista con decori dell’abbigliamento e degli arredi del primo Novecento, e con i particolari dei paesaggi urbani e rurali, con una precisione impressionante per realismo della resa. Senza rinunciare a retinature e puntinismi tipici della ricerca artistica “deluchiana”, usati qui con parsimonia e quindi ancora più efcaci quando presenti.

Ma questo realismo poi entra sorprendentemente in dialogo con una chiave caricaturale e cartoonesca che impregna tutti i personaggi in scena (con l’eccezione, forse espressamente voluta, proprio del protagonista Gian Burrasca, i cui tratti restano quelli più realistici). Movimenti e anatomie esagerate nei particolari più caratteristici di ciascuno, corpi e arti che per f essuosità assumono pose e atteggiamenti improbabili che ricordano l’elasticità di un cartone

animato e, senza ombra di dubbio, l’omaggio alla lezione di un maestro come Benito Jacovitti, altra presenza fssa su «Il Giornalino». Ma che guardano anche all’esasperazione quasi grottesca del Dick Tracy di Chester Gould, autore amatissimo da De Luca.

Composizione e struttura sono gli altri due elementi visivi sui quali si basa la maestria di De Luca e ai quali l’artista ha dedicato un’intera carriera professionale nell’ottica di una ricerca e sperimentazione continua di soluzioni graf che che permettessero di tradurre in immagine – e dunque in spazio – il fattore tempo e la scansione sequenziale dello stesso.

È chiaro che in un fumetto destinato a un giovane pubblico di lettori, i virtuosismi e le soluzioni a cui De Luca era arrivato nella sua Trilogia Shakespeariana o negli episodi del Commissario Spada a lui per primo devono essere sembrati decisamente fuori luogo e inopportuni. Questo però non ha impedito al suo animo curioso e alla sua mano sperimentatrice di pensare a una diversa interpretazione della gabbia fumettistica delle vignette, che nel Giornalino di Gian Burrasca diventano spesso veri e propri palcoscenici graf ci.

Come scrivevamo più sopra, f n dalla prima pagina del fumetto è evidente l’intento di caratterizzare questo suo lavoro pensando alle singole vignette quasi fossero spazi delimitati fsicamente, all’interno dei quali i personaggi recitano e la storia si racconta. I bordi che separano gli spazi bianchi diventano dunque elementi “di appoggio” su cui grava la massa di coloro che stanno in scena in quel momento, sui quali i personaggi stanno in piedi o si appoggiano.

Al contempo, proprio perché lo spazio fsico è quasi reale, i bordi della vignetta possono a volte essere scavalcati, superati da un gesto improvviso, da una mano o da una gamba che nella concitazione di un movimento possono travalicare il netto contorno nero e invadere lo spazio bianco.

Quasi in una sorta di antitesi, la negazione dello spazio della vignetta, che a De Luca era stato troppo stretto nella Trilogia Shakespeariana e nelle storie del Commissario Spada, qui viene “abiurata” al fne di dimostrare che quei contorni fsici che delimitano lo spazio possono comunque essere funzionali alla de-

ando come il soggiorno del protagonista in collegio sia forse per lui il passaggio fondamentale nella maturazione da bambino a ragazzo, una presa di coscienza dei propri errori e dei propri comportamenti sbagliati. Una conclusione con una morale, come forse si addiceva (e richiedeva?) alla rivista cattolica che ospitava il fumetto, lontana invece dall’opera originale che si chiude con il protagonista sempre più a suo agio – e convinto – nel ruolo di Gian Burrasca.

Ma in fondo gli adattamenti, i passaggi da un medium all’altro servono anche a questo: a rivestire l’involucro originale di nuovi signifcati e nuove interpretazioni, senza stravolgerne l’essenza.

Siamo stati tutti Gian Burrasca e, leggendo le sue avventure illustrate da Gianni De Luca, è bello continuare a esserlo.

«Le mie sono disavventure d’un ragazzo vissuto molto tempo fa. Sono tanto diverse dalle vostre? Giudicate voi.»

Giannino Stoppani, detto “Gian Burrasca”, è un ragazzino vivace con l’attitudine a combinare guai. Protagonista di avventure esilaranti, getta scompiglio tra parenti e conoscenti con i suoi terribili scherzi e la sua irriverente sincerità. A raccontarlo è il suo diario che, con irre-

sistibile leggerezza, rivela come la spontaneità e l’entusiasmo dell’infanzia si scontrino con la rigidità e le contraddizioni del mondo adulto. Dal grande classico di Vamba, la versione a fumetti realizzata da Claudio Nizzi e Gianni De Luca.

Gianni De Luca (Gagliato 1927 – Roma 1991), pittore, illustratore e soprattutto fumettista, è considerato uno dei più grandi maestri della Nona Arte.

Tutta la sua produzione è caratterizzata da una eleganza del tutto peculiare e da una continua ricerca stilistica che, sperimentando nuove soluzioni grafche, hanno fatto di lui uno degli autori più citati, imitati e innovativi sulla scena internazionale. edizioninpe.it

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