Pinocchio - Storia di un burattino tra cinema, illustrazione e fumetto

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Storia di un burattino tra cinema, illustrazione e fumetto

Matteo Calanna

Pinocchio – Storia di un burattino tra cinema, illustrazione e fumetto di Matteo Calanna © degli aventi diritto per le immagini utilizzate © 2023 Matteo Calanna © 2024 Solone srl per questa edizione

Collana: L’arte delle nuvole, 49 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Caporedattore: Stefano Romanini Ufcio Stampa: Gloria Grieco Coordinamento editoriale: Cristina Fortunato Progetto grafco cover e quarta: Sebastiano Barcaroli Impaginazione e grafca: Valeria Morelli Correzione bozze: Marco Ambrosini

Stampato presso Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di febbraio 2024

Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA)

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Storia di un burattino tra cinema, illustrazione e fumetto

3.4

Capitolo Primo Capitolo Primo Capitolo Secondo Capitolo Secondo Capitolo Terzo Capitolo Terzo Indice Prefazione. Iconicità di Pinocchio 7 Introduzione 13 Parte Prima Dalla scrittura al cinema: nascita e fortuna di Pinocchio 17 «C’era una volta un pezzo di legno» 19 1.1 Nascita di un burattino 19 1.2 «Ma Collodi esiste». Breve ritratto del (vero) padre di Pinocchio 23 1.3 L’origine del legno. Mito e fiaba nella genesi di Pinocchio 26 Dalla prima pubblicazione alle riscritture del personaggio 37 2.1 Storia editoriale e successo di Pinocchio 37 2.2 Le prime riscritture 40 2.3 Versificare. La filastrocca di Pinocchio di Gianni Rodari 42 2.4 Riscrivere. Giovanni Arpino e Luigi Malerba 44 2.5 Giocare con la lingua. Umberto Eco e le emoji di Francesca Chiusaroli 47 Dalla pagina allo schermo. Pinocc hio al cinema e in TV 49 3.1 Un Pinocchio di massa 49 3.2 L’avvento di Walt Disney. Pinocchio (1940) 51 3.3 Viaggio in Giappone. Le nuove avventure di Pinocchio di Tatsuo Yoshida 58 3.4 La povera Italia. Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini 64 3.5 Il volo dell’aquilone. Pinocchio di Enzo D’Alò 72 3.6 Realismo magico. Pinocchio di Matteo Garrone 75
Le immagini: edizioni illustrate di Pinocchio 79 Sull’importanza delle illustrazioni. L’iconografia di Pinocchio 81 1.1 La subordinazione dell’immagine 81 1.2 Pinocchio illustrato 85 I primi tre volti di Pinocchio: Mazzanti, Chiostri e Mussino 89 Attraverso nuovi sguardi. Illustrare Pinocchio oggi 111
Il teatro dei burattini di Emanuele Luzzati 111
La plasticità dei colori. Pinocchio di Lorenzo Mattotti 117
Fatto a mano. Pinocchio di Marcello Jori 124
Parte Seconda
3.1
3.2
3.3
Il burattino prende vita. Pinocchio di MinaLima 130

3.5 Per una diversa percezione. Pinocchio di Paolo Mottura

3.6

3.7 Riscrittura e illustrazione. Il burattino di ferro di Tomonori Taniguchi

Parte Terza

Il

1.1

2.1 Tra Disney e Collodi

2.2

2.3

2.4

3.2

3.3

3.4

3.6

3.7

3.8

141
152
Oscura visione. La storia di un burattino di Simone Stuto
156
testo
le immagini: Pinocchio a fumetti 161
il fumetto? Pinocchio e la nona arte 163
e
Perché
Si dice fumetto o graphic novel? 163 1.2 Pinocchio e il fumetto nel Novecento 168 Pinocchio
fumetti in Giappone e Francia 173
a
173
174
Il manga di Osamu Tezuka
179
Incoscienza e degrado. Pinocchio di Winshluss
Chauvel
McBurnie 185 «Libero di tornare a casa». Pinocchio a fumetti in Italia 191
L’Italia delle riviste a fumetti 191
Fedele ritorno. Pinocchio di
e
3.1
Topolino
Martina
Bioletto 195
Pinocchio agli Inferi. L’Inferno di
di
e
Tra salami e burattini. Pinocchio alla Jacovitti 199
Un burattino nell’Italia del Sessanta. Pinocchio di Jacovitti (1964) 204
Oltre Collodi. Pinocchio di Dossi e Motta 215
3.5
Libero di errare. Povero Pinocchio di Bilotta e Mammucari 221
À rebours. Pinocchio. Storia di un bambino di Ausonia 226
Pinocchio shōnen. Attica di Giacomo Bevilacqua 232 Appendice 1 Burattino vero. Pinocchio di Guillermo del Toro 239 Appendice 2 Sinossi de Le avventure di Pinocchio 255 Bibliografia 261 Indice degli artisti e delle illustrazioni 269 Indice dei nomi citati 271 Ringraziamenti 277 Capitolo Primo Capitolo Secondo Capitolo Terzo

Prefazione. Iconicità di Pinocchio

Sembra facile immaginarci Pinocchio; forse fn troppo. Già un veloce sguardo alle produzioni visive che si sono variamente ispirate al burattino di legno, raccolte in questo volume, ci permette di cogliere una delle costanti – forse la più evidente tra le tante – che ne ha confermato nel tempo lo statuto di classico, vale a dire la sua sconfnata, quasi inarrestabile, capacità iconopoietica. Nell’immensa letteratura dedicata al capolavoro di Collodi, d’altra parte, sembra piuttosto strano constatare come i rapporti tra Pinocchio e le arti visive non abbiano riscosso tanta attenzione da parte degli studiosi. Filologi, scrittori e storici della letteratura raramente si dedicano agli apparati illustrativi dei testi che studiano, men che meno alle opere d’arte che vi si ispirano, lasciando semmai un simile approfondimento a quegli storici dell’arte che salpano per i mari perigliosi delle indagini interdisciplinari; ma, si sa, artisti e critici vivono in mondi paralleli, che si intersecano solo negli universi noneuclidei. Sotto questo aspetto, la ricerca di Matteo Calanna documenta con chiarezza gli esiti più rilevante che possono raggiungere le forme di ibridazione tra testo e immagini, colmando un vuoto signifcativo e costituendo – si spera – un importante turning point per gli studi futuri sull’opera di Collodi e su altre consimili.

L’importanza di un’opera si riconosce, tra le altre cose, dalle varie possibilità di approccio e dai diversi modi di interrogarla. Questo è proprio il caso di Pinocchio. Fin dalla seconda guerra mondiale, critici letterari, antropologi della fiaba, psicologi, storici moderni e delle religioni hanno ripercorso e ribaltato in vario modo l’interpretazione tradizionale del libro per i piccoli , originariamente pubblicato a puntate da Carlo Lorenzini tra il 1881 e il 1883. Nel far ciò, gran parte di essi è stata più o meno consapevolmente influenzata dallo straordinario successo

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del lungometraggio disneyano, uscito in contemporanea con lo scoppio del conflitto. Ci si può chiedere, di conseguenza, fno a che punto le diverse proposte critiche siano state condizionate dalla rappresentazione animata del burattino, destinata a raggiungere in breve tempo un successo planetario, piuttosto che dal romanzo. Molti di questi studi, d’altra parte, passano sotto silenzio il ruolo assunto nel tempo da Pinocchio come fonte di ispirazione per artisti quali disegnatori, graphic designers e fnanche scultori (e.g., Emilio Greco, John Dine), segnando così un solco sempre più profondo con il mondo delle arti grafche e visive, e relegando così Pinocchio nel galileiano mondo di carta. Al contrario, è lecito ritenere che una rifessione d’insieme sul rapporto tra il personaggio e le arti visive, qual è questa che il lettore è in procinto di percorrere, possa innanzitutto essere utile a restituire a Collodi il suo posto tra quegli “scrittori di cose”, la cui flogenesi Pirandello ha tratteggiato da par suo un secolo fa. Per ragioni di spazio, mi limiterò in questa sede a fare riferimento ad alcuni degli snodi più signifcativi della ricerca di Matteo Calanna, invitando il lettore a farli propri e a identifcarne di nuovi. Che Pinocchio non abbia soltanto ispirato, ma sia nato in un mondo di immagini letterarie sedimentatosi in secoli di tradizioni leggendarie, f abe popolari e testi letterari della tradizione greca e romana, è un’idea ripercorsa con una solida institutio f lologica nella prima parte del volume. Calanna conferma quanto quella che lui chiama “l’origine del legno” afondi nell’universo del mito e della faba, e che grazie soprattutto allo sfruttamento di un linguaggio che deriva da un sostrato non soltanto dotto, ma anche e soprattutto folklorico, Collodi abbia ispirato nel tempo una serie di riscritture in prosa e versi, che hanno attraversato il mondo italiano delle Lettere, da Rodari a Malerba, per arrivare alle emoji di Chiusaroli. In effetti, non va passata sotto silenzio la base di partenza realistica del romanzo, del tutto in linea con le istanze letterarie veriste di quegli stessi anni. È noto come la stessa descrizione dei laboratori di Mastro Ciliegia e di Geppetto sia stata ispirata alle vecchie botteghe artigianali visitate da Collodi fn da bambino. È in un tale contesto che irrompe il mondo della fantasia, rappresentato da un ciocco di legno qualsiasi, che – si badi bene – vive di vita propria ancor prima di essere lavorato da mano umana. In tale prospettiva, c’è da chiedersi se Collodi non abbia tratto ispirazione da quella che rappresentava una vera e propria novità nell’Italia post-unitaria, e cioè la costituzione dei primi musei dedicati alle civiltà extra-europee di interesse etno-antropologico. Proprio a Firenze, nel 1869 veniva inaugurato il primo museo italiano di antropologia ed etnologia, nelle cui collezioni fgurano diverse statue in legno dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe, connotate in senso magico e rituale nelle diverse tradizioni indigene.

PINOCCHIO STORIA DI UN BURATTINO TRA CINEMA, ILLUSTRAZIONE E FUMETTO

Si tratta di quelle stesse produzioni che, di lì a pochi anni, avrebbero ispirato le sculture di Gauguin e, a inizio Novecento, la grande rivoluzione primitivistica di Brâncuși, Modigliani e in parte anche Picasso. Le osservazioni di Calanna sulla genesi di Pinocchio of rono così lo spunto per futuri approfondimenti, permettendo di interrogarci sulla possibilità che Collodi sia venuto a contatto con produzioni artistiche radicate in tradizioni religiose di tipo animistico; ma se anche ciò non cogliesse nel vero, ai f ni di una esatta Quellenforschung collodiana, la coincidenza tra la prima difusione all’estero di Pinocchio e il successo del primitivismo fgurativo dei primi del Novecento potrebbe comunque servire a dare in parte ragione della rapidità del successo internazionale dell’opera.

Nel quadro delle riscritture visive, il Pinocchio cinematografco non poteva non ricevere grande attenzione nel corso del volume. Tuttavia, mentre l’interesse del grande pubblico si limita spesso al lungometraggio disneyano, Calanna conduce per mano il lettore in una cineteca virtuale che, seppur incentrata sulle produzioni italiane di massa, da Comencini a Garrone, si declina con una sensibilità autonoma – si direbbe quasi autoctona, visto ancora una volta il sostrato religioso animistico – in ambito giapponese. Qui, dopo il primo manga del secondo dopoguerra, a metà strada tra il romanzo e Disney, è stato soprattutto l’anime a episodi di Tatsuo Yoshida (1972) a consacrare la fama del burattino. È singolare osservare come questa stessa serie, trasmessa in Italia qualche anno più tardi (1980), abbia fatto conoscere Pinocchio a una generazione di piccoli profondamente diversa da quella immaginata da Collodi perché ormai abituata a vedere attraverso lo schermo televisivo, piuttosto che a leggere o ad ascoltare storie d’invenzione dalla voce dei grandi. In questa stessa prospettiva, ci si può chiedere fn d’ora quanto inciderà sulla rinnovata fortuna di Pinocchio, nell’era appena iniziata dei canali televisivi ondemand, il recentissimo lungometraggio animato di Guillermo del Toro (2022).

Non meno interessante, a ogni buon conto, è la varietà di edizioni illustrate prodotte nel corso di quasi un secolo e mezzo. Giustamente, Calanna tributa la dovuta attenzione alle prime edizioni dell’opera, quelle di disegnatori come Mazzanti, Chiostri o Mussino, molto afermati all’epoca nel mondo dell’editoria, per ripercorrere successivamente l’evoluzione dell’immaginario del burattino nello stile di artisti più recenti, quali Luzzati. Calanna riconosce il successo graf co dell’episodio cruciale dell’impiccagione di Pinocchio alla quercia, raccontato nel quindicesimo capitolo: si pensi, per citare solo un esempio, alla rafgurazione a doppia pagina realizzata da Luzzati. È il fascino senza tempo dell’horror, si potrebbe concludere. D’altra parte, sembra inevitabile constatare come l’originario f nale dell’opera, oggetto di discusse letture psicanalitiche, sia

P REFAZIONE. I CONICIT À DI P INOCCHIO

stato inconsapevolmente avvertito da diversi artisti come un vero e proprio rituale di passaggio, non solamente inevitabile, ma di fatto centrale nel permettere al personaggio di realizzare il proprio percorso di formazione diretto alla sua incarnazione in un bambino. E ci si può chiedere se l’eco, forse non troppo lontana, di questo stesso episodio non si possa cogliere nel ruolo altrettanto centrale dell’impiccagione del protagonista in American Gods di Neil Gaiman (2001).

C’è, infne, il Pinocchio del fumetto, cui è dedicata la parte fnale del volume. Si tratta di una scelta comprensibile, vista la quantità e la varietà di riscritture ispirate a Collodi, sette delle quali solo in Italia. In pagine di grande godibilità, Calanna ricorda al lettore come anche in questo caso si sia verifcata una indiretta connessione ante litteram tra il burattino e il mondo disneyano, veicolata dalla presenza di Paolo Lorenzini, pronipote dello scrittore, alla direzione del Topolino edito dal 1932 dall’editore Nerbini. Il centro geometrico della produzione fumettistica italiana, a ogni modo, è rappresentato da Jacovitti, autore tra il 1943 e il 1946 di una signifcativa rivisitazione del personaggio e di un suo adattamento alla contemporaneità dell’Italia repubblicana. All’estero, d’altra parte, è ancora una volta il Giappone a confermare il proprio interesse per Pinocchio, seguito tuttavia da produzioni francesi di grande originalità – Calanna non esita a defnirle travolgenti – come quella di Vincent Paronnaud. Bisogna confessare che, raggiunta la fne del volume, si percepisce un certo spaesamento. Non si tratta soltanto di richiamare alla mente la quantità del materiale scandagliato e rivisitato dall’autore in un tour de force documentale entusiasta e, a tratti, vertiginoso, quanto soprattutto la varietà dell’ispirazione che è alla base della continua rigenerazione di Pinocchio a quasi un secolo e mezzo dalla sua nascita. «La forza dei classici» commenta l’autore, «è proprio quella di distaccarsi dall’autore per vivere nuove storie non previste in origine». E proprio questo è il caso di Pinocchio, in grado ancora oggi di ispirare la produzione di vere e proprie opere d’arte. Non resta che concludere che, con questo volume, Matteo Calanna ha scoperchiato il proverbiale vaso di Pandora, aprendo agli studi futuri sul burattino di Collodi stimolanti e caleidoscopiche prospettive di ricerca.

PINOCCHIO STORIA DI UN BURATTINO TRA CINEMA, ILLUSTRAZIONE E FUMETTO

A tutti coloro che hanno creduto in me.

Al Pinocchio, burattino e bambino, che è in ognuno di noi.

Introduzione

«C’era una volta… “Un re!” diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno». Con queste rapide battute scritte sulle pagine del «Giornale per i bambini» il 7 luglio del 1881, Carlo Collodi dà inizio al suo Pinocchio. Il burattino di legno gode fn da subito di un vasto consenso tra i lettori, tale da portare l’autore ad andare ben oltre quanto inizialmente previsto. Così, quella che doveva essere una breve storia a sfondo orrorifco di quindici capitoli, da concludere con il protagonista impiccato alla Quercia grande, viene ripresa e ampliata per oltre il doppio della sua prima estensione, divenendo il classico conosciuto da tutti.

Quello di Pinocchio è un percorso di formazione, di afermazione della propria coscienza e delle proprie responsabilità, che porta il burattino di legno a mutare e ad acquisire sembianze umane. Tuttavia, sarebbe impreciso defnire il testo di Collodi solo in questi termini. Lo scrittore, infatti, pone particolare attenzione anche alla costruzione di un mondo che sia specchio di quello a lui contemporaneo, come un monito da rivolgere ai suoi giovani lettori. Gli ambienti in cui si muove Pinocchio sono rifesso di quel racconto nero e «picaresco» che Italo Calvino ricorderà parecchi anni dopo1, dove il protagonista, sempre in viaggio, fnisce costantemente vittima di chi è più forte di lui.

Non è tuttavia intenzione di Collodi alleggerire le colpe del suo burattino (a quello penserà il lungometraggio Disney); anzi, al contrario, l’autore sembra volerlo far precipitare sempre più in basso per gran parte delle vicende. Solo alla fne, dopo la regressione da legno animato in bestia, gli

1 Cfr. I. Calvino, Ma Collodi non esiste, in «La Repubblica», 19-20 aprile 1981. Ora in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Einaudi, Torino 2019, pp. 173-179.

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si concede la metamorfosi umana, ma non prima di aver conosciuto le fatiche del lavoro onesto e aver rifutato i cattivi maestri. Poche righe, sul finale, lasciano un’ultima avvertenza al lettore: che la crescita di ogni individuo sia piena e consapevole e che non cada sotto i colpi del conformismo sociale.

Pinocchio è una faba moderna che Carlo Lorenzini rivolge principalmente ai suoi lettori più giovani, riprendendo solo in apparenza gli stilemi classici del racconto f abesco per poi procedere verso una costruzione narrativa inedita per il genere. Il protagonista, infatti, non è un re ma un pezzo di legno, non un eroe dalla ferrea moralità ma un burattino sempre pronto a sbagliare e il mondo non è una magica landa lontana ma una terra vicina, povera e reale. Non vi sono magie e incantesimi, bensì misticismo e mistero; non luoghi paradisiaci e gioiosi, ma efmeri, che causano la perdita della propria umanità.

Forse proprio questi elementi di novità introdotti da Collodi sono annoverabili tra i motivi che possono spiegare il successo della sua opera, ma infuisce anche quella innata propensione al farsi ritrarre2 che ha concesso enorme fortuna al protagonista e a tutti gli altri personaggi. Al contrario dei dialoghi, infatti, che abbondano all’interno del testo, le parti descrittive in Pinocchio sono veloci e sintetiche. Questa particolare caratteristica ha contribuito alla difusione di un’iconografa del burattino frutto dell’interpretazione dei disegnatori giunti man mano a illustrarne le pagine. Le brevi descrizioni permettono ai diversi artisti di poter più liberamente interpretare personaggi e ambientazioni, concedendo grande spazio alla propria espressione artistica.

Già a partire dalla prima edizione di Enrico Mazzanti – ma si potrebbero anche considerare le poche illustrazioni di Fleres sul «Giornale per i bambini» – le immagini del burattino di legno e delle sue avventure sono state parte integrante del testo, tanto da poter difcilmente immaginare un’edizione che ne sia priva. Nel caso di Pinocchio, poi, sono innumerevoli gli artisti che ne hanno illustrato le pagine, e parte del presente lavoro è dedicata proprio all’indagine dell’itinerario transmediale dell’opera dalla prima pubblicazione in volume nel 1883 fno ai giorni nostri. L’immagine, che sembra aver subito nei secoli una condizione di subordinazione rispetto al testo, trova nella fiaba di Carlo Collodi una inesauribile possibilità di espressione.

Il volume ha inizio nella Parte Prima con l’analisi della fortuna di Pinocchio, attraverso innanzitutto le fonti che possono essere ricondotte all’immaginario del suo autore.

2 Cfr. W. Fochesato, Pinocchio e i suoi illustratori. Alcuni appunti (1883-1980), in L. Fraschi, D. Marcheschi, W. Fochesato, A. Rauch, Enigma Pinocchio. Da Giacometti a LaChapelle, Giunti, Firenze 2019, p. 41.

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Queste, una volta defnite, permettono di mostrare il proflo di un autore colto e sensibile al suo pubblico, la cui opera rappresenterà un unicum nella storia della letteratura di fne Ottocento. Il successo del romanzo porta il personaggio di Pinocchio a migrare facilmente lontano dal suo autore, rendendosi protagonista di numerose riscritture letterarie e cinematografche. Le prime, che iniziano a difondersi già poco dopo la pubblicazione del testo originale, possono essere divise tra riproposizioni del personaggio in nuovi contesti narrativi (come per i sequel) e riprese dell’opera al f ne di riproporla attraverso modalità espressive inedite, come passaggi dalla prosa alla poesia, tautogrammi e l’utilizzo di nuovi sistemi linguistici. Questi tentativi di riscrittura divengono prova della dif usione dell’immaginario del burattino di Collodi e del suo impatto culturale nel mondo.

La seconda tipologia, quella cinematografca, permette in particolare di verifcare come il personaggio di Pinocchio si sia difuso a livello globale. Il cinema, infatti, ha concesso al burattino di giungere a un pubblico più vasto e la sua immagine, difusa soprattutto attraverso il lungometraggio Disney, infuenzerà la visione di alcuni artisti che si cimenteranno nell’illustrare il romanzo. Dedico qualche pagina, tuttavia, anche ad altri adattamenti cinematografci, colpevoli solo di un’attenzione minore da parte del pubblico, ma senz’altro meritevoli per i loro riferimenti al romanzo originale.

La Parte Seconda si apre con l’analisi dei primi tre artisti che si sono cimentati con Le avventure di Pinocchio; ovvero Enrico Mazzanti, Carlo Chiostri e Attilio Mussino. Attraverso le loro tavole è possibile tracciare un percorso di evoluzione stilistica che, dal legame con gli illustratori dell’Ottocento come Gustave Doré, giunge fno al Novecento. A evolvere è soprattutto la visione delle vicende del burattino e la sua fgura, sempre vicina ai gusti dei lettori attraverso gli anni. Questa evoluzione raggiunge il suo culmine con i più recenti lavori di artisti come Luzzati, Mattotti, Jori, il gruppo artistico MinaLima, Mottura e Stuto, che oltre a seguire l’andamento originale del racconto, decidono di imprimere in maniera più evidente una loro impronta autoriale. Questa diviene particolarmente manifesta anche all’interno di riscritture dove la componente visiva supera abbondantemente l’estensione del testo, come nel caso del Burattino di ferro di Tomonori Taniguchi.

Nella Parte Terza, infne, decido di trattare il rapporto dell’opera e del personaggio con il fumetto, non trascurabile per una soddisfacente analisi del rapporto tra Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi e la visualità. Questa particolare forma di espressione, unendo testo e immagine (ma dando maggior rilevanza a quest’ultima), si appropria fn da subito delle

I NTRODUZIONE

storie del burattino, sia attraverso radicali riconfgurazioni del personaggio sia attraverso trasposizioni più fedeli. Le edizioni a fumetti, inoltre, sono un altro mezzo particolarmente utile per verifcare la dif usione di Pinocchio nel mondo. Queste, infatti, dal Giappone all’Europa, avvertono con forza la presenza del modello Disney, ora mediato nell’opera di Osamu Tezuka, ora sconvolto nel graphic novel di Vincent Paronnaud, ora omesso nella ricerca della fedeltà alla fonte di Chauvel e McBurnie. In Italia, invece, mentre si impone con forza l’iconografa di un artista come Jacovitti, operazioni di ripresa del personaggio come quella di Motta e Dossi si alternano, specie negli ultimi anni, a totali riscritture che lasciano intatte solo alcune caratteristiche basilari. È il caso di Povero Pinocchio di Bilotta e Mammucari, della Storia di un bambino di Ausonia e della miniserie a fumetti Attica di Giacomo Bevilacqua.

L’analisi di queste edizioni si pone a supporto della tesi per cui il personaggio del burattino di Collodi, pur migrando lontano dal suo romanzo, sembra godere di illimitata fortuna e duraturo consenso, aiutato proprio dalla componente visiva, che oltretutto è tra i principali motivi del suo continuo successo, grazie a riproposizioni sempre nuove e sguardi da differenti prospettive nelle mani dei diversi artisti.

Così l’immagine di quel pezzo di legno, simbolo dell’umanità stessa, continua a vivere di continue rielaborazioni, sempre pronto a rotolare verso nuove mani che possano plasmarlo, illustrarlo e raccontarlo.

PINOCCHIO STORIA DI UN BURATTINO TRA CINEMA, ILLUSTRAZIONE E FUMETTO

Parte Prima Dalla scrittura al cinema: nascita e fortuna di Pinocchio

Stipes erat, quem, cum partus enixa iaceret Testias, in fammam triplices posuere sorores

Ovidio, Metamorfosi, viii, 449

1. «C’era una volta un pezzo di legno»

1.1 Nascita di un burattino

Pochi personaggi possono vantare la fortuna, letteraria e transmediale, di Pinocchio. Il burattino di legno creato dalle mani di Carlo “Collodi” Lorenzini ha goduto, e continua a godere, di successo praticamente illimitato, tale da percorrere quasi un secolo e mezzo attraverso continue rinascite e declinazioni. Queste, spaziando dalle riscritture letterarie all’illustrazione, al fumetto, al cinema, f no a forme d’arte come scultura e architettura, hanno contribuito a defnire quelle caratteristiche per cui oggi si può senza timore afermare come Pinocchio sia entrato a tutti gli efetti nella memoria collettiva di ogni individuo, attraversando ogni età e livello sociale. La sua immagine è un’icona, le sue caratteristiche fsiche ormai proverbiali, come molte delle frasi tratte dal suo romanzo.

Il suo naso lungo, ad esempio, simbolo di bugie e bugiardi per antonomasia, è divenuto emblema del personaggio nonostante il suo allungamento, assente nella prima parte della storia – se non durante la scena dell’intagliamento, slegata dall’atto del mentire – accada giusto un paio di volte, al Capitolo xvii, durante il colloquio con la Fata, e al xxix, poco dopo l’episodio del Pescatore Verde. Il genio di Collodi è riuscito tuttavia a imprimerlo nella memoria dei lettori e renderlo l’elemento principale del suo personaggio. Allo stesso modo si può parlare della fama goduta da gran parte dei suoi amici e nemici di viaggio: dal Gatto e la Volpe a Mangiafoco e Lucignolo, da Geppetto alla Fata dai capelli turchini; ogni personaggio è riuscito a ritagliarsi un suo spazio nell’enorme fortuna di Pinocchio. Lo stesso è afermabile a proposito delle ambientazioni del romanzo: l’osteria del Gambero rosso, il Teatro dei burattini di Mangiafoco

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e ovviamente il Paese dei Balocchi hanno davvero pochi rivali nella memoria comune. Tutti questi elementi sono protagonisti delle numerose trasposizioni dell’opera e delle analisi, più o meno autorevoli, di critici letterari che, anno dopo anno, ne scoprono e riscoprono nuovi aspetti. Per cercare quindi di defnire i motivi che spiegano questo incredibile successo è necessario rivedere le sue origini, ciò che sta dietro il personaggio di Pinocchio e il suo autore.

Come si vedrà attraverso quanto espresso da Calvino1 all’interno del breve articolo realizzato nel 1981 per il centenario di Pinocchio, la fgura autoriale di Collodi pare sia, nel tempo, venuta meno, oscurata dalla sua opera più nota. Facile capirne i motivi: vi sono opere letterarie che attraverso il proprio autore si afermano come autonome creazioni, pronte poi a nuove vite lontane da lui e decretandone di fatto la morte.

Come scrive Umberto Eco: «A certi personaggi letterari – non a tutti – accade che escano dal testo in cui sono nati per migrare in una zona dell’universo che ci riesce molto difcile delimitare»2. La migrazione consente ai personaggi di rinascere sotto forme sempre diverse, magari a discapito dell’autore, pur con qualche eccezione: se si pensa infatti a opere come la Commedia dantesca o I promessi sposi, due tra i casi simbolo della letteratura italiana, si può notare come la fortuna di cui godono, pur prestandosi a riletture e rivisitazioni distanti dagli anni della loro genesi, non ha mai completamente eclissato i rispettivi autori che, come pilastri, hanno continuato a far sentire la loro presenza dietro al testo.

Se dunque è facile ricordare e magari riuscire brevemente a descrivere Dante e Manzoni partendo dai loro capolavori, per quale motivo si tende a non conoscere praticamente nulla di Collodi, nonostante lo sterminato successo di Pinocchio, probabilmente superiore, nel mondo, a quello delle due opere sopra citate?

Una sicura infuenza ha avuto l’assenza di Lorenzini all’interno del canone di autori inseriti nei programmi scolastici, facendolo tutt’ora vivere quasi esclusivamente di popolarità extrascolastica3. Legato a questo primo punto, un altro probabile motivo potrebbe risiedere nell’importanza ricoperta da Collodi come scrittore nel panorama letterario italiano. Riprendendo le parole di Benedetto Croce: «Pinocchio fu scritto di vena, in un momento felice, che l’autore non ritrovò più negli altri suoi libri, dove pure sono pagine piacevoli»4.

1 I. Calvino, Ma Collodi non esiste, cit.

2 U. Eco, Su alcune funzioni della letteratura in Sulla letteratura, Bompiani, Milano 2003, p. 15.

3 Poche le edizioni scolastiche di Pinocchio, ancor meno quelle degne di nota. Tra queste di certo fgura l’edizione D’Anna con commento, note e repertori didattici di Napoleone e Porta: C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, P. Napoleone e G. Porta (a cura di), G. D’Anna, Messina Firenze 1994.

4 B. Croce, Aggiunte alla “Letteratura della Nuova Italia”. xxx. “Pinocchio”, in «La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofa diretta da B. Croce», 35, 1937.

PINOCCHIO STORIA DI UN BURATTINO TRA CINEMA, ILLUSTRAZIONE E FUMETTO

Le avventure di Pinocchio sarebbero dunque state un guizzo isolato di un autore molto prolifco, che si è distinto per una produzione piuttosto meritevole ma, diremmo, minore, che non gli ha consentito di ricoprire il ruolo che hanno avuto altri giganti – come appunto Dante e Manzoni –nella storia della letteratura italiana. Forse proprio per questo, l’opera nata da questo slancio creativo non rimane legata al suo autore e si allontana da lui, migrando verso nuove riscritture e transcodifcazioni.

In fondo, notevole è stato ed è l’interesse della critica per Pinocchio, a diferenza dell’esigua mole di studi dedicati a Collodi, quasi dimenticato dietro la sua opera5. Vi è poi anche un terzo motivo che si riferisce al genere del romanzo e a quegli elementi che lo costituiscono e ne hanno determinato la ricezione.

Nel suo articolo su «la Repubblica», Italo Calvino riporta tre caratteristiche che hanno decretato il successo de Le avventure di Pinocchio: innanzitutto, l’aver rappresentato il primo esempio di romanzo picaresco; in seguito, l’aver colmato la lacuna tutta italiana del «romanzo fantastico e nero»6 dell’Ottocento; infne, la capacità della sua scrittura di rimanere impressa nella memoria.

Il primo punto delinea alcune caratteristiche dell’opera: il romanzo picaresco si contraddistingue per una serie di avventure e disavventure che il protagonista af ronta mentre vive in un mondo che alterna realismo e fantastico. Un libro, insomma, «di vagabondaggio e di fame, di locande malfrequentate e sbirri e forche»7, che fa pensare agli esempi classici di Petronio e Apuleio8, fnanche al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes [Fig. 1.1.1]. Calvino rielabora parzialmente il concetto di picaresco, che invero possiede di norma una forte componente autobiograf ca che in Pinocchio ovviamente manca, come viene meno anche la caratteristica narrazione in prima persona, che lascia il posto a un ben più adatto – nell’ottica del romanzo – narratore esterno. Tuttavia, proprio per una trama che vede il burattino costantemente in viaggio, tra reale e fabesco, è certamente calzante ricondurre il romanzo di Collodi a questo genere di narrativa.

5 Si pensi che la stessa Fondazione Nazionale Carlo Collodi ha solo di recente, nel 2010, iniziato la pubblicazione di una collana che raccolga tutta la produzione dello scrittore toscano, ovvero l’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Lorenzini.

6 I. Calvino, Ma Collodi non esiste, cit.

7 Ibid

8 Sia il Satyricon che l’Asino d’oro (Metamorphoseon libri xi) sono esempi di romanzi picareschi. Di questi, il secondo in particolare è quasi certamente modello di riferimento per Collodi.

 C’ERA UNA V OLTA UN PEZZO DI LEGNO 
Fig. 1.1.1 – Lindsay, Illustrazione per il Satyricon di Petronio (1922)

Il secondo aspetto si ricollega per certi versi al primo: gli elementi fantastici già presenti nel romanzo picaresco sono nettamente ampliati in Pinocchio, tanto da farne il primo vero racconto fantastico dell’Ottocento italiano. Questo genere, che tanta fortuna avrà negli anni a venire e di cui anche Italo Calvino sarà portavoce, afonda le radici in stili di racconti molto lontani negli anni rispetto a Pinocchio, ovvero in favole, f abe e miti, di cui tuttavia sospendo temporaneamente l’analisi, rinviando alle pagine successive.

A proposito del terzo punto, infne, scrive Calvino:

Terzo motivo: il Pinocchio è uno dei pochi libri di prosa che per le qualità della sua scrittura invita a esser mandato a memoria parola per parola, come fosse un poema in versi, dote che condivide nel nostro Ottocento solo coi Promessi Sposi e alcuni dialoghi leopardiani. […] I dialoghi soprattutto: il romanzo tutto scandito sul dialogo è col Pinocchio che comincia, nella nostra letteratura.9

Pratica ormai decisamente poco dif usa, il mandare a memoria parti del romanzo di Collodi pare essere in efetti uno degli elementi che ne ha decretato il successo, specie se si pensa a tutta quella serie di espressioni divenute proverbiali e nate proprio dal testo come: “ridere a crepapelle”, “fare il grillo parlante”, “essere come il gatto e la volpe”. Per non parlare, come già accennato, del celebre “naso lungo” in merito al dire bugie. Queste espressioni, riprese dalle avventure del burattino di legno, sono ormai entrate nell’uso della lingua anche di coloro i quali non hanno probabilmente mai letto il romanzo.

I tre elementi evidenziati spiegano senz’altro il successo duraturo del testo di Collodi, ma poco si sofermano sull’eclissi che l’autore avrebbe subito. In merito a ciò, Calvino riesce, quasi in una burla letteraria, a ipotizzare non solo la scomparsa dello scrittore, ma addirittura la possibilità che egli non sia mai esistito: «Come se il libro fosse nato da solo come il suo eroe da un pezzo di legno, senza neppure un Geppetto a sgrossarlo» 10 . Nella parte conclusiva dell’articolo, in f ne, riprendendo l’essenziale lettura di Manganelli11, Calvino vede l’assenza di Collodi come una di quelle condizioni necessarie dei capolavori che, liberi dall’infuenza del loro autore, ne rivendicano autonomia e indipendenza, in linea con quanto scriverà Umberto Eco parecchi anni dopo 12. Eppure, credo sia necessario sofermarsi un attimo su Carlo Lorenzini per comprendere meglio la genesi della sua opera.

9 I. Calvino, Ma Collodi non esiste, cit.

10 Ivi, p. 174.

11 G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Adelphi, Milano 2002.

12 U. Eco, Su alcune funzioni della letteratura, cit.

PINOCCHIO STORIA DI UN BURATTINO TRA CINEMA, ILLUSTRAZIONE E FUMETTO

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