thierry smolderen
origini del fumetto
le
da william hogarth a winsor mccay
LE ORIGINI DEL FUMETTO
da William Hogarth a Winsor McCay © Les lmpressions Nouvelles / Thierry Smolderen 2009 2020 © Solone srl per questa edizione © degli aventi diritto per le immagini utilizzate Collana L’arte delle nuvole, 33 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore e Ufficio stampa: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Coordinamento editoriale: Valeria Morelli Correzione bozze: Domenico Bafurno, Ada Maria De Angelis e Antonio Recupero Revisione: Stefano Romanini Traduzione: Luigi Formola e Andrea Plazzi Grafica di copertina: Sebastiano Barcaroli Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di novembre 2020 Edizioni NPE – Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe
Thierry Smolderen
LE ORIGINI DEL FUMETTO da William Hogarth a Winsor McCay
CAPITOLO 1
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WILLIAM HOGARTH, IMMAGINI LEGGIBILI
CAPITOLO 2
32
GRAFFITI E I PICCOLI OMINI STILIZZATI
CAPITOLO 3
42
I ROMANZI ARABESCHI DI RODOLPHE TÖPFFER
CAPITOLO 4
60
“VAI, LIBRICCINO!”: IL ROMANZO PER IMMAGINI DOPO TÖPFFER
CAPITOLO 5
82
L’EVOLUZIONE DELLA STAMPA, TRA ISTITUZIONE E ATTRAZIONE
CAPITOLO 6
124
A.B. FROST E LA RIVOLUZIONE FOTOGRAFICA
CAPITOLO 7
140
DALL’ETICHETTA AL BALLOON
CAPITOLO 8
150
WINSOR MCCAY : IL TARDO BAROCCO
Olaf Gulbransson, Simplicissimus, 17 maggio 1909.
PREFAZIONE
PER UNA (NUOVA) STORIA DEL FUMETTO di Matteo Stefanelli
Il fumetto è una forma espressiva e un campo intellettuale debole per capacità di impatto culturale – un fatto noto e ancora piuttosto evidente. Meno evidenti sono le ragioni di tutto ciò. Se per qualcuno le cause sono “esterne”, attribuibili alle istituzioni e alle personalità che hanno definito le politiche culturali del Novecento, per altri i nodi sono tutti “interni” e risiedono nella estesa produzione infantile e di intrattenimento, arricchita dall’esplosione del fumetto d’autore solo negli anni Sessanta e del graphic novel negli anni Novanta. Tutto vero, ma un po’ troppo schematico. E un modo per superare questa polarizzazione prospettica è osservare un fronte differente: tra le ragioni di questa fragilità c’è il fatto che, intorno al fumetto, alcune coordinate storiche e questioni teoriche sono rimaste a lungo inesplorate. Il lavoro di Thierry Smolderen è, a oggi, il più importante contributo di ricerca ad avere saldato queste due dimensioni, storica e teorica. Un tentativo brillante, documentato e inventivo, di offrire elementi determinanti per la costruzione del set di idee utili a un più ricco e solido terreno di saperi intorno al fumetto. L’oggetto di questo volume è la Storia del fumetto, in particolare quella passata, lontana e archeologica dei primi tempi in cui questo medium ha iniziato ad affermarsi. Nel titolo al plurale, origini, Smolderen afferma però non solo un perimetro storico, bensì una prospettiva interpretativa: il fatto che si possa – e si debba – ripercorrere la fase aurorale del mezzo non tanto come un’invenzione tecnologica, come ci si potrebbe aspettare dai discorsi sull’affermazione dei diversi media (fotografia, radio, cinema, televisione), quanto come un insieme di fattori espressivi, tecnici, editoriali e di idee che, in parte insieme e in parte in parallelo, hanno “dato forma” a ciò che, tempo dopo, avremmo preso a chiamare fumetto.
Il fumetto non ha avuto un Daguerre né un Marconi o un Lumière. La sua “nascita”, a lungo raccontata molto male e con approssimazioni violente – il mito filoamericano di Yellow Kid, il riduzionismo italiano sul «Corriere dei Piccoli» – è stata un percorso tanto ricco quanto frammentato, persino più della pre-fotografia (Niépce, Talbot ) o del pre-cinema (Muybridge, Reynaud, Edison, Skladanowsky…). La riscoperta delle opere di Rodolphe Töpffer, grazie alle ricerche proprio di Smolderen e di altri studiosi quali Thierry Groensteen e Benoît Peeters, ha assunto dai tardi anni Novanta un ruolo chiave, fissando nell’autore svizzero una funzione di pioniere del fumetto, nella prima metà dell’Ottocento, analoga a quella dei grandi “inventori mediali”. Ma in Le origini del fumetto Smolderen si spinge anche oltre questa nuova, stabilizzata consapevolezza storica e descrive una più ampia genealogia di processi e di personalità che hanno popolato e alimentato il campo di queste origini: William Hogarth, George Cruikshank, Adolf Oberländer, Cham, Gustave Doré, Winsor McCay… La scelta “forte” di partire da Hogarth, da alcuni critici discussa come troppo distante dal campo fumettistico, è motivata da una duplice considerazione. Da un lato Hogarth era il modello cui tutti gli illustratori umoristici dell’Ottocento guardavano e si riferivano, incluso Töpffer. Dall’altro le serie di stampe satiriche narrative – o “romanzi per stampe” (romans en estampes in francese) – dell’artista e incisore britannico si collocavano all’incrocio tra innovazioni tecniche, nuovi media (la stampa) e nuove sensibilità moderne (il Romanticismo, l’epoca Vittoriana), in grado di influenzare profondamente la creazione, la diffusione e la lettura delle immagini disegnate. 7
ORIGINI
DEL
FUMETTO
Gustave Doré, Le Journal pour Rire, 9 ottobre 1852. Xilografia.
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Al centro della sua proposta interpretativa, che proprio nell’analisi del lavoro di Hogarth elabora il contributo più originale, Smolderen colloca la nozione di diagramma, ovvero di stile diagrammatico del disegno. Con questo concetto Smolderen spiega la differenza paradigmatica tra un modo antico e uno moderno di intendere il disegno, come vera e propria scrittura poligrafica. In questo il suo lavoro fa sponda con la tradizione degli studi che hanno decostruito la visione ideologica della stessa scrittura alfabetica, intesa oggi sempre più come forma visiva prima/più che come traduzione dell’oralità. Il fumetto, in questo senso, nasce nel momento in cui una vasta serie di fattori e di processi rendono possibile intendere il disegno e la parola scritta come linguaggi non solo non contrapposti, ma persino sovrapposti e in grado di scambiarsi di ruolo, in un gioco delle parti che Hogarth intuisce e Töpffer pratica con particolare abilità, entrambi in grado di aprire nuove prospettive ai propri contemporanei, disegnatori e lettori. Il risultato di questo approccio è che, una volta tanto, dei saperi sul fumetto qui non si propone un ricettario pronto all’uso. Le origini del fumetto ne è piuttosto un’esplorazione, utile semmai a relativizzare certe facili ricette del passato. Non esiste un “senso” del fumetto, nella misura in cui il fumetto ha avuto diversi “sensi” in epoche differenti, per autori, stampatori e lettori. Il fumetto non si definisce con un set di categorie “ontologiche”, ma con strumenti adatti a esplorarne le differenti dimensioni, declinazioni, configurazioni. In questo siamo vicini, mutatis mutandis, al dibattito che negli anni Settanta fu alimentato, intorno al cinema, dalla reazione dei nascenti Cultural Studies al determinismo testuale della rivista «Screen», tipico prodotto dello strutturalismo allora in voga.
PREFAZIONE
Il fumetto, come ci ha ricordato Smolderen in un dibattito proseguito, dopo il libro, attraverso il confronto polemico con Groensteen sulla rivista «SIGNs» – non è un set di codici stabili, ma un insieme di elementi e procedimenti legati a un contesto: «Uno storico non deve spiegare la storia di una forma partendo dal suo statuto attuale, bensì spiegare lo statuto presente della forma sulla base della sua storia». Una splendida lezione di storia del fumetto che è, soprattutto, una splendida lezione di Storia.
Matteo Stefanelli, critico e curatore, lavora sul confine tra fumetto e industria dei media. Direttore artistico del Napoli COMICON – Salone Internazionale del Fumetto e dell'Animazione, fondatore del sito Fumettologica.it, ha scritto per «Corriere della Sera», «La Repubblica», «Il Fatto Quotidiano», «Il Post», «Lo Straniero», «Flash Art», «Neuviéme Art», «Linus», «Link Idee». Insegna presso l’Università Cattolica di Milano, l’Università di Bergamo e l’EESI di Angoulême. Tra i suoi libri: Bande dessinée: une médiaculture (Armand Colin, 2012) e Fumetto! 150 anni di storie italiane (Rizzoli, 2016).
Chris Ware, The Acme Novelty Library, n° 19, autunno/inverno 2008.
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FIGURA 1.1 William Hogarth, Characters Caricaturas (Personaggi e caricature), 1743. Incisione all’acquaforte su lastra. Il tagliando dell’abbonamento del terzo romanzo a stampa di Hogarth (Marriage – A-la-Mode – Matrimonio alla moda) faceva parte di un’operazione promozionale insieme alla prefazione di Henry Fielding al proprio romanzo Joseph Andrews. Sia per l’illustratore che per il romanziere, fu un modo per marcare chiaramente la differenza tra l’aspetto parodistico e mostruoso della caricatura e il registro comico dello studio sul personaggio, sottolineando al tempo stesso la convergenza tra le storie mute di Hogarth e l’emergente forma del romanzo.
«Chi definisse il geniale Hogarth un pittore satirico, a mio parere, non gli renderebbe onore: di certo è molto più facile, tanto meno è oggetto di ammirazione, dipingere un uomo con un naso, o qualsiasi altra caratteristica fisica di dimensioni spropositate, o evidenziarne alcune espressioni assurde o mostruose, che esprimere sulla tela le emozioni umane. Dire che i suoi disegni sembravano respirare, è stato interpretato come un enorme elogio al pittore; certamente è un riconoscimento più grande e nobile di quanto intendessero». (Fielding 1981). Henry Fielding, prefazione di Joseph Andrews, 1742.
WILLIAM HOGARTH IMMAGINI LEGGIBILI
LA PRIMA FORMA DI ROMANZO GRAFICO
Dalla fine del ventesimo secolo, i fumettisti francesi hanno mostrato un interesse crescente nella letteratura, e oggi hanno la possibilità di parlare del disegno come se fosse una forma di scrittura, una écriture. Senza rendersene conto, hanno ripristinato una tradizione molto antica, ricollegabile al lavoro di William Hogarth, pittore e incisore inglese del diciottesimo secolo. Questa concezione del disegno risale a un periodo in cui l’immagine, e in particolare l’immagine incisa, si prestava a forme di lettura e scrittura di cui oggi non riconosciamo più la ricchezza e la raffinatezza. In realtà, ogni volta che un illustratore contemporaneo ricorre a soluzioni provenienti dal passato (la linea chiara, la linea modellata, la combinazione di stili grafici eterogenei, la rappresentazione schematica di un singolo movimento, l’uso di pose o di espressioni fisiognomiche, la caricatura, i balloon per i dialoghi, ecc.) si ricollega al retaggio di Hogarth e, per il suo tramite, alle origini della cultura delle immagini a stampa. Hogarth è l’artista che ha portato l’arte della stampa nella modernità, combinando, in maniera disincantata, la precedente tradizione di costruzione narrativa per immagini con la letteratura umoristica emersa in quel periodo in Inghilterra. La pubblicazione, nel 1732, di una sequenza narrativa composta di sei incisioni (basate sui suoi quadri originali) ha contribuito all’affermazione di Hogarth in Inghilterra e in Europa. Per quanto molto breve, A Harlot’s Progress (La carriera di una cortigiana, 1732) deve essere considerato un vero e proprio racconto per immagini. Tre anni dopo realizzò A Rake’s Progress (La carriera di un libertino, 1735), composto di otto incisioni. Fece seguito Marriage – A-laMode (Matrimonio alla moda, 1745), un dramma in sei incisioni, e poi Industry and Idleness (Il lavoro e la pigrizia, 1747), composto di dodici incisioni. L’ultima serie di questo genere, pubblicata da Hogarth nel 1750, fu sviluppata su quattro incisioni: Four Stages of Cruelty (I quattro stadi della crudeltà). All’epoca, soltanto pochi polemisti erano interessati al genere esplorato da Hogarth e intuirono l’importanza della sua dimensione artistica. Queste immagini “leggibili” si collocarono tra le notizie e il romanzo, ovvero tra il giornalismo e la nuova forma letteraria nata in Inghilterra e che in Europa aveva rivoluzionato la scrittura romanzesca (Paulson 1996). Ritornando al lavoro di Hogarth, è possibile notare l’esatto istante in cui le origini del fumetto incrociarono la letteratura e la stampa moderna. 11
LE
ORIGINI
DEL
FUMETTO
FIGURA 1.2 William Hogarth, Four Stages of Cruelty (I quattro Stadi della Crudeltà), 1751. Disegno per la prima lastra. Hogarth si preoccupa esclusivamente dell’idea che vuole trasmettere al lettore: il suo tratto elimina tutti i dettagli inutili, stilizzando e sintetizzando. Da questo punto di vista, questo schizzo preparatorio non è molto diverso dalle bozze dei moderni fumettisti. Da Hogarth e dalla tendenza ottocentesca all’illustrazione umoristica da lui ispirata, i fumetti moderni hanno ereditato lo schematismo della cultura dell’incisione, e ulteriori soluzioni grafiche – alcune delle quali risalgono al Rinascimento – dalla satira per immagini e dall’illustrazione.
Hogarth, figlio di un semplice professore di latino che era partito dalla provincia alla fine degli anni Ottanta del XVII secolo, si era formato con le idee di John Locke e Joseph Addison, i quali consideravano l’uomo come un soggetto autonomo la cui stessa identità è stata costruita sulla base delle sue esperienze. Vale la pena evidenziare che Hogarth trascorse parte della sua infanzia con i genitori e due sorelle all’interno di una recinzione del carcere di Fleet riservata a condannati per debiti, e che questa recinzione era chiamata “The Rules of Fleet” (Le regole di Fleet). Fin dall’infanzia egli rispettò le “regole” stabilite dall’alto, quelle della grammatica latina che gli venivano insegnate (senza successo) dal padre e quelle di una società che non aveva pietà per i deboli e che aveva gettato la sua famiglia in prigione. Non stupisce che la detenzione sia diventata un tema centrale nelle opere di Hogarth: ognuno dei suoi cicli narrativi termina in manicomio o in prigione, oppure con un’esecuzione. 12
Il tema principale di Hogarth era quello della libertà compromessa da modelli religiosi, sociali e artistici rigidamente prestabiliti. Nessuno dei suoi personaggi sfuggiva al soffocante schema della “Prigione delle Regole”. Detto ciò, le sue rappresentazioni non rinchiusero mai i lettori dentro questa prigione. Al contrario, il suo linguaggio rappresentava una sorta di liberazione. Hogarth ci invita a decifrare le sue immagini con attitudine estrosa e rilassata, a perderci come lui stesso faceva da bambino, nei vicoli della Fiera di Bartolomeo. Ogni estate, per molte settimane, la Fiera di Bartolomeo si svolgeva nelle vicinanze di Smithfield, dove Hogarth era cresciuto, e offriva una sorprendente varietà di spettacoli. Celebri attori del West End declamavano poesie umoristiche accanto a numeri di pantomima silenziosa, e i funamboli volteggiavano sospesi a otto metri sopra i recinti dove si tagliava la gola ai maiali. All’interno di questo labirinto sconfinato, ogni visitatore inevitabilmente viveva
WILLIAM
HOGARTH : IMMAGINI
LEGGIBILI
FIGURA 1.3 Richard F Outcault. Hogan’s Alley, 20 settembre, 1896. Le illustrazioni a pagina intera di Outcault, piene di avvenimenti, sono parte dell’eredità satirica (e barocca) di Hogarth. Invitano il lettore a osservare liberamente l’immagine e scoprire la declinazione dello stesso tema in più varianti. La prima illustrazione di Four Stages of Cruelty (I Quattro Stadi della Crudeltà – vedi fig.1.2) è stata sicuramente uno dei principali riferimenti per la serie di Outcault. Tuttavia, in questo esempio egli inverte il tema del suo modello: i bambini del vialetto, invece di torturare gli animali, li vendicano attaccando l’accalappiacani.
un’esperienza tipicamente personale, e ciascuno tornava a casa con una storia diversa. Le stampe raffiguranti fiere e mercatini erano state popolari fin dai tempi di Brueghel e Jacques Callot; tentavano di riprodurre “in miniatura” l’entusiasmo di una piacevole passeggiata a una fiera, dove lo sguardo può spostarsi giocosamente da un soggetto all’altro nel caos disordinato. Su questo principio, Hogarth basò una nuova modalità di lettura. Tutte le sue incisioni inducono un costante movimento a zig-zag dello sguardo del lettore. In alcuni casi, si riferiscono esplicitamente al luogo della fiera, come in Southwark Fair (un’incisione del 1733). Nel diciannovesimo secolo, le immagini di Hogarth ispirarono una serie di fumettisti. Le caotiche pagine di Yellow Kid, per esempio, piene di singole situazioni indipendenti, richiamavano intenzionalmente questa tradizione. In seguito, l’effetto confusionario creato da queste immagini si è affermato come una delle grandi costanti grafiche dell’estetica dei fumetti che, per molti versi, hanno continuato a
trasmettere i valori barocchi di varietà e complessità tanto cari a Hogarth. Il primo sguardo a una pagina piena di personaggi minuscoli costituisce prologo efficace alla lettura di qualsiasi fumetto. Gli artisti americani a cavallo del ventesimo secolo – Winsor McCay sopra tutti – adottarono prontamente quest’analogia con gli spazi pullulanti di vita di feste, fiere e luna park per invitare i lettori a immergersi nei loro fumetti. Pertanto, la progressione dettata dalle illustrazioni diviene una specie di “visita guidata” in uno spazio labirintico che ripercorre percorsi virtuali. Nel suo libro The Analysis of Beauty (“L’analisi della bellezza”), Hogarth tornò a una sintassi della complessità del tutto particolare, che, a più livelli, è alla base della sua arte delle “immagini leggibili”. Dedicò un intero capitolo a spiegare come l’occhio, spostandosi semplicemente per naturale curiosità, possa trovare negli oggetti bellezza e piacere che lo obbligano a cambiare continuamente la sua traiettoria. 13
LE
ORIGINI
DEL
FUMETTO
FIGURA 1.4 William Hogarth, frontespizio, The Analysis of Beauty (L’analisi della bellezza), 1753, incisione. Diagramma della serpentina, simbolo della varietà.
FIGURA 1.5 Léon Roger - Milès, Architecture, Décor, and Furnishing of the Eighteenth Century (L’architettura, Le decorazioni, e L’arredamento del Diciottesimo Secolo), n.d. Le “curve bizzarre” dello stile Rococò. Chiaramente legato allo spirito del Rococò, Hogarth, ha dato a questo stile un preciso inquadramento filosofico ispirato all’empirismo di John Locke.
La ricerca è lo scopo delle nostre vite; e anche lontano da qualsiasi obiettivo, essa dà piacere… …L’occhio prova una sorta di gratificazione per i sentieri tortuosi, e per i fiumi serpentini, e per tutti i generi di oggetti le cui forme, come vedremo a breve, sono composte principalmente da quelle che io chiamo, linee ondeggianti e serpentine. Definirò, quindi, la tortuosità nella forma come quella specifica peculiarità delle linee che la compongono, che conduce l’occhio a una sorta di caccia sfrenata (Hogarth 1997, 32-35). Per Hogarth, non c’era alcun dubbio: il motore della vita era la curiosità, il suo campo di ricerca era la diversità del mondo, e la ricerca di senso era un procedimento empirico, una sorta di caccia sfrenata. Il frontespizio del libro sottolinea il carattere centrale di questa dichiarazione di fede. Una linea serpentina coglie l’essenza stessa dei processi della vita racchiusi nei loro percorsi bizzarri. La caratteristica principale della sua linea è quella della vita stessa, con la sua capacità infinita di cambiamento. 14
In ciò, si oppone categoricamente alla geometria coercitiva dei sistemi istituzionalizzati e impersonali che Hogarth rappresenta al fine di demistificarli. I romanzi per immagini di Hogarth, invitando il lettore per un “sentiero tortuoso” da un dettaglio – un indizio – all’altro, propongono il contrario delle storie educative paradossalmente evocate dall’autore. Storie che ripetono senza sosta le stesse verità eterne, mentre Hogarth, in realtà, propone una storia diversa – a volta anche una morale diversa – a ogni lettura. Il suo lettore è invitato a evadere, come dovrebbe fare qualsiasi persona che pensa liberamente, dalle pareti confinanti della Prigione delle Regole. I cinque romanzi per immagini di Hogarth, esposti nei club e nei caffè, generarono discussioni e dibattiti animati. Questo era l’obiettivo che l’autore si era prefissato, avendo già ascoltato delle discussioni avvenute nel suo studio, dove amava mostrare ai visitatori le sue opere ancora in lavorazione.
WILLIAM
HOGARTH : IMMAGINI
LEGGIBILI
FIGURA 1.6 Winsor McCay, Little Nemo (Il piccolo Nemo nel paese del dormiveglia), 26 Novembre, 1911. “La linea della bellezza” reinterpretata da Winsor McCay: barocco sgargiante nell’epoca della cinematografia e delle attrazioni dei parchi a tema. 15
LE
ORIGINI
DEL
FUMETTO
FIGURA 1.7 William Hogarth, Breakfast at Stoke (Colazione a Stoke), Illustrazioni per Five Days’ Peregrination (La peregrinazione dei cinque giorni), 1732. Questi tre studi (Fig. 1.7 e Fig. 1.8) che Hogarth realizzò durante un breve soggiorno sulle rive del Tamigi in compagnia di alcuni amici, testimoniano la modalità schematica del linguaggio divenuta naturale per un artista formatosi nella cultura dell’incisione. Questo resoconto illustrato è sia una considerazione teorica (Hogarth si rappresenta mentre “disegna questo disegno”), sia uno vero e proprio studio sul disegno dal vero. L’uso delle lettere di riferimento, le didascalie per assegnare i nomi e i ruoli dei protagonisti, la scelta delle posizioni e dei gesti che più sono vicini all’idea che l’artista intende trasmettere, sono tipici di questa modalità di scrittura.
Oggi sarebbe difficile immaginare come un’artista potrebbe sperare di catturare l’interesse del lettore con un lavoro che comprenda una serie di illustrazioni di grandi dimensioni, senza dialogo o commento e ricche di avvenimenti, allusioni e trame secondarie. È questo che c’impedisce di vedere una sequenza d’immagini (presentate nelle pagine seguenti) come un valido esempio di fumetto, nonostante gli elementi essenziali siano tutti presenti: le immagini formano infatti una sequenza temporale e causale che racconta, in fasi chiaramente articolate, il destino di un personaggio di fantasia ben identificato. Se ci atteniamo alle definizioni più generiche, non vi è alcun dubbio che la serie di Hogarth appartiene alla categoria della cosiddetta “arte sequenziale”. Eppure, se facciamo riferimento all’impegno necessario per collegare queste immagini tra loro, c’è qualcosa che non convince del tutto. Al posto di una lettura fluida e semiautomatica come in qualsiasi tipica striscia a fumetti, abbiamo, al contrario, una lettura lenta, che invita l’occhio a perdersi nei dettagli e a ritornarci per produrre confronti, deduzioni e parafrasi infinite. La serie di Hogarth esige e richiede un vero e proprio sforzo interpretativo da parte del lettore, e persino un lavoro investigativo. Le immagini sono certamente pensate per essere lette, ma dipendono da una nozione di leggibilità che ha poco in comune con i fumetti di oggi, una nozione che appartiene a una cultura visiva che conosciamo solo da lontano. È una tradizione che non riconosce pressoché alcun valore intrinseco a quella che costituisce per noi la più naturale delle rappresentazioni narrative, cioè la riproduzione oggettiva e documentata di una realtà sensibile. 16
Qui, tocchiamo un punto cruciale della tradizione prefotografica dell’illustrazione da cui, discende in definitiva la cultura del fumetto: in una cultura in cui le immagini sono copiate su lastre di rame o sul legno a ogni nuova stampa, essendo quindi spesso esposte a erosione e degrado (Ivins 1996, 60-63), è la forma dell’illustrazione schematica – il linguaggio del diagramma – a rappresentare il compromesso grafico ideale. Tale forma consente la rapida sintesi di un evento, di un oggetto, di un meccanismo, di un fenomeno, o anche di un concetto, del quale l’illustratore rappresenta soltanto gli aspetti più indicativi, eliminando tutti i dettagli inutili. Lo scopo del diagramma non è trasmettere informazioni visive (nel senso realistico e fotografico del termine) quanto fissarne un significato visuale (molto spesso in relazione al testo allegato). Dati i limiti imposti dalle tecniche dell’epoca, una rappresentazione schematica rappresenta il miglior supporto possibile per l’idea veicolata dall’immagine, cioè l’idea che l’immagine vuole suscitare nel lettore. Sotto un aspetto levigato, le stampe di Hogarth si rivolgevano a una cultura già satura di una varietà apparentemente infinita di sistemi grafici di rappresentazione; la sua satira spinse la tradizione umoristica verso una sfera, che propongo di denominare “umorismo poligrafico”. La regola principe del gioco era veramente “Cherchez le diagramme”. Per riuscire a interpretare le immagini di Hogarth, il lettore doveva navigare attraverso un testo visivo su più livelli, saturo di riferimenti a sistemi raffigurativi contrastanti (dal linguaggio estremamente retorico del dipinto storico fino all‘irriverenza ribelle dei graffiti).
WILLIAM
HOGARTH : IMMAGINI
LEGGIBILI
FIGURA 1.8 William Hogarth, Mr. Somebody & Mr. Nobody, Illustrazioni per Five Days’ Peregrination (La peregrinazione dei cinque giorni), 1732. Realizzati durante lo stesso viaggio (vedi Fig. 1.7), questi due disegni forniscono un buon esempio dell’uso dei simboli e di come all’epoca venivano interpretati. Questa forma molto particolare di scrittura per diagrammi, simile alle allegorie e ai rebus, era l’arma preferita dagli autori satirici (grafici o letterari) della cultura protestante. Nella prima figura, Mr. Somebody, senza testa, è avvinghiato a un traliccio, (Segui il vento dominante, vale a dire, la moda del tempo), accanto a una colonna capovolta e una torre in rovina. Si può dedurre da questi indizi che Mr. Somebody è quel tipo di amante dell’antichità criticato spesso da Hogarth, uno che si definisce “qualcuno” anche se non fa altro che seguire la moda continentale e classica. La seconda figura è una sorta di autoritratto in codice che può essere compreso solo per confronto col primo: l’ampio sorriso di Mr. Nobody e gli oggetti scenici legati alla sua figura (un cucchiaio, un bicchiere, una pipa, un coltello ecc…) fanno di lui un amante della bella vita senza pretese, in grado di contare sulla propria forza (i remi), pensare con la propria testa e camminare con i propri piedi.
Si trattava di un gioco di collisioni stilistiche, contrasti sarcastici e ibridazione che mise a disposizione di Hogarth un potente strumento visivo per dare un senso al mondo metropolitano moderno. Nel successivo periodo della stampa illustrata l’utilità di questo strumento non poteva che aumentare.
Il concetto poligrafico si può facilmente applicare al fumetto del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Si diffonde nell’intero ambito editoriale ed è totalmente centrale nei lavori degli artisti più autorevoli e rispettati, da Richard Felton Outcault, Winsor McCay, George Herriman e Hergé fino a Harvey Kurtzman, Robert Crumb, Art Spiegelman, Bill Watterson, Chris Ware, Marjane Satrapi, David B., David Mazzucchelli e altri ancora.
In effetti, l’approccio poligrafico inteso come strumento espressivo sembra svolgere un ruolo ancora più importante nella forma contemporanea del romanzo a fumetti, di quanto faccia nel fumetto popolare. Ciò avviene perché il concetto si collega fortemente alla forma linguisticamente ibrida del romanzo, che Mikhail Bakthin ha analizzato in molti dei suoi lavori (1982). Questo confronto chiarisce il profondo legame tra gli illustratori umoristici del diciottesimo e diciannovesimo secolo, i moderni autori di romanzi a fumetti e la tradizione letteraria che ha avuto inizio ai tempi di Hogarth con i romanzi di Joseph Fielding, Tobias Smollett e Laurence Sterne, per poi svilupparsi nel corso del diciannovesimo secolo con le opere di Charles Dickens e William Makepeace Thackeray.
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Molti sono stati i volumi realizzati per descrivere la storia del fumetto dai suoi inizi ad oggi. Ma mai era stato affrontato in precedenza il tema fondamentale di cosa ci fosse prima del fumetto. Quali pittori, quali artisti, quali illustratori di quotidiani hanno dato origine a questo straordinario mezzo di comunicazione? Questo saggio, riccamente illustrato e pluripremiato in Francia, viene pubblicato per la prima volta in Italia e condurrà il lettore agli inizi dell’Ottocento, fino ad arrivare ai primi del Novecento. Dai pittori sequenziali a quando i grandi editori di quotidiani americani del XX secolo scoprirono che le vignette domenicali facevano vendere piÚ copie. Uno straordinario volo pindarico sul fumetto, prima del fumetto.
ISBN: 978-88-97141-85-3
edizioninpe.it Edizioni NPE euro 22,50