Pablo Neruda – Il poeta, la ragazza e l’oceano di Serenella Quarello e Lorenzo Megni © 2023 Serenella Quarello, Lorenzo Megni © 2024 Solone srl per questa edizione Tutti i diritti riservati.
Collana Nuvole in Tempesta, 42
Direttore Editoriale: Nicola Pesce
Caporedattore: Stefano Romanini
Ufficio Stampa: Gloria Grieco
Illustrazioni in cover e quarta: Lorenzo Megni
Cover design: Sebastiano Barcaroli
Correzione bozze: a cura della redazione
I versi delle pagine 18, 19, 22, 23, 28, 55, 56, 57, 59, 60, 61 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda Explico algunas cosas (Tercera residencia: IV. España en el corazón). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
I versi delle pagine 38, 39, 40, 42, 43, 45, 46, 47, 65, 66, 73 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda Oda a Federico García Lorca (Residencia en la tierra 2). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
I versi delle pagine 70, 71, 96 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda Sólo la muerte (Residencia en la tierra 2). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
I versi della pagina 78 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda Caballero solo (Residencia en la tierra 1). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
I versi della pagina 82 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda Vuelve el otoño (Residencia en la tierra 2). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
I versi della pagina 91 sono tratti dalla poesia di Pablo Neruda El Gran Océano (Canto general). Liberamente tradotti da Serenella Quarello.
Printed in Slovenia – AGOSTO 2024
Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/edizioninpe instagram.com/edizioninpe youtube.com/@edizioninpe_ #edizioninpe
Serenella Quarello Lorenzo Megni
Introduzione di Serenella Quarello
«Puedo escribir los versos más tristes esta noche»
Quei versi tristi che Neruda aveva versato su carta come terapia catartica per un amore finito, ma non del tutto, ebbene quegli stessi versi scritti a vent’anni e diventati iconici, potrebbero risuonare ancora per cantare un amore, in questo caso mai finito, per la Spagna, quella Spagna repubblicana che il grande poeta cileno amò profondamente e incondizionatamente.
Neruda fu un poeta immenso, rutilante, appassionato. Pop.
Ma fu anche qualcos’altro: impegnato. Un uomo che mise la parola al servizio della politica, delle idee, della repubblica.
Ma facciamo un po’ di chiarezza e iniziamo a svelare qualche perché di questo graphic novel che tenterà di fare luce su qualche pagina ancora piuttosto oscura della Storia del Novecento, non del tutto risolta e che ha tristi affinità con l’attualità: muri, barriere, filo spinato, migrazioni, emarginazione…
Dal 1934 al 1938 Neruda si trovava a Madrid come console del Cile ed è lì che scoppia, puro e intenso, il suo amore per la Spagna, la sua “España en el corazón”. Vive nel quartiere popolare di Argüelles, nella “casa dei fiori” come la definisce lui stesso in una poesia. Gli piace perdersi fra le bancarelle del mercato, “tra mucchi di merluzzi e pane fragrante, in mezzo a bambini che scorrazzano e campane che suonano”. Sono ancora i versi delle sue poesie a parlare. E dietro la città, in lontananza, il volto bruno e secco come cuoio dell’altopiano castigliano. Ama respirare l’aria secca e tagliente della capitale, molto diversa da quella umida, marina e fresca del suo oceano Pacifico. Sarà per questo che il “nostro” Neruda sogna l’oceano?
E poi ci sono gli amici: il poeta e pittore Rafael Alberti che di lì a poco, proprio come Neruda, metterà la penna al servizio della causa repubblicana, e Federico García Lorca. Già, il grande poeta di Spagna, Lorca l’eterno bambino, il genio andaluso che Pablo aveva conosciuto a Buenos Aires e che l’aveva incantato con la grazia e la disarmante follia surreale dei suoi versi. Federico sarà la prima vittima della Guerra Civile Spagnola. Perché? Neruda se lo chiederà spesso. Forse per l’omosessualità taciuta fino al coming out poetico dei suoi Sonetti dell’amore oscuro, per il suo essere repubblicano o forse solo perché rappresentava il fiore della cultura? E quello sì, fa paura, la cultura ha sempre fatto paura ai regimi totalitari.
Una costante della breve vita di Federico fu quella di sentirsi accompagnato da un destino tragico, presentimento che aveva confidato a Pablo. Che infamia, il medesimo destino attende il poeta cileno per fargli la medesima giocata sleale 37 anni dopo, ma lui, ovviamente, non lo può sapere.
Ma non corriamo troppo. Torniamo a quegli anni, al prima, gli anni felici, o considerati tali dalla Spagna socialista, operaia, studentesca, contadina, “rossa”, anni che videro Neruda console, poeta fra i poeti e gli artisti della Generazione del ’27. Alberti, Lorca, Dalì, Buñuel, le sinsombrero, poetesse che gettarono via i cappellini per scoprire il cervello “perché anche le donne l’avevano un cervello”, gli anni del suffragio universale, delle libertà. Ma quel prima viene spazzato dal sollevamento militare dell’altra Spagna, quella che si ispirava ai principi della Falange, dai “neri uccelli” dell’aviazione di Hitler, dalle squadre inviate da Mussolini in aiuto ai nazionalisti insorti.
È il 1936, la Spagna si spacca in due, le famiglie si frantumano, le amicizie si spezzano ed è guerra civile. Nazionalisti contro miliziani, franchisti contro repubblicani. Gli azules contro i rojos. Dal ’36 al ’39 chi può fugge, chi vuole o non può, resta e combatte e deve prendere posizione; anche chi, come la nostra ragazza protagonista, non s’è mai interessata alla politica e alle ideologie.
Le battaglie sono sanguinose: Belchite, Teruel, Ebro. La battaglia dell’Ebro è terribile. L’acqua del fiume è rossa di sangue. “Tristes guerras, tristes tristes”, scrive un altro poeta, Miguel Hernández.
Il ragazzo della nostra storia era un militante fin da prima della guerra ed è giocoforza per lui partecipare ai combattimenti per difendere la repubblica, o meglio, quella che aveva vinto le ultime elezioni: quella di sinistra del Fronte Popolare. Sono arrivati donne e uomini da tutto il mondo per aiutare la democrazia sotto attacco: sono i volontari delle Brigate Internazionali, un assaggio di quelli che saranno i futuri partigiani, non puoi tirarti indietro. Ed è così che anche la ragazza, un po’ perché le parole piene di fervore del ragazzo di cui si sta innamorando l’hanno convinta, un po’ perché è ora di ribellarsi ai genitori, decide di seguirlo nonostante i versi di quel “poeta brutto come un rospo” che tanto piacciono a lui, al ragazzo, non li abbia capiti fino in fondo.
Eppure, quei versi strani arrivano al cuore. E siccome arrivano al cuore insieme alle parole del ragazzo…
Lei si dimostrerà forte. Anche più forte di lui e per avere una prospettiva, una speranza, decidono che dovranno vedere il mare. Ma intanto la storia va avanti e si prende i suoi morti.
Quando la Guerra Civile volge al termine, Franco si è autonominato caudillo ed è il leader indiscusso della Spagna che si sta rivelando vittoriosa, meglio armata, inarrestabile. Barcellona cade in mano ai franchisti, in breve anche Madrid farà la stessa fine. Lo striscione famoso “No pasaran” della Pasionaria repubblicana Dolores Ibárruri, verrà definitivamente rimosso.
Una lunga colonna di disperati s’incammina verso la speranza al di là dei Pirenei in cerca della salvezza e della libertà in terra francese: è la Retirada di 500.000 esuli repubblicani in fuga dal franchismo, dalla repressione, di chi non si fida della promessa di Francisco Franco: “Saranno puniti solo coloro che hanno la mani macchiate di sangue”. Sangue? Probabilmente Neruda, a sentire le parole urlate da Franco nei proclami per radio, deve aver pensato alle strade rosse di sangue. Ce lo dice con i suoi versi che parlano di quei bambini che prima schiamazzavano per le strade del suo quartiere e dei quali ora non resta che sangue, sangue di bambini. Versi tristi, versi tristi.
Non sanno cosa li aspetta: lungo il cammino, Franco ha appostato cecchini e molti moriranno così, per strada, ma il peggio lo troveranno al di là dei Pirenei dove gli esuli vengono accolti o, per
meglio dire, rinchiusi nei cosiddetti campi di raccolta, “ camps de collectages ” che all’epoca erano chiamati, triste anticipazione di quel che verrà, “camps de concentration ”.
Inizialmente gli esuli spagnoli vengono divisi: gli uomini da una parte e le donne, bambini e anziani dall’altra, ma le fughe e gli spostamenti sono all’ordine del giorno. Nei primi freddissimi mesi di gennaio e febbraio del 1939, i campi non sono nient’altro che baracche aperte e cintate da filo spinato, controllate da guardie armate nei pressi di Argèles-sur-Mer, sulle spiagge del sud della Francia spazzate da un mare arrabbiato, grigio e freddo.
Successivamente, i profughi sono smistati e le famiglie separate nei centri chiamati eufemisticamente “centri di accoglienza e di lavoro”, ma le condizioni restano disumane. Non è quello il mare tanto sognato dai nostri due protagonisti.
Complice la stampa, gli esuli che sono solo profughi di guerra in cerca di salvezza e di lavoro, sono visti come “terroristi”, “indesiderati”, “soggetti pericolosi” e patiscono una fame brutale, le botte, il tifo, la dissenteria, il freddo e il disprezzo. Oggi un memoriale ad Argèles-sur-Mer rende omaggio a quegli esuli, molti dei quali, comunque, una volta fuggiti dai campi o dopo la loro chiusura definitiva tra il ’42 e il ’43, restano in Francia e combattono al fianco dei Francesi contro la Germania di Hitler che ha invaso Francia e Belgio, diventando “maquis”, partigiani, molti altri sono costretti ad arruolarsi nella Legione Straniera e vanno a morire combattendo in Africa, 7000 muoiono deportati a Mauthausen.
E Neruda, in tutto questo, che ruolo ha avuto?
Nel 1938, la Guerra Civile già imperversa da due anni, Neruda deve lasciare il Paese e recarsi a Parigi, ma non smette di aiutare la Spagna ferita ed è qui che s’innesta l’altra nostra storia, quella che racconta un Neruda meno conosciuto rispetto al Neruda poeta e che lo vede nei panni di una sorta di Schindler che stila una Schindler’s list molto speciale.
Ecco come sono andati i fatti.
Neruda, ha 34 anni, è un giovane uomo cocciuto, ma è anche un famoso poeta e riesce a convincere il presidente cileno Pedro Aguirre Cerda a concedergli una specie di permesso speciale per accogliere i rifugiati spagnoli dei campi francesi in Cile, Paese all’epoca povero, vittima di un terribile terremoto e che si stava riprendendo a fatica da una grave crisi economica.
Ma i problemi sono molti e il tempo poco: Aguirre Cerda concede un numero limitato di visti e soprattutto intende accogliere solo coloro che siano in possesso di provate qualità professionali e morali per placare i timori generati da una campagna politica messa in atto dai partiti all’opposizione che temono un’invasione di “criminali, anticristiani spagnoli”. E a Neruda tocca l’onere di coprire i costi dei biglietti, del vitto e dell’alloggio per il viaggio e per i primi sei mesi!
Si tratta di una missione pressoché impossibile.
È una corsa contro il tempo, contro la burocrazia e i burocrati parigini e cileni e soprattutto contro il nazismo che avanza e la Seconda guerra mondiale alle porte, ma anche contro le accuse, in parte fondate, che gli vengono mosse per aver privilegiato le domande di rifugiati comunisti rispetto ad anarchici, socialisti o repubblicani “generici”. Ma Neruda tira dritto e si butta a capofitto nell’impresa di raccogliere fondi in tutta l’America Latina, mentre con l’aiuto del Partito Comunista Francese lavora alla trasformazione dello sgangherato Winnipeg da mercantile a nave passeggeri: di più non può permettersi! Manca meno di un mese alla partenza e non ha raccolto nemmeno la metà dei fondi previsti: che fare? Neppure il cospicuo aiuto di Picasso è sufficiente. Quand’ecco che si compie un miracolo: arriva una grande donazione da parte di una congregazione di Quaccheri. Sì, viene spontaneo chiedersi cosa c’entrino i Quaccheri con i comunisti, ma tant’è. La fratellanza umana non ha colore, né religione, né appartenenza politica.
E il 4 agosto del 1939, all’imbarcadero di Pauillac, è un turbine di emozioni perché le famiglie, alcune delle quali divise alla fine della guerra di Spagna, si trovano lì per la prima volta riunite. Con rapidità vengono distribuite le circa duemila carte per l’imbarco che sono state “fabbricate” per volere di Neruda. La gente ha fretta di salire su quella brutta nave mercantile comprata dal poeta e che appare loro bellissima.
A bordo, il vociare si placa quando il Winnipeg stacca l’ancora e lascia, lentamente, la Francia. Neruda sventola il cappello bianco in compagnia della moglie Delia, salutando dal molo il suo poema galleggiante, il suo “poema più bello” salpato alla volta del Cile.
A bordo cala il silenzio, il pensiero va a quel che si lascia, ai morti rimasti in Spagna, agli amici, alle case, ma anche all’incognita di quella terra verso cui li sta portando un poeta cileno che si è intestardito di salvarli per il solo fatto di avere… la Spagna nel cuore.
Le coste del Cile, speranza di libertà e di una nuova vita, sono là, da qualche parte oltre l’Oceano che finalmente li accoglie e accompagna in un umido abbraccio.
Attraccheranno a Valparaíso dove li aspetta una folla festosa e incuriosita, dal presidente della Repubblica cilena e dal giovane, allora ministro, Salvador Allende.
«Che la critica cancelli tutta la mia poesia, se crede. Ma questo poema, che oggi voglio ricordare, nessuno potrà cancellarlo».
A noi piace pensare che Neruda, il ragazzo, la ragazza, da qualche parte, nell’oceano, stiano sorridendo sapendo che qualcuno parla ancora di quei fatti bruttissimi, ma straordinari allo stesso tempo. E al ragazzo e alla ragazza senza nome, un nome, dateglielo voi. Neftalí Ricardo Reyes Basoalto si è scelto Pablo, Pablo Neruda.
Il perché di questo adattamento
In una storia di fiction si è soliti dichiarare che riferimenti a fatti e persone sono del tutto casuali, ma in questo caso, se lo facessimo, mentiremmo.
Il ragazzo e la ragazza sono pura invenzione, è vero, ecco perché non hanno nome, ma si ispirano a quella gioventù che si trovò a dover decidere da che parte stare quando una parte “giusta” non è detto che ci sia e quando si è obbligati a combattere una guerra che non si è voluta, quando si viene sradicati dalla propria terra della quale resta solo un pugno portato in tasca e un amore appena nato, un fazzoletto rosso.
Eppure, c’è molto di vero in questa storia e tutto nasce da un racconto emozionante che diversi anni fa mi fece Jaume Trias Cambra, un catalano doc figlio di Josep Trias Badosa. Destinato al fronte di Aragón, partecipò alla gloriosa battaglia di Teruel, poi Belchite; quindi, fu nominato Comandante di Stato Maggiore dal generale Vicente Rojo in preparazione della battaglia dell’Ebro. Battaglie straordinarie, combattute con fermezza da una parte e dall’altra e immortalate dagli scatti di Robert Capa e di Gerda Taro, splendida fotografa, caduta poi sotto il fuoco amico.
L’Ebro fu una sfida colossale: i nazionalisti, sorpresi dai miliziani repubblicani, ebbero l’ordine di non abbandonare il campo. La battaglia durò tre mesi facendo più di 13.000 morti, le note di “¡Ay Carmela!”, la “Bella ciao” dei miliziani spagnoli, risuonarono come il canto del cigno della Repubblica: fu l’ultimo sforzo bellico, ma la battaglia fu vinta dai franchisti.
Da quel momento, ha inizio la Retirada di Josep che chiude la retroguardia degli esuli passando per l’Aragona e la Catalogna attraverso Gandesa, Bellcaire de Urgell, fino al confine con la Francia dove entrò all’alba, poche ore prima dell’arrivo dell’esercito franchista.
Disarmato e fatto prigioniero alla frontiera, fu internato nel campo profughi di Argelès-sur-Mer. Le condizioni erano disumane, racconta suo figlio. Quando si ammalò di dissenteria, un compagno lo salvò masticando per lui il cibo. Riuscì a scappare dal campo e andò a Tolosa dove ottenne un posto da conversatore di lingua spagnola nella scuola dei gesuiti e, una volta iniziata la Seconda guerra mondiale, entrò nella Resistenza formata da spagnoli impegnati a far passare in Spagna piloti alleati e bambini ebrei attraverso la frontiera lungo sentieri di montagna.
Questo e molto altro c’è di lui nel ragazzo e nella ragazza protagonisti della nostra storia.
Quei fatti, quei racconti, quelle emozioni che Jaume volle condividere con me, germinarono e come un seme caduto nell’asfalto, in cerca di luce e aria, sono cresciuti diventando parole e le pa-
role hanno incontrato la matita di Lorenzo Megni che le ha interpretate come se le avesse vissute in prima persona. E Edizioni NPE le ha accolte.
Anche il fenomeno noto come la Retirada degli esuli spagnoli della Repubblica durante la Guerra Civile di Spagna, palestra della Seconda guerra mondiale, è Storia, ma in questo caso le fonti e i materiali reperibili sono davvero pochi e i racconti di Jaume sono stati quanto mai preziosi.
I riferimenti a Pablo Neruda, agli amici e ai luoghi madrileni che frequentava non sono frutto di finzione e sono facilmente reperibili in Rete, nei saggi e nei testi letterari; anche i fatti relativi al Winnipeg, su cui il poeta imbarcò i circa 2200 esuli spagnoli, sono storici e comprovati, anche se bisogna ammettere che spesso le azioni attribuite a Neruda sono ammantate di eroismo a volte un po’ eccessivo o, al contrario, demolite per avere favorito, secondo una parte della critica, “solo i comunisti”. Apologia o revisionismo a parte, resta innegabile il ruolo che ebbe. I riferimenti alle sue poesie sono liberamente interpretati dai testi dell’autrice e dalle matite dell’illustratore.
Noi vogliamo ricordare così i 120 anni dalla morte di Pablo Neruda, controverso, senza dubbio, ma grande, grandissimo poeta, persona e, nel nostro libro, anche personaggio.
A Jaume Trias Cambra per i racconti, gli aneddoti e le informazioni che un giorno, in riva al Po, volle condividere con me. Da lì, il germe della storia. A Jesús Fonteca Caso perché ogni promessa è debito. Serenella Quarello
Per Josep Trias Badosa e tutti i repubblicani della Retirada perché “un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda.” Ugo Foscolo
COSA STAI GUARDANDO, PABLO?
IL MARE.
IL MARE? QUI, A MADRID?
SÌ, UN MARE DI TETTI, CAMPANILI E RINTOCCHI.
LE ONDE DEL MIO MARE CITTADINO.
TU, PABLO, CERCHI IL MARE DAPPERTUTTO.
Serenella Quarello Lorenzo Megni