Nero Metafisico

Page 1


La vendemmia

L’orrore riporta alle origini.


Interno solaio. Decenni di polvere grigia, generazioni di oggetti morti. Fasci di luce bianca tagliavano la penombra attraverso i vetri opachi della finestra. Le assi di legno, curvate dal tempo, trasformavano il pavimento in una superficie liquida, increspata da minuscole onde. La porta si aprì, i cardini rugginosi fischiarono sugli stipiti marci, un debole vento mosse ragnatele sottili. Il vecchio entrò. Era finalmente risalito: qualcosa lo aspettava da tempo. Respirò a fondo, assaporando quell’aria dimenticata ma nuovamente familiare. Le cose erano disposte come l’ultima volta che le aveva viste? Non ricordava. Non ricordava più quel momento, l’ultimo in cui aveva messo piede nel luogo che gli aveva segnato il cuore, quel luogo che lo aveva stregato sin da primi giorni dell’infanzia. L’infanzia, uno dei tanti oggetti abbandonati in soffitta. Da bambino aveva inventato un gioco molto divertente, ma il dolore delle ossa vecchie e malate aveva spazzato senza pietà ogni ricordo, via per sempre. Si sedette su una piccola sedia di legno, ormai usata solo dai tarli. Si guardò intorno. Il tempo è solitudine. Da quanti anni non torna131


Parte Seconda - Limboscopìa

va nella soffitta? Non lo ricordava. Troppo, troppo tempo. Quante cose, quante… tutte dimenticate. Tutte tranne una. Lo scrigno. Pesante, semicilindrico, di ferro battuto grigio scuro, grande come un maiale, le zampe piegate all’esterno e polvere, polvere, tanta polvere su tutta la superficie, soprattutto nei solchi più profondi delle incisioni dove la luce non poteva penetrare. Sì, delicatissime e spaventose incisioni, talmente inquietanti e cupe da stravolgere l’anima per giorni, addirittura mesi se il loro fascino ipnotico prendeva il sopravvento; un giogo psichico insovvertibile. L’intera superficie dello scrigno era un bassorilievo: rivestito di frutti tondi e dolci ai quali si avvolgevano perfidi serpenti, nel mezzo di una scena di vendemmia dominata da un crocifisso. Un demone alato e dalla folta pelliccia suonava un oboe per una fanciulla inghirlandata. La ragazza sorrideva verso chi guardava lo scrigno, offrendo un cesto di uva e fiori. Sullo sfondo, un mulo scheletrico trainava un carro di bambini piangenti. Api e uva, alberi, viti contorte. Le forme si intrecciavano nel metallo, fondendosi. Sulla sezione frontale una testa urlante non ingoiava più la sua chiave, smarrita chissà dove, nella serratura a bocca; dove invece cercava di infilarsi una mosca sospinta da ciuffi di fiamme brucianti alla base della vendemmia, cornice eterna alla turbolenta immagine. Quanto aveva vissuto lo Scrigno, rispetto al vecchio uomo? Le cose senz’anima non conoscono la morte. Oppure sono molto amiche e non si separano mai. Quel semplice fossile di soffitta era così tetro. Un ingombrante cimelio di famiglia. Inutile. Eppure… eppure erano anni che lo stava chiamando dal suo antro pieno di pulviscolo. C’era qualcosa dietro il suo silenzio, la sua 132


Nero Metafisico

polvere, la sua storia, qualcosa di innaturale che pulsava nel ferro. Qualcosa c’era e bisognava scoprirlo. Il vecchio sospirò: unico rumore nella casa deserta. Prese coraggio e affrontò la sua paura atavica, unica ragione di quell’improvviso ritorno, meditato per anni. Affascinato e turbato, attratto e respinto; si era domandato milioni e milioni di volte cosa contenesse lo Scrigno, e non aveva mai fatto nulla per ottenere una risposta. Non aveva mai avuto la forza di salire in soffitta e toccare l’oggetto, prendere confidenza con la sua massa, la sua materia. Aprirlo, prima di morire. Stupido proposito, ma gli permetteva di preservare almeno un frammento del suo effimero passato vissuto in un’ampolla senza spessore. Qualcuno, suo padre, forse suo nonno, l’aveva avvertito con apprensione di non aprire mai lo Scrigno, e soprattutto di non muoverlo, capovolgerlo, nemmeno inclinarlo un poco per vedere com’era sotto. Era importante, necessario, che lo Scrigno restasse sempre in piedi. No, non in piedi, era più esatto dire sulle zampe; cesellate per riprodurre quelle di tartaruga, come sigillo perenne a uno strano ritornello che sentiva spesso cantare da bambino. Se metti la tartaruga a pancia in su muore Sputa la vita e muore Così è lo Scrigno Lascialo in piedi La corazza non si aprirà mai Neanche con tutta la tua forza.

Lo Scrigno è di tua madre. Si arrabbia moltissimo se soltanto lo tocchi. Lei ci tiene. È roba sua. Il vecchio uomo, da bravo bambino, si era bevuto tutta la storia e ritenuto giusto rispettare le regole. Zampe di tartaruga, massicce, corte, squamate, unghiute. 133


Parte Seconda - Limboscopìa

Nessuno, nessuno aveva mai osato ribaltare lo Scrigno per scoprire come cominciassero o finissero quelle meravigliose incisioni senza tempo. Lo Scrigno di ferro ritto sulle zampe da secoli, il pavimento della soffitta logoro e stanco di sopportare il suo peso. Seduto lì accanto, l’uomo lasciò vagare l’attenzione sull’esercito immobile del ciarpame ammassato intorno a lui. Dipinti poggiati a terra in ordine sparso, in bella mostra: Strega sul rogo, Ritratto di donna morta, Natura morta, Il vecchio e suo padre nel giardino di casa, Mare in tempesta, Gruppo di ulivi, Cervo spaventato da (quadro incompiuto), il suo preferito di sempre, anche se non ricordava da dove provenisse quell’anonima, splendida tela. E poi ancora vecchie sedie, bacheche vuote, animali impagliati, orologi a pendolo, scatole di cappelli e scarpe, casse di bicchieri e bottiglie, piccole botti piene d’aria. E lo Scrigno. Soprattutto, sempre, solamente lo Scrigno. Lo stato delle cose, l’immobilità e la conservazione del passato, il fantasma degli anni perduti: lo strano oggetto era stato capace di immortalare tutto ciò che nella mente e nell’anima del vecchio andava rapidamente svanendo. E, al contrario di tutti gli altri oggetti, soltanto lo Scrigno sarebbe riuscito a continuare ad accumulare il passato e le cose a venire, accrescendo il potere di tornare indietro nel tempo. A quelle riflessioni, la mente del vecchio provò un fugace sbandamento. Enigmistica e filosofia non erano il suo forte. La vita e l’esperienza si fondavano semplicemente sui cinque sensi. Sua madre, colpa di sua madre che non gli aveva insegnato nulla. Tremando di paura allungò le dita artritiche, avvertendo lo scricchiolio delle articolazioni malate nelle ossa del polso. Le dita, simili a zampe di ragno, carezzarono lo Scrigno. I polpastrelli leggevano, 134


Nero Metafisico

in veloce rassegna, le storie di quei personaggi spiritati. Poi si arrestarono sulle fredde api. È mai stato aperto il suo ventre? Toccarlo gli faceva paura. Così come da bambino tremava al pensiero di dover toccare, baciare, abbracciare sua madre, una donna vissuta sempre all’ombra della casa, delle faccende domestiche, lontano da lui, troppo lontano. I suoi occhi caddero sulle vecchie tavole del pavimento, intarsiate da un caotico intreccio. Come gli anelli nel tronco dell’albero, le linee e i solchi giovani erano facilmente individuabili. I più recenti risalivano alla notte precedente. Non era un semplice oggetto in ferro battuto. Era uno Scrigno, forziere ostile dal contenuto ignoto, custode instancabile e muto di segreti inestirpabili. Incorruttibile. Nessuno aveva mai saputo cosa contenesse. Unico desiderio: aprire il suo ventre, vedere il contenuto di cui mamma è così gelosa. La polvere, il tempo e tutte quelle notti insonni col pensiero puntato sullo Scrigno. Sempre lui a tenere sveglio il vecchio, sempre lui a farlo ammalare. Nessuno aveva mai voluto prenderlo, nessuno lo aveva mai chiesto in dono e nessuno aveva mai pensato di sbarazzarsene. Dopo il vecchio, nessun altro bambino si era interessato allo Scrigno e nessuno era tornato in soffitta. Mai più. Lui aveva sempre desiderato aprirlo, aveva sempre desiderato sapere cosa avesse ferito il cervo nel dipinto incompiuto, aveva sempre desiderato conoscere la destinazione del carro dei bambini. Lui aveva sempre voluto capovolgere lo Scrigno e guardarlo sotto, farlo morire a pancia in su come le tartarughe. Ma né lui né altri avevano vinto la paura. 135


Parte Seconda - Limboscopìa

Ora, al termine della sua esistenza, il vecchio aveva finalmente scovato un modo per sciogliere il dubbio e placare la sua sete incessante: toccarlo. Semplice. Non era leale infilare uno specchio sotto il ventre, perché un’immagine riflessa non corrisponde a realtà. L’unica via era toccarlo, sfiorarlo dappertutto. Il vecchio allontanò i polpastrelli dalle api, fece scivolare le dita dal coperchio a volta fino alla testa urlante della serratura. Poi sulla mosca e più giù, sulle fiamme, e poi ancora più giù, finalmente. Lo aveva già fatto? Non ricordava, ma il suo istinto diceva di no. Nessuno lo aveva mai aperto. Forse era stato forgiato chiuso. Le dita ruvide e doloranti toccarono il ventre gelido, l’addome, la regione occulta dello Scrigno. Chiuse gli occhi e cercò di visualizzare l’immagine che gli trasmetteva il tatto. Il vecchio trasalì: gli sembrava di aver infilato la mano tra le cosce di una donna obesa. Magari sua madre. Nessuno. Non lo aveva mai fatto nessuno, sicuro. Lo Scrigno era vergine a quella perlustrazione. I ciechi leggono con le dita. Rami, rami rugosi che si intrecciano. Oppure vene, circuiti sanguigni, la mappa di un labirinto impossibile. Serpenti e vermi. Peli arricciati. Lunghi capelli mossi dal vento. Onde marine. La superficie di una foglia secca. Pioggia. Oppure, anzi certamente un Lo Scrigno si aprì di scatto. Con la furia di una scarica elettrica, il rumore metallico della serratura e dei cardini del coperchio attraversò i nervi del vecchio. Aperto. Dopo chissà quanti anni. Aperto, lo Scrigno si era aperto. Da solo. Io l’ho sentito camminare. Il pavimento graffiato. Forse sua madre rientrava di notte per 136


Nero Metafisico

spostare lo Scrigno, chissà per quale motivo. E ora era aperto. Nessuno aveva mai tentato di capovolgerlo per guardarlo sotto. Nessuno aveva mai guardato dentro. Un tesoro. I giocattoli che sua madre gli aveva nascosto per farlo studiare. I vecchi vestiti di sua madre, i vecchi giocattoli di sua madre. Oppure qualcosa di terribile, di cui nessuno avrebbe mai dovuto sapere nulla… i cadaveri dei suoi familiari, da lei sorpresi nel sonno, uccisi e mummificati, oppure ridotti in escrementi dopo averli mangiati uno a uno. Il vecchio si curvò in avanti, ma non riuscì a vedere granché. Scese dalla piccola sedia e s’inginocchiò al cospetto dello Scrigno, pervaso da un profondo sentimento di ammirazione. La sorpresa lo faceva avvampare di gioia e lo stupore lievitava in lui come la luce dell’alba, calda e inesorabile. Per un attimo il vecchio tornò bambino, il dolore alle ossa lo abbandonò. Non riusciva a crederci. Continuare a toccarlo prima di vedere cosa c’è dentro. Accarezzò il bordo dello Scrigno, il meccanismo della serratura nella bocca urlante, la faccia concava del coperchio e ridacchiò, piagnucolò tremando e balbettando. Una perla di saliva scivolò dalla bocca avida, lacrime confusero il suo sguardo. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano e si preparò a contenere gioia e paura. La tentazione lo stava divorando. Profanatore senza scrupoli. Non importava, non c’era più nulla da perdere. Lo Scrigno, dentro, era buio. Il vecchio pensò di trascinarlo sotto il raggio di luce più vicino. Si spostò e afferrò saldamente le zampe laterali dello Scrigno. Prese fiato, si concentrò e provò a tirare. Uno strattone, due, poca forza nei muscoli e tanto dolore alle ossa. Riposò. Al nuovo tentativo, con uno strattone più deciso, lo Scrigno si 137


Parte Seconda - Limboscopìa

mosse appena di un centimetro. Sembrava intenzionato a non farsi spostare. Il legno del pavimento scricchiolò. Le unghie sguainate dalle zampe si contrassero per ancorarsi al suolo, mentre un liquido nero tracimava dall’interno dello Scrigno in seguito allo scossone subìto. L’orrore attanagliò il vecchio. Le zampe di tartaruga… sciocchezze. È solo pesante. E io sono troppo vecchio per… L’uomo osservò colare il fluido nero e denso come petrolio, pensando a una muffa putrefatta da decenni. Forse quella sostanza nera lo riempiva fino all’orlo. Non capovolgerlo. Mai! Tremando come una foglia, protese la mano verso l’interno dello Scrigno, lo Scrigno che si era appena rifiutato di farsi portare sotto la luce, lo Scrigno che aveva disturbato il suo sonno strisciando sul pavimento e segnando le assi. Per una vita intera. La mano del vecchio era dentro. Nulla, il vuoto. Non trovò nulla. Roteò il polso alla ricerca di qualcosa, poi cercò verso il fondo. Ma quanto era profondo? Il vecchio spinse la mano ancora più in basso, senza riuscire a toccare nulla. Un’impressione, uno scherzo della luce e della mente. La mano immersa nel buio pesto venne aggredita da un freddo sempre più intenso. Freddo e caldo allo stesso tempo, il torpore formicolante della carne viva prossima al congelamento. Il braccio cominciò a inoltrarsi in un vuoto impossibile. Un pensiero, il desiderio fisico di sua madre, del suo seno, prese improvvisamente forma nei pensieri. Mentre il braccio congelava, avvertì l’attrazione magnetica dello Scrigno, potente come l’antica repulsione che provava all’idea di trovarsi tra le braccia della madre. Qualcosa della sua vita stava 138


Nero Metafisico

riemergendo, ma troppo velocemente, innaturalmente. Il terrore investì il vecchio per la seconda volta, con rinnovata violenza: lo Scrigno lo stava ingoiando. Si alzò in piedi di scatto, accorgendosi di essere madido di sudore. Meglio fermarsi. Il sudore della fronte scivolava come pioggia negli occhi. Il vecchio contemplò lo Scrigno. La vista era stranamente annebbiata. Non bisognava arrendersi. No. Doveva sapere, doveva conoscere. Doveva darsi da fare. Ricominciare a cercare. Nello Scrigno era custodito tutto ciò che non era più. E forse, tra queste cose, anche il volto di sua madre. Provò a stropicciarsi gli occhi ma si timbrò il volto con la carne viva del suo braccio mozzato. Colto di sorpresa, non urlò subito. Mentre il sangue caldo colava lento sulla bocca farfugliante, osservò con folle interesse la sezione dell’arto, la carne viva, lo spaccato dell’osso, i muscoli guizzanti. Quando la sua mente visualizzò l’immagine del braccio tagliato ancora immerso nel buio dello Scrigno, la tempesta di dolore sconvolse ogni fibra del suo organismo. Urlò. Urlò a lungo. Il dolore era finalmente esploso, il sangue sprizzava dal moncone con la stessa forza della sua voce. Istintivamente, il vecchio calò di nuovo il braccio mozzato nello Scrigno, affondandolo fin quasi alla spalla. Il dolore cessò all’istante. Aveva riassemblato il braccio? Forse non era mai stato mozzato. Il vecchio tornò in sé come destato da un brutto sogno. Il cuore batteva all’impazzata e il respiro era sempre più corto e rapido. Ritmi in progressione. Domandò perché. Perché? Tremila volte. Allo Scrigno, a nessuno, a se stesso, a Dio. Era un incubo, un’allucinazione, un delirio. Aveva infranto le regole, ma non aveva mai creduto ai malefici, alle superstizioni. Eppure era la realtà e disse no, piangendo, strillando, 139


Parte Seconda - Limboscopìa

implorando aiuto, chiamando la mamma come un bambino. Forse era morto e quello era l’Inferno. Il legno gemette ancora e le zampe di tartaruga lottarono contro il peso del vecchio. Lo Scrigno s’incamminò in direzione dell’angolo più buio della soffitta. Il vecchio, avanzando carponi per non estrarre il braccio dal ventre buio, lo seguì. Emerse un paio di volte dall’oscurità dello Scrigno e fu torturato ogni volta da fulminei abissi di dolore. Durante lo spostamento cercò di tenere immerso il braccio, consumato fino alla spalla dalle tenebre cannibali: il buio dello Scrigno lo divorava, senza dolore, a patto che tenesse la carne sprofondata nelle tenebre. Tra poco il cuore avrebbe ceduto, ceduto. Non poteva reggere quello sforzo, quella paura. Lo Scrigno trascinò il vecchio in un angolo remoto e protetto dalla luce, fra credenze e un orologio a pendolo in disuso. Il contenitore di ferro e la sua preda si fermarono lì. Cosa succedeva? Stava poi accadendo davvero? All’improvviso, le angosciose domande del vecchio furono interrotte da una musica lontana e da un coro di bambini piangenti. Curvo in ginocchio sullo Scrigno, il vecchio sollevò la testa per ascoltare. Tanti bambini. E canzoni di festa. Affascinato da quella sensazione, il vecchio comprese che il cuore avrebbe retto sino all’ultimo, perché apparteneva a sua madre ed era quel che lei voleva, sino all’ultimo, fino a che la morte non avesse deciso di prenderlo. Le canzoni e il lamento dei bambini lo portarono indietro nel tempo, di nuovo a temere il contatto con la madre. Ma lei, che volto aveva? Non riusciva a scorgerlo nel buio dello Scrigno. Non aveva sempre immaginato freddi i suoi baci? Freddi, certo, come il ferro dello Scrigno. La postura contorta lo stava sfiancando. Cercò di distendere le gambe, voltandosi sul fianco destro per lasciare la spalla a contat140


Nero Metafisico

to del buio, poggiando l’ascella sulla bocca urlante della serratura. Compiuta questa operazione, il vecchio si accorse che reggendosi al bordo dello Scrigno aveva offerto la mano al buio corrosivo. La sollevò in fretta e vide che quattro dita erano sezionate fin sotto le unghie, come da una lama tagliente e precisa. Le falangi tranciate sputarono sangue chiaro e il dolore disseminò nel suo cervello una fitta costellazione. Il vecchio affondò le dita troncate nel forziere. Spento il dolore, sentì che il suo pianto si stava mescolando a quello dei bambini. Nessuno aveva mai aperto lo Scrigno. Perché aveva dovuto farlo proprio lui? E com’era possibile che accadessero simili cose? Suo padre sapeva? Dov’era finita sua madre? La moglie, i figli? E tutti i suoi nipoti? Dov’erano andati tutti quanti? Ma era veramente sicuro che nessuno avesse mai aperto lo Scrigno? Non ricordava. Eppure sentiva che la risposta era vicina, a portata di mano. Il buio dello Scrigno era impenetrabile. La musica si fece più vicina. Suonata da uno strumento a fiato, eseguita con rabbia. Nascosto tra il mobilio antico e intrappolato nello Scrigno, il vecchio avvertì una vibrazione attraversare con forza crescente le assi del pavimento. Non c’era più tempo per pensare: ogni cosa si susseguiva eliminando domande, richieste, riflessioni e preghiere, anche le più brevi. Il pianto dei bambini, un ronzio minaccioso, la musica folle e un clamore di sottofondo sembravano avvicinarsi dal punto più remoto della soffitta. Guardò per un istante lo Scrigno: il buio stava diventando un liquido in fredda ebollizione, il suo livello raggiungeva, gorgogliando e schizzando, le nocche della mano e il collo, le guance, i pettorali. Il vecchio s’inarcò, sollevandosi sulle ginocchia per affondare i nuovi squarci e placare il dolore, mentre cominciava a farsi alto e nitido il cigolio del carro. Un mulo ragliò contro le grida dei bambini, e 141


Parte Seconda - Limboscopìa

al ronzio (api? Senza dubbio, api) si aggiunse un rumore viscido, strisciante. Il cuore del vecchio pompava orrore e ancora orrore, martellandogli tempie e orecchie. Il buio dello Scrigno fluttuava, obbligando l’uomo a intingervi le piaghe sempre più ampie. Il respiro affannato cominciava a squarciargli i polmoni, quando finalmente i suoni e i rumori divennero corporei, gettando ombre in movimento sulle pareti della soffitta. Riconobbe le sagome dei protagonisti della vendemmia cesellata sullo Scrigno, ora viventi. E si stavano avvicinando. Per prenderlo. Vendemmiarlo. Tutti i suoi familiari avevano subito quella sorte? Non sapeva. Sua madre, che cosa aveva fatto per tenerlo lontano dallo Scrigno? Non ricordava. Si alzò in piedi, sottraendosi allo Scrigno, ignorando l’artrite e la debolezza dei muscoli, il dolore sordo ancora inesploso dentro il corpo sezionato. Meglio scomparire del tutto nello Scrigno. Morte per morte, nulla era mai stato certo nella sua mente, nella stessa fede in Dio. Ma promise a se stesso che avrebbe assistito a tutto, il più possibile. Doveva vedere e sapere, prima di annullarsi. Immerse un piede alla volta, cercando di dominare gli spasmi dovuti all’enorme amputazione che separava il braccio dal busto. Il vecchio osservò i tessuti pulsanti del polmone scoperto, scossi dai battiti cardiaci. In piedi nello Scrigno e con la mente ormai vacillante per il dolore latente ma totale, vide le incisioni materializzate nella soffitta. Erano loro. I suoi familiari, la sua stirpe in celebrazione. L’oboe. Le api e le serpi. L’odore di campagna. Il mulo scheletrico 142


Nero Metafisico

e il carro di bambini in lacrime. La Vendemmia si faceva più vicina, viaggiando in un caleidoscopio. L’orizzonte s’innalzò soffocandoli quasi subito: il vecchio sprofondava nello Scrigno come in una piccola pozza di sabbie mobili. Non lottò per cercare di tornare a galla. Chiese perdono a Dio. Aveva paura ma era felice di aver trovato una scappatoia sicura per evitare le oscure intenzioni della Vendemmia. Le notti insonni, il mistero, la solitudine. Domande poste invano per una vita intera. Non avrebbe dovuto aprire lo Scrigno. Tra poco sarebbe finito tutto. Era immensamente orgoglioso di concludere la sua esistenza in un oblio nudo, buio e nullo, come aveva sempre sospettato. Ormai sprofondato fino al mento, la sua discesa rallentò. Le orride forme stavano per raggiungerlo. Chiuse gli occhi: le vide ancora. Il buio dello Scrigno penetrò nelle sue orecchie, colmando i pensieri di silenzio e vuoto assoluto. Ebbe consapevolezza del contatto col suo vecchio mondo fino al momento in cui gli ultimi capelli bianchi, ritti sulla testa, furono agitati dal vento della porta della soffitta che si chiudeva con forza. Ingoiato. La Morte? Dov’era finito il suo corpo? Il tempo era finito? Sembrava tutto finito, ma era soltanto un’anticamera. Forse un grembo materno. Ogni fine implica un nuovo inizio. La porta della soffitta si spalancò di nuovo e il vecchio vide. La Vendemmia si mise all’opera in un attimo, sul suo corpo, nella 143


Parte Seconda - Limboscopìa

sua anima, nel suo universo. Il demone, Suo padre, lo seviziò con l’oboe, suonandogli fuoco nelle viscere: le note infernali fecero sbocciare e fiorire sulla pelle gemme di carne viva. Gemme, fiori e frutti sanguigni. Le ossa artritiche si annodarono l’una all’altra, avvitandosi, scheggiandosi come una corteccia dura, i muscoli mutarono in spore. Poi arrivò Sua madre. Da lontano, danzando e cantando. La riconobbe subito. Era la fanciulla inghirlandata. Non gli parlò. Sorrise, e strappò l’uva dal suo corpo, lasciando profondi alveoli nella carne. Sedotti dal sangue, api e serpenti cominciarono a straziarlo in una nube di follia e di dolore. La mosca succhiò il sangue spremuto dal suo corpo, sgorgante dai buchi nel costato e sull’addome, da dove Lei aveva colto l’uva. La Madre aveva recuperato il suo ultimo figlio. Lo mise insieme agli altri bambini – i fratelli, i nipoti, tutta la sua stirpe – nel carro del mulo che lo portò alla croce. Il viso urlante della serratura si fuse col suo. Il cervo del dipinto incompiuto si spaventò a quella visione orribile. Una grossa chiave di ferro battuto grigio scuro entrò con forza nella bocca del vecchio uomo e ruotò, devastando gli ultimi denti, la gola, le interiora. Il vecchio urlò per sempre. Lo Scrigno fu di nuovo chiuso. Nella soffitta entrò la luce del tramonto.

144




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.