L’Uomo del new England Dino Battaglia
L’Uomo del New England
di Dino Battaglia © 2016 – Mosquito – Eredi Battaglia © per questa edizione NPE – Nicola Pesce Editore Tutti i diritti riservati. Collana Dino Battaglia, 6 Prefazione di Marco De Giuli Postfazione di Angelo Nencetti Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio stampa per il volume: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Stampato presso Peruzzo Industrie Grafiche SpA nel mese di aprile 2017 Nicola Pesce Editore (Edizioni NPE) è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe
L’Uomo del New England di Dino Battaglia
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Dino Battaglia Formazione e fonti di ispirazione di Marco De Giuli
Dino Battaglia nasce a Venezia, nel sestiere di Dossoduro, il 1° agosto 1923. Trascorre l’infanzia a Venezia, tra Dossoduro e Santa Croce. Si iscrive al Liceo Artistico ma non ama la scuola: tutte le volte che può la marina e se ne va in giro per la città, tra calli e campi, riempiendosi gli occhi di architetture, opere d’arte, scorci ed atmosfere, luci ed ombre, che andranno a creare, nella sua memoria, un incredibile archivio di immagini filtrate da una eccezionale sensibilità estetica. Altra meta favorita è la biblioteca della Fondazione Querini Stampalia dove letteralmente si nutre di libri e riviste illustrati. Venezia sarà sempre presente nella sua opera, nelle atmosfere magiche e decadenti che saprà ricreare sulla carta. «Per me Venezia è sempre grande e poi è il mio luogo natale, anche se ora ci vado raramente e mi sento quasi un estraneo. A Venezia bisogna viverci. Vi sono dei luoghi che amo particolarmente, ma appartengono al passato: sono bui, cadenti, dimenticati. Sono luoghi un po’ puzzolenti, con le acque stagnanti, dove i palazzi fanno le pance, scendono pian piano. C’è un romanzo incompiuto di Hofmannsthal che parla di questa Venezia e che mi piacerebbe disegnare. Vado spesso a vedere Palazzo Thoron; vi abitava una contessa che, come la Castiglione, accorgendosi che stava invecchiando si chiuse dentro casa abolendo gli specchi. Il palazzo sta crollando e a me sembra di veder passare attraverso i vetri il fantasma affascinante della contessa. Per me Venezia è tutta bella e quando arrivo a Venezia cambio atteggiamento, modo di muovermi, di 3
pensare... E’ talmente importante che non la so descrivere, ci sono tante cose nascoste che non vogliono venir fuori... Dovrei raccontare di certe mattine in cui non andavo a scuola e aspettavo l’ora giusta per tornare a casa senza destare sospetti. Andavo allora nelle chiese: mi ricordo momenti fatti di un quadro, di una statua, di una certa luce, di certe vecchiette, di un sole che illuminava il Canal Grande. Allora mi viene in mente il Canaletto. E’ un mio difetto: mi rifaccio sempre alla letteratura, alla pittura, alla musica. Ed ecco Vivaldi, andavo a vedere il luogo nel quale insegnava alle orfanelle povere alle quali la Repubblica di Venezia offriva una dote. Penso al Longhi, al Tiepolo, alle chiese con i soffitti dipinti...» Una formazione artistica più da autodidatta che scolastica, un archivio di immagini (che spazia da Piero della Francesca a Carpaccio, da Bellini al Giorgione, da Goya a Doré, da Beardsley a Rackham, da Porcheddu a Terzi) al quale attingerà a piene mani nel corso della sua carriera. «Mi piace molto Piero della Francesca, soprattutto perché ho potuto osservarlo anche nei minimi particolari, ad esempio La Madonna del parto esposta a Monterchi: mi piace quella sua immobilità nello spazio, è uno di quei pochi artisti che danno l’impressione di sopravvivere, di aver detto tutto e di essere attuali in tutte le epoche. E poi il Bellini, che ha lo stesso tipo di trasparenza, di limpidità, lo stesso paesaggio anche se immerso nella dolcezza veneta; e poi il Giorgione, il Carpaccio... Mi piacciono anche i Macchiaioli come Fattori e Lega. Poi ci sono i fiamminghi, come Vermeer; non riesco a privarmi di nessuno, dei pittori francesi dell’Arcadia, come Fragonard, o degli spagnoli, El Greco, Velasquez... Ho un debito verso gli illustratori inglesi e tedeschi fino agli anni trenta. Devo tutto ad una tradizione che non esiste più e della quale restano tracce nei libri e nei giornali.» I suoi primi lavori sono illustrazioni per riviste e libri per l’infanzia, per testi scolastici, per romanzi per ragazzi. Da questi emerge chiaramente l’influenza dei grandi illustratori italiani del primo novecento, Mario Bernardini, Beppe Porcheddu, Aleardo Terzi. «Quando ho cominciato a disegnare imitavo i grandi illustratori italiani di inizio secolo: Bernardini, Porcheddu e Aleardo Terzi. Mi ero infatuato del loro lavoro, succede quando si è giovani. Il mio incontro con il fumetto fu del tutto casuale, nel dopoguerra era l’unico campo in cui si potesse lavorare: spariva l’illustrazione in bianco e nero, proprio come si intendeva nel 1929/30 e si faceva avanti il fumetto di tipo americano. Anch’io mi rifeci a quei modelli, i
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prototipi erano Caniff, Foster e Raymond. Di lì a poco, Hugo Pratt mi disse che ero riuscito a somigliare a quelli che ammiravo e che era arrivato il momento di realizzare qualcosa di personale.» Il cinema e la fotografia sono altre importanti fonti di ispirazione per Dino Battaglia: inquadrature, impostazione e montaggio della tavola, effetti di luce, ombre, contrasti bianco/nero e positivo/negativo sono tutti elementi che fanno parte del suo bagaglio iconografico e che vengono filtrati in maniera estremamente innovativa dalla sua mano per ottenere risultati più espressivi e per rendere la rappresentazione grafica più aderente allo spirito dei temi trattati e alla sua personale e inquieta visione della realtà. «Andavo molto al cinema, frequentavo i cineclub, ora non ci vado più. Ricordo con piacere i film di Murnau, Pabst, Dreyer, Lang... Praticamente tutto il cinema espressionista di prima della guerra che mi piaceva soprattutto per l’aspetto visuale. In questi film c’era una volontà di rappresentazione quasi grafica, un legame con Munch e la pittura di quel periodo. Ho provato ad andare in quella direzione ma i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. Amo creare atmosfere ma non ho un tipo di narrazione cinematografica e neanche ispirata al fumetto tradizionale, sono praticamente un illustratore. Vorrei essere il Visconti del fumetto, fare cioè nel fumetto quello che lui è riuscito a fare nel cinema: Senso o Il Gattopardo, per fare un esempio avrei desiderato anch’io farli a fumetti. Mi piace la puntigliosità e la meticolosità con cui rappresenta le cose, il senso di perfezione formale dei suoi film.» A questo si associa una vera e propria ossessione per il grigio in tutte le sue sfumature, fino a fargli assumere, attraverso una continua e costante ricerca, le caratteristiche di un colore a tutti gli effetti. «Quando disegno mi prefiguro quelle che potrebbero essere le zone da riempire con il grigio. Allora prendo un pezzo di carta trasparente e lo delimito con la matita. Fatto questo ritaglio la carta trasparente e con un batuffolo di cotone intinto nell’inchiostro batto sulla parte interessata finché ottengo la tonalità di grigio che mi interessa e di cui ho bisogno. Una volta asciutto, la maggior parte delle volte bisogna ritoccare con la lametta. In ogni caso crea un rapporto di casualità e di pazienza certosina. I grigi hanno il loro supporto, sono colore.» Altra fonte di ispirazione per Battaglia è stata la letteratura. «Amo leggere e questo mi serve per il mio lavoro. Per un certo periodo è stato difficile trovare sceneggiatori o soggetti originali e forse c’è stata anche una
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certa pigrizia da parte mia nel cercare nuove storie... Allora mi sono rivolto alla letteratura per realizzare i miei fumetti. In fondo c’era anche il piacere di reinterpretare dei libri che avevo letto, mi piaceva metterli in immagini; amo molti scrittori, mi fanno compagnia assieme ai musicisti. Sono i miei compagni di lavoro. Amo tutti gli scrittori, i russi, gli inglesi, i tedeschi, i francesi e gli italiani come Manzoni, Gadda o Svevo... Ogni volta che leggo un libro, delle immagini si visualizzano nella mia mente.» Una passione condivisa con la moglie Laura che ha svolto un importante ruolo sia come raffinata colorista delle sue tavole che come collaboratrice alla riduzione dei testi letterari e alla stesura delle sceneggiature. «Il colore non mi piace, mi indispone. Quando mi è richiesto, è mia moglie che colora le mie storie perché io non ne sono capace, ma poi i disegni mi sembrano un po’ meno miei. E’ lei che scrive i testi e realizza gli adattamenti condensando la sostanza spirituale e ideologica d’origine in essenziali battute di dialogo e avare didascalie esplicative. Noi leggiamo molto e ci piace scegliere testi e autori da adattare a fumetti, per ricreare ambienti, abitudini e atmosfere di un’epoca. Mi fido del suo giudizio, le donne sanno giudicare meglio, comprendono meglio gli altri.»
Battaglia e il fumetto Battaglia è sempre stato troppo umile e modesto nei confronti del suo lavoro e delle sue aspirazioni, forse influenzato dal suo amore per l’illustrazione. Illustratore o disegnatore di fumetti? In molti si sono posti questa domanda facendo riferimento ad una presunta mancanza di senso dinamico della narrazione. Nella realtà le sue tavole sono caratterizzate da una straordinaria dinamicità, da una scansione della narrazione per immagini che ne dosa sapientemente tempi e ritmi. Addirittura le sue illustrazioni, nell’evoluzione dell’artista, nella necessità di cogliere l’attimo, di rappresentare un momento significativo della storia che accompagnano, si proiettano oltre il momento cristallizzato dall’immagine, si fanno narrazione, in maniera estremamente fumettistica.
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«Fai finta di cercare qualcosa sotto il sedile... invece prendi il fucile.»
Visivamente impressionante – con il valido sostegno della colorazione da parte della moglie Laura Battaglia – questa è il secondo dei due fumetti che Dino Battaglia realizzò per la collana Un Uomo un’Avventura. Le imponenti foreste di conifere dell’Ame-
rica del Nord durante il periodo coloniale – insieme con gli splendidi attacchi indiani – non possono non ricordare l’illustre Wheeling (ed altre opere) di Hugo Pratt nonché il successivo Tutto ricominciò con un’estate indiana della coppia Manara-Pratt.
Dino Battaglia (Venezia 1923 – Milano 1983), considerato uno dei maggiori autori italiani di fumetto, è stato il primo italiano a conquistare il premio di “Miglior Disegnatore Straniero” al Festival di Angouleme. Dando corpo ad atmosfere indefinite e misteriose, Dino Battaglia evoca con il suo pennino silenzi inquietanti e luci abbaglianti – anche grazie al supporto di una tecnica inconsueta nel fumetto come il tampone – e vedono così la luce fumetti che ancora oggi non smettono di sorprendere per la loro elegante e inquietante potenza espressiva.
edizioninpe.it ISBN: 978-88-94818-06-2
euro 16,90