Nicola Pesce
LA CURA DEL DOLORE
La cura del dolore
di Nicola Pesce © 2020, Edizioni NPE © Nicola Pesce Tutti i diritti riservati. Collana Himself, 3 Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore e Ufficio Stampa: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Illustrazione nell’ultima pagina: Rolando Cicatelli Illustrazione in copertina: © istockphoto.com Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di novembre 2020 Edizioni NPE – Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe Interamente sognato nel Park Hotel di Черкесск (Россия) nella notte tra il 4 ed il 5 gennaio Iniziato a scrivere in Italia l’8 gennaio 2019 Finito il 18 gennaio 2019 #nicolapescehimself
La cura del dolore di Nicola Pesce
Parte Prima
Sebbene il sole splendesse serenamente dal lato del mare, aveva cominciato a cadere una pioggerella sottile, che non dava fastidio. Henry mise entrambe le mani nelle tasche e per qualche motivo si ricordò di quando era piccolo. Gli tornò alla mente un pensiero che aveva covato spesso: tutti intorno a lui erano cresciuti, e soltanto lui non si sentiva ancora un adulto. Dalla stradina di cemento sulla quale passeggiava, spruzzata di sabbia come una madia coperta di farina, cominciò a sollevarsi un profumo appena percettibile di ruggine, mentre le prime gocce la inumidivano e 9
la rendevano più scura. In lontananza, attenuate dal vento, provenivano le grida felici di qualche bambino che per la prima volta faceva il bagno mentre pioveva, e le voci delle madri che temevano chissà cosa e volevano che i loro figli uscissero subito fuori dall’acqua, aspettandoli a riva con gli asciugamani aperti. Raggiunto un chiosco poco distante, ordinò un caffè ed osservò il ragazzo che lo preparava. Aveva una barba scura e molto folta, e probabilmente non più di venticinque anni. Si voltò ad osservare il vento, le persone sulla spiaggia e alcuni gabbiani agitati che volavano più basso del solito; si ridestò solo quando la tazzina fu sbattuta sul bancone con noncuranza. Prese una bustina di zucchero, la aprì e ne versò metà nel caffè, indeciso per qualche secondo se versarne in più o in meno. La poggiò lì accanto e bevve qualche sorso prima di poggiare più monete del necessario su quel bancone e andare via. Lo aveva sempre incuriosito capire come a un pensiero ne seguisse un altro, ma questa volta nemmeno Auguste Dupin, il celebre detective di Poe, avrebbe 10
saputo acciuffarne il filo e comprendere come mai gli era venuto in mente di quel vecchio. Tanti anni prima, in una grande città in cui non era più andato, dove abitava una ragazza dai capelli neri, corti e ricci che non aveva più visto, si era trovato improvvisamente da solo, una sera che era ancora presto. Era entrato in un vecchio pub per scoprire se è vero quanto dicono intorno al bere, che aiuti a dimenticare, almeno per una sera. Aveva scelto il locale più brutto e logoro che aveva potuto trovare, perché non voleva stare in mezzo a orde di giovani che guardavano una partita, pagando liquori da supermercato dieci volte il loro prezzo e cento il loro valore. Desiderava invece un postaccio, con bottiglie impolverate alle pareti e vecchi che annegavano nei bicchierini una vita che era stata abbastanza dura e lunga da renderli molto saggi molto tardi. Lì il suo dolore avrebbe trovato il posto giusto per decantarsi senza marcirgli dentro. O forse Henry voleva un posto brutto per intonarsi alle pareti, per perdersi, e che nessuno lo vedesse. Senza nessuno che 11
potesse sbattergli in faccia una giovinezza vissuta meglio, un viso che fosse più bello del suo, un vestito che fosse più costoso e una comitiva più allegra. Era lì che aveva incontrato quel vecchio. Henry era andato a sedersi nel tavolo più in fondo e con meno luce di tutti; aveva ordinato qualcosa e aveva fatto lasciare la bottiglia, come in un film, perché farsi lasciare la bottiglia sembrava meglio che andarsene in albergo prima di mezzanotte dopo essere stato lasciato. Solo verso il secondo bicchiere si era accorto di una presenza alla sua destra: si era seduto allo stesso tavolo di una specie di barbone e non se n’era accorto. Si era sentito così imbarazzato che non aveva trovato possibile fare altro che offrirgli del liquore, versandolo nel suo bicchiere vuoto. Il barbone lo aveva guardato per qualche secondo di troppo. Dalla semioscurità era emersa una mano che sembrava fatta di cartapesta; aveva afferrato il bicchiere e aveva mandato giù tutto d’un fiato. Henry aveva subito versato un secondo bicchiere. Anche se puzzava di fumo, di amaro e di strada, quel vecchio gli era risultato subito simpatico. Aveva 12
afferrato il secondo bicchiere e stavolta aveva preso a sorseggiarlo con lentezza. Con quel viso avrebbe potuto interpretare uno stregone in un film al cinema. Gli occhi erano stranamente vasti. Forse per la stanchezza, forse per il troppo bere, sembravano arrossati e gonfi di lacrime che non sarebbero mai venute fuori, perché da troppi anni ne avevano perduto la strada. Erano occhi che avevano visto molte cose. Henry avrebbe ricordato in seguito che per un tempo molto lungo non avevano parlato, un tempo che lui non aveva misurato in minuti e ore, ma con la clessidra dell’alcol nella bottiglia, che lentamente diminuiva. Per oltre mezza bottiglia non avevano parlato, ed era stato in quel frangente che ognuno aveva conquistato la fiducia dell’altro. Un po’ come quando si è nel letto al buio e si crede di aver dormito per delle ore, mentre invece non sono passati che pochi minuti – e al contrario altre volte si crede di avere appena chiuso gli occhi ed è già tardi – allo stesso modo il tempo a quel tavolo oscuro era trascorso in una maniera alternativa. 13
Entrambi sapevano che quel simposio si sarebbe interrotto a liquore finito, e bere più in fretta non avrebbe cambiato le cose. Solo quando il liquido nella bottiglia fu sceso al di sotto di una “J”, che stava molto in basso molto vicino al bordo laterale dell’etichetta, il barbone aveva cominciato a parlare. Aveva tirato fuori di nuovo da sotto al tavolo le sue mani, aperte e tremanti, allineate, con le punte dei pollici che si sfioravano, con la stessa sacralità con cui un vecchio guerriero sconfitto avrebbe potuto tirare fuori – da sotto al tavolo – una spada che era stata spezzata. «Allora mi hanno detto di mettere le mani così sul tavolo,» aveva detto con una voce cavernosa e strascicata. Il discorso si era interrotto lì, perché il barbone aveva il fiatone degli ubriachi e gli occhi ancora più umidi che mai. Si era passato fugacemente una mano sul viso ad asciugare una lacrima che non c’era e l’aveva rimessa tremante accanto all’altra, poggiata al tavolo. In quel momento Henry aveva versato un altro 14
bicchierino, con aria bonaria, e l’alcol era quasi giunto al termine. La prima frase con cui il barbone aveva esordito era stata molto deludente. Henry aveva dunque pensato che tutta quella intimità raggiunta nella prima metà della bottiglia, tutti quegli sguardi tra un uomo vissuto e un ragazzo triste, erano stati un grande fraintendimento. A quel tavolo non si erano date convegno due anime che si comprendevano, ma due anime disperate, annegata ognuna in un suo personale limbo, che avevano creduto di comunicare e non l’avevano fatto. Per un attimo, Henry aveva ricordato persino una scimmia che aveva visto una volta allo zoo, che lo aveva imitato in tutto e per tutto, al punto che lui aveva preso a muoversi come credeva facessero le scimmie, e così l’animale aveva copiato un uomo che copiava una scimmia, e tutto questo dietro la tangente di un pugno di noccioline. La tangente del barbone era forse quel poco di liquore, e non stavano facendo altro che scimmiottarsi a vicenda, imitando l’uno gli occhi tristi dell’altro: lui alla ricerca di un irraggiungibile 15
conforto, il vecchio alla ricerca di un bicchierino gratis piuttosto raggiungibile. «E hanno preso uno spillo». Adesso il fiato grosso del barbone non era più per l’alcol, ma per la paura. Stava rivivendo qualcosa, intensamente, e improvvisamente Henry si rese conto di aver bevuto più di quello che credeva: fino a un secondo prima aveva nutrito un sentimento di superiorità nei confronti di quel vecchio e adesso era irrimediabilmente perso nella sua storia. Aveva sentito a propria volta il fiato che gli mancava e i contorni del mobilio del locale si erano fatti più sfumati. I suoi polmoni si gonfiavano e contraevano come un mantice bucato, e soffiavano quel po’ di aria che riuscivano sulle braci della sua paura e della sua ansia. Mentre pensava queste cose ed altre simili a queste, si era accorto di aver mandato giù un altro bicchiere. «Hanno preso uno spillo,» aveva detto il vecchio, «e ce l’hanno conficcato. Qui, e qui, e qui,» ed effettivamente sulle sue mani piene di macchie c’erano tre puntini rossi, come delle piccole punture d’insetto. Una nella parte più carnosa tra il pollice e l’indice, 16
una su una vena del dorso, una poco sotto l’unghia dell’anulare. Il vecchio aveva ritirato le mani di nuovo, come se lo avessero trafitto proprio in quel momento. «Lei è malato, mi hanno detto quei maledetti in giacca e cravatta, e mi hanno trascinato giù, giù, sempre più giù, lungo le scale di quel palazzo. E mano a mano che scendevamo si faceva più antico, come se appartenesse ad un’altra epoca. E mi hanno torturato. Dio se mi hanno torturato. Per anni, notte e giorno. Non c’è stata tregua. Mi hanno tagliato, mi hanno tenuto legato tanto stretto che non potevo muovermi per mesi interi. Mi hanno messo in una bara di pietra in mezzo a decine di altre bare, dove c’era solo un buco di lato da cui potevo prendere il cibo che mi portavano. La chiamavano la bara Mongola. Sono stato lì dentro per dieci anni, o cento, e quando sono uscito non riuscivo più a camminare. Mi hanno bruciato e quanto ho gridato! E ogni volta mi ripetevano: lei è malato». Henry si era perso in quel racconto, ma ad un tratto aveva riacquistato un po’ di lucidità, aveva versato 17
l’ultimo bicchiere al vecchio ed era corso via gettando più banconote del necessario sul bancone. I versi dei gabbiani sulla spiaggia lo riportarono al presente. Un refolo di vento gli diede una piacevole sensazione di benessere e di libertà. Era da tanto che non pensava a quella notte, ma per intere settimane all’epoca non aveva saputo smettere di tornare col pensiero a quel tavolo al buio, a quegli occhi gonfi. Il ricordo era sempre stato offuscato dall’alcol e da una terribile sensazione di disagio, quasi di claustrofobia, ma questa volta era riuscito a ricordare tutto con straordinaria lucidità. Vedeva quei puntini rossi su quelle mani di cartapesta come se li avesse davanti agli occhi in quel momento. Rise di sé stesso e di tutti quei pensieri, rimise le mani nelle tasche e riprese a camminare. Per un po’ ebbe la testa vuota; provava quel leggero senso di colpa che provano gli uomini a cui il padre non ha mai detto “bravo”, quando si trovano ad avere una giornata libera. Anche se le madri avevano portato via i bambini dal mare, la pioggia era cessata quasi subito. Il sentiero di 18
cemento si stava rapidamente asciugando, quando si accorse con fastidio di avere una persona che gli camminava dietro, troppo vicino. Lo sconosciuto avrebbe quasi potuto calpestargli i calcagni. Molte volte nella vita aveva rallentato per far passare qualcuno, magari sul marciapiede che costeggiava un palazzo, oppure si era addirittura fermato, e questo qualcuno lo aveva superato per entrare in un portone pochi metri più avanti. O, ancora, alle volte Henry si era fermato, per far passare una signora dai tacchi rumorosi, e quella aveva scelto proprio quell’istante per fermarsi anche lei a fissare una vetrina alla moda. Ogni volta aveva bofonchiato qualcosa, sbuffato o sospirato. Così in questa occasione decise di proseguire indifferente, per fregare la vita e quei piccoli fastidiosissimi casi. Anzi, accelerò un poco. Davanti a sé, in lontananza un po’ sulla sinistra, vide un signore in giacca e cravatta nere che gli diede subito l’impressione di un qualche tipo di burocrate. La cosa strana era appunto che, così ben vestito e con le sue scarpette lucide, camminava sulla sabbia quasi fosse uscito dal mare. 19
Dopo pochi passi si accorse che, poco più vicino, ma sulla destra, un altro signore anch’egli in giacca e cravatta camminava verso di lui attraversando la strada trafficata e guardandolo negli occhi. Intanto il signore dietro di lui aveva evidentemente accelerato a sua volta. Henry si fermò, lentamente, perché se si fosse arrestato di colpo quell’uomo gli sarebbe certamente finito addosso. Si voltò carico di risentimento perché voleva riuscire a vedere la faccia di quel maleducato che lo aveva tallonato con tanta strafottenza, e con grande stupore si sentì toccare il fianco da una mano gentile e decisa. «La prego, ci segua,» gli era stato detto, mentre gli altri due erano ormai poco distanti.
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