Il gigante egoista e altre favole

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Il gigante egoista e altre favole dino battaglia


Il gigante egoista e altre favole

Carlo Triberti, Piero Selva, Laura Battaglia De Vescovi, Dino Battaglia © 2016 – Mosquito – Eredi Battaglia © 2022 Solone srl per questa edizione L’Editore ha provato a reperire gli aventi diritto per Carlo Triberti e Piero Selva senza riuscirvi e si dichiara pienamente disponibile a regolare con essi i relativi e proporzionali diritti d’autore. Tutti i diritti riservati. Collana Dino Battaglia, 14 Direttore editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore: Stefano Romanini Ufficio stampa: Gloria Grieco ufficiostampa@edizioninpe.it Coordinamento editoriale: Valeria Morelli Colori: Laura Battaglia De Vescovi Trascrizione testi e correzione bozze: Roberto Flauto Si ringrazia Erasmo Frascaroli per la gentile consulenza. Il Re del Fiume d’Oro, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 52, 1968, 8 tavole, da John Ruskin, sceneggiatura Piero Selva Il Re Bazzaditordo, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 18, 1972, 2 tavole, fiaba popolare, sceneggiatura Carlo Triberti Le principesse al ballo, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 34, 1973 (Inserto al «Corriere dei Ragazzi» n. 34, 1973), 2 tavole, da Grimm, sceneggiatura Carlo Triberti. La pastorella e lo spazzacamino, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 51, 1973, 8 tavole, soggetto e sceneggiatura Carlo Triberti L’usignolo dell’imperatore, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n.9, 1974, 9 tavole, da H. C. Andersen, sceneggiatura Carlo Triberti Tremotino, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 40, 1974, 8 tavole, da Grimm, sceneggiatura Carlo Triberti L’acciarino, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 51, 1974, 12 tavole, da H. C. Andersen, sceneggiatura Carlo Triberti L’Uccello di Fuoco, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 8, 1975, 11 tavole, fiaba popolare, sceneggiatura Carlo Triberti Giamìl lo sfortunato, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 12, 1975, 12 tavole, da Le mille e una notte, sceneggiatura Carlo Triberti Ceneraccio e Barbagrigia, pubblicata per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 51, 1975, 12 tavole, soggetto e sceneggiatura Carlo Triberti Il gigante egoista, pubblicata per la prima volta sul «Messaggero dei Ragazzi» n.1, 1982, 8 tavole, da Oscar Wilde, sceneggiatura Dino e Laura De Vescovi Battaglia Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di luglio 2022 Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe


Il gigante egoista e altre favole

Testi a cura di Carlo Triberti, Piero Selva Colori di Laura Battaglia De Vescovi Disegni di Dino Battaglia



L’espressionismo fiabesco di Battaglia di Leonardo Cantone

Dino Battaglia, nel panorama fumettistico italiano, prima, e mondiale, poi, è indubbiamente uno dei più raffinati e suggestivi artisti; capace di raccontare, con grande eleganza, diversificati universi narrativi attraverso uno stile dalla matrice di stampo letterario, con gusto per i riferimenti intellettuali ed estetici e uno sguardo costantemente teso alla tradizione iconografica medievale e alle incisioni ottocentesche, senza disdegnare l’incursione nel territorio della cinematografia. Veneziano, a soli vent’anni inizia la sua carriera da disegnatore, condividendo quest’esperienza con autori come Hugo Pratt e Alberto Ongaro, sulla rivista «Asso di Picche», già nel 1946. Presta il suo grafismo nervoso per le tavole pubblicate sul «Corriere dei Piccoli, «Il Giornalino», «Il Vittorioso», riscontra successo grazie alla rivista «Linus», e, soprattutto, nei primi anni Settanta, trova fecondo sodalizio con Mino Milani, su «Il Corriere dei Ragazzi». Artista colto, capace di narrare con eguale coinvolgimento tanto storie horror quanto la vita di un santo come Sant’Antonio da Padova o i Fioretti di San Francesco, Battaglia ha condotto la sua arte verso una crescente sperimentazione grafica, destinata ad opere sempre più sofisticate, pietre miliari del fumetto mondiale. Inconfondibile il suo tratto sottile conforme ad un’intensa caratterizzazione delle figure e dello spazio, Battaglia riesce nel difficile obiettivo di rimanere in equilibrio tra uno spregiudicato grafismo ed una naturalistica rappresentazione. Tuttavia, il disegnatore veneziano, non ricerca una ricostruzione veritiera, il “vero” non è il suo fine: nonostante ponga grande attenzione ai costumi, alle ricostruzioni ambientali e alla messa in scena, il concreto che persegue si

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concentra sulla capacità di far aderire il proprio concetto di rappresentazione all’oggetto rappresentato. Una mimesi di platoniana tradizione che riproduce simulacri, invece dei modelli di riferimento. Ponte artistico, dunque, tra tendenze proto documentaristiche e fantasiosa creazione, Battaglia, ricrea un’atmosfera, suggerisce il clima narrativo, vivifica le impalpabili sfumature emozionali dei personaggi che abitano le sue tavole. La peculiarità, che distingue il suo tratto rispetto ad altri autori, è l’utilizzo che egli fa del bianco. Ciò che per la maggior parte degli artisti è un horror vacui, per Battaglia è lo strumento principale con cui organizzare le sue composizioni. Non è il nero ad emergere e a descrivere le azioni, quanto il bianco che illumina gli oggetti e i personaggi: il bianco non viene rinchiuso dalle chine delle figure e dei paesaggi, ma emerge prepotentemente a tracciare i propri confini. Con una tecnica che sembra simulare quella a “sbalzo”, il bianco di Battaglia, fa da sfondo indefinito delle scene, si mescola al closure delle vignette, evidenziando maggiormente gli elementi espressivi. L’autore sceglie, da grande sperimentatore della nona arte, di approcciarsi alla materia narrativa con tecniche inusuali, come tamponi, spugne e spazzole imbevute d’inchiostro, mirate più alla resa dell’atmosfera che alla rappresentazione oggettiva, mentre all’utilizzo del pennino duro, che graffia più che tracciare, è affidato il compito di far emergere le figure che, spesso, tendono alla deformazione. Seminali sono i suoi adattamenti di alcuni classici del racconto fantastico con una netta predilezione per il gotico ottocentesco, da Edgar Allan Poe a H.P. Lovecraft, passando per Ernst T.A. Hoffmann, maestri indiscussi del sovrannaturale, che trovano nel disegnatore espressione evocativa dal grande impatto scenico e grafico, ricco di sfumature complesse ed articolazioni grafiche pungenti sia nella rappresentazione della realtà quanto in quella onirica.

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Battaglia e il mondo fiabesco Tale scelta rappresentativa sembra adattarsi perfettamente alla rappresentazione dell’universo simbolico e mitico delle fiabe. Dopotutto, tanto le narrazioni orrorifche, quanto quelle fiabesche, condividono il terreno comune dell’intromissione fantastica nel reale. Fu lo stesso Lovecraft in uno dei suoi saggi a rintracciare nel fantastico, principalmente nella sua accezione sovrannaturale, un’interruzione di quelle leggi naturali che fanno da scudo alla nostra psiche e da sostegno alle nostre certezze terrene ed empiriche. La fiaba e la favola, come il racconto dell’orrore, mirano a scardinare tali appigli, conducendo l’uomo verso le possibilità dell’impossibile. Non a caso, ogni viaggio dell’eroe inizia lasciando il proprio mondo per entrare in un universo sconosciuto, con regole differenti dal luogo d’origine. Per Battaglia il territorio delle fiabe non è dissimile da quell’orrore: il suo lavoro sulle maschere carnevalesche e sulle narrazioni dal sapore e dalla provenienza tanto orientaleggiante quanto nordica, si presta alla raffigurazione di atmosfere trasognanti ed evocative, in cui non mancano le sfumature inquietanti del materiale narrativo originale. È proprio adattando la favola che Battaglia ha l’opportunità di lavorare con gli strumenti grafici e narrativi a lui cari. Il suo tratto spigoloso stacca le figure dagli sfondi bianchi, spesso solo accennati e dai contorni a volte impalpabili: immediatamente diventa palese l’ingresso del lettore in una dimensione altra, patinata dal velo del sogno. E, spesso, dell’incubo. Ne L’usignolo dell’imperatore l’artista veneziano crea un ponte ideale tra la Danimarca e l’Italia. Adatta liberamente la favola di Hans Christian Andersen, inserendo tre personaggi della commedia dell’arte, nati in altrettante regioni italiane: il lombardo Arlecchino, l’emiliano Baldanzone e il ligure Tartaglia. Tale operazione permette all’artista di fondere sul piano artistico la narrazione orientaleggiante – dove l’Oriente rappresenta ancora una terra mistica – con la tradizione teatrale nata nel sedicesimo secolo. Battaglia inserisce i personaggi su di un palco invisibile, ma richiamato nel suo statuto dalle sue componenti “scenografiche”. Nelle scene sono spesso raffigurati drappi o tendaggi decorati a simulazione del tendone teatrale, persino i pochi accenni paesaggistici vivono della bidimensionalità delle quinte e dei fondali teatrali. Il “bianco” di Battaglia o l’assenza di uno sfondo, sovraccaricano l’immagine dell’indistinto scenografico della Commedia dell’Arte, in cui è il mattatore a far da perno narrativo della scena. Non a caso, spesso e marcatamente, l’autore crea lo sfondamento metanarrativo attraverso le tre maschere carnevalesche che, oltre le quinte disegnate della vignetta, cercano l’attenzione del lettore e non degli altri personaggi in scena.

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Sempre rielaborando le fiabe di Andersen, Battaglia adatta quella de L’acciarino, scegliendo di sintetizzare la materia narrativa e introducendo una componente fortemente ironica nei testi. Graficamente la scelta dell’autore è quella di caratterizzare con forza gli attori del suo racconto. Difatti, a eccezione del protagonista e della bella principessa, gli altri personaggi, come la strega, il locandiere o lo spasimante della ragazza, assumono connotati spigolosi, netti, graffiati da piccoli segni che ne appesantiscono e sagomano il viso. Perfetta sintesi tra le due rappresentazioni è il colossale mastino dai grandi occhi – l’unico elemento che agisce nel fantastico – tratteggiato come una figura inquietante ma la cui caratteristica narrativa non è spaventosa: come fedele servo del giovane soldato protagonista, ricorda più un buffo cucciolo troppo cresciuto, che il guardiano di un tesoro sepolto in una grotta dalle nette ombre e dalle rocce minacciose. Ne Il Re del Fiume d’Oro, Battaglia opera una scelta non dissimile: fulcro narrativo del racconto è la bontà caratteriale che, in sua assenza, deforma i volti e le figure. Anche in questo caso, il personaggio fantastico rappresentato dal Re del fiume d’oro, pur non perdendo l’aura di solennità mistica, viene raffigurato come un personaggio ironico nelle pose e nelle espressioni, in netto contrasto con il realismo scenografico che caratterizza le tavole. Medesima scelta rappresentativa è rintracciabile in Tremotino, nonostante la caratterizzazione del fantastico operi sull’esatto opposto. La figura di Tremotino, “omino” deforme, ricattatore e demoniaco, è una figura inquietante, che

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ordisce un piano malvagio ai danni della misera figlia del mugnaio costretta dal padre ad una prova impossibile. Il lavoro di Battaglia, dunque, non è mai di mera sintesi e trasposizione. Basti pensare a Ceneraccio e Barbagrigia e a Giamìl lo sfortunato in cui l’autore sceglie di rielaborare due narrazioni particolarmente note, quella di Cenerentola e de Le mille e una notte. Nel primo, Battaglia racconta, quantomeno nel prologo, la disavventura di Cenerentola declinata al maschile senza troppo velare, già nel nome, il riferimento letterario e affiancando, nel ruolo della “fata madrina”, il saggio mago Barbagrigia. Ma l’obiettivo non è certo di parodiare l’antica fiaba, quanto di strutturarne un percorso alternativo: la scelta di utilizzare una figura maschile come protagonista, caratterizza la narrazione attraverso un’avventura dai toni orrorifici, che ha come fine quello di salvare la principessa in pericolo. L’autore, anche grazie al fondamentale supporto della moglie colorista Laura, con pochi ma precisi tratti grafici e di colore marca le differenti atmosfere narrative. Il registro visivo, difatti, muta con forza nel momento in cui i protagonisti si avvicinano al palazzo del Re del Ghiaccio, la nemesi del racconto, e si carica di inquietudine goticizzante da ghost stories. Battaglia deve aver visto le straordinarie incisioni che Gustave Doré realizzò per le favole di Perrault, ricche di castelli che si profilano nella luce lunare e di boschi che inerpicano i propri rami rinsecchiti su inquietanti arroccamenti rocciosi. La forte matrice illustrativa è evidente nel racconto L’Uccello di Fuoco e nelle immagini realizzate per Il Re Bazzaditordo e per Le principesse al ballo. Nel primo, il riferimento iconografico dell’autore è rintracciabile tanto nelle incisioni duecentesche degli incunaboli miniati quanto nel medievalismo tardo settecentesco e del periodo romantico. Gli altri due lavori, realizzati come illustrazioni legate al racconto scritto e non come narrazione a fumetti, denotano la matrice delle stampe ritrattistiche ottocentesche: le figure riempiono le rappresentazioni, gli ambienti sono assenti o appena segnalati. In entrambe le storie emerge con forza la cultura fumettistica di Battaglia e il suo intelligente e sperimentale – per l’epoca – uso del sistema linguistico della vignetta: le figure o gli ambienti emergono dai bordi della cornice, la determinano, la frammentano o, addirittura, si fondono con essa. Con le avventure dello sfortunato Giamìl, Battaglia, dovendo raffigurare un racconto arabeggiante, dato il riferimento storico-artistico, non può che elaborarlo nelle sue stupefacenti e articolate decorazioni: cupole color oro ornate di ghirigori ricchissimi, abiti damascati e gioielli raffinati e preziosi convivono in un affascinante patchwork grafico con nubi dal taglio rigido e geometrizzante o volute di fumo evanescente e sfumato. Ancora una volta, il fiabesco si intromette nel reale, confondendone e sintetizzandone le componenti sceniche.

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Discorso non dissimile può essere fatto per Il gigante egoista – che dà il titolo a questo volume – in cui Battaglia adatta un racconto di Oscar Wilde. Il messaggio veicolato dalla breve fiaba è semplice: i bambini, con la loro spontaneità e la loro fame di vita, sono germogli in attesta di sbocciare e il compito del mondo adulto è quello di accogliere e lasciare libero tale spirito. Non a caso, il giardino del Gigante, abbandonato dai bambini, diventa un tetro scenario glaciale, in cui gli antropomorfi freddi venti del nord danzano come inquietanti creature demoniache di un sabba mortifero. Con forza, Battaglia alterna nel tratto le nette e contrapposte atmosfere del racconto: primavera e inverno convivono nelle tavole, bilanciando la composizione delle stesse e delle vignette al loro interno. In Battaglia, dunque, la dimensione fiabesca si fa segno grafico, la forma più che la narrazione diventa il fulcro artistico del prodotto, in cui le forme stilizzate si pongono in giustapposizione con le altre, compartecipando con il tratto più realistico all’espressione della dimensione onirica che ogni favola porta con sé.


1.

Il Re del Fiume d’Oro


Pubblicato per la prima volta sul «Corriere dei Piccoli» n. 52, 1968, 8 tavole


L

ontano lontano, all’ombra di alti monti dalle vette nevose, si estendeva un tempo una valle attraversata da un fiume limpido detto “fiume d’oro” che le assicurava la fertilità. La valle era detta “valle dei tesori”.

Sotto un cielo sempre sereno, la valle

risuonava del rumore dei lavori campestri. Ma non s’udivano voci umane. i contadini lavoravano mesti e silenziosi…

…o almeno, sì, qualche voce s’udiva… Ehi, voialtri! giù quelle schiene! Lavorate, lavorate o non avrete la paga, ma il bastone!

O fratelli… il pranzo è pronto, lo servo subito!

Proprio così! i padroni della valle,

i fratelli Hans e Nero, erano l’uno più cattivo dell’altro.

Andiamo a mangiaChissà cosa re, Hans… togliti avrà preparato, di torno, tu! quel moccioso di Gluck?

Avete sentito, Hans, Nero? La bufera ha devastato tutte le valli vicino alla nostra!

E che ce ne importa?

Noi abbiamo il vento di sud-ovest che tiene il cielo sereno! Ehi, Gluck, noi andiamo all’osteria!

Tu bada all’arrosto, e non fare entrare nessuno!

A

vete dunque capito che uomini erano hans e nero, e che ragazzo fosse il giovane gluck: mite, buono e trattato come un servo. ra accadde che una piovosa sera d’inverno…

O

Dovremmo avere la casa piena di luce… dovremmo dividere questo arrosto con gli amici! dovremmo…

Bussano! Dio mio, ma chi osa bussare alla nostra porta?

Sì, fratelli.

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Oh!

Finalmente! Apri, ragazzo mio, e fammi entrare!

Entrare? oh, non posso signore! di che avete bisogno?

M

a la pietà fu più forte della paura e Gluck disse… Entrate… ma non appena scaldato, signore, andatevene! Se vi trovassero i miei fratelli…

Oh bella! Di scaldarmi! Non vedi come sono bagnato? Ah, che bel calduccio! E che odorino!

Ma in quale momento… Gluck, mangiapane a tradimento, dove sei?

Oh, mi inonda tutta la casa!

Oh, guai se i miei fratelli… be’, vi darò la mia parte signore!

Son vecchio, ho fame… mi daresti un po’ d’arrosto?

È pronto l’arros...toh! E chi è quel nanerottolo?

Dio mio… i miei fratelli!

Chi è?! Chi l’ha fatto entrare? E cos’è quest’acqua per terra?

Via, via, non aver paura, ragazzo!

Fratelli… era così bagnato che…

Ah, sì?

Prendi questo!

E questo…

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Un momento!


No? Ebbene, ne troverai lo stesso!

Ma cos’è stato?

ti torco il collo!

Ehi, nanerottolo, cerchi dei guai, tu?

Io? No davvero, signori!

Ma…

Ebbene, stanco del mio solito lavoro, ero venuto qui. Me ne vado. Ma tornerò a mezzanotte, e quella sarà l’ultima volta che verrò in questa valle!

È scappato! accidenti, Gluck… ora ti stacco le orecchie!

Gliele stacco io! Fare entrare in casa certa gente!

Ahi!

E

poi, Hans e Nero si rimpinzarono d’arrosto… Passami il vino, Nero! E quelle patate!

Ehi! Che succede?

Ecco qui! Accidenti, come piove! Ah! Scappi! Hai paura, eh?

Piovve sempre più

forte fino a mezzanotte. All’ultimo tocco, cominciò a soffiare il vento, furibondo, senza essuno tregua… aveva mai visto un vento così…

Nero! Ma questa è una bufera!

N

Una bufera nella nostra valle? impossibile!

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Impossibile, signori? E chi lo dice?


E

F

Proprio io! Come v’avevo detto, non mi vedrete più… eccovi il mio biglietto da visita, addio…

quando il mattino dopo guardarono dalla finestra…

u una notte terribile, quella! Hans e Nero non riuscirono a chiudere occhio. Il vento scoperchiò e devastò la loro casa…

Nero! Guarda! Guarda!

E

ah!

Tutto distrutto! Ah, torceremo il collo al nanerottolo!

cco ciò che restava della “valle dei tesori”…

È stato un incantesimo!

O fratelli, non potrete farlo! Guardate il suo biglietto! MalediCi è zione! Come rimasto camperemo, ancora ora? dell’oro: faremo gli orefici. E da uno guadagneremo dieci!

Da uno dieci? Ma come?

I

l vento di sud-ovest mantenne la parola. non spirò più sulla “valle dei tesori”, che inaridì, e divenne un deserto. La miseria bussò alla porta di Hans e Nero.

Così fecero i due disonesti fratelli; e costrui-

to un forno cominciarono a fondere gioielli di pessimo oro. Che ti dicevo? qualcosa guadagniamo, no?

Mischiando l’oro con il rame. La gente attorno è così ignorante che non se ne accorgerà!

E

un giorno…

Sì, fratelli!

Gluck, noi andiamo all’osteria!

Bada al crogiolo, capito?

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G

luck stava dunque attizzando il fuoco, quando…


Ma chi siete voi?

Ascolta. Sali in cima al monte, fino alla sorgente del fiume. Fa’ cadere in essa tre gocce d’acqua santa: e tutto il fiume diverrà d’oro! Ma bada…

Dio mio, ma chi ha gridato?

Non mi riconosci? Sono il vento di sudovest, re del fiume d’oro! Sei un bravo ragazzo, Gluck, e ti voglio aiutare!

Sono io, Gluck, ragazzo mio!

…è concessa una sola prova: e chi getterà nella sorgente acqua impura, verrà trasformato in pietra! Addio! Un momento… ma…

C

osì, il re del fiume d’oro disparve, sera, lasciando Gluck perplesso. ubriachi, tornarono Hans e Nero… Ehi, ma qui manca dell’oro dal crogiolo!

A

Gluck, ti metti a rubare, eh? Fuori l’oro!

G

luck narrò tutto ai fratelli. Alla fine… Che ne dici? Sarà vero?

Bah, potremo andare a vedere… ci pensi? Un fiume tutto d’oro!

Sciocchezze! A quella penserò io! La ruberò in chiesa!

Pietà, fratelli! Vi dirò tutto!

C

Sì, domattina partiremo! Ma, perbacco… e l’acqua santa?

osì Hans fece: e il giorno dopo i due malandrini partirono per l’aspra montagna…

salirono per rocce vertiginose, attraversarono grandi distese di neve…

Che sole!

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E che sete! Dammi un po’ della tua acqua!


Aah!

Ma in quel momento…

Ehi, maledetto, danne anche a me!

Acqua, in nome di dio!

Solo una stilla d’acqua, per pietà! Muoio di sete!

Cosa?!

E muori pure! Che ce ne importa?

L’acqua serve a noi, tu hai vissuto abbastanza!

I

due giunsero infine alla sorgente… Eccoci! su, Nero, getta l’acqua santa!

Avremo un fiume d’oro zecchino per noi!

Due rocce nere: ecco cosa rimase di Nero e di Hans!

Intanto, Gluck… Sono passati dieci giorni, e i miei fratelli non tornano! Il fiume scorre come prima… che sia accaduto qualcosa? Andrò a vedere… Cos’è questo? Ma… che accade?

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Gluck chiese umilmente dell’acqua santa a un vecchio frate, che la benedisse apposta per lui…


C

osì il ragazzo, tutto solo, salì per l’aspra montagna…

Che strada faticosa! E che terribile sete!

M

a dopo alcune ore di cammino… In nome di dio, pietà! Un po’ d’acqua, muoio di sete!

Povero vecchio! Eccovi la borraccia: ma, per favore, non bevete tutto!

Gluck riprese

la sua strada. Gli era ora rimasta poco acqua santa, ma pur sempre bastante per quello che voleva fare…

Il cielo ti compensi, figlio mio! Povero cane! Stai morendo di sete, vero? Non ho quasi più acqua… puoi avanzarmene un poco?

Strano! Il sentiero si fa più dolce, ed è tutto fiorito ora… oh!

M

a il cane bevve fino all’ultima goccia! Non importa! La tua vita, amico cane, vale più dell’oro!

Ma…

È inutile! Non m’è rimasta nemmeno Seguimi! una goccia Perché sei d’acqua! giunto solo ora? I tuoi fratelli, li ho trasformati in rocce!

Oh! Il re del fiume d’oro!

Sì, Gluck! Benvenuto! Seguimi, ti porterò alla sorgente!

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Oh, perché? Essi avevano l’acqua santa!

L’acqua rubata e negata a chi muore di sete non può essere santa! Eccoli, i tuoi fratelli!

Voi siete giusto e saggio… ma lasciatemi piangere!

Piangi, sì! E che le tue lacrime cadano nella sorgente! Addio!

No, no! Non andate via!

Gluck allora sedette alla sorgen-

Forse il re s’è preso beffe di me… non importa! mi guadagnerò l’oro lavorando! Lascerò la valle, e andrò per il mondo!

te: ma non accadde nulla, il fiume continuò a scorrere come prima…

Addio, Gluck! Il fiume d’oro… è tuo!

Ma, giunto in vista della valle dei tesori…

l

a valle era rinata! Le acque del fiume erano tornate limpide e azzurre, e verdeggiavano vasti prati punteggiati di alberi! E nel cielo spirava il vento di sud-ovest…

E

Oh, sì, comprendo! L’acqua di questo fiume è veramente oro, perché la valle è di nuovo fertile! È tornata la pace…

così Gluck tornò correndo nella valle, riscattata dalla sua bontà: e in essa visse a lungo e felice…

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2.

Il Re Bazzaditordo


Pubblicato per la prima volta su «Corriere dei Piccoli» n. 18, 1972


C’era una volta un vecchio re che aveva una figlia. La principessa era molto capricciosa, ma così bella che tanti sovrani venivano a chiedere la sua mano. Lei, però, li derideva tutti. Diede del baccalà ad un re alto e magro, derise un secondo: «Basso e grassottello, sembri proprio un bel porcello!». Quando si presentò un bello e simpatico re che aveva il mento un po’ lungo gli disse: «Ecco il re Bazzaditordo!». Questa volta il padre si arrabbiò davvero: «Ti darò in moglie al primo vagabondo che verrà alla porta, parola di re!».

Alcuni anni dopo si presentò alla porta del palazzo un suonatore di organetto. Il re lo fece salire e gli disse: «La tua musica mi è molto piaciuta! Eccoti una moneta e mia figlia in sposa!». La principessa strepitò, batté i tacchi, ma non ci fu nulla da fare: sposò il vagabondo e se ne andò dal palazzo per seguire il marito. Cammina, cammina, attraversarono grandi boschi, vasti prati ed entrarono in una splendida città.

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«A chi appartengono questi bei posti?», chiese la principessa. «Sono del re Bazzaditordo!», rispose il marito. La principessa sospirava e pensava: «Povera Me! Avessi sposato Bazzaditordo il re!». Giunsero finalmente a una misera casupola. «Di chi è questa misera casettina?», chiese la principessa. «Oh, questa appartiene a me, e ora pure a te!», rispose il marito, e aggiunse: «Abbiamo camminato tanto! Ho fame e sono stanco, ma taglierò la legna, mentre tu preparerai la cena». La principessa, però, non sapeva da dove cominciare, e il marito, con pazienza, le dette una mano.


Così vissero da povera gente per alcuni giorni. «Abbiamo fatto i fannulloni, ma ora, se vogliamo mangiare, dobbiamo lavorare!», esclamò il marito. «Preparerò, con la creta, vasi e stoviglie, e tu andrai in città, per venderli al mercato!». La principessa, triste e avvilita, andò al mercato, dispose le stoviglie in un angolo e aspettò i clienti. La venditrice era molto carina e la gente comperava volentieri, ma a un tratto un soldato ubriaco spinse il suo cavallo tra le pentole e le distrusse in mille pezzi.

La poveretta tornò a casa disperata. «Non si rimedia a nulla piangendo! – Le disse il marito – Non sai fare neppure questo, ma io conosco il cuoco del re Bazzaditordo: ti prenderà come sguattera e, in cambio, avrai da mangiare». Così la superba principessa lavava i piatti e lucidava gli argenti della tavola di re Bazzaditordo. Un giorno, nella cucina, tutti erano in gran fermento: nel Palazzo si dava una festa, per re Bazzaditordo prendeva moglie. La povera principessa fece capolino nella sala. «Misera me – sospirò piangendo – Avrei potuto essere io la sposa di quel re cortese e buono!».

Voleva fuggire, ma una mano le si posò sulla spalla. Era di re Bazzaditordo, che la guardava con tenerezza e un po’ di ironia. La principessa la guardò sbalordita: suo marito e il re si assomigliavano in maniera impressionante. «Sì, siamo la stessa persona – sorrise il re – Mi sono travestito per amor tuo, per moderare il tuo orgoglio, e vedo che la lezione ti è servita!». Venne vestita con gli abiti più belli, e il re la presentò a corte come la sua sposa. C’era anche il vecchio padre, che sapeva tutto, e che abbracciò, felice, la figlia rinsavita.

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3.

Le principesse al ballo


Pubblicato per la prima volta su Corriere dei Piccoli» n. 34, 1973


C’era una volta un re con sette figlie. Erano così belle che venivano chiamate “le sette bellezze”. Il re era felice anche perché le sette sorelle andavano molto d’accordo. Ma c’era un mistero nella loro vita: tutte le mattine le principesse trovavano le loro scarpette logorate, e nessuno era mai riuscito a scoprirne il motivo. Il re, allora, emise un bando: “Avrà in moglie una delle mie figlie ed erediterà il trono, chiunque risolverà l’enigma”. Un soldato disse che era pronto ad accettare la sfida. Lo udì una vecchina, che lo prese in disparte e gli parlò così: «Vai pure, ma non bere il vino che le principesse ti offriranno, e, soprattutto, fai finta di dormire! Predi anche questa mantellina: chi la indossa diventa invisibile!». Ringraziata la buona vecchina, il soldato si presentò al re e si dichiarò pronto a scoprire il segreto delle scarpette. Quella sera fu condotto nella stanza delle principesse.

La maggiore di esse, con cortesia, gli offrì una coppa di vino. Il soldato finse di bere, e rovesciò il vino in un vaso; poi si distese su una poltrona e cominciò a russare profondamente. Le principesse, tutte allegre, indossarono abiti meravigliosi. A mezzanotte, la maggiore batté tre volte il piede, il letto sprofondò e comparve una scala. Le principesse la discesero, e il soldato, indossata la mantellina, le seguì.

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Scendi, scendi, arrivarono a una viale scintillante, i cui alberi avevano foglie d’argento; il soldato invisibile ne staccò un rametto. La più giovane delle principesse sentì il rumore e si spaventò, ma le sorelle, non vedendo nessuno, risero dei suoi timori. Continuarono a correre verso un viale con alberi dalle foglie d’oro, poi verso uno con alberi le cui foglie erano di splendidi brillanti; il soldato staccò altrettanti rametti. Arrivano, alfine, sulla riva di un fiume.

Là le aspettavano sette principi su sette piccole navi, in ognuna delle quali prese posto una principessa. Su una delle navi salì anche il soldato invisibile. Quel principe disse: «La barca mi sembra più pesante questa sera! Per fortuna è l’ultima notte: domani saremo liberi!». In un castello sulla riva opposta, le principesse ballarono tutta la notte, tanto da consumare le scarpette. Poi lasciarono i principi con tante promesse e tornarono a casa. Il soldato, protetto dal suo mantello fatato, corse veloce alla sua poltrona e ricominciò a russare.

Il mattino dopo, il soldato si presentò al re, mostrò i tre rametti con foglie d’argento, d’oro e di brillanti, e raccontò quello che aveva visto. Le principesse non poterono negare, ma erano ugualmente felici: avevano ballato ogni sera per sette lunghi anni, per rompere l’incantesimo che teneva stregati i principi; così chiesero al re il permesso di sposarli. Il soldato rinunziò volentieri a una delle principesse e al trono; chiese solo un sacco d’oro. Ne ebbe sette, di sacchi, e se ne andò dalla reggia felice e contento.

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«Ciò che avevi di più prezioso me lo hai già dato: una lacrima.»

Quando la componente orrifica incontra quella fiabesca, il risultato non può che essere sorprendente. Attingendo a racconti popolari, grandi classici e capolavori di Oscar Wilde, fratelli Grimm, H. C. Andersen e John Ruskin, Dino Battaglia rielabora nel suo stile personalissimo, acuto e sperimentale, undici

storie che hanno appassionato nei secoli intere generazioni. Le sue più tipiche tinte cupe e gotiche si uniscono ad atmosfere trasognanti ed evocative, in un’operazione che va oltre la mera sintesi e trasposizione e sfocia in nuove caratterizzazioni delle narrazioni.

Dino Battaglia (Venezia 1923 – Milano 1983), considerato uno dei maggiori autori italiani di fumetto, è stato il primo italiano a conquistare il premio di “Miglior Disegnatore Straniero” al Festival di Angoulême. Dando corpo ad atmosfere indefinite e misteriose, Dino Battaglia evoca con il suo pennino silenzi inquietanti e luci abbaglianti – anche grazie al supporto di una tecnica inconsueta nel fumetto come il tampone – e vedono così la luce fumetti che ancora oggi non smettono di sorprendere per la loro elegante e inquietante potenza espressiva.

edizioninpe.it ISBN: 978-88-36270-86-6

euro 19,90


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