L'Emozione delle Immagini

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L’Emozione delle Immagini di Ivo Milazzo © per questa edizione: Solone srl NPE – Nicola Pesce Editore Tutti i diritti riservati. Collana Ivo Milazzo, 2 Direttore Editoriale ed Artistico: Nicola Pesce Impaginazione: Valeria Morelli Proof-reading: Gloria Grieco Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio stampa e Supervisione per il volume: Stefano Romanini – ufficiostampa@edizioninpe.it Acquerello in copertina: Ivo Milazzo Stampato presso Peruzzo Industrie Grafiche SpA nel mese di maggio 2018 Nicola Pesce Editore (Edizioni NPE) è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #EdizioniNPE


L’Emozione delle Immagini Viaggio tra linguaggio e inconscio

di Ivo Milazzo

Prefazione di Giulio Giorello. Interventi di Simone Bianchi, Raffaella Vernazza ed Elisabetta Parente.



Prefazione di Giulio Giorello

In principio (forse) era il segno, leggiamo nell’Introduzione di questo bel volume di Ivo Milazzo. E il segno è rappresentazione di “qualcosa di percepito dallo sguardo e che alberga nell’istinto individuale”. Lettere di un alfabeto, cifre di una sequenza numerica, forme che compongono una figura, simboli di un rito che evoca sentimenti profondi sono tutti elementi del mondo dei segni che ha affascinato l’autore fin da giovanissimo, facendolo smarrire in un labirinto non facile da delimitare, ma mettendolo anche in grado di definire il proprio percorso di arte e di vita. Chi leggerà le pagine del libro si accorgerà ben presto che la professione scelta da Ivo si è rivelata per lui una vera e propria vocazione, quella di un “narratore per immagini”: cioè di un artista che, con intelligenza, sa servirsi delle immagini per condividere con il pubblico le emozioni più diverse. Ma al tempo stesso l’artista è dotato di un cuore così grande da amare quelle immagini, ponendosi al loro servizio. Prima ancora di sostenerlo in questo volume con impeccabili argomentazioni, è col suo lavoro di decenni che Ivo Milazzo ha dimostrato – contro vecchi e nuovi pregiudizi – che, come modalità di espressione artistica, il fumetto è cultura: una forma di cultura che si basa sulla capacità di unire parole e immagini in maniera che si realizzi una narrazione completa. Non si cada in un equivoco su cui certa critica ancora indulge: il fumetto non è un libro illustrato. Possiamo apprezzare – come l’Alice di Lewis Carroll – le belle figure che ogni tanto si contrappongono a pagine di fitta stampa, ma oggi sappiamo che le figure di un fumetto sono parte integrante e ineliminabile del tessuto narrativo, diversamente da qualsiasi ornamento iconico che venga aggiunto a un testo. Le immagini di un fumetto sono una componente di quel testo, non meno delle didascalie o delle “nuvolette di parole” che compaiono nelle tavole. È un merito non minore del libro di Milazzo il fatto che l’autore non si limiti a rivendicare a livello espressivo il valore delle figure entro la narrazione disegnata, ma dedichi un consistente gruppo di pagine

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ai problemi di riconoscimento giuridico ed economico di chi crea un fumetto, sceneggiatore o disegnatore che sia. C’è un altro aspetto che Ivo chiarisce elegantemente riflettendo sulla propria esperienza, senza però dimenticare altri bravissimi colleghi. La componente visiva del fumetto può far pensare a una sorta di scena teatrale ridotta su fogli di carta! Certo, il lettore che li guarda non ha davanti ai propri occhi persone e oggetti reali, ma un abile intreccio di finzioni. È per questo che, per uno stimolante confronto, Milazzo guarda piuttosto all’arte cinematografica. «Per quanto mi concerne», ci racconta Ivo, «penso che il principale desiderio sia sempre stato – ed è ancora – quello di sviluppare un racconto a fumetti come un film. Difficilmente ho pensato ad un disegno fine a se stesso, tipo illustrazione o dipinto. La recitazione dei personaggi e le dinamiche di certe situazioni mi hanno attratto più che la perfezione grafica delle ambientazioni o del segno stilistico». Una prova di tutto questo è nel modo stesso in cui Milazzo lavora: «A differenza di molti colleghi, non riesco a realizzare schizzi preparatori dei personaggi o abbozzi delle pagine fuori dalla situazione narrativa [...], né tantomeno vignette o tavole in modo disparato. Solo immedesimandomi nelle scene della storia, quasi vedendole e vivendole nella mente, riesco a definire i diversi personaggi credibili al loro ruolo e la corretta inquadratura in maniera sequenziale di pagina in pagina, dalla prima all’ultima. E in queste tavole, ogni ripresa deve essere dinamica e alternata per travalicare la staticità del mezzo di comunicazione senza essere mai banale, ma efficace nell’economia della tavola disegnata. L’unico sistema – per capire quali inquadrature rendano ottimale tale efficacia – è osservare in continuazione film e fiction televisive che al momento hanno raggiunto una tecnica incredibile». E quali sono gli elementi di forza dell’espressione cinematografica che qui ci interessano nel confronto fumetto-film? Risponde Milazzo che «sono soprattutto il momento offerto dallo scorrere della pellicola, il sonoro di musica e dialoghi e la recitazione degli attori a portare lo spettatore a immedesimarsi nella trama, magari nelle stesse vesti di protagonista o comprimario: lo spettatore è “dentro” il meccanismo perché quelle tre “suggestioni” rendono la finzione come fosse reale e tridimensionale». La grande sfida per il fumetto è stata di ottenere qualcosa di analogo, anche se forse era ancora più difficile che per il cinema (o la tv). Credo che, in tutta onestà, si possa affermare che la sfida sia stata già vinta in passato da quelli che sono diventati per noi dei veri e propri “classici del fumetto”. Ma il problema si ripropone anche oggi, per ogni buon fumetto – e non importa se si tratti di un prodotto seriale a largo pubblico o di un sofisticato graphic novel. La soluzione sta nella sequenza delle tavole disegnate; sotto un certo aspetto essa svolge un ruolo analogo al montaggio del cinema: scandisce il tempo della narrazione. E in un duplice modo: un tempo oggettivo, quello offerto dalla presentazione delle tavole in sequenza; e un tempo soggettivo, che ciascun lettore di fumetti modula sulle proprie esigenze personali, fissandosi su una particolare tavola, o 8


magari tornando su qualche vignetta precedente, o perfino procedendo in avanti sfogliando rapidamente le pagine per l’anticipazione del “come andrà a finire”, salvo poi tornare indietro per vedere con più calma come prima sono andate le cose. C’è ancora un tratto del libro di Milazzo che qui mi piacerebbe riprendere. Qualcuno diceva che l’immaginazione di un lettore di un libro si esercita soprattutto nel “colmare” gli spazi vuoti tra una parola e l’altra. Comunque, osserva Milazzo, «nelle storie a fumetti [...] la trama viene sviluppata dalle parti creative in sintesi, visualizzando [...] solo i passaggi essenziali di un’azione o di un movimento necessari alla comprensione del racconto». Proprio per questo, «una capace ed equilibrata regia, suffragata dalla complementarità narrativa tra chi scrive e chi disegna, riesce a suggerire quei passaggi intermedi mancanti alla visualizzazione della storia che il lettore vedrà negli spazi vuoti tra le vignette [...] di una pagina, ritenendoli più adatti a completare la sequenza tramite un’esatta percezione dell’inconscio». Questa è una componente essenziale dello stesso percorso conoscitivo di un autore. Milazzo, a un certo punto, cita Carl Gustav Jung: «Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti l’inconscio guiderà la tua vita, e tu lo chiamerai destino». Il detto di quel maestro di antropologia e psicoanalisi, Ivo l’ha percepito nella propria interiorità in un delicato momento della sua vita professionale, quando ha progressivamente realizzato che le “faide mortali” che punteggiano la storia possono essere “disinnescate” solo perché, “in quanto dotato di cervello e coscienza”, l’essere umano può ricorrere all’empatia. Non basta – aggiunge – saper «imbrigliare la Natura con la propria intelligenza e con la ricerca scientifica»: è sufficiente una delle tante «catastrofi immani [...] dove egli è magari complice e responsabile nell’aggravamento di danni all’ambiente [...], come tifoni, tsunami, terremoti, alluvioni, e quant’altro» perché egli «prenda coscienza della sua impotenza e di quanto non conti nulla nella complessità cosmica». E infine: un potere perverso è in grado di “spezzare le matite” di artisti coraggiosi, come un disastro naturale duramente umilia le ambizioni dell’umana tecnologia. Anche il fumetto può rivelarsi un valido aiuto per imparare a «render cosciente l’inconscio». Mi piace chiudere questa mia breve prefazione alla fatica letteraria di Milazzo e dei suoi bravissimi collaboratori, riprendendo una battuta dell’Introduzione che mi ha profondamente impressionato (tenendo conto del riferimento di Ivo all’empatia): «All’interno di ogni essere umano alberga un bambino molto spesso nascosto e ferito». Saperlo riconoscere «può aiutare chiunque a formare una maggiore compassione verso se stesso e gli altri». Solo così continueremo a gioire dello splendore della luce del mattino, senza poi intristirci col buio del crepuscolo.

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In t roduz i one

Disegno e scrittura di Ivo Milazzo

Questo libro trova le proprie radici nella passata necessità di compilare alcune dispense da offrire agli studenti che frequentavano la mia aula, dopo qualche anno d’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Nel 1998 Carlo Bordoni, che la diresse fino al 2003, mi chiamò per trasmettere le esperienze di creativo, e anche qualche nozione sul fumetto, ai ragazzi del corso di disegno, il cui docente era un estimatore del mio lavoro. Mi venne affiancato – in qualità di assistente – il giovane artista Simone Bianchi, che oggi è uno degli autori più acclamati di Marvel e DC, case editrici americane che producono supereroi come Batman e Superman. In seguito mi resi conto che era impensabile insegnare a fare fumetti, perché avrebbe richiesto una costante applicazione pratica della teoria, e trovavo poco costruttivo reiterare la condivisione di avvenimenti riguardanti la mia vita privata o professionale. Le combinazioni esistenziali di qualcuno difficilmente coincidono con quelle di altri e le mie parole avrebbero potuto essere al massimo un semplice parere in una serie di circostanze simili. Decisi così di allestire un corso che formasse gli studenti in modo complementare alle materie del loro programma di studi e formulai con Simone Linguaggio delle Immagini e Tecniche di Fumetto, sviluppato e incrementato fino al 2010 con buona frequenza di ragazzi, di adulti per la Laurea della Terza Età e anche d’insegnanti di liceo artistico per le tematiche affrontate. Un corso costruito apposta per i giovani che, frequentando un istituto che insegnava loro a diventare artisti, non potevano non sapere come decodificare un’immagine. Il lavoro di illustratore e autore di fumetti mi ha dato la possibilità di esprimere un dono innato e di interagire con l’altro, che fosse collega o lettore, condividendo l’emozione di un racconto. Una carriera iniziata nel 1971 con il progressivo convincimento che le figure, nel senso di immagini, influenzino da sempre il nostro inconscio senza nemmeno rendercene conto.

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Di fatto la realtà che avevo riscontrato negli anni era proprio questa: la scuola insegna ai futuri adulti a capire nel profondo il significato delle parole tramite la grammatica, l’etimologia, l’analisi logica e la sintassi, ma non aiuta ad interpretare quello di tutte le forme iconografiche che riempiono gli occhi. Le parole permettono di articolare meglio un concetto, ma le immagini arrivano direttamente al cuore, al cervello, all’inconscio in differenti maniere. E quando giungono, provocano sempre una reazione emozionale positiva o negativa a seconda di cosa vanno a toccare nel profondo. La semplice naturalezza con cui esse comunicano alla mente non induce l’osservatore a porsi ulteriori domande, poiché è già soddisfatto del significato immediatamente legato al contesto rappresentativo dell’icona. Molti ricercatori nello studio dei segni e del mondo della comunicazione, docenti e intellettuali, hanno sviscerato l’argomento del disegno-narrativo nei vari aspetti e significati culturali, didattici, mediatici e sociali, sia come semplice illustrazione che come fumetto. Altri miei colleghi hanno scritto manuali specializzati per approfondire l’attività del cartoonist in tutti i risvolti tecnici. Ma sono pochi coloro che hanno cercato di spiegare al fruitore come capire meglio ciò che le immagini trasmettono e i loro differenti significati. So bene che esistono esperti di iconografia e arte in grado di indicare la valenza intrinseca dell’opera o dell’immagine, la sua composizione e le motivazioni dell’autore. Anche chi scrive romanzi o realizza fiction per cinema e televisione conosce bene i meccanismi e i rispettivi codici di lettura per rendere efficace quanto produce. Probabilmente anche chi recita. Ci sono poi i terapeuti che hanno studiato come indagare la psiche dei pazienti, attraverso macchie, scarabocchi, grafie, disegni e foto di qualcosa – o addirittura tramite semplici colori e il loro assemblaggio – arrivando a scandagliare le differenti emozioni suscitate da quei percorsi visivi. Sappiamo che l’essere umano si esprime sin dai primi anni di vita con segni indefiniti che rappresentano qualcosa di percepito dallo sguardo o che alberga nell’istinto individuale. Ai pediatri e ai genitori è demandato poi il compito di dare loro gli adeguati significati. L’uomo primitivo ha lasciato ai posteri testimonianze di vita attraverso graffiti e pitture rupestri, senza avere ovviamente coscienza di chi sarebbe arrivato dopo di lui. I più antichi tra questi, risalenti a trentaduemila anni fa, sono stati scoperti in una grotta del sud della Francia dalla spedizione speleologica di Jean-Marie Chauvet nel 1994 e rappresentano animali diversi con alcune nozioni prospettiche. La stessa invenzione della scrittura in Mesopotamia, per opera dei sumeri tra il terzo e il secondo millennio, deriva con evidenza dal disegno. Ne sono chiara testimonianza gli ideogrammi dei linguaggi orientali, i geroglifici egizi, i glifi precolombiani Maya e i pittogrammi dei Nativi Americani. 12


Anche gli arabi, il cui vasto impero dall’India alla Spagna ebbe grande influenza sulla cultura occidentale nel primo millennio dopo Cristo, rimandarono al disegno la calligrafia dei testi sacri del Corano e ogni forma di abbellimento artistico (l’arabesco ne è l’emblema), pur con il timore che le arti figurative potessero indurre all’idolatria. Con il tempo la sintesi grafica ha portato alla semplificazione delle lettere che hanno composto gli idiomi conseguenti, in particolare dei popoli occidentali. La pittura all’interno degli edifici di culto è stata il naturale passaggio per comunicare meglio alla gente, spesso analfabeta, importanti messaggi religiosi. La presenza di immagini fu rinvenuta nei papiri egizi e sulla pergamena dei rotoli romani, ma è stata l’invenzione della stampa nel XV secolo a far crescere l’utilizzo dell’illustrazione per facilitare e diffondere la lettura del libro a livello popolare. Il progresso ha portato l’immagine ad essere il punto di riferimento per una comunicazione di maggior effetto. La fotografia, il cinema, il fumetto, la televisione e oggi il web sono le forme visive che affollano di immagini la testa delle persone in maniera affascinante, arrivando spesso a condizionarne la vita quotidiana. In questo volume troverete il percorso creativo di un narratore per immagini, la sua scelta stilistica per raccontare una storia attraverso un’idea grafica che comunichi al meglio le emozioni dei protagonisti e pure la propria. Chi desidera realizzarsi professionalmente attraverso il disegno forse sarà interessato e stimolato da qualche suggerimento per esprimersi in maniera adeguata, forse anche qualche appassionato lettore del medium fumetto avrà la possibilità di capire meglio la ragione di certe mie scelte narrative. Ma il senso di queste pagine è anche quello di offrire un minimo supporto a chiunque fruisca semplicemente di ogni forma visiva, rivolgendosi quindi a coloro che comunicano con le immagini e a coloro che le subiscono. Prescindendo dalle dinamiche della situazione descritta in una storia e dall’abilità degli autori a raccontare, vorrei che queste pagine sfiorassero la spalla del lettore per sussurrargli all’orecchio la seguente domanda: «Ma hai capito nel profondo perché stai piangendo o ridendo?» Probabilmente la risposta sarà ovvia, mentre la realtà dovrebbe indurre a una ricerca di ciò che il cervello ha nascosto in qualche recesso dell’inconscio per non provare sofferenza. Situazioni e immagini di un vissuto nostro o delle generazioni pregresse che appartengono a ognuno senza una coscienza concreta, ma che ci hanno scosso e segnati nell’intimo. Vorrei che queste pagine fossero uno stimolo per un approfondimento a comprendere le figure che percepiamo e ci emozionano, nonché la possibilità di capire meglio chi siamo e come la nostra vita sia spesso condizionata da conflitti e opinioni altrui, sempre in maniera inconsapevole. Seguendo la deformazione professionale di narratore, desidero idealmente guidare per mano ogni lettore lungo il filo conduttore che si dipana nel linguaggio delle immagini per decodificare gli anfratti oscuri della comprensione iconografica dei 13


mass media – che in ogni istante ci accompagnano nel quotidiano – ed invitarlo nel contempo a quella ricerca interiore per una migliore conoscenza personale. All’interno di ogni essere umano alberga un bambino molto spesso nascosto e ferito, la consapevolezza della sua presenza può aiutare chiunque a formare una maggiore compassione verso se stesso e gli altri, trovando magari risposta a certe esternazioni apparentemente strane o inusuali. Nella fatica di comporre questo non semplice percorso di ricerca, mi hanno affiancato con il loro sostegno e un essenziale contributo Simone Bianchi, Elisabetta Parente e Raffaella Vernazza. Simone, pittore e fumettista toscano, ha saputo esprimere negli anni trascorsi in accademia una grande sapienza del disegno anatomico, aiutando gli studenti a conoscere con esattezza tutti i muscoli del corpo umano e rivelando molti dettagli anche a me. Elisabetta è una storica d’arte, specializzata nei linguaggi del contemporaneo, che trascorre la propria vita in Lombardia tra incontri e seminari per chiarire, con conoscenza e passione, le incognite più recondite di ogni forma artistica. La prima volta che l’ho incontrata mi ha affascinato con dettagliate connessioni tra pittura, illustrazione e fumetto. Affascinerà anche voi. Raffaella è una giovane illustratrice e architetto ligure con cui mi sono confrontato per puntualizzare alcuni contenuti e della quale troverete uno specifico capitolo sulla prospettiva. Un grazie particolare e infinito lo voglio riservare a Luciana che mi ha supportato in veste di prima lettrice con consigli ricchi di affetto sulla forma narrativa, insieme a una profonda condivisione intellettuale e all’indispensabile apporto professionale di medico in alcuni specifici argomenti. Compagni di viaggio con cui auspico di essere riuscito a svelare certi arcani della comunicazione visiva e ad infondere in ognuno la curiosità per un cammino individuale, con la consapevolezza che a dare senso alla nostra esistenza sono unicamente le emozioni. Alle mie adorate figlie Chiara e Giulia, tesoro inestimabile che mi affianca in ogni attimo della vita, dedico questa fatica letteraria che, seppure meno attinente alle mie abituali capacità creative, rimane ugualmente importante come espressione personale nel continuo confronto con i lettori.

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I codici del racconto La parte grafica deve considerare, nella composizione della vignetta e della tavola stessa, lo spazio occupato dal testo contenuto all’interno di didascalie e balloon (o nuvolette). In egual modo per le onomatopee (rumori e suoni visualizzati da un scritta che indica graficamente se siano acuti, sottili o roboanti tipo: bang, crash, ting, boom, ecc...) e per gli eventuali spartiti a suggerire una musica. È bene non trascurare questo dettaglio: quel rigo con le note deve riprodurre una melodia ben precisa e adeguata al racconto, arrivando a suggerire una sorta di colonna sonora. L’esperto di musica sarà ulteriormente coinvolto dalla trama, e gli altri lettori recepiranno comunque una suggestione maggiore di un suono indefinito. Per quanto riguarda i rumori, sono importanti la loro dimensione e il ripasso con cui vengono visualizzati. Al fine di suggerire ogni tipo di suono, quelli più forti o più gravi avranno i contorni più spessi, sarà invece sottile il contorno di quelli tenui o metallici. Così, la rispettiva dimensione sarà adeguata alla potenza dell’effetto sonoro. La loro posizione può essere vicino alla fonte, oppure occupare uno spazio sopra, sotto o anche alle spalle della figura. Se ad esempio una persona cadesse pesantemente sopra un tavolino rompendolo, l’onomatopea potrebbe occupare lo spazio dietro a quel personaggio in misura importante per rendere più evidente al lettore lo schianto provocato dall’oggetto. Di fondamentale importanza visiva è sempre l’immagine che racconta, e nulla deve interferire con essa o renderla poco leggibile. Ogni componente della vignetta necessita di uno spazio dedicato e adeguato all’equilibrio comunicativo della scena. Un altro dettaglio su cui riflettere è la collocazione dei balloon. La posizione ideale è nella parte alta dell’inquadratura per una lettura immediata e in sequenza all’ordine di lettura (sinistra-destra) per comprendere il filo narrativo del testo. Alcuni autori hanno invece utilizzato gli spazi destinati ai dialoghi dentro l’immagine stessa dei personaggi, cioè mettendoli in basso e tagliando la parte inferiore della figura, per privilegiare maggiormente l’ambientazione dell’inquadratura. Nei fumetti americani, altri disegnatori posizionano le nuvolette dall’alto verso il basso, quasi collegate nella particolare costruzione di vignette tutte doppie orizzontali, da uno stesso lato della tavola, in un singolare sistema di lettura. In fondo ritengo importante solo che la lettura di tali testi sia immediata e sequenziale, in linea con lo stile di ogni narratore per immagini. Il lettering è la scrittura delle parole nelle nuvolette e nelle didascalie. Una volta veniva eseguito a mano da calligrafi specializzati direttamente sugli originali o sulle pellicole, mentre oggi per lo più viene scelta una fonte grafica (font) su internet e la si affitta con una spesa minima proporzionata al tempo di utilizzo.

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Esso viene composto di solito da lettere in stampatello maiuscolo tondo (verticale). In caso di idiomi differenti o di diversi momenti del racconto, si applica lo stampatello maiuscolo corsivo (inclinato). L’uso dello stampatello minuscolo è più raro, a volte usato nello stile franco-belga. Invero, il riportare il testo sulle tavole non è un fatto automatico e semplice, in quanto la grafia delle lettere dovrebbe integrarsi con il tratto del disegno ed anche con il genere di storia. La stessa trasposizione dovrebbe quasi seguire, nella punteggiatura e negli a capo, il respiro e la recitazione nei dialoghi dei vari personaggi. Sarebbe sufficiente tener presente la lettura recitata degli attori per la corretta interpretazione di quel testo. Anche questo dettaglio aiuta il lettore nell’efficacia mediatica della storia e delle emozioni. Invece molto spesso la scrittura nei balloon viene inserita tecnicamente in maniera fredda e in base alle differenti grandezze di ovali (già presenti su pannelli di plastica acquistabili in cartoleria), senza alcuna interazione con lo stile narrativo. I codici che compongono i media che comunicano con le immagini mobili (film) e fisse (disegni e foto) sono ben precisi per la resa finale della storia. Fingendo di tenere tra le mani una telecamera, esaminiamo ora i termini tecnici usati per indicare l’alternanza delle inquadrature o vignette, partendo dall’immagine generale fino a quella più ravvicinata in una sorta di zoom. Sapendo che i campi riguardano in genere l’ambientazione, i piani e i personaggi abbiamo: – panoramica, con questo termine si indica una visione dall’alto più ampia possibile dell’ambiente geografico dove si svolge l’azione. Di solito si usa in apertura del fumetto, dove occupa d’abitudine quattro vignette singole e viene indicata come quadrupla. Questa ripresa aiuta il lettore ad entrare nella situazione ambientale, temporale e stagionale. In una narrazione didascalica, un testo potrebbe indicare la località e il periodo dell’azione. Altrimenti si può ovviare sovrapponendo all’immagine, se necessari, luogo e data come nelle fiction cinematografiche; – campo totale (ct), riveste la stessa funzione del precedente ma viene usato per visualizzare una situazione che comprende i personaggi di un’azione narrata precedentemente o successivamente in forma frammentata. Ad esempio, se è stata raccontata una scazzottata in un locale in cui si sono viste singolarmente varie situazioni con diversi personaggi, questa ripresa permette di vedere la scena generale. In breve ha una funzione riassuntiva. Anche questa può esprimersi con una quadrupla, ma usualmente sono sufficienti due vignette singole affiancate, una doppia; – campo lunghissimo (cll), è una immagine di ambiente che può contenere anche la figura in lontananza e perciò indistinta. È usato per creare adeguate atmosfere o dare la sensazione di spazi aperti in una vignetta doppia. Ad esempio: l’inquadratura – ripresa ad altezza d’uomo – comprende un arenile e il mare, più o meno agitato (per l’effetto grafico del movimento delle onde oppure totalmente calmo, a seconda della trama o di ciò che si vuole comunicare), e una figura da un lato di essa ferma o in movimento. La sensazione suggerita è di solitudine. 51


Panoramica.

Se la spiaggia contenesse invece altri elementi come animali, cose o figure supplementari la suggestione sarebbe opposta o diversa; – campo lungo (cl), si distingue meglio la figura o la situazione particolare in una vignetta doppia, ma spesso è sufficiente una singola. Può sviluppare la sequenza dell’esempio suddetto con qualche dettaglio; – campo medio (cm), si distingue perfettamente la figura e la situazione è riconoscibile e dettagliata nei particolari di quanto sopra descritto; – figura intera (fi), la figura è vista interamente e con i vari dettagli. Utile per descrivere la fisionomia e il vestiario del personaggio e renderlo riconoscibile; – piano americano (pa), la figura si vede fino a metà coscia. Come si evince dalla denominazione, questa immagine deriva dal cinema statunitense per i film western e consiste in una inquadratura del corpo fino alla fondina della pistola per dare maggior pathos all’azione. Negli altri generi può rivestire un passaggio visivo,

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Campo totale.

Campo lunghissimo.

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Campo lungo.

Campo medio.

ma ha scarsa proprietà narrativa; – busto, la figura si vede dalla vita in su. Fondamentale per dare risalto a gestualità e mimica; – primo piano (pp), la figura è tagliata all’altezza delle spalle. In questo caso l’attenzione è rivolta all’espressione del viso; – primissimo piano (ppp), della figura si vede una parte del viso o del corpo. Ricordate i film di Sergio Leone? Lo sguardo o gli occhi possono esprimere sentimenti meglio di ogni parola; – dettaglio (dett), è simile all’inquadratura precedente riferita più a gesti o cose. Ad esempio, una mano vicino ad un oggetto o una sigaretta spenta in un posacenere. 54


– Nel suggerire la ripresa migliore, la sceneggiatura può specificare di profilo, da dietro o di spalle, di fronte, 3/4 di fronte o 3/4 di spalle. L’ultimo termine può essere definito anche con quinta, mediato ovviamente dal gergo teatrale, di solito usato nei dialoghi. Se pensiamo, o meglio schizziamo una sorta di rosa dei venti posizionando ad ogni vertice una telecamera, possiamo ottenere le diverse inquadrature nei termini precedenti e con ogni spiegazione (3/4 di fronte da sx, o da dx, di profilo da sx o dx, 3/4 da dietro, da sx o dx, ecc.); – Proprio nelle scene che rappresentano i dialoghi, si usano i termini campo e controcampo per indicare la ripresa di due telecamere, poste alle spalle dei due interlocutori, che si attivano in modo alternato per mostrare il viso di uno in secondo piano, e in primo piano si vede la testa dell’altro da dietro o di quinta;

Campo.

Controcampo.

– In una situazione prolungata possiamo ottimizzare inserendo una soggettiva, cioè solo il punto di vista di uno dei soggetti in scena, che mostra la figura o il viso della controparte. La soggettiva viene usata anche in forma indipendente da scene di dialogo e in ogni situazione che possa evidenziare il punto di vista di una persona non ancora in campo o che sta osservando non vista. Nelle spiegazioni, il testo riporta sempre il momento temporale di giorno o di notte, ecc. o il luogo esterno e interno con le specifiche del caso. In determinati momenti narrativi si evidenziano alcune situazioni con riprese definite: dal basso o dall’alto. La ripresa dal basso mette in risalto la figura esprimendo o suggerendo una dominanza nei confronti di chi guarda o di chi si trova in posizione inferiore. La ripresa dall’alto è utile per raccontare una situazione aperta o complessiva, a 55


Ripresa dal basso.

Ripresa dall’alto.

seconda della gradazione del punto di vista. Quella più perpendicolare, tendente a suggerire uno schiacciamento dell’immagine su una località, un gruppo di persone o su un’unica figura, può indicare una situazione di pesantezza e oppressione o in certi casi di sudditanza dei soggetti inquadrati. In sintesi l’inquadratura dall’alto ha un valore descrittivo, quella dal basso evidenzia la drammaticità narrativa di determinate situazioni. Ho accennato in precedenza ad alcune carenze del fumetto. Nel concreto è possibile sopperire alla mancanza di movimento utilizzando le azioni stesse del lettore, cioè sfruttando il senso di lettura da sinistra a destra, quindi il movimento degli occhi e il medesimo gesto di girare la pagina, andando di conseguenza a definire la vignetta sulle esigenze legate alla narrazione. La suggestione del fruitore è il perno su cui viene determinata ogni struttura rappresentativa della scena da raccontare. La costruzione dell’inquadratura, con il protagonista posizionato a sinistra, tende a suggerire contemplazione, aspettativa o accoglienza verso ciò che è situato a destra, sia in atteggiamento statico che in un movimento favorevole o contrario a chi legge. Per quanto concerne animali o mezzi di locomozione, un cavallo o una motocicletta in movimento verso sinistra possono indicare una situazione di contrasto, se lanciati verso destra riescono a suggerire invece allontanamento o senso di velocità, suggestioni rafforzate poi dall’alternanza sequenziale delle immagini successive. Agli albori della cinematografia è nota la ripresa di un treno lanciato a forte velocità verso gli spettatori che li fece alzare urlanti dalle poltrone per la terribile sensazione di essere travolti. Il tempo dettato dal girare pagina può essere utilizzato dagli autori anche come attimo di suspense per aumentare la tensione narrativa, enfatizzando così la curiosità di sapere ciò che avviene in seguito.

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In merito alla mancanza di tridimensionalità, sappiamo con chiarezza che la chiusura della squadratura delimita le vignette in altezza e larghezza, evidenziando in questo modo i limiti bidimensionali. Per suggerire il terzo elemento della profondità, dobbiamo sfruttare le proprietà della luce e dello spazio. Il sistema ideale è eliminare una parte della squadratura superiore e lo sfondo dal busto di una figura in primo piano, limitandola solo nella parte sottostante così da ottenere che la stessa emerga risaltando nello spazio libero: per istinto l’inconscio andrà a creare nel bianco luminoso della carta la suggestione della tridimensionalità. Il gioco dell’eliminazione della squadratura mi ha molto coinvolto negli anni, consentendomi di portare l'attenzione del lettore esattamente dove io volevo che andasse. Sono arrivato a toglierla completamente, allontanando nel contempo l’immagine disegnata che rimaneva così isolata nel vuoto. Utilissima per alleggerire la tavola da situazioni troppo disegnate o ricche di testo, e successivamente ottimizzata anche con la parte letteraria per indicare una dissolvenza iniziale o finale di un periodo narrativo o della storia stessa. Tenete a mente la parola vuoto. Il suo significato mediatico nel coinvolgimento dell’os-

Vignetta con dissolvenza.

Vignetta parzialmente scontornata.

servatore vi sarà più chiaro quando tratterò l’arte orientale e le riflessioni narrative. Nella realizzazione di un fumetto è fondamentale sapere a monte se sia prefissato un numero di pagine o se non esista un limite narrativo. I prodotti seriali o le scelte editoriali di mercato impongono in genere un numero fisso di pagine, che variano spesso a seconda dei Paesi. Negli States, Marvel e DC Comics producono albi settimanali di supereroi con circa venti pagine dalla singolare e irregolare composizione di vignette. 57


In Francia, le storie raccolte in volumi cartonati ne contano quarantasei con quattro strisce a tavola, mentre in Italia abbiamo albi tascabili con una fogliazione di circa cento pagine in due o tre strisce regolari. Nella forma tipica del libro è invece il moderno graphic novel (romanzo disegnato), che consta di una storia raccontata in forma singola con un imprecisato numero di pagine, senza l’esigenza di un disegno legato a qualche scuola stilistica. Questo tipo di narrazione tende a privilegiare il significato del testo anche tramite un disegno naïf. Ai miei esordi un disegnatore invece era quasi obbligato a seguire le due scuole americane, già in precedenza descritte, o quella della linea chiara franco-belga, che comunica con un disegno lineare quasi privo di neri e supportato dal colore. Alla fine degli anni ’80 invasero tutta Europa le storie manga, fumetti giapponesi con una particolare tipologia di disegno grottesco. La loro linea grafica riempirà gli occhi di quella generazione, aggiungendo alle altre una scuola stilistica in precedenza sconosciuta. Nel dettaglio, il grottesco è un mezzo narrativo che interpreta la realtà in un’ottica caricaturale senza eccessive deformazioni, tra sorriso e riflessione (vedi «Alan Ford»); il disegno realistico vuole invece coinvolgere il lettore in credibili e possibili situazioni attraverso vicende e sentimenti (vedi «Corto Maltese»); il comico è pura evasione che, tramite un’apparente semplicità di disegno, trasforma completamente il mondo reale per uno immaginario e buffo, con la meta della risata finale (vedi «Paperino»). Per raccontare una storia a fumetti esistono tuttavia tecniche intermedie legate alla contaminazione tra la realtà storica, il grottesco delle figure e il comico di situazioni, con i dialoghi ottimizzati da un perfetto equilibrio tra testo e disegno tramite continui rimandi dell’uno all’altro (vedi «Asterix» e le sue commistioni con la grafica della Roma antica). In questo panorama si inseriscono infine le vignette satiriche di quotidiani e riviste, in cui è più importante la battuta che il disegno (come in Cipputi di Altan) e le vignette o strisce comiche di pura evasione, sebbene a volte con amari riferimenti alla realtà (vedi Mafalda).

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Nozioni base di disegno anatomico di Simone Bianchi

Scomposizione generale del corpo umano in schemi geometrici semplici Per semplificare al massimo la comprensione e l’apprendimento del disegno della figura umana maschile, a memoria e senza l’aiuto di qualsiasi supporto visivo (ivi compresi materiale fotografico o modelli dal vivo), il metodo più veloce, pratico e chiaro è con ogni probabilità quello definito sintesi o scomposizione in forme e solidi geometrici-base. In questo modo la corretta visualizzazione delle proporzioni in altezza e larghezza risulterà di immediata comprensione anche a coloro che non avessero nessuna preparazione accademica al disegno. Divideremo questa analisi nei punti di vista fondamentali.

visione frontale In questa fase è importante che tutte le operazioni geometriche vengano eseguite a mano e a occhio, senza l’ausilio di alcun mezzo tecnico (righe, compassi o quant’altro). Tracciamo una linea verticale (che di qui in avanti chiameremo linea mediana) e dividiamola in 8 parti (o moduli) della stessa altezza, come viene mostrato nelle figure A e B, prima in forma abbozzata e poi maggiormente definita. L’altezza del modulo è corrispondente a quella della testa del nostro uomo/modello, la forma della quale può a sua volta essere suddivisa in un cerchio per la visualizzazione del-

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la scatola cranica e in un trapezio a base maggiore rovesciata per quella della mandibola. La gabbia toracica, sintetizzata con una forma ovale non troppo affusolata, ha un’altezza estesa dall’estremità inferiore del terzo modulo fino a un terzo superiore del secondo. Il bacino, sintetizzato come un semplice quadrato, corrisponde a tutta l’altezza del quarto modulo, dalle estremità del quale tracciamo due linee parallele e verticali fino all’altezza del sesto modulo, che hanno la funzione di visualizzare lo spazio-altezza occupato dalle cosce del modello. Da questo punto tracciamo due ulteriori linee (questa volta curve, dall’alto verso il basso e dall’esterno verso l’interno) per visualizzare l’altezza corretta delle gambe. L’unione della porzione della coscia e quella della gamba verrà da qui in avanti chiamata arto inferiore. La prima larghezza che viene presa in considerazione è invece quella delle spalle, per ottenere la quale calcoliamo due punti esterni corrispondenti a tre volte la larghezza della testa più una piccola porzione corrispondente a circa un terzo della larghezza della testa, da riportare sia a destra che a sinistra. Da questi punti esterni (in anatomia si usa il termine laterali rispetto alla linea mediana) tracciamo due linee leggermente inclinate dall’alto verso il basso e dall’interno verso l’esterno, per visualizzare l’andamento e l’altezza corretta del braccio, fino a un punto corrispondente a un terzo inferiore del terzo modulo. Da qui tracciamo due linee più inclinate verso l’esterno in modo che raggiungano un punto leggermente superiore all’estremità inferiore del quarto modulo, ottenendo così la corretta altezza dell’avambraccio. L’intera porzione del braccio e dell’avambraccio verrà in seguito chiamata arto superiore. In questo caso gli arti superiori sono leggermente abdotti, cioè distanziati dal resto del corpo, mentre, nel caso in cui essi siano perfettamente adiacenti al tronco, l’estremità inferiore dell’avambraccio corrisponde all’estremità inferiore del quarto modulo che chiameremo cavallo. Il cavallo è il punto in cui la figura umana si divide in due porzioni della stessa lunghezza, per cui il tronco aggiunto alla testa corrisponderà esattamente all’altezza degli arti inferiori. Memorizziamo con la massima attenzione queste poche regole e proporzioni del corpo, nel suo punto di vista più semplice, perché queste nozioni di relazione fra le varie parti della figura umana ci risulteranno fondamentali negli studi del movimento e in relazione alla rotazione nello spazio del punto di vista a 360 gradi.

visione laterale Per visualizzare la figura umana maschile, eretta dal punto di vista laterale o di profilo, prendiamo come modulo di riferimento la stessa altezza della testa e riportiamola 8 volte. Ovviamente le misure e le proporzioni dell’altezza della figura rimangono strettamente le stesse, pertanto la gabbia toracica (in questo caso sintetiz-

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zata come un ovale più stretto rispetto alla visione frontale e leggermente inclinato dal basso verso l’alto e da destra a sinistra) si estenderà dall’estremità inferiore del terzo modulo fino a un terzo superiore del secondo. Anche la forma geometrica della testa ci apparirà leggermente diversa rispetto alla visione frontale. Infatti l’ovale utilizzato di profilo per la scatola cranica ci apparirà un poco schiacciato ai poli, mentre dobbiamo adottare una forma a cuneo per visualizzare lo spazio della mandibola nella parte anteriore della testa. Il bacino a sua volta viene visualizzato con un rettangolo posto in verticale, laddove nella visione frontale abbiamo utilizzato un quadrato. Per verificare se l’inclinazione della gabbia toracica e l’attaccatura della testa ad essa siano corrette, proviamo a tracciare un’asse perfettamente verticale tangente all’estremità posteriore della scatola cranica in modo che l’asse stesso sia tangente a sua volta all’estremità posteriore del bacino (all’altezza dei glutei, come raffigurato nella figura A). Per quel che riguarda gli arti superiori tracciamo una linea verticale a partire dal bordo superiore-posteriore dell’ovale della gabbia toracica fino alla solita altezza di un terzo inferiore del terzo modulo (come nella visione frontale) e una seconda linea leggermente più inclinata per visualizzare la lunghezza dell’avambraccio, fino all’altezza del cavallo e poi fino all’estremità inferiore del quarto modulo. Una considerazione a parte va fatta per gli arti inferiori: utilizziamo una linea curva all’indietro per visualizzare la porzione della coscia (fino all’altezza del sesto modulo) e un’altra curva opposta e in avanti, ottenendo una forma a S, per la gamba. Schizziamo la forma del piede, in questo caso come un cuneo, a partire dall’estremità posteriore-inferiore della gamba in avanti per la lunghezza pari a due terzi del modulo corrispondente all’altezza della testa.

visione di tre quarti Per visualizzare la figura umana in posizione eretta di tre quarti procediamo nello stesso modo. Dopo aver riportato 8 volte l’altezza-modulo della testa, visualizziamo l’ovale della gabbia toracica di nuovo leggermente più largo rispetto alla visione laterale ma sempre leggermente inclinato dal basso verso l’alto e da sinistra a destra (con le stesse coordinate delle altezze) e il bacino ancora come un quadrato corrispondente all’altezza comprendente il quarto modulo. La testa ci apparirà come una sfera per quel che riguarda la scatola cranica e un trapezio irregolare con una forma geometrica a metà tra quella del frontale e quella della visione laterale, per quel che concerne, invece, la porzione della mandibola. La linea mediana, che in questo caso si modellerà lungo tutto il tronco, dividerà la figura in due porzioni, di cui quella più prossima al nostro punto di vista sarà leggermente più larga (per effetto di illusione prospettica), l’altra più distante sarà leggermente più stretta.

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È importante pensare che nella realtà tridimensionale della figura queste due porzioni resteranno esattamente identiche. La larghezza delle spalle, che risulterebbe molto complessa da calcolare geometricamente con le misure che abbiamo visto nel frontale (3 volte la larghezza della testa più una piccola porzione sia a destra che a sinistra), è consigliabile visualizzarla a occhio. Molte misure, di qui in avanti, andranno considerate e realizzate in questo modo, sforzandosi di sentire certe misure e proporzioni, piuttosto che calcolarle o contarle geometricamente. Arti superiori: quello più vicino al nostro punto di vista sarà completamente visibile (con le stesse altezze della visione laterale e frontale) mentre quello più distante verrà in parte coperto dalla protuberanza superiore dell’ovale della gabbia toracica. Arti inferiori: l’arto più prossimo al nostro punto di vista ha un andamento, sia per quel che riguarda la porzione della coscia che per quella della gamba, molto simile alla S della visione laterale, a differenza di quello più distante che invece visualizziamo con una linea curva all’indietro fino all’altezza dell’articolazione del ginocchio (e quindi all’estremità inferiore del sesto modulo), con una linea perfettamente verticale fino al termine dell’ottavo modulo. Per una verifica pratica della correttezza di quello che abbiamo disegnato, tracciamo un asse perfettamente verticale a partire dall’attaccatura della spalla più prossima al nostro punto di vista così che sia perfettamente in linea con il punto più esterno della curva della gamba favorevole al punto di osservazione.

Figura A

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Figura B

Studio anatomico-morfologico del tronco Passiamo ora ad analizzare la distribuzione dei muscoli di questa parte del corpo, i loro nomi (almeno di quelli principali) e lo studio della loro forma. Ăˆ fondamentale capire che non si tratta di uno studio anatomico-medico approfondito, ma della comprensione su come rappresentare il corpo umano nella pratica delle sue forme esterne e interne, imparando a memoria a disegnarle in qualsiasi movimento o da qualsiasi punto di vista.

visione frontale Prendiamo in considerazione la sola forma del tronco, composta dai due elementi fondamentali della gabbia toracica e del bacino. Tracciamo l’asse mediana e suddividiamola in tre moduli uguali e corrispondenti all’altezza della testa e numeriamoli come riportato nella fig. C. Tralasceremo in questa prima fase di studio gli arti superiori e la testa, che al tron63


co sono comunque collegati (anche come logica di movimento). Una volta schizzati i volumi geometrici, come già abbiamo visto nella visione frontale della figura intera, iniziamo ad aggiungere muscoli ed ossa. Tracciamo due linee esterne rispetto alla linea mediana e otteniamo i profili dei muscoli fondamentali e ben visibili del collo, ovvero lo sternocleidomastoideo. Questo nome piuttosto complesso deriva dalle inserzioni del muscolo stesso, composto in basso dall’osso dello sterno (quello cioè a cui si uniscono tutte le costole della gabbia toracica anteriormente) e a un terzo mediale della clavicola, e in alto alla regione mastoidea nella parte inferiore della mandibola. Dalle estremità laterali esterne dello sternocleidomastoideo tracciamo poi due linee inclinate dall’alto verso il basso e dall’interno verso l’esterno per visualizzare i due muscoli (o meglio, la loro parte visibile dalla visione frontale) del trapezio, come mostrato nella figura D. In basso, questo muscolo termina in corrispondenza delle due ossa della clavicola, che invece tracceremo con due doppie linee inclinate dal basso verso l’alto e dall’interno verso l’esterno. I due grandi muscoli, che si estendono su tutta la parte frontale-superiore della gabbia toracica fino all’estremità del secondo modulo in basso e all’attaccatura dei deltoidi all’esterno, sono invece quelli del gran pettorale. Nella parte centrale e dall’estremità del cavallo (quindi dalla linea inferiore del quarto modulo) fino a un terzo superiore del terzo modulo si estende il muscolo del retto addominale, che a sua volta si divide in quattro fasce, di cui due ben delineate (quelle superiori) e due meno evidentemente suddivise (quelle inferiori). Delle due superiori, ricordiamo che la prima fascia più in alto avrà un’altezza di circa due volte quella più in basso. S’inserisce e s’interseca invece sulle ultime costole della gabbia toracica e lungo tutto il profilo superiore-esterno del retto addominale, il muscolo detto del gran dentato o dentato anteriore. Il muscolo del gran dorsale (meglio la sua parte visibile in questa visione frontale) si estende proprio dal profilo esterno del gran dentato fino a tutto il profilo anatomico esterno del busto stesso, per poi continuare a svilupparsi nella sue parte decisamente più estesa nell’area inferiore centrale della schiena del busto stesso.

visione di tre quarti Dopo aver riportato tre volte l’altezza-modulo della testa, visualizziamo l’ovale della gabbia toracica di nuovo leggermente più largo rispetto alla visione laterale ma sempre leggermente inclinato dal basso verso l’alto e da sinistra a destra (con le stesse coordinate delle altezze) e il bacino ancora come un quadrato corrispondente all’altezza nel quarto modulo in forma completa.

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Analizziamo l’andamento della linea mediana. In questo caso infatti essa divide tutto il tronco in due porzioni (come visualizzato nella figura C) quella più prossima al nostro punto di vista ci appare per effetto prospettico più larga rispetto a quella più distante, che invece risulta più stretta. Per questo motivo la porzione del muscolo del gran pettorale più prossimo a noi (la destra in questo caso) ci appare più larga. L’estremità inferiore del muscolo è ancora una volta corrispondente alla linea inferiore del secondo modulo. Come risulta evidente dal disegno della fig. C, anche le porzioni dei due muscoli dell’obliquo addominale e del dentato anteriore più prossimi al nostro punto di vista sembrano essere più evidenti rispetto alle stesse porzioni più distanti, di cui invece vediamo solo uno scorcio. Sempre dallo stesso disegno notiamo come la linea mediana (in questo caso tratteggiata) si modella sulla forma anatomica del busto, seguendo la logica della visione laterale. È evidente infatti che, dall’estremità anteriore dell’attaccatura del collo alla gabbia toracica, la linea mediana proceda curvando in avanti e in basso fino all’altezza dell’estremità superiore del muscolo del retto addominale. Da questo punto in poi l’andamento cambia di nuovo per continuare la propria corsa in una linea perfettamente verticale (pur modellandosi sulle rispettive fasce del muscolo del retto addominale) fino all’altezza del pube (come nella visione laterale), in corrispondenza del quale curva sensibilmente ma continuativamente fino all’altezza del cavallo. Le figure C e D visualizzano i dettagli trascritti del tronco. La figura E, invece, permette al lettore di avere una visione completa della figura umana con i dettagli proporzionali d’insieme e le denominazioni muscolari.

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Figura C

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Figura D

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