Pescabolario di Andrea Bersani Testo e immagini © Andrea Bersani, 2016 © Solone srl per questa edizione Collana: Narrativa, 14 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa e Supervisione: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Stampato presso Rotmail Italia SpA - Vignate (MI) Grafica in copertina Nicola Pesce Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) Recapito Postale NPE c/o MBE via Brodolini, 30-32 z.i. 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/NicolaPesceEdit instagram.com/EdizioniNPE
Pescabolario di Andrea Bersani
M. Morosa Se l’avete e vi segue a pesca, vi vuole proprio bene, se vi asseconda per anni, vi ama. Tenetela da conto.
Moglie È la morosa di prima, almeno per me, e non poteva che finire così. Vi ha, mi ha, sopportato per anni tollerando benevolmente la passionaccia, e il matrimonio alfine ha coronato tanta dedizione. Da sposato continuerete a pescare con la consapevolezza che all’amo non finiscono solo i pesci, rinnovando così il rispetto, sempre avuto, nei loro confronti. Amo i pesci e mia moglie: poteva finire diversamente?
Mosca Non le mosche che nascono dai simpatici bigattini, bensì quelle secche per la pesca più blasonata che ci sia: quella a Mosca appunto. È considerata, a ragione, la più raffinata fra le tecniche, quella dal gesto atletico più armonioso e 85
anche, la più sportiva. Io però non la pratico. Non pesco a Mosca proprio per le caratteristiche di superiorità (presunta) e primariato che porta chi la pratica a guardare con snobismo (se non razzismo), la “plebaglia” che usa altre tecniche. Tra gli anglers che pescano a Mosca (solo a “secca” naturalmente!), si respira un fastidio palpabile nei confronti di chi non si prostra al cospetto di Sua Maestà la Mosca di Maggio (may fly). I “moschisti” si credono superiori e galleggiano sulle loro convinzioni. In Italia chiedono tratti a regime speciale solo per loro, poi vanno in Croazia o nella Columbia Britannica se vogliono fare qualche cattura di rilievo. Perché da noi è molto difficile che una trota di cinquanta centimetri salga a bollare la perfetta imitazione, posata con tanta maestria ed eleganza da un tizio vestito all’ultima moda. Perché da noi, in Italia, le trote sono poche e l’ambiente dove vivono è molto diverso dai torrenti calcarei inglesi (i famosi chalk stream). Quindi aspirare al trofeo richiede un certo potere d’acquisto per accedere alle riserve private, o andare alfine all’estero. Idem. La pesca a Mosca è stata inventata in Inghilterra, ma da noi fu elaborata una tecnica chiamata “valsesiana” (della Val Sesia), che si evolse in parallelo, se non prima, di quella a “coda di topo” inglese, solo che è semplice, troppo semplice per il moschista medio: mira solo a posare senza lancio, senza doppia trazione lì proprio lì, in quella buchetta, una piccola mosca. Era ed è una tecnica per catturare per poi mangiare. Mangiare! Mangiare? Apostasia!! Il moschista talebano non mangia, cattura e rilascia (c&r): perché solo lui, e quelli come lui, possiedono il vero spirito sportivo che deve animare un pescatore non professionista. Solo lui, dall’alto della puzza sotto il naso, può decidere chi è sportivo oppure è solo un volgare pescatore della domenica. Solo lui incarna la più alta espressione tecnica legata alla cattura dei pesci. Solo lui, il pescatore a Mosca, mi sta tanto sui maroni!… Oops! Mi è saltata la Mosca al naso. Sorry.
Minnow Sotto quest’anglosassone parola sono raggruppate tutte le esche artificiali che riproducono e imitano, il più fedelmente possibile, un pesce: un pesce foraggio, nella fattispecie. Normalmente, i Minnow, sono destinati alla cattura dei predatori, magari a quelli grandi-grandi e solamente ittiofagi, che sognare costa poco, ma anche pesci saltuariamente cannibali gradiscono. Eccome! La leggenda vuole che il primo pesce finto sia stato realizzato da Lauri Rapala, un finlandese grande osservatore. Un vero pescatore dal viso segnato come Spencer Tracy. Un vero personaggio. 86
Fermo restando che le acque che Lauri frequentava in Finlandia erano, e sono, mooolto più pescose di quelle nostrane, fu il suo spirito di osservazione, indipendentemente, a portarlo alla costruzione del primo Minnow dell’emisfero boreale; capostipite di una famiglia di esche conosciuta e apprezzata in tutto il mondo: i Rapala appunto. Che cosa vide mai di tanto clamoroso ’sto benedetto uomo? Semplice, osservando dalla sua barca, vide che il pesce più goffo della compagnia era quello predestinato alla predazione, sempre: e non si sbagliava, mai! Il passo successivo fu costruirsi un pesce di legno, armarlo di ami e verificare su campo, pardon, nell’acqua, se la pratica confermava la teoria. Funzionò. Eccome! Il resto è leggenda: prima un capannone, una fabbrichetta, una fabbricona, infine l’invasione di tutti i mercati possibili, fino a diventare sinonimo di pesce finto. Dici Rapala e intendi Minnow, anche se in realtà poi userai (l’offerta è variegata) un’esca messa a punto da uno dei tanti competitor. Uso con grande piacere i Minnow della Rapala e mi picco d’essere un buon osservatore e, spero, pescatore, quindi da bravo epigono del vecchio Lauri, pratico delle modifiche alle sue leggendarie esche, adattandole ai corsi d’acqua che frequento. Ho una sensazione però, che Lauri, dal paradiso dei pescatori, rida di gusto quando le ancorine, passando dal maglione alla ramaglia sull’altra sponda, finiscono nel mio dito preferito. Vecchia scorza di un finlandese!
Martin Pescatore Alcedo atthis è un simpatico, piccolo uccello, che si nutre di pesciolini. Ha l’abitudine di volare a pelo d’acqua sfrecciando come un jet, di un bel blu metallizzato e di posarsi su di un rametto per poi, tuffandosi a candela, ghermire il pesciolino di turno. Uno spettacolo! A questo spettacolo ho potuto assistere in prima fila, per giunta seduto, per un’ora almeno. Come? Semplice, era d’estate, in Setta, e tentavo le anguille: la canna a fondo sotto riva e il campanello sul vettino, come vuole la tradizione. C’era ancora luce. Ero lì intento, seduto comodamente, quando un Martin si è posò sulla vetta che, orizzontale sull’acqua com’era, gli parve evidentemente un ottimo punto d’osservazione e lo era, sia per lui sia per me. Guardava, mirava e si tuffava riemergendo con un avannotto nel becco, lo girava dalla parte della testa e lo ingoiava. Poi dopo essersi rassettato becco e piumaggio, si rimetteva di vedetta: e avvistato che aveva un altro pescetto, pluf, ripeteva il tuffo. Tutto questo per almeno cinque volte. Un vero spettacolo, tanto che sperai, ardentemente, che l’anguilla 87
non mangiasse per non disturbarlo col suono del campanello! Fui esaudito: lui mangiò a sazietà mentre l’anguilla per niente. Una bella serata a osservare il piccolo elegante collega, esercitare con maestria la sua arte, passando dal ruolo di pescatore a quello di ornitologo: Martin: 5 – Andrea: 0. Che figura…
Mulinello Non quello d’acqua che trascina sul fondo i malcapitati, bensì l’omonimo, atto ad avvolgere la lenza. È un attrezzo fondamentale per un corretto esercizio dell’attività alieutica: compratelo buono e apprezzerete la differenza. Poco importa se a bobina rotante o fissa, compratelo di qualità e non vi pentirete. Un’unica cosa, fatemi contento: compratelo “sobrio”. Sì perché negli ultimi anni, si è andata affermando una tendenza, sicuramente pilotata da qualche fenomeno del marketing, di colorare i mulinelli, soprattutto quelli a bobina fissa, con le tinte più stravaganti. Ho visto mulinelli cromo e rosso cardinale metallizzato (Babbo Natale inspired), e ancora, oro caldo satinato e inserti di un bel blu notte specchiato (molto chic). Orrore! Capisco che sullo scaffale si fanno notare, ma siccome non li porteremo con noi la notte di San Silvestro, né li regaleremo alla morosa, come fosse l’ultima proposta di uno stilista da balera, possiamo stare sicuri che tutto quel brilluccichio non passerà inosservato neppure dai pesci. Poco ma sicuro. Prima dell’avvento del glamour applicato alla pesca, i mulinelli (oggidì anche le canne non scherzano), erano verniciati di un bel nero opaco, a fuoco (Mitchell su tutti), e chi voleva marcare la differenza, usava sempre tonalità neutre e sempre opache. A onore del vero, tutto questo tripudio policromatico, è inversamente proporzionale alla serietà della casa madre: Shimano e Penn, ad esempio, cedono meno facilmente a certi stratagemmi. Per il momento… Rammento perfettamente che leggevo, sulle riviste di settore, di cartare le parti lucide, perché non mandassero bagliori localizzanti alle nostre prede. Alla faccia! Perché i pesci non sono abituati, anime semplici, alle luci sfolgoranti della città. Sono creature timide e vanno avvicinati camuffandosi con l’ambiente, non violentandolo con la nostra luccicante presenza. Siamo pescatori, non tamarri in caccia sul lungomare di Rimini per la “Notte Rosa”. O sbaglio?
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Mazzacchera Preciso: non ho mai usato la Mazzacchera, ma è un sistema talmente semplice e originale, che voglio parlarne. Nasce dall’osservazione diretta dell’ingordigia delle anguille alle quali questa tecnica è dedicata. In cosa consiste? Semplice, si prende del grosso filo da cucito, si raddoppia e, aiutati da un grosso ago, vi s’impalano in sequenza una decina di grossi lombrichi: uno via l’altro che neanche Vlad di Valacchia farebbe di meglio. Fatto? Bene. Ora questa esca in nuce, giacché gli spiedini non piacciono alle anguille, va resa appetibile. Come? Piegando e ripiegando su se stesso il filo farcito, fino a ottenere un grosso e grasso boccone formato da tanti festoni di lombrichi, e più è grande più è adescante, e più puzza di guasto e meglio è. Brrrr. Poi si fissa al grosso filo (anche un cordino), nel quale avremo già infilato un piombo scorrevole (questo per agevolare la discesa della Mazzacchera e mantenerla sulla verticale), che va alla corta e robustissima canna. Più che altro un bastone. Poi si comincia a pescare! Questo boccone splatter, la Mazzacchera appunto, va usato durante le piene, quando il fiume è color cioccolata, e le anguille escono anche il giorno. Si cala in verticale, si mantiene il filo in tensione e si aspetta, ma cosa? Si aspetta che la golosa anguilla, attirata dalla succulenta treccia di lombrichi, li addenti. Attenzione: addenti solo, per poi trascinarli e ingoiare con comodo. E qui entra in ballo l’abilità del pescatore, che sentito il peso dell’anguilla velocemente, ma non bruscamente, la solleva dall’acqua, la fa penzolare, udite-udite: su di un ombrello aperto! Finché non decide, oramai consapevole della fregatura, di mollare la presa, cadendovi dentro. Non è geniale usare un ombrello rovesciato, per contenere dei pesci, provenienti da quell’acqua che, normalmente, scivola sull’ombrello aperto per ripararci? È un colpo d’ala di prima classe, degno del miglior Buster Keaton. Vero surrealismo. La Mazzacchera ricorda un po’ la “polpara” ed è il frutto dell’osservazione diretta, di una quasi nulla disponibilità economica e dal direttamente proporzionale appetito. Meditate anglers meditate.
Moschettoni Si possono acquistare Moschettoni piccolissimi e così fragili che, al solo guardarli, pudicamente si aprono e altri, certificati nel carico (espresso in libbre), che non sfigurerebbero in un sesto grado. 89
Il Moschettone a pesca, come in tutti i casi dov’è utilizzato, serve per agganciare, fermare temporaneamente, assicura qualcosa o qualcuno, a qualcos’altro o a qualcun altro. Semplice. Detto questo, per pescare, comprateli proporzionali alla tecnica e al pesce che sperate di catturare. Banale. Però, a volte, disatteso. Mi è capitato di rinvenire esche gigantesche, dedicate al luccio, collegate al finale d’acciaio con un moschettone da pesca leggera! Si può aprire, perché anello debole di una catena forte. E non vogliamo perdere un magnifico pesce per una simile leggerezza, vero?
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Q. Quaglia Vedere Budella. Il piccolo pennuto, parente della gallina, può sostituire con le sue interiora quelle della più diffusa parente. Nota bene: se oggidì è diventato difficile (norme igieniche) mettere le mani su interiora di gallina, figuriamoci su quelle di Quaglia. Forse, troppe norme troppo igieniche, forse, creano uno scollamento tra consumatori e prodotti da consumare? Probabile. Da piccolo ho assistito più volte al rito dell’eviscerazione della gallina domenicale, prima spennata, poi strinata sul gas. E quell’odore pungente mi è rimasto nel naso, che per risentirlo devo fare io da gallina, sbruciacchiandomi la peluria accendendo il camino. Quale poesia. C’è qualcosa che non va in tutto questo. C’è qualcosa… “ca non quaglia?”