Il Dossier Kokombo

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il dossier kokombo

Sergio Toppi


Il Dossier Kokombo

di Sergio Toppi © 2016 – Fonds de Dotation Sergio Toppi - éditions Mosquito © 2021, Edizioni NPE Tutti i diritti riservati. Collana Sergio Toppi, 11 Direttore editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore: Stefano Romanini Ufficio stampa: Gloria Grieco ufficiostampa@edizioninpe.it Coordinamento editoriale: Valeria Morelli Correzione bozze: Gabriella Vajano Traduzione: Bwuma, figlio mio a cura della redazione

Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di gennaio 2022 Il Dossier Kokombo fu pubblicato per la prima volta su «Corto Maltese» n.93, giugno 1991 Bwuma, mon fils fu pubblicato per la prima volta per Editions Mosquito, maggio 2012 Si ringraziano Erasmo Frascaroli e Angelo Zabaglio per la gentile consulenza. Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe


Il Dossier Kokombo Bwuma, figlio mio di Sergio Toppi



pre faz i one

Come nel caso del protagonista della storia Dossier Kokombo di Claudio Ferracci (Biblioteca delle Nuvole di Perugia)

Feticci Forse non si dà più importanza come una volta ai cornetti rossi, alle zampe di coniglio, agli specchi rotti e ai gatti neri, ma si può riflettere sul fatto che in un passato neanche tanto remoto ad alcuni oggetti veniva data un’attenzione speciale. Serve a non farci sentire troppo lontani da altre civiltà, considerate primitive anche perché attribuivano particolari poteri a oggetti inanimati. È chiamato feticismo una forma di religiosità che prevede l’adorazione di feticci, ovvero di oggetti (spesso manufatti antropomorfi o zoomorfi) ritenuti dotati di poteri magici, riferendosi soprattutto a oggetti considerati carichi di potenza sacra nei culti dei nativi dell’Africa occidentale. Il termine feticcio, probabilmente usato fin dal xv secolo per designare amuleti e oggetti magici africani, è attestato dalla fine del xvi secolo nella lingua portoghese come feitiço. Deriva dal latino factitius o facticius, usato nel linguaggio commerciale della Roma di Augusto. Una delle prime apparizioni è nella Naturalis historia di Plinio, secondo cui factitius significa manufatto, fatto a mano, e si usava in contrapposizione a oggetti di origine naturale. La definizione di feticismo apparve invece per la prima volta nella lingua francese con Charles de Brosses in Du culte des dieux fétiches, opera pubblicata tra il 1756 e il 1760. Dalla descrizione dei feticci a una teoria del feticismo passano dunque tre secoli che portarono alla definizione di popoli feticisti come di società connotate da una credenza o religione specifica. Da questo momento, il feticismo divenne una religione distinta dal politeismo, che ne rappresentava un’evoluzione. 5


Auguste Comte influenzato dagli studi di de Brosses definì il feticismo proprio come lo stadio preliminare dell’evoluzione della società, caratterizzato dall’attribuire delle intenzioni indipendenti dalla volontà umana agli oggetti. Nel 1871 Edward B. Tylor poneva il feticismo nel livello più basso della scala che, a suo parere, ripercorreva gli stadi dello sviluppo culturale, come sotto-categoria dell’animismo. Agli occhi di questi studiosi il feticismo era una forma primitiva di pensiero che comportava l’assenza di ogni mediazione fra l’uomo e la “cosa” oggetto di culto. I feticisti adorando gli oggetti nella loro specifica singolarità non avevano neanche la dignità degli idolatri, il feticcio infatti, a differenza dell’idolo che era immagine di altro, non sembrava rappresentare nulla di diverso da sé. Parrebbe pertanto azzardato chiamare “feticcio” la statuetta vudù realizzata per ottenere, attraverso la cosiddetta “magia simpatica”, potere nei confronti di un’altra persona. E se l’oggetto di adorazione o di idolatria sembra essere più accettabile per chi appartiene ad ambiti culturali più evoluti, in quanto rappresentante di qualcosa di più alto e addirittura strumento per comunicare con quest’ultimo, è veramente al di là della comprensione, in società votate alla razionalità e all’utilitarismo, pensare a oggetti che utilizzano un potere senza un motivo e senza un tornaconto. E avrà contribuito certo a rendere affascinante l’Africa “misteriosa” questa nostra difficoltà a capire, a penetrare i segreti di un mondo così vicino ma culturalmente così distante. Questo continente appena di là dal Mediterraneo, liquidato nelle mappe antiche con la scritta “Hic sunt leones”, è stato esplorato per la parte subsahariana solo dal xv secolo, ma ha attirato soprattutto dall’Ottocento studiosi, scienziati, ricercatori ed esploratori, nonché avventurieri, predatori e perché no, rampolli di nobili famiglie senza arte né parte, alla ricerca di fama e ricchezze, come nel caso del protagonista della storia Il Dossier Kokombo.

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Mal d’Africa e oscure magie Il cosiddetto “mal d’Africa” sarebbe il senso di nostalgia che prende coloro che hanno visitato l’Africa e il desiderio di tornare nel continente nero. In realtà il termine era stato coniato durante il ventennio fascista con ben altro significato, in riferimento allo sforzo umano ed economico dell’espansione coloniale italiana. Nell’immaginario si ritiene che l’Africa ti entri nel sangue, per la suggestione dei paesaggi o per l’idea, falsa e romantica, di una vita più legata alla natura in ambiti sociali semplici e legati esclusivamente a bisogni primordiali. Emblematico in questo senso il famoso film di Ettore Scola Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968, con Alberto Sordi e Nino Manfredi). L’opera, tra le più riuscite del regista, è evidentemente ispirata da Cuore di tenebra di Conrad, anche se c’è chi sostiene sia debitrice, specie per quanto riguarda il finale memorabile, nei confronti della storia a fumetti Topolino e il Pippotarzan (disegni di Romano Scarpa, 1957). Ma oltre al fascino non si può negare che il terzo continente del pianeta sia portatore di paure ancestrali, forse legate al retaggio di superstizione di un nostro non troppo distante passato. Ne è un esempio la vicenda del Tronchetto della Felicità, un arbusto largamente acquistato come pianta da appartamento

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negli anni Settanta, forse anche grazie all’intuizione commerciale del nome (il vero nome è Dracaena). Ebbene dopo alcuni anni di successo le vendite crollarono per colpa di una tipica leggenda metropolitana che si diffuse velocemente, secondo la quale nel tronco del vegetale si sarebbe nascosto un pericolosissimo ragno africano dal morso letale. Fascino e timore sono i sentimenti contrastanti che l’Africa esercita su di noi, una miscela che non poteva che intrigare anime inquiete e menti instabili, come nel caso del protagonista della storia Il Dossier Kokombo.

Magici oggetti a fumetti Come in molte altre narrazioni fantastiche anche il fumetto è stato contaminato dalla presenza di oggetti magici o dai particolari poteri. Tra questi memorabile una storia di Paperino realizzata da Carl Barks nel 1949 per la testata «Four Color», dal titolo Voodoo Hoodoo (titolo italiano Paperino e il feticcio). In questa avventura (la quinta in cui compare Paperon de’ Paperoni, creato appunto da Barks) il protagonista si vede consegnare da parte di uno strano zombie che si aggira per le vie di Paperopoli una piccola bambola africana dotata di un terribile potere.

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E come non ricordare L’Occhio di Zoltec (titolo inglese Kelly’s Eye), un fumetto d’avventura britannico che apparve per la prima volta sulla rivista «Knockout» nel 1962? In questa serie di storie il protagonista Tim Kelly possiede un gioiello , l’Occhio della Vita Eterna, che lo protegge dalla morte garantendogli l’invulnerabilità. I testi erano di Tom Tully e Tom Kerr e i disegni in gran parte dell’argentino Francisco Solano López. Non si contano oggetti magici nel fumetto supereroico americano, gemme del potere e armi imbattibili comprese. Una caratteristica delle narrazioni in cui sono presenti questi oggetti è che tra le motivazioni che muovono eroi e villains rientra il loro possesso o la loro distruzione. Rarissimo è invece il caso che questi oggetti adoperino i loro poteri a totale insaputa di chi ha avuto la ventura di incrociare la propria strada con la loro.

Sergio Toppi e Il Dossier Kokombo Quando sul numero 6 del giugno 1991 della rivista «Corto Maltese» viene pubblicata per la prima volta la storia Il Dossier Kokombo, Sergio Toppi è già affermato oltre che come disegnatore di fumetti anche come autore dei testi. Viene da una lunga carriera su testate fondamentali del fumetto per ragazzi italiano, come il «Corriere dei Piccoli», il «Corriere dei Ragazzi», «Il Giornalino». Su queste pagine aveva condiviso il destino di un altro grande artista, Dino Battaglia, giudicati ambedue, con una visione un po’ miope, più illustratori che fumettisti, per la raffinatezza dei loro disegni e per quel senso di staticità evocativa più che rappresentativa dell’azione.

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L’uno e l’altro seppero, ognuno col proprio stile, ribaltare la questione, portando il fumetto a raccontare, come mai fatto prima di allora, con ritmi diversi e dimostrando quando ancora ce n’era davvero bisogno che con questo linguaggio si poteva narrare qualunque cosa. Il Dossier Kokombo è un breve racconto, ma rappresenta forse l’apice e la summa della poetica toppiana; l’escamotage di raccontare la vicenda attraverso le schede di un dossier potenzia ancora di più la particolare attitudine di Toppi a comporre l’impaginato in modo che i confini tra pagina e vignetta risultino inconsistenti e inutili. Il legame tra quest’opera e la successiva Bwuma, figlio mio, realizzata per le edizioni francesi Mosquito nel 2012, non è solo nella presenza in ambedue del personaggio-voce narrante della prima storia, il commerciante di stranezze, ma anche nell’essere le due storie incentrate su due oggetti e sugli effetti del loro possesso. Per quanto riguarda la figura del rigattiere, non può certo sfuggire un’analogia con il personaggio dell’antiquario Ezra Winston, coprotagonista della formidabile saga di Mort Cinder, uno dei massimi capolavori del fumetto argentino (Héctor Oesterheld e Alberto Breccia, 1962). Ma nel fumetto sudamericano gli oggetti agiscono semplicemente come un ponte con il passato, risvegliando i ricordi dell’immortale protagonista. Il potere magico, vero o millantato, degli oggetti veri protagonisti dei due racconti di Toppi, è lo spunto per il narratore per ironizzare sulla pochezza degli esseri umani.

Note per i collezionisti Il Dossier Kokombo è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista «Corto Maltese» nel numero 6 del giugno 1991, edizioni RCS, quindi ristampato nel 3° volume della collana Sulle Rotte Dell’immaginario, edita da Il Giornalino/ Edizioni S. Paolo in collaborazione con il Museo Italiano del Fumetto e dell’Immagine di Lucca, nel 2010. Sia Il Dossier Kokombo che Bwuma, figlio mio sono state pubblicate in Francia dall’editore Mosquito nel 2012. Successivamente l’Editoriale Cosmo ha inserito le due storie nell’albo n°25 della collana Grandi Maestri dal titolo Un dio minore, nel luglio 2018.

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1.

Il Dossier Kokombo


Pubblicato per la prima volta su «Corto Maltese» n.93, giugno 1991


Mettiamo subito le cose in chiaro: se volete una testuggine imbalsamata, un coltello toba batak o un feticcio centro africano, qui da me siete caduti bene; io vendo solo roba con certificato di autenticità.


La mia è una ditta modesta ma di buon nome.

Sono in grado di offrire al cliente un’ampia scelta, da una maschera bapende a un argento di Tournai con punzone documentato.

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Per chi ama il genere ho anche qualche pezzo, per così dire, inquietante… …ma a questo punto devo mettervi sull’avviso. Comprate pure le zagaglie della nuova irlanda, se vi piacciono, ma se trovate una statuetta di legno avvolta in un pezzo di stoffa consunta non commettete l’errore fatale di acquistarla: il suo possesso espone la vostra vita a pericoli non immaginabili.

È il Kokombo. Ricordate questo nome e l’oggetto che lo porta. Possono essere letali come il morso di un cobra.

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Ho raccolto un ampio dossier sull’argomento e ritengo doveroso portarlo a conoscenza della mia clientela.

Ecco un esempio emblematico che conferma quanto vado dicendo: il caso von PrideauxGuettauer.

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Fascicolo n. 3489/6. Dossier Kokombo Caso A.M.vP.G. Scheda 1

Aloysius Maria Von Prideaux-Guettauer (1834-1892) nato a Colmar da famiglia di stirpe ugonotta. Studi scarsi e incompleti ma cospicua condizione economica. Viaggiatore ed esploratore con ambizioni superiori alle effettive capacità.

Uomo arrogante e sanguinario, di gusti grossolani (omissis). Di visione ristretta oltre la norma dei suoi tempi, giudicato all’unanimità da colleghi e conoscenti come un coglione irrecuperabile.

Posto a capo, per relazioni politiche, di una spedizione alle foci del Rifugi, la conduce così disastrosamente da provocare il decesso prematuro della duchessa di Brunswich che l’aveva caldamente patrocinata.

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Scheda 2

Avido di onori accademici, ottiene per

intrighi e denaro l’incarico di cartografo della società geografica lussemburghese. Molte spedizioni che si valgono dei suoi elaborati si concludono tragicamente…

…come la spedizione

Chaffron, scomparsa senza lasciar traccia nel deserto del Tassili…

…o la missione nel Kordo-

fan della grande etnologa Melania Daugherty, annegata in un fiume non segnato sulle carte…

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…o la spedizione del barone Collucci di san Vitoldo nel delta dell’Okavango.


scheda 3

Razza di cialtrone pidocchioso, chi credi d’incantare con i tuoi trucchi?

Nel corso di un viaggio in

Siberia insulta uno sciamano Jakuto e viene da questo tramutato in pernice artica, in livrea invernale.

Mosso a compassione, un pope esorcista lo recupera a sembianze umane. Ottiene come compenso un volume sul primato storico e morale della chiesa cattolica romana.

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Tutto concorda nel definire von Prideaux-Guettauer un’odiosa nullità. Ma a questo punto la sua storia subisce una svolta decisiva. scheda 4

Dai qua, straccione pagano, e levati dai piedi.

Nel 1875 visita le

rovine di Zimbabwe, che si ostina a ritenere opera di pirati fenici.

Questo Kokombo, bwana… tu prendi… lui molto potente…

Qui, al prezzo di tre cartucce e un

pennello da barba usato, acquista da un indigeno d’aspetto poco rassicurante un piccolo oggetto, una statuetta in legno, avvolta in uno straccio consunto… (n.b. – È tipico del Kokombo avvicinare le vittime con l’aspetto di assoluta innocuità)…

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Un souvenir pesa poco nel

bagaglio di un viaggiatore e sulla strada del ritorno lo si può addirittura dimenticare.


Scheda 5

Da quel giorno le sorti del nostro migliorano incredibilmente. Successi, spedizioni fortunate. Questo mentre molti migliori di lui divenivano pasto di cannibali, cadevano calpestati da elefanti infuriati…

…o morivano stritolati nelle loro imbarcazioni per aver disturbato vecchi ippopotami affetti da ipocondria.

…venivano sacrificati con riti elaborati a divinità avide di carni bianche…

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Scheda 6

L’apice della notorietà fu raggiunto

La fama di Prideaux-Guettauer

dal nostro quando, unico superstite di una spedizione massacrata dagli Asmat, riuscì a porsi in salvo riportando dati preziosi sull’orografia di una zona sconosciuta della Nuova Guinea.

andava crescendo e nessuno poteva immaginare quanto fosse dovuta a una piccola statua di legno dimenticata in qualche ripostiglio.

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Scheda 7

Onori e prebende gli piovono addosso.

Le società geografiche, i circoli più eletti, le corti d’Europa se lo contendono. Il kaiser lo vuole alle sue feste in maschera, la regina d’Olanda lo tiene in grande considerazione.

Figlia mia, quando un giorno regnerai devi fare conto su uomini siffatti…

Amico mio, consideratevi da oggi nostro cugino onorario…

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Scheda 8

Poi, le voci corrono, è l’apoteosi. ilona contessa Szabolcka, di antica nobiltà transilvana, fredda, altera, per la quale i cuori più blasonati si sono spezzati senza speranza, si dichiara follemente innamorata di Prideaux-Guettauer.

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Scheda 9

La notizia piomba nella quiete dorata dell’alta società come un ciclone.

Avete sentito, altezza?… La Szabolcka, cotta di lui come una camerista…

Settant’anni di meno, solo settanta, e l’avrei fatta vedere io a quella smorfiosa…

Mio caro, deve essere bello amare un uomo avvezzo a sfidare impavido orde di cannibali seminudi…

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Scheda 10

E intanto la contessa

si struggeva di passione su certi stenti omaggi floreali con i quali Prideaux-Guettauer, notoriamente tirchio, si degnava di manifestare i suoi sentimenti.

Lei, ilona, fortezza inespugnata nella quale nessuno a colpi di diamanti e levrieri di razza era riuscito a fare breccia…

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«Se trovate una statuetta di legno avvolta in un pezzo di stoffa consunta, non commettete l’errore di acquistarla».

Un vecchio antiquario mette in guardia clienti e lettori: il kokombo può essere letale. Si tratta di un misterioso idolo di legno che eleva ai vertici della fortuna le sue vittime per rendere più rovinosa la loro caduta. Il mercante ha raccolto un ampio dossier al riguardo, e racconta le disavventure di un incauto esploratore che aveva acquistato il feticcio da un indigeno dello Zimbabwe.

Non si sa dove si trovi ora quella statuetta, forse in un angolo remoto e polveroso di qualche bottega. Ma un altro oggetto magico provocherà infauste conseguenze: quelle narrate in Bwuma, figlio mio, la seconda storia contenuta nel volume. L’arte di Sergio Toppi in questo volume è al suo apice, tra barocchismi, citazioni pittoriche e straordinarie tavole esoteriche.

Sergio Toppi (Milano 1932 – 2012), è stato un illustratore ed un fumettista italiano. Oggi è considerato uno dei più grandi autori mai esistiti. “Dalle sue tavole così incise e così bulinate, dalla ricchezza traboccante delle sue storie misteriose e tragiche ci viene costantemente il conforto che può esistere un uomo così responsabile, così pronto a rispettare il suo impegno. Come una religione. Il suo lavoro tende alla perfezione, per semplice senso del dovere”.

edizioninpe.it ISBN: 978-88-36270-53-8

euro 16,90


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