L'intervista assassina

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l’intervista assassina di Luciano Faraco © 2016 dell’Autore dei testi © Solone srl per questa edizione © degli aventi diritto per le immagini utilizzate Collana: Narrativa, 16 Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa e Supervisione: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Stampato presso Peruzzo Industrie Grafiche SpA – Mestrino (PD) Grafica copertina Nicola Pesce Fotografia © istockphoto.com NPE – Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) recapito postale NPE c/o mbe via Brodolini, 30/32 z.i. 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it facebook.com/edizioniNPE twitter.com/NicolaPesceEdit instagram.com/edizioninpe


Luciano Faraco

L’intervista assassina



Scrivere è come suonare un blues, quando cominci non smetti piÚ. luciano faraco



Parte I

L’Imponderabile



«Un margarita e una piñacolada ecco serviti!» Antonio il ragazzo del bar fece scivolare il vassoio sul tavolino. «Ma come fai a bere questa schifezza?» Sbraitò Alex mentre aggrediva il margarita. Per lui un drink era solo margarita. Era un vero intenditore. Una volta, durante una vacanza alle Maldive, il barman del resort gliene servì uno che al posto del sale, sul bordo del bicchiere, aveva lo zucchero: fece una tale scenata che quel poveraccio, a causa del diabolico affronto, quasi venne licenziato. Alcuni anni prima, insieme a un suo amico, aveva fatto un tour in California e negli stati limitrofi e in ogni posto che visitavano, città o paesetto sperduto che fosse, il loro mantra era "assaggiare un margarita!". Alla fine del lungo e trionfale tour il migliore risultò quello bevuto in un vecchio e decadente bar, d’origine messicana nei pressi di Flagstaff in Arizona. Una brocca da mezzo litro con tanto ghiaccio e alcool. Al terzo giro dovettero chiamare un taxi per tornare nello squallido e unico motel, di quarta categoria, che il paese offriva. Alex, trent’anni appena compiuti, moro con quei ricci trasandati 9


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che ricordavano un po’ gli anni settanta, un bel paio d’occhi azzurri, di quell’azzurro colore del mare della costiera amalfitana. Era un tipo che piaceva alle ragazze, ma non lo sapeva, o meglio, non lo percepiva. Nella vita era un timido e introverso pianista. Mentre suonava ai concerti o nelle serate di piazza era consapevole di essere guardato dal pubblico, osservato, però, credeva, che ciò accadesse solo perché in quel momento era protagonista della scena, non immaginava certo di suscitare eccitazione ed interesse nel pubblico femminile. Ad ogni fine concerto, nel momento in cui gli spettatori si avvicinavano ai musicisti per commentare e guardarli da vicino, lui provava disagio e cercava sempre di defilarsi. Suonava molto bene anche la chitarra e la batteria. La musica era il suo lavoro, la sua passione, la sua vita. Collaborava con vari gruppi e nei periodi di magra dava lezioni private ai bambini. Quest’ultimi lo adoravano, era molto paziente e gentile, ci sapeva fare con loro, trasformava la lezione in un gioco mettendoli a loro agio e facendoli esprimere liberamente. Alex riusciva a farli sentire dei veri musicisti grazie a brevi e allegri concerti che organizzava con altri ragazzi della stessa età. Non era mai stato fidanzato veramente, eppure non era quasi mai single. In quel periodo era una di quelle rare occasioni in cui lo era, forse, chissà, lo aveva fatto capitare apposta per le vacanze che amava trascorrere in quella piccola isola del Mediterraneo. Al bar "La piazzetta", il più frequentato dell’isola, non è che ci fosse un gran via vai di gente. All’interno un tavolo era occupato da una coppia di cinquantenni, un altro da un ragazzo che leggeva un quotidiano sportivo con una birra appoggiata sul tavolo a fargli compagnia. Al bancone, su di uno sgabello era seduto Manuel. Aveva in mano un bicchiere con un succo di frutta e ogni tanto ne buttava giù un piccolo sorso. Appena poteva usciva dal vicino 10


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pronto soccorso dove lavorava come infermiere e veniva a parlare un po’ con Antonio. Spesso aveva dei tempi morti, non sempre c’era qualcuno da soccorrere. Erano due anni che lavorava in quel posto e non ne era molto soddisfatto. Il dottore che dirigeva quel piccolo distaccamento dell’ospedale dell’isola era un tipo molto sicuro di sé e non gli dava molto spazio. Aveva poca fiducia in lui (sul lavoro) e quando c’era da intervenire su di un paziente preferiva chiamare un suo collega, di cui si fidava ciecamente. Manuel soffriva di questa situazione ma non aveva il coraggio di discuterne con il dirigente, accettava in silenzio le sue decisioni e cercava di farsene una ragione. Eppure, non aveva mai commesso sbagli così eclatanti da giustificare una tale mancanza di fiducia nei suoi confronti. Evidentemente il suo atteggiamento, il suo modo di fare, lo rendevano agli occhi del dottore un tipo poco affidabile. Per questo motivo appena poteva, usciva e veniva a sfogarsi al bar. Gli piaceva l’ambiente che c’era nel locale, Antonio era un tipo molto simpatico e allegro che lo teneva nella giusta considerazione: quando entrava lì si dimenticava di tutto, faceva un pieno di autostima per poi tornare al lavoro carico e sereno. L’isola non era molto grande e il locale si trovava proprio nella piccola piazza nelle vicinanze del porto. L’anno precedente il sindaco, nonostante le scarse finanze del comune, era riuscito a far costruire un nuovo molo per dare spazio alle molteplici imbarcazioni che nella stagione estiva sostavano sempre più numerose. I turisti negli ultimi anni si erano moltiplicati, d’estate c’era sempre il pienone e molti arrivavano con imbarcazioni proprie, attraccavano al molo e invadevano le stradine strette dando ossigeno all’economia isolana che viveva quasi esclusivamente di questo. Mentre beveva un sorso del drink che gli aveva portato Antonio, ad altezza d’occhi di Alex, avvolto in uno shorts rosso molto sgam11


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bato e attillato, sfilava un sedere da fare invidia a quello della modella della Roberta, una famosa casa di abbigliamento intimo dei tempi passati, il cui poster in formato gigante campeggiava lungo le strade di ogni città provocando molto spesso turbamento e ingorghi. Alex rimase per un attimo incantato a fissarlo mentre gli passava davanti, pensando che potesse essere un manichino che stavano trasportando dal vicino negozietto di costumi. Alzando lo sguardo si rese conto che chi lo portava a spasso era una ragazza in carne ed ossa. Greg, il suo compagno in questa vacanza, era girato verso il televisore in fondo al locale, e proprio in quel momento si stava voltando verso Alex per commentare le notizie di calciomercato che davano al tg sport. Greg aveva i capelli biondi, un sorriso disarmante ed era di una spanna più basso dell’amico. Quando erano insieme li chiamavano Starsky e Hutch, sembravano proprio i due celebri poliziotti dei telefilm americani degli anni settanta. Si alzò di scatto per darle il benvenuto, ma poggiò inavvertitamente il palmo della mano sul vassoio con ancora il suo drink, fece forza e il vassoio che sporgeva di qualche centimetro dal tavolo si impennò facendo catapultare il bicchiere ancora pieno sul petto della nuova entrata, per poi frantumarsi a terra. Un frastuono fece sobbalzare tutti i presenti. Il contenuto del drink scivolò lentamente sulla pelle abbronzata della ragazza, e la fettina di ananas si andò ad intrufolare nel suo decolleté. Greg era rosso di vergogna e non riusciva a proferire parola. Goffamente tentava con un fazzolettino di carta di pulire il liquido dal top della ragazza, senza avere il coraggio di guardarla in faccia. Lei in un primo momento si spaventò vedendosi arrivare il bicchiere addosso, poi vedendo Greg tutto mortificato e affaccendato 12


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a rimediare al disastro, scoppiò a ridere, e voltandosi verso di lui esclamò «hai un bel sistema per avvicinare le ragazze!» Il bianco viso di Greg s’infiammò. Poi con gli occhi supplicanti chiese l’aiuto dell’amico che nel frattempo era ancora seduto intento a gustarsi la scena insieme a tutti i clienti del bar. «Usa questi sistemi solo con le ragazze al di sopra della media in fatto di bellezza» intervenne Alex togliendo dal notevole imbarazzo Greg. «Possiamo offrirti una bibita o una granita?… Per farci perdonare…» proseguì. «Grazie… prendo un margarita» rispose la ragazza mentre si metteva seduta. «Antonio porta un altro margarita… si è aggiunta un’altra persona al mio club» ordinò Alex al barman. Il loro tavolo era il più vicino al grande bancone e non c’era bisogno di gridare per farsi udire da Antonio. Si poteva quasi dire che quel tavolo era riservato a loro poiché negli ultimi dieci giorni, a quell’ora del pomeriggio erano sempre stati seduti lì. Alex era conosciuto sull’isola in quanto ci veniva ogni estate, da quando aveva dodici anni, con i genitori. Quando era un ragazzino, durante le noiose giornate estive, in compagnia dei suoi amici o spesso pure da solo, aveva avuto l’opportunità di scoprire ogni angolo dell’isola, tutte le spiagge, anche quelle alle quali si poteva accedere solo via mare. Era agile e molto resistente alla fatica. A volte spariva per interi pomeriggi alla scoperta dei luoghi più nascosti. Conosceva posti che nemmeno gli abitanti stessi ricordavano. La mamma lo vedeva ritornare la sera, spesso sporco di terra. Gli piaceva arrampicarsi su sentieri scoscesi alla ricerca non sapeva nemmeno lui di cosa. Forse cercava solo la sua libertà. «Io sono Greg e lui Alex scusami per prima ma quando ti ho vista… così all’improvviso mi sono tutto… come dire… eccitato? Vo13


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levo darti il benvenuto ma ho fatto davvero un gran un macello». «Piacere, Eva. Se ti sei eccitato vedendo me quando vedrai la mia amica Miriam mi sa che ti dovremo legare su una sedia per evitare una catastrofe, lei è molto più… appariscente di me». Eva indossava scarpe da ginnastica bianche, calzini bianchi corti, e tutto nel suo aspetto denotava un’indole sportiva. Un visino dolce e sorridente, coperto in parte da una frangetta, nascondeva la sua natura da combattente. Gambe ben definite, snelle, braccia affusolate, ventre piatto, l’abbronzatura dava un effetto lucido alla pelle. Una di quelle ragazze che puoi incrociare nel parco mentre fai jogging e che ti passa davanti correndo saltellando sulle punte. Che quando la incontri per la prima volta ti suscita solo invidia. Poi man mano che la conosci… l’invidia aumenta! «Siediti qui con noi, ci dai una mano ad annoiarci. Secondo me la vera vacanza è quando hai un po’ di tempo che ti avanza… anche per annoiarti… perché no. E tu? Che fai? Da dove sbuchi? Quando sei arrivata? Dove alloggi?». Alex di solito non era così espansivo, anzi, aspettava sempre che fossero gli altri ad avvicinarlo, non era mai il primo ad attaccare bottone. Questa volta però la nuova venuta suscitava in lui parecchio interesse da fargli superare le barriere della timidezza. «Vacanza, mare, oggi, porto… Ecco ho risposto a tutte le domande in un secondo. Ho vinto qualcosa?». Era sempre pronta a fare nuove amicizie e questi due ragazzi dall’aria intelligente e scanzonata la divertivano. Per lei il mondo era pieno di persone interessanti, toccava solo trovarle e per fare ciò le dovevi prima conoscere. Nel frattempo arrivò Antonio con il vassoio. «Quanta tequila ci hai messo… se è troppa rimango a dormire qua». «Il giusto, conosco bene le dosi». 14


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Era barman da dieci anni e ne aveva 27. Era specializzato in cocktails. Il sabato sera lo si poteva ammirare mentre li preparava lanciando le bottiglie e i bicchieri in aria per poi riprenderli al volo, da vero maestro di cocktails acrobatici. Si vantava del fatto che non aveva mai fatto rompere nulla in tutta la sua carriera. A detta sua aveva lavorato nei migliori locali e pub in giro per il mondo. Era alto e sempre impeccabile nella sua divisa, credeva in quello che faceva e aveva la fortuna di fare un lavoro che gli piaceva. Ben visto dalla clientela, si era integrato perfettamente con gli isolani. Sul lavoro aveva un certo carisma, dietro il bancone mostrava tanta sicurezza nei propri mezzi e nello stesso tempo metteva allegria. C’erano clienti che venivano quasi esclusivamente per la sua simpatia, aveva sempre una parola per tutti e la battuta pronta, specie con le ragazze. Una bella persona, insomma. Nel bar di Gino lavorava da poco più di un anno. Si era presentato un sabato mattina e la sua fortuna era stata che il precedente ragazzo del banco era cascato dalla moto la settimana prima e si era rotto il femore della gamba destra. Gino, dopo aver passato una settimana d’inferno dovendo lavorare per due turni consecutivi e oltre, accettò senza nemmeno provarlo, e non se ne pentì mai. Ormai quel locale con Antonio aveva assunto una nuova e precisa identità. Alex, Greg ed Eva furono immediatamente sulla stessa lunghezza d’onda. È un mistero come ciò sia possibile: tre perfetti sconosciuti, per caso, s’incontrano, ma fin dalle presentazioni sembra quasi che si conoscano da sempre. Si direbbe una specie di miracolo. Fu proprio il loro caso. Si piacquero da subito e cominciarono a frequentarsi. Quella stessa sera s’incontrarono di nuovo ed Eva portò con se anche la sua amica Miriam che effettivamente era una gran 15


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bella ragazza. Molto diversa da lei, più alta di almeno dieci centimetri, capelli biondi e occhi celesti, a differenza sua che era castana e aveva gli occhi scuri. Era il tipo di ragazza che aveva la consapevolezza che quando entrava in un posto qualsiasi, tutti non potevano fare a meno di guardarla. Portava sulle labbra carnose un rossetto rosso scuro, la bocca, leggermente aperta, lasciava intravedere il bianco dei denti dandole un aspetto molto sensuale. Aveva la pelle chiara che emanava un profumo naturale molto intenso inebriando le persone che le passavano accanto. Un bel seno completava l’opera. Andarono a cena al porto, in un ristorantino di un amico di Alex, dove si cucinava solo pesce pescato la mattina stessa. Era un locale molto semplice, tavoli di legno apparecchiati con tovaglia di carta, un acquario con spigole, orate etc… la classica ancora attaccata al muro vicino ad una ciambella di salvataggio su cui era stampato il nome del ristorante "Il marinaio". Mangiarono frittura di paranza con limone e insalata. Finirono poco prima delle undici. La serata invitava a passeggiare. I riflessi delle luci del porto sul mare nero conferivano alla notte un’atmosfera poetica. Le barche a riposo dei pescatori sembravano guerrieri addormentati, cullati dal movimento del mare, in attesa della battaglia del giorno dopo. Su alcuni yacht ormeggiati, quelli più grandi, si faceva festa, si banchettava e si sentivano ogni tanto gridolini di donne che ridevano e si divertivano. In cielo una luna bianca e luminosa guardava compiaciuta. «Questo posto è meraviglioso, sembra fuori dal tempo». Eva era incantata dall’atmosfera, sia del posto che da quella creata dai suoi nuovi amici. Alex si sentiva a suo agio come non mai, nonostante le avesse appena conosciute, era riuscito ad essere pure brillante durante la serata, cosa per lui inconsueta. Di solito ai primi appuntamenti con persone nuove stava molto sulle sue, faceva condurre la serata a Greg, si metteva in disparte e ascoltava, ogni tanto interveniva con 16


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battute banali e scontate per poi ritornare ad ascoltare. Questa volta invece era molto su di giri, forse era anche merito delle ragazze che, nonostante fossero molto belle e attraenti, facevano della semplicità il loro stile di vita, ed erano anche estremamente intelligenti. Si trovarono ad approfondire l’ultimo libro letto da Miriam sui vari significati dell’amore, un argomento che li coinvolse e li fece discutere per un bel po’. Poi passarono a commentare i telegiornali, i quali a detta di Eva erano sempre più faziosi, grazie alla divulgazione di notizie ad arte in base all’effetto che avrebbero dovuto produrre sull’opinione pubblica. Nello stesso tempo, però, non si fecero mancare anche delle grasse risate provocate dalle battute di Greg. Stava per nascere un bel gruppo, una bella amicizia. Mentre al porto di sera regnava la calma e la tranquillità, le stradine poco distanti erano colme di gente. I turisti affollavano i viottoli. Chi si fermava a guardare i souvenir esposti sui banchi dei piccoli negozi, chi passeggiava con passo lento gustando un gelato, chi rincorreva il figlio piccolo che sgusciava tra la folla, chi sceglieva un paio di orecchini. L’isola sapeva essere romantica e viva, come una cartolina, in bianco e nero o a colori. L’appuntamento era fissato per il giorno dopo al molo, da dove tutte le mattina alle dieci in punto Franco con la sua barca "Il fauno" portava i turisti a fare i bagni più belli della loro vita. Conosceva mille calette dove ci si arrivava solo via mare. Imbarcava al massimo venti persone in una barca che poteva contenerne anche quaranta, e questo lo faceva per dare la possibilità agli ospiti di stare più comodi. Navigava intorno all’isola allontanandosi a volte fino alle isolette che si trovavano nei dintorni e ogni 30-40 minuti entrava in un’insenatura e gettava l’ancora, dando la possibilità ai turisti di tuffarsi nelle fresche acque color smeraldo. 17


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Risalivano e si rituffavano in continuazione. C’era chi approfittava per guardare i fondali con maschera e pinne, chi entrava in acqua dalla scaletta con addosso la ciambella di salvataggio, chi arrivava a nuoto alla spiaggia e si stendeva al sole. Poi a mezzogiorno e mezzo Franco "il capitano" come era chiamato da tutti a bordo, preparava il pranzo, bruschetta al salmone, pasta con i pomodori del suo piccolo terreno e bottarga, un bicchiere di vino, una fettona di anguria fredda e infine il caffè. Era un modo di divertirsi molto semplice e naturale, e valeva molto di più di un viaggio chissà dove e chissà quanto lontano. I turisti apprezzavano Franco, ci sapeva fare, sapeva essere sia burbero e deciso, sia gentile e generoso, come un classico capitano. C’era gente che trascorreva le vacanze sull’isola da anni e prenotava le gite con lui puntualmente. Alex era un ottimo nuotatore ma Eva era quella che si allontanava di più e aveva più resistenza degli altri. Si susseguivano tra i due gare di tuffi, di resistenza sott’acqua e nuoto. Spesso era Eva ad avere la meglio. Ad un certo punto il capitano ancorò la barca all’imbocco di una grotta. Era una galleria che sbucava dalla parte opposta della parete rocciosa. Lei fu la prima a tuffarsi, entrò nella grotta, nuotò per parecchi minuti nel buio fino a raggiungere l’uscita dall’altro lato. Dimostrò tanto di quel coraggio da fare colpo pure sul capitano. Miriam invece preferiva sdraiarsi al sole, aveva fatto la forma della sindone sul suo telo. Ogni tanto un tuffo, ma subito risaliva e si sdraiava. Oltretutto nell’acqua era stata anche punta da una medusa. In quel punto erano rare ma evidentemente ne era bastata una. Da quel momento ne rimase ben lontana. Miriam, a differenza di Eva, era l’antitesi della sportività, amava il mare ma non per nuotare, l’acqua era solo un mezzo per rinfrescarsi tra un’abbronzatura e l’altra. Per lei lo sport era una cosa completamente inutile, toglieva energia e 18


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faceva invecchiare la pelle. Fin da bambina non ne aveva mai praticato uno. La cosa importante nella sua vita era apparire bella e gentile, vestirsi sempre di tutto punto e mantenere un aspetto gioviale. La madre la portava in giro come un trofeo, era sempre stata molto bella ed era cresciuta avendo un unico obiettivo: rimanere tale il più a lungo possibile, eventualmente sempre. Era molto intelligente e con gli anni era diventata una ragazza impegnata, leggeva tanto, partecipava a raccolte fondi per le varie associazioni di volontariato. Per un periodo aveva fatto parte anche della protezione civile, si era scrollata di dosso quell’aria da bambolina che le aveva appiccicato la madre e aveva scoperto che nella vita c’erano anche tante altre cose interessanti, anche se non aveva perso la vanità, era rimasta molto bella e le piaceva piacere. Mentre Miriam era assorta a prosciugare il sole, Greg intratteneva gli ospiti a bordo. Aveva un talento naturale nel fare intorno a sé un cerchio di persone intente ad ascoltarlo. Dovunque si trovava e in qualsiasi circostanza era sempre contornato di gente. O erano barzellette o racconti nei quali era stato protagonista, oppure storie accadute ad altri e raccontate magistralmente da lui. Era un uomo colto, si intendeva di un po’ di tutto. Un tuttologo. Ma non erano le cose che raccontava ad essere particolarmente interessanti, bensì il modo con cui lo faceva. Affabile, accattivante, sapeva essere misterioso mentre parlava in modo che chi gli prestava attenzione rimanesse incollato per sentire il finale. La sua maniera di raccontare lo rendeva anche molto simpatico e poi aveva una risata contagiosa e chi l’ascoltava non poteva fare a meno di ridere. Faceva il banchiere, non il bancario ma il banchiere. Il padre gli aveva intestato alcune azioni di una banca in cui lui era il maggior azionista e quindi si era trovato, dopo la laurea in economia, a gestire i suoi soldi, e questa era la sua principale occupazione. Insomma non se la passava tanto male. 19


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Gli abiti che indossava erano solo Gucci. Per non parlare delle scarpe, quelle sportive le faceva arrivare dall’Australia in quanto le trovava solo lì, le "Red Stone". Una marca che a detta sua gli calzavano a pennello. Finito il meraviglioso giro dell’isola attraccarono al molo riservato alle barche dei residenti. Cotti dal sole e dalla stanchezza della giornata, i turisti, dopo essere scesi dalla barca, si dispersero in fretta recandosi ognuno alle proprie abitazioni o ai propri alberghi per una doccia rigenerante, per pulire la pelle dal sale. «Mi raccomando… aspettami per il margarita». Eva salutò i due ragazzi dando loro appuntamento per il pomeriggio al bar, e si avviò verso l’albergo insieme a Miriam. Alex e Greg risiedevano in una villetta di proprietà dei genitori di Alex. Si trovava nella parte alta dell’isola e per raggiungerla si doveva percorrere una salita ripida di circa un chilometro immersa in una zona molto verde. Principalmente per questo motivo Alex possedeva un piccolo scooter e quando si recava al mare lo lasciava nel cortile di fianco al bar "La piazzetta". Gino glielo faceva parcheggiare lì da sempre. Inforcarono lo scooter e si avviarono su per la salita. Arrivati a casa, lasciato il mezzo sul retro, si tuffarono nella piccola piscina di plastica, di quelle che si gonfiano; era quello uno dei momenti più belli della giornata. La casa non era molto grande ma alquanto funzionale. Aveva un bellissimo terrazzo dal quale si poteva godere di un incantevole panorama. Al piano terra c’erano, oltre a una cucina di discreta grandezza, un grande salone e un bagno. Salita la scala si arrivava nella zona notte con tre camere e relativi bagni. Negli anni erano stati fatti alcuni lavori affinchè diventasse più comoda per una vacanza al mare. Nel giardino era stato costruito un gazebo fisso. Alla fine del prato era stata installata un doccia con acqua 20


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anche calda. Ma la cosa che piaceva di più a Alex era il grande barbecue con una tettoia. Era il posto dove lui passava la maggior parte delle sue serate. Dopo aver fatto una doccia veloce e mangiato svariate fette di melone, s’incamminarono a piedi verso la loro consueta meta pomeridiana: "La piazzetta". Sarà stato l’ambiente o le persone che lo frequentavano, o più semplicemente che non c’era molto altro da fare sull’isola, resta il fatto che non riuscivano a non passare il pomeriggio a prendere il loro drink preparato dalle sapienti mani di Antonio. Una volta giunti, si sedettero al solito tavolo e attesero spiluccando qualche nocciolina. Dopo dieci minuti entrarono le due ragazze creando un brusio di ammirazione tra i presenti. Era inevitabile. Avevano un colorito del tipo "mi sono addormentata al sole per tre ore", e il top bianco che avevano scelto entrambe spiccava in modo abbagliante. Antonio portò al tavolo la loro ordinazione e si fece sfuggire un complimento di ammirazione per le due splendide nuove clienti. Parlarono del più e del meno e come al solito Greg tenne banco con i suoi discorsi. Questa volta stava descrivendo l’origine delle grotte di San Josè a Valencia in Spagna che aveva visitato durante una crociera l’estate precedente. Descriveva con molta precisione la camera dei pipistrelli, il lago di diana, la cattedrale. Poi ascoltando Child in time che in quel momento stava passando alla radio, attaccò a parlare della storia dei Deep Purple, della loro discografia, della loro origine e della loro formazione iniziale con i soli Ian Gillan e Roger Glover e dell’evoluzione del famoso gruppo musicale, fino ad arrivare, qualche anno dopo, all’acquisizione di Ritchie Blackmore e Jon Lord. Greg era fatto così, affascinava quando raccontava, ma a volte non 21


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si rendeva conto che parlare a ruota libera in quel modo alle sei del pomeriggio dopo una giornata passata sotto il sole di agosto, poteva provocare un profondo sonno con relativo russare anche a delle allegre e spensierate giovani ragazze. Per evitare che prendessero il prossimo traghetto e ritornassero da dove erano venute, intervenne Alex: «Che ne dite se andassimo a riposarci per qualche ora e ci vedessimo stasera a cena a casa mia ?». Accettarono immediatamente. Si alzarono e mentre Eva e Miriam sparirono oltre la porta d’entrata, i due amici si recarono da Peppino a prendere un po’ di pesce fresco da fare sulla brace la sera. Sull’isola Peppino era una specie di mito, faceva il pescatore da sempre. Figlio di pescatori, da bambino, durante l’estate, appena la scuola terminava, seguiva il padre per mare, aiutandolo con le reti, e quando non andava con lui lo potevi incrociare sulle secche nei paraggi dell’isola e col fucile subacqueo riusciva a portare a casa ricciole, seppie, sogliole, scorfani e quant’altro il mare gli offriva. I ristoranti della zona lo aspettavano e con pochi soldi gli compravano tutto quello che era capace di pescare. Cominciò cosi la sua carriera di pescatore. Peppino ancora oggi è il fornitore numero uno di quasi tutti i ristoranti del porto e non solo. «Hai un giardino stupendo, ha qualcosa di magico!» disse Eva comodamente seduta tra il rosaio di rose rosse da un lato e quello di rose fucsia dall’altro. Di fronte a loro ardeva ancora la brace dove poco prima i gamberoni avevano finito la loro vita terrena. La serata era trascorsa serena. Le ragazze si erano trovate a loro agio. Avevano portato un paio di bottiglie di Falanghina che avevano contribuito a rendere il clima molto allegro. Alla fine della cena, dopo aver terminato in quattro un tiramisù al pistacchio che era per otto persone, si erano sdraiati sui lettini sotto un letto di stelle. L’atmosfera era romantica. Avevano chiacchierato mangiato e bevuto, sembrava che 22


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l’inevitabile finale della serata era già scritto, e i protagonisti non aspettassero altro. Il feeling tra Eva e Alex era lampante così come l’attrazione tra gli altri due. Il finale a letto, i bookmakers inglesi, l’avrebbero dato non quotabile visto il più che probabile esito. Ma… John Lennon scrisse: «La vita è quello che ti succede mentre sei impegnato a fare altri programmi». Forrest Gump diceva: «La vita è come una scatola di cioccolatini non sai mai quello che ti capita»… Già… quello che ti capita… E quella sera, alle 23.14 di un mercoledì di fine agosto, capitò l’imponderabile… l’improbabile… l’impossibile. Il cielo fu percorso da una scia luminosa abbagliante, sembrava che si spaccasse in due lasciando passare nel mezzo una striscia di mille colori tutti sulla tonalità del rosso. Seguì un boato fragoroso che i quattro ragazzi poterono udire molto vicino. Saltarono dai lettini all’unisono guardando, increduli, in direzione del forte rumore e videro una gigantesca vampata salire oltre la cima degli alberi a non più di 300 - 400 metri di distanza da loro. Dopo un primo momento di plausibile sgomento e spavento, senza nemmeno guardarsi in faccia cominciarono a correre in direzione della luce. Superato il primo tratto asfaltato si dovettero immergere nella boscaglia. Mentre correvano un odore acre saliva loro alle narici. Poi il fumo, più si avvicinavano e più aumentava facendo diventare difficile anche respirare. «Cosa può essere successo?» Ansimò Alex. «Non lo so, sembra fuoco. Anzi sicuramente è fuoco!» rispose Eva tra un colpo di tosse e un respiro affannoso. «Credo che sia caduta una fiamma dal cielo e abbia incendiato qualcosa!» aggiunse. Il fumo denso rendeva difficile trovare la direzione giusta tra la vegetazione che in quel tratto era molto fitta. Il terreno era scosceso e loro dovevano procedere in leggera salita per raggiungere il luogo dove si trovava il fuoco. Avanzavano adesso molto più lentamente, 23


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la vista era limitata, gli occhi bruciavano, si respirava a fatica. Mentre arrancavano, Alex venne assalito da un terribile presentimento, che man mano che procedeva diventava sempre più una certezza: quella direzione portava verso un luogo da lui conosciuto bene. Un brivido gli percorse la schiena facendolo rimanere quasi senza respiro quando vide il sentiero che portava verso il cancello di casa di Stefano, uno dei suoi più cari amici ai tempi delle scorribande nei boschi dell’isola. Al loro arrivo, la casa di Stefano era completamente avvolta dalle fiamme e un caldo opprimente faceva sì che loro non riuscissero a proseguire. Le fiamme superavano di gran lunga il tetto di casa. Si fermarono non sapendo cosa fare. Se avessero proseguito si sarebbero trovati in condizione di pericolo visto il gran fumo e le alte fiamme, allo stesso tempo, poteva esserci qualcuno che aveva bisogno di loro. Alex si ricordò che a poche decine di metri sulla destra dell’edificio scorreva un piccolo ruscello. Vi guidò gli amici e una volta raggiunto si immersero nell’acqua per trovare un po’ di refrigerio. «Dammi la tua maglia!» urlò Alex in preda ad una comprensibile agitazione. «A cosa ti serve?» chiese Greg. Alex si bagnò completamente nel ruscello, inzuppò ben bene la giacca che aveva, l’appoggiò sulla testa, prese la maglia di Greg, la mise davanti alla bocca e il naso e cominciò a correre verso la casa del suo amico. Il fumo non lo faceva respirare bene, il filtro della maglia sulla bocca era appena sufficiente a non farlo morire asfissiato. Corse con tutta la forza che aveva. Una volta raggiunto lo spiazzo davanti alla casa gli si parò davanti l’immenso rogo. L’occhio gli cadde alla sua destra e vide distinto,disteso dietro un albero, il corpo di Sarah la moglie di Stefano. All’apparenza sembrava senza vita. Le si avvicinò, mise l’orecchio sul petto di lei e una volta sentito il battito si rialzò e corse verso 24


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l’ingresso della casa. Li vicino il calore era insopportabile. Si sporse verso l’interno e vide una figura che barcollava. Era Stefano, con una coperta addosso che dalla testa scendeva fino ai piedi. Si vedeva che non riusciva a stare quasi più in piedi, ma non si decideva di uscire. Lo chiamò urlando, ma lui non si girò nemmeno, sembrava in trance. Alex raccolse tutto il suo coraggio ed entrò, giusto in tempo per sorreggere Stefano il quale ormai senza più forze stava per crollare. Lo prese da sotto le braccia, lo portò fuori e mentre lo trascinava verso il luogo dove era distesa la moglie e sentiva l’uomo che farfugliava cose incomprensibili e si agitava, rendendo più difficile il soccorso. Lo adagiò per terra vicino alla moglie. Il fumo e il calore erano ormai insopportabili. Girò lo sguardo di nuovo verso la casa in fiamme, guardò Stefano e Sarah e solo allora si rese conto del perché l’amico poco prima si trovava ancora a girare all’interno della casa, sfidando come senza rendersene conto, le fiamme… mancava all’appello Ricki, l’unico figlio della coppia, aveva sei anni. Fece in tempo a vedere il tetto che crollava e un attimo prima di perdere i sensi, voltò lo sguardo sul lato della casa, sulla destra si stagliava la coda di un aereo. Il piccolo aereo quadriposto era un aereo da addestramento partito da un non lontano aeroporto. Ancora non si sapevano le cause del disastro, molti abitanti dell’isola avevano visto una palla di fuoco che precipitava, quindi si presumeva che avesse avuto un guasto durante il volo tale da farlo esplodere. A bordo furono trovati due cadaveri completamente carbonizzati, probabilmente erano allievo e istruttore. Se avesse fatto poche altre centinaia di metri avrebbe dimezzato la portata della tragedia in quanto non sarebbe finito sulla casa ma nei boschi. Stefano si era salvato perché al momento dell’impatto era intento 25


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a sistemare il tagliaerba nel capanno degli attrezzi, che si trova a una decina di metri dalla casa. Sarah si trovava invece sotto il portico a leggere un romanzo, seduta sul dondolo che le aveva regalato la madre per il suo compleanno. Era stata scaraventata a dieci metri di distanza dalla forza dell’impatto ed era rimasta priva di sensi per aver battuto violentemente la testa. Adesso si trovava nel piccolo ospedale con alcune escoriazioni e scottature, ma non aveva riportato ferite gravi. Le avevano somministrato dei sedativi per alleviare il dolore e farla dormire. Anche il marito era in ospedale a pochi metri da lei ma in un altra stanza. Era conciato male per via del fumo che aveva inalato. Dal capanno degli attrezzi aveva sentito un boato e aveva sentito vibrare tutto, era caduto ma appena rialzatosi, dopo un primo momento di sbandamento era corso fuori e vista la casa in fiamme si era subito precipitato dentro alla ricerca di Ricky. Marito e moglie non si erano resi conto di quello che era accaduto veramente, ne avevano solo subito le conseguenze. Ma il peggio per loro purtroppo non era ancora arrivato. Alex era seduto su un sasso nel piazzale davanti alla casa, vicino aveva i suoi tre amici, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, i palmi delle mani aperti appoggiati sotto al mento reggevano la testa, i capelli ancora bagnati davano riflessi lucidi sotto la luce della luna. Eva disse: «tra poco sarà l’alba e del bambino ancora non si sa nulla». I vigili del fuoco erano riusciti a domare l’incendio, si vedevano solo fili di fumo che salivano verso il cielo. Erano stati chiamati immediatamente da un vicino di casa di Stefano che abitava in una villetta a poca distanza, appena visto il fuoco aveva composto il numero telefonico. Il camion dei pompieri era arrivato dopo circa dieci minuti. Alcuni di loro avevano subito soccorso i feriti privi di sensi, mentre gli altri si affrettarono a sciogliere le pompe direzionando i getti d’acqua verso l’apocalisse. 26


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Le prime luci dell’alba illuminarono la figura alta del Maresciallo dei pompieri mentre usciva dai fumi residui dell’incendio tra le macerie nere e bagnate della casa. Man mano che camminava verso la folla assiepata nel piazzale antistante si poteva scorgere la piccola sagoma che portava delicatamente tra le braccia. Aveva le lacrime agli occhi. Anche lui aveva un bambino pressappoco della stessa età, e stasera lo poteva rivedere. Il leggero vociare della gente si fermò di colpo. Ammutolirono tutti. Quel bambino lo conoscevano ovviamente tutti gli abitanti della piccola isola. La commozione era palpabile. Il corpicino venne posto su una barella che venne poi messa nell’autoambulanza. Alex non riusciva a guardare, si girò dall’altra parte, anche lui aveva nella mente quel bambino che correva sulla spiaggetta vicino al porto, sorridente e felice mentre il padre teneva l’aquilone e correva insieme a lui. L’autoambulanza partì portandosi dietro una scia di tristezza. La gente che si era raccolta davanti alla casa si guardava con aria incredula. Fino a quel momento avevano avuto lo sguardo fisso sulle macerie. Si formarono dei piccoli gruppetti di persone, a bassa voce si scambiavano sensazioni di angoscia. Quella notte era stato uno spot a favore del destino per chi crede nel fato, oppure una serie innumerevole di coincidenze per chi crede nella casualità. Fatto sta che, una disgrazia del genere, con una tale violenza e imprevedibilità, gli abitanti del luogo non l’avrebbero mai dimenticata. Le sciagure fortunatamente erano rare. L’ultima enorme disgrazia avvenne quattro anni prima, i primi di novembre quando, durante una burrasca, la barca di un pescatore fu ritrovata, la mattina dopo, senza equipaggio a due miglia dalla costa. Partirono alle cinque della mattina precedente. I due marinai di poco più di vent’anni arrivarono miracolosamente a nuoto a terra. Ma del comandante non fu trovato più nulla. I pescatori vanno per mare e si sa a volte il mare può tradire. 27


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Questa volta era diverso: essere presi in pieno da un aereo mentre stai trascorrendo la serata nella tua casa con la tua famiglia in tutta tranquillità è un fatto che sconvolge. Ti fa perdere i punti di riferimento, è difficile da accettare, anche da parte di chi non è stato coinvolto. «Torniamo a casa» sussurrò Eva. «Purtroppo qui non c’è più niente da fare». S’incamminarono verso casa di Alex, prendendo il tratto di strada asfaltato che era poco distante. Durante la camminata nessuno parlò. Non ne avevano la forza, avevano passato tutta la notte in quel putiferio. I passi erano lenti e un po’ strascicati. Il cielo era limpido quel mattino, l’aria era fresca e senza vento, tutto era tornato tranquillo. Arrivati davanti al piccolo cancello, Miriam disse: «saliamo con voi un attimo… vi va?». Fecero cenno di sì con la testa. Salirono i sei gradini che portavano all’ingresso e si sedettero sotto il portico. Si erano fatte le dieci ormai, Greg andò in cucina a preparare il caffè. Tornò dopo dieci minuti con il vassoio con quattro tazze e un piatto con dei biscotti, un bricco col latte completava il tutto. «Ho sete» disse Eva. Allora Greg si rialzò, tornò in cucina e portò una brocca d’acqua con dei bicchieri di plastica. Soltanto poche ore prima erano tutti e quattro lì con uno stato d’animo completamente diverso da quello attuale. Sereni, rilassati, ed eccitati, anche. Avevano mangiato bene, Alex aveva preparato la brace per arrostire il pesce. Avevano bevuto birra fredda. Si erano divertiti prendendo in giro Greg che voleva parlare sempre, allora appena apriva la bocca, loro tre cominciavano a parlare di altre cose ad alta voce, coprendo la voce di Greg. Avevano riso molto quando Miriam era rimasta col tacco quindici infilato nella grata dello scolo dell’acqua e perdendo l’equilibrio era caduta sedendosi sui rovi delle rose rosse. Insomma la serata prometteva tutt’altro epilogo. Adesso erano spossati e intristiti. Bevevano il caffè, mangiavano un biscot28


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to, ma sempre in silenzio, si sentiva solo il rumore delle tazzine. Davide, il vicino di casa di Alex, si affacciò dal suo balconcino del primo piano e con la mano lo salutò. Alex contraccambiò il saluto e lo invitò a gesti ad unirsi a loro. Dopo qualche minuto era già seduto al tavolo. Davide aveva trentacinque anni, era nativo del posto, viveva da solo nella casa in cui era nato dopo la morte della madre sei mesi prima. Era ancora un ragazzino quando aveva perso il padre in un incidente domestico ancora non chiarito del tutto. Fu trovato senza vita nella vasca da bagno di casa con l’asciugacapelli dentro l’acqua e la spina attaccata alla presa. Davide, anche se aveva cinque anni in più, partecipava ai giochi di Alex e i suoi amici durante l’estate. Una volta salirono sulla cima più alta dell’isola a 400 metri sul livello del mare. Per arrivarci fu molto difficile, i sentieri dapprima abbastanza riconoscibili, diventavano sempre più ripidi e nascosti a mano a mano che si inerpicavano sul monte. I ragazzi erano in quattro, scivolavano frequentemente ma riuscivano in qualche modo ad arrivare in cima. La discesa fu ancora peggio. Ad un certo punto si trovarono di fronte ad un sentierino di venti centimetri al massimo di larghezza. All’andata, in salita, sembrava molto meno pericoloso, forse perché non si vedeva la spiaggia di sassolini 300 metri sotto di loro, in quanto il loro sguardo era rivolto a monte. Era l’unico modo per tornare, scendere lungo il fianco della montagna percorrendo quello stretto sentiero. Il tratto esposto era di circa cinquanta metri, ma erano i più brutti cinquanta metri della loro vita. Erano tutti pentiti amaramente di essersi arrampicati lassù. Ma ormai era troppo tardi per piangere sul latte versato. Il primo che riuscì a passare fu Davide, era il più grande di tutti loro, riuscì a non guardare di sotto e ce la fece. Alla fine del sentiero, quando ormai aveva raggiunto un posto sicuro, fece una cosa che agli occhi del resto del gruppetto risultò molto strana: si girò verso il baratro, si 29


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apri la patta del pantalone, fece la pipì, si risistemò, volse lo sguardo verso i ragazzi, li guardò per pochi secondi e se ne andò via. Alex e gli altri si guardarono senza capire il motivo per cui il loro amico avesse fatto quella cosa. Riuscirono in qualche modo a ritornare casa e per il resto di quell’estate non lo incontrarono più. A volte i ragazzi hanno degli atteggiamenti misteriosi, illogici, che all’apparenza non hanno senso. Probabilmente voleva dimostrare di essere più bravo e di non aver bisogno di loro. Sta di fatto che dopo tanti anni Alex non se lo ricordava nemmeno più quell’episodio. Durante le estati successive si erano rivisti ma senza frequentarsi più di tanto. Alex lo presentò agli altri e quando Davide diede la mano a Miriam rimase qualche secondo con la mano di lei nella sua. Era quello l’effetto che faceva spesso e non solo agli uomini. Sapeva di essere una persona che suscitava ammirazione, sapeva di essere bella e coltivava la sua bellezza, e questo per lei era la cosa più importante. Dava l’impressione della classica oca senza cervello, ma solo all’inizio che la si conosceva, era un atteggiamento voluto, si divertiva a vedere i ragazzi che cercavano di mettersi in evidenza per poterla conquistare, a volte lo permetteva, ma solo se era veramente attratta e per poter essere attratti da lei ce ne voleva, spesso ci giocava, con i suoi corteggiatori, facendogli credere che ce l’avevano fatta per poi lasciarli a bocca asciutta. «Prendi un caffè con noi?» gli chiese Alex. «Sì va bene, con un goccio di latte… È stata una notte tremenda vero?» «Be’, non è cosa di tutti i giorni che ti piova un aereo dal cielo» rispose amaro Alex. «Io non sono andato a vedere, ma posso immaginare. Stefano è ancora in ospedale? Ha saputo del figlio? Mi hanno detto che l’hanno trovato» continuò Davide. 30


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Alex non rispose, era evidente che parlare del bambino lo turbava molto. «Ancora non sa niente, nemmeno la madre lo sa, è sotto sedativi. Più tardi magari andiamo a trovarlo in ospedale» intervenne Greg vedendo che l’amico non rispondeva. «Sarà uno shock tremendo quando lo sapranno» disse Miriam. «L’unico figlio…» replicò Davide. «Anche se non fosse stato l’unico figlio sarebbe stata la stessa cosa, perdere un figlio è la cosa più sconvolgente che può capitare». «Anche io quando ho perso mia madre sei mesi fa sono rimasto sconvolto, è caduta dalla scala mentre puliva i vetri della finestra e ha battuto la testa. Ero lì, ho visto tutto ma non ho potuto fare nulla». «Io credo che sono due dolori diversi perdere la mamma o un figlio». «Sono stanca, vorrei riposarmi un po’ … farmi una doccia». Intervenne Eva interrompendo quei pensieri di morte. «Torniamo in albergo». Riprese Miriam. Alloggiavano in un piccolo albergo nei pressi del porto. Avevano preso due camere separate per avere più privacy. Erano accoglienti, col balconcino che dava sul mare. «Ok ci sentiamo più tardi». Fece Alex. Le ragazze andarono via, anche Davide se ne andò. Rimasero soli, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Ognuno a combattere i propri fantasmi, i propri mostri.

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