Rat-man - la Scimmia, il Topo e il Supereroe

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Antonio Mirizzi


Rat-Man – La Scimmia, il Topo e il Supereroe Antonio Mirizzi

© 2022 degli Autori per i testi © 2023 Symmaceo Communications snc © degli aventi diritto per le immagini utilizzate © 2023 Solone srl per questa edizione Collana: L’Arte delle Nuvole, 46 Direttore editoriale: Nicola Pesce Caporedattore: Stefano Romanini Ufficio Stampa: Gloria Grieco Coordinamento Editoriale: Cristina Fortunato Illustrazione di copertina e quarta: Leo Ortolani Colorazione copertina: Nino Cammarata Correzione bozze: Daniele Baroni Service editoriale: Ipermedium.lab Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di OTTOBRE 2023 Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi modo senza preventiva autorizzazione scritta da parte di Solone srl. Fanno eccezione piccoli estratti a corredo di articoli e recensioni. L’Editore si dichiara disponibile a riconoscere eventuali diritti relativi a immagini di cui non fosse stato possibile rintracciare i titolari.


Antonio Mirizzi

la scimmia, il topo e il supereroe



Introduzione

(Fletto i muscoli e sono nel vuoto) La gloria è una forma di incomprensione, forse la peggiore. Jorge Luis Borges, Finzioni, 1944

Se siete giunti fin qui, a leggere questa prima riga d’introduzione, su una panchina umida e fredda poco dopo aver comprato il libro nel caos di una qualche bolgia fieristica, o altrimenti sul vostro letto in seguito a un fortuito ripescaggio dal fondo della pila che cresce sul comodino, se siete giunti fin qui, dicevo, è molto probabile che di Rat-Man e di Leo Ortolani siate degli appassionati. Forse leggete i fumetti di Rat-Man da prima che lo scrivente fosse anche solo capace di leggere e scrivere (sono coetaneo della serie autoprodotta, tenetelo a mente perché potrebbe essere un dato significativo) e posso facilmente immaginare che tra queste pagine vi aspettiate di trovare tanti bei ricordi e altrettante conferme, per poter sussurrare tra voi e voi con compiacimento: “Io c’ero, ci ho sempre creduto!”. Sono abbastanza convinto che resterete soddisfatti: dipende in fondo più da voi che da me, che pure mi auguro di riuscire a darvi qualcosa in più. Ma supponete per un attimo che questo saggio non sia stato scritto per voi, perché in effetti è così. Non tanto perché è nato come tesi magistrale in una branca damsiana che si chiama Storia della Serialità, ma perché non ho mai pensato al mio interlocutore ideale come a un cultore dell’opera omnia di Ortolani. Non ho mai visto in questo mio esercizio di scrittura l’utilità di celebrare l’artista: per me rappresenta l’opportunità di entrare nel laboratorio dell’artigiano. Quando ancora non speravo che la mia ricerca potesse produrre un volume da libreria, perciò, fantasticavo sulla possibilità di condividerla con i detrattori, i visitatori occasionali, gli scettici, i tiepidi, gli indifferenti, perché, al di là dei giudizi di valore, potessero apprezzare il grado di perizia, dedizione e accortezza necessario a sopravvivere esercitando un mestiere basato sulla creatività come quello dell’autore di fumetti. Questo libro è sì per voi, che pur di reimmergervi nel mondo del Ratto siete stati disposti a passare sopra l’anonimato dell’autore e la foliazione massiccia – combinazione sospetta – ma perché possiate regalarlo, o tirarlo addosso, agli altri. Prendete questo paragrafo come una dedica riconoscente ai miei lettori reali e fate finta che si inizi dal prossimo, con l’esposizione di cosa sia Rat-Man a uso e consumo di quel lettore disinteressato e strafottente che verosimilmente non la leggerà mai. Rat-Man è un personaggio di finzione partorito nel 1989 dall’esordiente Leo Ortolani, in seguito protagonista dell’omonima serie variamente celebrata come una delle espressioni più felici del fumetto italiano contemporaneo. 9


RAT-MAN - LA SCIMMIA, IL TOPO E IL SUPEREROE

Rat-Man è un vigilante mascherato completamente inadatto a combattere il crimine, dunque un’infallibile matrice di rovesciamenti comici della narrativa supereroica – americana, ça va sans dire – da cui deriva in quanto parodia. L’abilità comica e l’inventività di Ortolani hanno garantito alla sua creatura una continuità tale da far apparire oggi Rat-Man come un progetto seriale imponente, oltre che unico nel suo genere sotto diversi aspetti. Trent’anni di fumetti scritti, disegnati e inchiostrati da un singolo autore corrispondono a un totale di oltre centocinquanta storie pubblicate nelle testate periodiche dedicate al personaggio eponimo, in albi speciali e in volumi ad hoc, quelli che siamo abituati a chiamare graphic novel, e migliaia e migliaia di tavole. In virtù delle alte tirature, della costante popolarità e del plauso della critica – premi, apprezzamento da parte degli addetti ai lavori, presenza in vari florilegi del fumetto italiano – Rat-Man viene in continuazione additato come un fenomeno fuori dall’ordinario, uno dei primi della serie su cui sembra basarsi la periodizzazione vulgata della storia recente del medium nel nostro Paese: Avanti e Dopo Gipi, Avanti e Dopo Zerocalcare, ecc. A più di quattro anni dalla chiusura della testata principale, la ventennale «Rat-Man Collection», fortemente voluta e accuratamente orchestrata dal suo autore, è doveroso condurre un’esegesi quanto più possibile completa che punti a comprendere se e in che maniera Leo Ortolani abbia realmente inciso sullo status culturale e sul mercato del fumetto italiano. Un dubbio legittimo, che dovremmo porci più spesso quando terminiamo un’esperienza di fruizione che ci è parsa esaltante. È ovvio che chi scrive sia stato un fan, altrimenti non avrebbe avuto la motivazione necessaria a svolgere questo compito. Per illuminare i come e i perché del mio entusiasmo nei confronti della serie ho dovuto smettere quei panni e trasformare delle convinzioni in ipotesi: esercizio che anche nel caso di riscontri positivi scopre immancabilmente un certo grado di incomprensione e trascuratezza negli approcci pregressi. Mettere in discussione una delle proprie letture preferite di sempre significa innanzitutto mettere in discussione la qualità del proprio giudizio. L’argomento però non si esaurisce in un test di autocoscienza se ci identifichiamo come soggetti che, acquistando e promuovendo un titolo piuttosto che un altro, contribuiscono a sostenere e indirizzare un intero settore economico, e le cui iniziative individuali sono potenzialmente più incisive di quelle degli stessi addetti ai lavori ai fini della normalizzazione di un atteggiamento aperto nei confronti di determinati prodotti culturali: fanno molti più danni i cattivi lettori dei cattivi autori. D’altronde, le leggi di mercato e di marketing vogliono precisamente che l’attenzione slitti in continuazione da un volume all’altro e ne valorizzano a questo scopo gli aspetti più superficiali. È consuetudine che si attribuiscano primati ed eccellenze in base ai numeri e alla visibilità e che si incensino autori dalle grandi doti comunicative, ma che in fin dei conti dimostrino zero consapevolezza sul piano del linguaggio e su quello del racconto, oltreché una dissimulata povertà di pensiero rispetto alle tematiche affrontate, alte o basse che siano. Gli instant classics si scoprono sovente inconsistenti e insignificanti, quando le migliori definizioni di classico rimangono quelle elaborate da Italo Calvino, e questa in particolare: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”1. 1

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Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 2017 (ed. or. 1991), pp. 5-13.


INTRODUZIONE

Perché si possa verificare se tale qualità sussista o meno, non basta leggere un’opera, ma occorre rileggerla più e più volte; il fattore decisivo è – banalmente? – il tempo. Per i testi seriali, che instaurano un rapporto privilegiato con il momento storico in cui al contempo sono composti e fruiti, il rischio di un giudizio sommario è ancora maggiore. La stragrande maggioranza di quello che è stato scritto e detto su Rat-Man finora è infatti stato espresso a opera in fieri. Se ne è già riconosciuta la trasversalità, la freschezza e l’intelligenza, ma quello che mi propongo di fare attraverso questo libro è mettere tutto ciò in una prospettiva storica; un approccio pluridisciplinare servirà poi ad ampliare ulteriormente lo spettro della ricerca. La prima questione da sciogliere riguarda il pionierismo di Rat-Man in Italia sul fronte sia della scrittura seriale sia della narrazione tout court, questione che a sua volta rimanda ad alcune riflessioni più generiche su tradizione ed eredità, competenze e sostenibilità nel mediascape nostrano. In secondo luogo mi interessa focalizzare quegli aspetti formali e contenutistici che garantiscano il carattere di eccezionalità di Rat-Man anche quando si estranei l’opera dall’angusto orizzonte italico. Operativamente, giudico cruciale per comprendere un’opera autenticamente post-post-moderna come Rat-Man, stratificata e ultracitazionista, il rapporto con i modelli: punto di partenza della mia analisi è dunque la natura di questo rapporto, che ho già definito parodica. Alla definizione tecnica di parodia e alla varietà di strategie parodiche che agiscono, fin dalle origini, in Rat-Man è dedicata una premessa essenziale. La prima parte di questo studio descrive come Ortolani si sia gradualmente emancipato dalle sue opere di riferimento e abbia così conquistato la propria identità autoriale. In parallelo, cerco di dimostrare come Rat-Man abbia affrontato un simile iter nella dimensione diegetica, slegandosi dall’originaria parodia ridicolizzante di Batman e acquisendo a poco a poco una caratterizzazione peculiare. In questa sezione del testo sottopongo a un’analisi approfondita le primissime storie di Rat-Man, uscite tra il 1989 e il 1995. La seconda parte è dedicata alla disamina delle varie direzioni che ha preso la serie in oltre vent’anni di pubblicazioni periodiche. A diverse tipologie seriali corrispondono diversi utilizzi del personaggio: in ragione delle sue origini parodiche, Rat-Man si dimostra infatti incredibilmente elastico, se non addirittura metamorfico. Sempre riconoscibile, eppure calabile nei contesti e nei ruoli più disparati, Rat-Man si comporta come un alter Topolino, figura mitica dell’immaginario globalizzato con cui pure l’eroe di Ortolani intrattiene un debito che non è meramente simbolico. Il capitolo in questione prende in considerazione un ampio corpus di storie, compilando una tassonomia essenziale dei vari Rat-Man che vi figurano e introducendo il principio di multiverso, proveniente dal fumetto supereroico americano, che coordina diegeticamente la schizofrenia seriale del personaggio. La terza parte è deputata a quello che credo sia l’opus magnum di Leo Ortolani, ciò con cui l’autore ha decisamente segnato l’approccio alla serialità e alla narrazione a fumetti in Italia: la saga-romanzo di Rat-Man. Il concetto è nuovo e può anzi suonare come una contraddizione in termini. Per introdurlo, dunque, dedico ampio spazio a una digressione su come nella storia della serialità, e specificamente del fumetto seriale, intervenga 11


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quello che si può identificare come un orientamento romanzesco della narrazione. Sostanzialmente, esso prevede una trama unica e organica, un finale definitorio e una vasta concezione: caratteristiche che è possibile individuare nella gestione della saga di Rat-Man, una continuity che Ortolani privilegia nel multiverso ed entro cui si compie la parabola del Rat-Man autentico in quanto supereroe. La principale caratteristica di questa saga è la mancanza di un progetto iniziale: la trama è stata costruita nel tempo e la sua coesione interna rafforzata progressivamente attraverso il ricorso a tecniche narrative molto sofisticate. Ortolani ha sfruttato il dispositivo seriale e la sua naturale estensione progressiva nel tempo e nello spazio (in senso materiale, della carta stampata) per comporre un romanzo improvvisato e mastodontico, incontenibile su un supporto unico. Un romanzo, insomma, impossibile fuori da un contesto seriale. Gli ultimi capitoli sono prettamente analitici e ricostruiscono le varie fasi di elaborazione della saga-romanzo, contemplando in parallelo, essendo di fatto interdipendenti, l’espansione diacronica e sincronica dello storyworld e l’evoluzione dello storytelling: in particolare, viene registrata la tendenza dell’autore ad aumentare la complessità della narrazione, moltiplicando le storyline parallele, intrecciando liberamente passato, presente e futuro e, più in generale, giocando in maniera virtuosistica con le specificità permesse dal medium fumetto in fatto di montaggio/découpage sequenziale. Il vertice di tale complessità è raggiunto dai due cicli di storie analizzati nel capitolo finale: la trilogia de La discesa e la cosiddetta decalogia della fine, entro cui vengono operati due arditissimi, ma efficaci, interventi di retcon (retroactive continuity): operazione possibile solo nell’ambito del testo seriale, ma indizio di un approccio prettamente romanzesco alla narrazione. Alla fine del percorso tocca abbozzare una prima risposta alla questione suggerita dalla citazione di Calvino: cos’è che questo presunto classico del fumetto avrebbe da dire oggi e per i tempi a venire? Senza anticipare le conclusioni, proverei intanto a delimitare un ambito. Ritengo che Ortolani, attraverso lo scimmiottamento di una pop culture frivola e imperialista, tratteggi il suo personale sogno americano, ovvero racconti come un certo immaginario d’importazione abbia contribuito a modellare l’identità della sua generazione entro il sistema culturale e valoriale italiano. Il supereroe è il capofila di una serie di icone di nazionalità statunitense che, a livello globale, continuano a imporsi nelle fantasie di giovani e meno giovani, stimolando idee e comportamenti: finzioni che agiscono sulla realtà, e aggiungerei, tanto più subdolamente quanto meno valore diamo all’intrattenimento e al lavoro creativo. È questa a mio parere la chiave di lettura attraverso cui Rat-Man ci parla della condizione umana, la quale è in fondo il tema di ogni vero classico: la tensione tra reale e ideale innescata dal caleidoscopio narrativo e mediale in cui siamo chiamati fin da bambini a riconoscerci, come in una galleria di specchi deformanti che farebbe inorridire Lacan.

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parte i Sotto la maschera Parodia e identità



1. Parodiare con serietà – Perciò, vuoi dire di aver imparato molto imitando gli altri? – Sostanzialmente sì, e credo che sia una cosa fondamentale. Mi scoccia dirlo in maniera troppo spudorata, ma secondo me, siamo tutti delle scimmie. Jack Kirby a colloquio con Will Eisner nel luglio del 1982

1. A mo’ di disclaimer In quanto autore anzitutto comico, Leo Ortolani si pone giustamente l’obiettivo di divertire, ammaestrando il senso del ridicolo dei lettori senza venirne sopraffatto. In quanto opera comica perfettamente riuscita, Rat-Man ha effettivamente fatto ridere più di una generazione di lettori, qualificandosi come una delle serie più popolari nella storia del fumetto italiano. Il nesso tra la comicità dirompente e il costante volume delle vendite nell’arco di due decenni è un dato a mio avviso tutt’altro che scontato. Ortolani ha dato prova della capacità di far ridere potenzialmente chiunque e secondo ogni possibile gradazione: tale abilità ha garantito il progressivo ampliamento di una vasta comunità di lettori più o meno fidelizzati, che Rat-Man ha accompagnato nella crescita, ma ha anche concesso di attingere a un bacino di pubblico eterogeneo composto da lettori più svagati – anche poco interessati ai fumetti – e comunque non intenzionati a seguire lo sviluppo di una storia al ritmo di una puntata ogni tot mesi. Comicità e serialità, dunque, si sono rapportate virtuosamente e in maniera peculiare nel corso della vicenda editoriale di questo fumetto. Ma sotto altri punti di vista, il fatto che Rat-Man faccia ridere potrebbe apparire problematico. Più volte, navigando in internet, mi è capitato di imbattermi in commenti al vetriolo sul lavoro di Ortolani che puntualmente tirassero in ballo la poca attualità di una delle battute più ricorrenti nella serie, afferente nelle sue molteplici variazioni alle dimensioni spropositate del pene di uno dei personaggi, l’eroina transessuale Cinzia. Fermo restando che Ortolani utilizza una vasta gamma di escamotage comici, è perfettamente legittimo che, secondo la sensibilità di molti, determinate gag possano risultare triviali, gratuite o magari, come si suol dire, invecchiate male: che possano in definitiva essere

Nella pagine precedente: Prima tavola di Rat-Man (1989)

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per nulla divertenti. Ma nel caso in cui una battuta, seppure ricorsiva (seriale?), venga percepita alla stregua di compendio dell’intera opera, credo che il lettore sia vittima di un equivoco. Ancora, molti fan di Rat-Man hanno rimproverato all’autore di essersi sentiti traditi nel momento in cui, specialmente nel corso degli ultimi anni di pubblicazioni, egli ha realizzato delle storie che prevedessero intenzionalmente un avvicendarsi meno incalzante di situazioni comiche1. In questi casi, lo si è accusato non di non essere più in grado di divertire, ma di voler deliberatamente sottrarsi, in una certa misura, allo sforzo. L’equivoco in cui sono caduti tali lettori è in fondo il medesimo, ovvero la pretesa che in un fumetto comico conti solo il riso in quanto fine e non mezzo, mentre tutto il resto è accessorio. Si può peraltro osservare un fenomeno speculare sull’altro versante dello spettro emotivo, in relazione, per esempio, a quel filone di graphic novel autobiografici incensati perché in grado di offrire al lettore un’esperienza intima o di entrare in risonanza con il suo vissuto: la bontà dell’opera in tali casi viene misurata sul coraggio dell’autore di mettersi a nudo, parametro che francamente giudico improprio e mistificatorio. Le più recenti e drammatiche contingenze storiche hanno incontrovertibilmente dimostrato come quel «Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte», l’Italia del futuro tratteggiata nell’ultima puntata della terza stagione di Boris, sia ormai una realtà (sempre che non fosse già tale al momento della messa in onda, più di dieci anni or sono). In questo scenario pieno di storture, all’interno del quale le istituzioni stesse rilanciano nel discorso pubblico l’immagine approssimativa e fondamentalmente sbagliata dei «nostri artisti che ci fanno tanto divertire, ci fanno tanto appassionare»2, appare più che mai decisiva dalla parte dei fruitori la capacità di andare oltre la promessa di uno svago disimpegnato o, altrimenti, l’esibizione di una tematica particolarmente sensibile. Se non si è in grado di fare i dovuti distinguo, è perché questa cosa, che la si chiami arte, cultura o intrattenimento, non siamo abituati a prenderla sul serio, scannandoci piuttosto sulla sua presunta intrinseca serietà. Sarebbe invece opportuno imparare a valutare anzitutto la professionalità infusa nel garbuglio di idee, sudore e denaro – tutte cose che, prese da sole, tendiamo a considerare con riguardo – che si agita dietro la forma familiare dell’oggetto libro o l’entità fantasmatica di un contenuto digitale. Forse, moltiplicando questi piccoli esercizi di lucidità anche in altri ambiti della vita pubblica e privata, l’Italia del futuro avrà qualche chance di cambiare in meglio; e se anche solo non avremo più bisogno di disclaimer, sarà un buon risultato. Ai fini di una riflessione su come autorialità, artigianato e industria cooperino e in quale misura alla riuscita e alla rinomanza di un’opera creativa, confido che il case study di un fumetto seriale come Rat-Man possa apparire più paradigmatico di altri. Purché prescindiamo dal fatto che ci faccia (o meno) tanto divertire.

Cfr. l’intervista a Ortolani in appendice. Espressione con cui nel corso della conferenza stampa del 14 maggio 2020 l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte annunciava un ambiguo programma di aiuti diretti ai lavoratori del settore della cultura e dello spettacolo nell’ambito dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19. 1 2

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PARODIARE CON SERIETÀ

2. Lo statuto della parodia È impossibile parlare della serie Rat-Man e del personaggio eponimo prescindendo dalla nozione di parodia – che viene spesso accolta con la zavorra di un pregiudizio legato, ancora una volta, al suo potenziale comico. Una delle maggiori difficoltà affrontate dai teorizzatori della parodia nel panorama mediale contemporaneo è appunto connessa al peso che possano assumere l’ironia e il riso nella pratica esaminata. In merito, la definizione vulgata è cristallina; cito, a titolo di esempio, il Sabatini-Colletti: “Versione comica, caricaturale di un’opera letteraria, di una canzone, di un film; estens. imitazione caricaturale di qlcu. o qlco.”. Paradossalmente, nella sua genericità, questa voce è piuttosto limitante e l’esempio di Rat-Man lo dimostra in maniera esemplare. È il 1989: Leo Ortolani, poco più che ventenne, decide di partecipare a un concorso per autori esordienti indetto dalla rivista «L’Eternauta». Oltre a una storia confezionata in conformità della linea autoriale del periodico3 e che dunque si prende abbastanza sul serio, egli sottopone alla giuria del concorso anche una seconda prova di matrice comica, maggiormente congeniale alla sua vena più autentica. Rat-Man nasce in questa occasione: si tratta di un’irridente parodia di Batman, analoga alle innumerevoli parodie dei supereroi americani apparse su «Mad» e sulle riviste di umorismo a fumetti di tutto il mondo. A vestire una calzamaglia e combattere il crimine è un miliardario, come già Bruce Wayne, un uomo comune equipaggiato con armi e gadget all’avanguardia, ma gracile, basso e fondamentalmente incapace: la storia, intitolata semplicemente Rat-Man, è un intreccio di gag basate sull’inadeguatezza di un tipo del genere al ruolo di giustiziere mascherato. I giudici del concorso de «L’Eternauta» vanno giustamente oltre la mera operazione derisoria e premiano Ortolani per l’eccellenza della sceneggiatura di questo ingegnoso divertissement. Rimandando a un secondo momento un’analisi attenta di quel quid che rende ancora oggi la storia Rat-Man seminale e d’interesse, per quanto di fattura piuttosto rozza, mi limito a sottolineare come qui l’intento ridicolizzante nei confronti di un personaggio da tempo entrato nell’immaginario comune4 sia prevalente e dunque giustifichi l’uso dell’etichetta parodia nella sua accezione più comune. Passati sei anni dall’invenzione del supereroe con le orecchie da topo, Ortolani decide di intitolargli una testata autoprodotta. Come appare chiaro sin dal primo numero di «Rat-Man», il riferimento a Batman passa in secondo piano e l’operazione parodica, pur rimanendo tale, assume tutt’altro assetto e Si tratta di una scelta lessicale di comodo che tuttavia rispecchia una percezione diffusa nella storia dell’editoria a fumetti nel nostro Paese. «L’Eternauta» (1980-2000) pubblica per lo più fumetti di genere avventuroso, fantastico e fantascientifico firmati dai più noti autori europei e sudamericani. La storia in questione, intitolata Ognuno ha i suoi problemi, è stata riproposta sulle pagine di «Rat-Man Collection» n. 100 (gennaio 2014). 4 Batman è stato creato nel 1939 da Bob Kane (con Bill Finger) ed esordisce sul n. 27 della testata «Detective Comics». Battezzato in origine “The Bat-man”, il personaggio si situa al crocevia di diverse influenze: la moda dei “Supermen”, il fascino dei giustizieri da pulp fiction come The Shadow e Zorro, l’estetica gotica di certi cinema e letteratura orrorifici, i misteri e le indagini à la Sherlock Holmes. A partire da questa base già di per sé eclettica, Batman è stato, e continua a essere, variamente interpretato dalle generazioni di autori che si succedono al timone delle testate a lui intitolate. Batman, assieme a Superman, è il primo supereroe a valicare i confini del medium fumetto: protagonista di una serie ABC popolarissima negli anni Sessanta e immediatamente trasposta sul grande schermo, continua a figurare in svariati altri film, serie animate, videogame e tie-ins di diverso tipo, anche non mediali. 3

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significato. La parodia diventa infatti lo strumento attraverso cui l’Ortolani maturo propone nel contesto italiano di metà anni Novanta un fumetto che si rifà non solo a una narrativa e a un immaginario esteri, ovvero ai fumetti di supereroi, ma in particolare ne mutua gli stilemi caratteristici di una fase ormai trascorsa della loro evoluzione, la cosiddetta “Silver Age”. Se dunque vogliamo interrogarci sulla relazione – serissima – che Rat-Man intrattiene col fumetto supereroico, bisognerà non solo circostanziare la ricerca dell’effetto comico, ma anche fornire una definizione più appropriata di parodia. Che questa sia individuata sulla base del dileggio del testo o dei testi parodiati è un retaggio ottocentesco, che nega tra l’altro al riso qualsiasi valore di tipo cognitivo. Anche solo ridicolizzare l’oggetto parodiato, invece, lo mette sotto una luce inedita, suggerendone nuove possibili interpretazioni. L’ironia è in effetti variamente collusa con la parodia in quanto strumento utile a definire la distanza critica tra il parodiante e il parodiato, che ne è sì, stavolta, un carattere ineludibile: senza distanza critica, anziché verificarsi un’esaltazione della differenza, si instaurerebbe un regime di identificazione, a cui piuttosto pertengono operazioni quali l’imitazione, la citazione e l’allusione. La parodia, invece, ben si colloca nella categoria genettiana dell’ipertestualità, in quanto operazione insieme derivativa e trasformativa5. Gérard Genette, tuttavia, entrando nel merito6, assegna alla parodia uno statuto “scherzoso” che qui mi sento di rigettare, in quanto la parodia va intesa come, almeno in potenza, neutrale. A illuminare una fondamentale qualità dialettica della parodia è l’etimologia stessa della parola – dal greco παρῳδία, composto di παρα-, che può significare tanto “contro” quanto “presso”, e ᾠδή, cioè “canto”. Tra il testo parodiato e quello parodiante c’è in effetti un rapporto di prossimità, oltre che di contesa: nell’atto di marcare una diseguaglianza, il parodiante mima, incorporandolo e rivitalizzandolo, il parodiato. La parodia è un caso di bitestualità che si risolve auspicabilmente in una sintesi contraddittoria, che non ne sminuisca l’ambivalenza. Linda Hutcheon parla appunto di “bitextual synthesis” (sintesi bitestuale), ma anche di ironic trans-contestualization (transcontestualizzazione ironica), espressione che sintetizza con squisita puntualità la meccanica formale della parodia: essa permette al contempo di riattualizzare il modello, rendendolo riconoscibile, e di metterlo in crisi, eventualmente negandolo e mortificandolo, attraverso la funzione giudicante dell’ironia7. Certamente essa ammette la distruzione del proprio oggetto, ma si tratta di un caso limite: la sua maggiore forza consiste piuttosto nella relativizzazione dello stesso. Come può esistere un ethos negativo e uno positivo dell’ironia8, più e meno marcato (ossia inequivocabilmente connotato), alla stessa Genette parla di ipertestualità nel caso di filiazione diretta di un testo (l’ipertesto) da uno preesistente (l’ipotesto). Imitazione, citazione e allusione per Genette rientrano invece nella categoria dell’intertestualità, intesa come presenza effettiva di un testo preesistente o di una sua parte all’interno di un altro. Cfr. L’infinito cantiere. La letteratura al secondo grado di Gérard Genette riprodotto in Giovanni Guagnelini, Valentina Re (a cura di), Visioni di altre visioni: intertestualità e cinema, Archetipolibri – Gedit Edizioni, Bologna 2007, pp. 123-130. 6 Ibidem. 7 Linda Hutcheon, A Theory of Parody. The Teachings of Twentieth-Century Art Forms, Methuen, New York 1985. 8 Per Linda Hutcheon l’ethos risulta dalla sovrapposizione tra l’effetto auspicato da chi produce il testo e il risultato della decodificazione operata dal ricevente; la studiosa si serve di questo concetto per fare i dovuti distinguo tra ironia, parodia e satira in una prospettiva pragmatica. Cfr. ivi, pp. 50-68. 5

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maniera esistono diverse gamme di ethos parodico, tali che il testo parodiato emerga in qualità di modello piuttosto che di bersaglio o viceversa. L’ethos più tipico della parodia nel XX secolo, nell’ottica conciliante e inclusiva della Hutcheon, dovrebbe essere non-marcato, “with a number of possibilities for making” (con un ampio spettro di possibilità operative), simile a quello caratterizzante l’imitazione classica e rinascimentale9. Per concludere, se la parodia è il luogo in cui il vecchio e il nuovo coesistono e si scontrano con esiti alterni, essa può, in quanto tale, farsi carico di istanze ora conservative, ora rivoluzionarie, ora, insieme, di mantenimento e di innovazione. Torniamo dunque a Rat-Man. Accennando alla Silver Age, ho omesso di specificare che sono i fumetti Marvel e il loro prototipo, la serie I Fantastici Quattro di Stan Lee e Jack Kirby, a costituire il fondamentale ipotesto della parodia ortolaniana. I fumetti di Batman, invece, sono pubblicazioni della rivale DC Comics, che detiene anche il copyright del primissimo supereroe, Superman. La DC è protagonista assoluta della Golden Age, principiante nel 1938 con l’esordio di Superman e tramontata nel dopoguerra, ma nel corso della successiva Silver Age, coincidente grosso modo con i lunghi anni Sessanta, deve cedere di fronte all’avanzata della Timely Comics, ribattezzata Marvel o altrimenti indicata come Casa delle Idee. In questo frangente, infatti, nonostante il radicale restyling cui sono sottoposti molti personaggi, il superomismo sopra le righe della DC, evoluto all’insegna di un radicale scollamento delle trame dalla realtà e orientato verso il più puro escapismo, sembra aver esaurito la sua presa sull’immaginario. Sotto la direzione artistica di Stan Lee e Jack Kirby, che firmano anche la maggior parte delle storie, la Marvel propone un pantheon di nuovi supereroi evidentemente più in linea con lo spirito del tempo che conquista un’immediata popolarità presso i giovani lettori. Innanzi tutto, Lee e Kirby propongono una rappresentazione inedita ed equivoca del superpotere, che nei loro fumetti tocca in sorte per la prima volta a individui comuni, con una vita comune e pregi e difetti comuni, per i quali consacrare la vita alla lotta contro il Male è tutt’altro che scontato. Se i comprimari di Superman finiscono col diventare protagonisti di vicende altrettanto avventurose e fantastiche quanto quelle dell’Uomo d’Acciaio – si pensi al lancio di testate come «Superman’s Pal, Jimmy Olsen» (1954-1974) e «Superman’s Girlfriend, Lois Lane» (1957-1974) – nei fumetti Marvel i personaggi di contorno servono a intrecciare al racconto di imprese superumane sottotrame incentrate su temi quotidiani, famiglia, amicizia o amore, che, confliggendo con la storyline principale, la carichino di dramma e, in alcuni casi, di tragedia. Il trasporto sollecitato dai fumetti di Lee e Kirby non ha precedenti in vent’anni di storie di superuomini; essi toccano corde che in precedenza pochi autori di fumetti, come Milton Caniff, sono stati disponibili a far vibrare nella storia del medium. Questa impostazione, secondo cui la dimensione umana dei protagonisti acquisisce un ruolo di primissimo piano, si combina felicemente con la Ovvero uno schema di ripetizione e differenza che garantisca stabilità e libertà; esso si fonda su una certa fiducia umanistica nella continuità culturale, mentre la parodia ammette e privilegia il distacco critico dal modello. Cfr. ivi p. 10. La citazione letterale si può ritrovare invece a p. 60. 9

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maturazione del disegno e della regia di Kirby, la cui magniloquenza e visionarietà permette ai soggetti di Lee di svilupparsi nel segno di quell’epicità che fa del supereroe un vero e proprio mito moderno10. Titoli e onomatopee urlate; sfondamento della prospettiva; pose dinamiche che sacrificano l’anatomia accademica a favore di una resa iconica dell’idea di potenza; espressività esasperata; splash pages di matrice genuinamente spettacolare, sia che mostrino azioni violente sia che scoprano paesaggi ipertecnologici o mettano in risalto muscolature plastiche e voluminose: l’opera di Kirby si permea di un senso di meraviglia – marvel, appunto – che, stando alla sua testimonianza11, Ortolani ha saggiato per la prima volta da bambino e che, da allora, ha sempre voluto trasmettere con i propri fumetti. È un dato di fatto che all’altezza degli anni Novanta l’esperienza di Lee e Kirby sia stata incamerata e in un certo senso anche superata da nuovi interpreti del genere supereroico. La Silver Age è finita da un pezzo – sebbene sia difficile mettere dei paletti e sulla periodizzazione successiva gli storici ancora non abbiano trovato un accordo – e le narrazioni si sono fatte più smaliziate e meno retoriche, mentre l’approccio grafico, da Neal Adams in avanti, è generalmente improntato a un maggiore naturalismo. Il mito del supereroe è stato decostruito e ricodificato più volte e la formula vincente di Lee, e in generale dei fumetti Marvel, “supereroi con superproblemi” continuamente adattata a ogni ricambio generazionale di autori e lettori. In Italia il fumetto supereroico è esclusivamente quello d’Oltreoceano, dato che i tentativi di adattarne tematiche e stilemi al nostro contesto culturale non hanno dato frutti proficui e duraturi12. Lo stile di Kirby continua sì a influenzare molti disegnatori, anche italiani, ma a livello piuttosto superficiale, limitatamente allo sviluppo volumetrico e al dinamismo esasperato di certi tipi anatomici. Insomma, riproporre alle soglie del nuovo millennio una narrazione e una regia, oltre che un apparato grafico e segnico, che si rifaccia agli albi Marvel degli anni Sessanta è, almeno sulla carta, un’operazione inutilmente nostalgica e inattuale. Eppure Ortolani si dimostra capace di omaggiare i suoi maestri con il dovuto distacco critico, incorporando la forza dei classici fumetti Silver Age e allo stesso tempo prendendosi gioco dei loro aspetti più antiquati e ingenui. Dopo la rottura tra i due, avvenuta già nei primi anni Settanta, Lee e Kirby danno versioni contrastanti relativamente a come si spartissero lavoro e meriti: in particolare, Kirby rivendica con decisione la completa paternità dei concept, dipingendo Lee come un mero confezionatore del prodotto finale. A oggi, la questione resta dibattuta e i dubbi sulla professionalità di Lee persistono. In questa sede, ho tuttavia scelto di fare riferimento ai credits posti in apertura delle varie storie, compilati, assieme ai dialoghi – almeno su questo le testimonianze coincidono – da Lee. Cfr. tra le altre numerose fonti, l’intervista a Jack Kirby raccolta in Will Eisner, Chiacchiere di bottega, Kappa edizioni, Bologna 2006 (ed. or. 2001), pp. 245-285 e l’articolo Riflessioni sui Fantastici Quattro di Stan Lee, riprodotto a mo’ di introduzione nel volume Marvel Collection: Fantastici Quattro 1, Panini Comics, Modena 2011, pp. 2-3. 11 Tra le molteplici dichiarazioni di Ortolani in questo senso, segnalo la lettera indirizzata idealmente a Kirby pubblicata su «Rat-Man Collection» n. 122 (settembre 2017), l’ultimo della serie regolare, a p. 114. 12 Se nel dopoguerra si registra un tentativo di imitare i supereroi americani con Misterix (di Ongaro e Campani) e Asso di Picche (di Ongaro e Pratt), entrambi sopravvissuti nel solo mercato argentino, dovranno passare circa quarant’anni prima che qualcun altro si imbarchi seriamente nell’impresa: contemporaneamente a Ortolani, è la casa editrice Phoenix a proporre in edicola, peraltro nel formato comic book, una serie di supereroi italiani, che pure non ottengono il seguito auspicato. La Phoenix, tra gli altri, ripropone il Ramarro di Giuseppe Palumbo, nato nel 1986 sulle pagine della rivista «Frigidaire» e presentato come il “primo supereroe masochista”. Posto che i nuovi episodi targati Phoenix, scritti da Daniele Brolli, sono piuttosto lontani dalla satira caustica delle prime storie, di cui Palumbo è autore completo, va notato come Ramarro derivi specificamente dall’approccio grafico di Kirby e di Buscema al fumetto supereroico americano, e proprio nella forma della parodia – sebbene essenziali ed evidenti siano anche le ascendenze europee. Ci sarebbe da discutere sul fatto che il personaggio, al di là della tagline, si possa effettivamente considerare un supereroe, tuttavia, retrospettivamente e in virtù dell’originario retaggio parodico, Ramarro può costituire un possibile antecedente autoctono significativo per Rat-Man. 10

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Le storie di Rat-Man tratteggiano un eroismo ridicolo e disperato, ma abbastanza nobile e sincero da meritare un trattamento epico: fa ridere, certo, ma c’è della meraviglia. A livello tematico, Ortolani porta all’estremo l’idea di Lee: Rat-Man è un uomo – o addirittura un sotto-uomo, vista la proverbiale ottusità che lo caratterizza – comune con un superproblema, ossia il fatto stesso di ricoprire un ruolo per il quale non è tagliato, quello, appunto, del giustiziere mascherato. Oltre a essere un perfetto idiota, Rat-Man possiede una vasta gamma di difetti: è infantile, egoista, arrogante, libidinoso e ignorante. Però crede nella lotta fra Bene e Male e si schiera senza riserve, facendo di un’altra delle sue tare il suo principale potere: la testardaggine. Rat-Man è un eterno sconfitto, ma non si arrende. Spesso non c’è la possibilità di scindere la stupidità dal coraggio, ma di fatto egli agisce da vero supereroe. La natura paradossale di Rat-Man permette al suo autore di conciliare l’epica prototipica statunitense con la tradizione comica italiana e, in particolare, con una figura intorno alla quale esiste una letteratura piuttosto ampia, che va da Paolo Villaggio a Fruttero e Lucentini: quella che la Ditta nomina prosaicamente “il Cretino”. Su un piano squisitamente narrativo, Ortolani concilia la regia di Kirby con i tempi delle sequenze umoristiche di scuola italiana, operando così uno scarto significativo rispetto allo stile compresso dei fumetti americani degli anni Sessanta13, le cui specifiche – ridondanza informativa, ritmo sostenuto e una buona dose di salti logici – giustificano la relativa idiosincrasia del lettore contemporaneo nei confronti di certe produzioni d’annata. Il disegno ortolaniano, parimenti, ibrida l’universo grafico roboante ed eccessivo del maestro americano con la sintesi tipica del fumetto comico. Ortolani si dimostra sinceramente devoto ma tutt’altro che ortodosso: se c’è un luogo privilegiato in cui egli si permette di mettere alla berlina l’opera dei propri idoli, questo è il ritratto di certi nemici di Rat-Man, eccessivamente cattivi, eccessivamente muscolosi, eccessivamente assetati di potere. Bizzarre creature incapaci di pensiero emerse dal sottosuolo; alieni e superuomini che parlano e si vestono in maniera pittoresca; robot dominati da passioni fin troppo umane: tali nei fumetti di Lee e Kirby, Ortolani se ne appropria senza correggerne la naïveté ma anzi sottolineandola a scopo irrisorio. Parodiare significa, dunque, approfondire il proprio modello di riferimento rimettendolo in funzione e rifunzionalizzandolo. È una forma di apprendistato e di appropriazione, al contempo un atto di studio – ovvero di studium, “passione”, “entusiasmo” – e di sfida: imparare attraverso l’imitazione, nell’impossibilità di andare a bottega, ma dubitando di volta in volta che tutti gli insegnamenti del venerando maestro siano utili per sé e per i tempi correnti. E poi via sulla propria strada.

Brian Cronin, Greg Burgas’ Compressed Storytelling Versus Decompressed Storytelling: Pros and Cons, www.cbr.com/ compressed-storytelling-versus-decompressed-storytelling-pros-and-cons/. 13

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3. Parodia e serialità Se Rat-Man nel corso degli anni si è costituito a saga, ciò dipende dall’adesione al modello seriale implementato dai fumetti americani di cui è parodia. È in nome della logica e della prassi parodica, infatti, che Ortolani adotta il classico formato editoriale denominato comic book, un albetto 17x26 spillato e a colori, contenente in media 22 pagine di fumetti. Quello del comic book è anche un format seriale, ovvero un modello che prescrive una certa periodicità e stabilisce il grado di interconnessione tra le storie, ovvero il grado di serializzazione. Si intende per episodio una narrazione autonoma e autoconclusiva, mentre la puntata è la porzione incompiuta di una storia più lunga. Come una serie episodica può presentare elementi di continuity, così la puntata può essere concepita come coesa e godibile a sé: le soluzioni possibili sono innumerevoli e determinano nel loro complesso il variegato spettro della serialità. I fumetti di supereroi nascono alla fine degli anni Trenta come serie episodiche sulla falsariga dei racconti da pulp magazine, di cui sono filiazione più o meno diretta. Il singolo episodio prevede il ritorno dell’eroe eponimo, chiamato a risolvere una particolare situazione di crisi dispiegando le abilità e i poteri che i lettori ben conoscono. Come teorizza Umberto Eco, i fumetti della Golden Age si situano in un presente atemporale, onirico, in quanto irrelati tra loro a livello temporale14: l’istanza narrativa coglie il protagonista di volta in volta in un momento diverso della sua vita, ma della singola vicenda non rimane traccia nei racconti successivi. Eco precisa questa tipologia seriale descrivendola come struttura “a flashback”, a sottolineare come le caratteristiche del personaggio siano date una volta per tutte e le singole narrazioni vadano attribuite a un passato abbastanza remoto da giustificarne la dimenticanza a ogni attacco di una nuova storia15. Eco, scrivendo nel 1964, si riferisce nello specifico ai fumetti di Superman, ignorando come sulle recenti pubblicazioni Marvel si stiano già sperimentando nuove forme di serialità che presto diverranno prevalenti e che, nella sua tassonomia, si avvicinano a quella che egli chiama “saga”. La saga sarebbe infatti una storia di senescenza entro la quale, appunto, il personaggio o i personaggi sono autorizzati a invecchiare, a “consumarsi”16. A introdurre il meccanismo della continuity nei fumetti di supereroi sono proprio Stan Lee e Jack Kirby: sistemare le vicende episodiche in una linea del tempo progressiva gioca infatti a favore delle backstories che rendono i nuovi supereroi così complessi e interessanti. Il processo di serializzazione si svolge in maniera graduale e promuove infine un pattern ibrido secondo cui ogni episodio rimane autosufficiente e nel contempo si costituisce a segmento di un affresco temporalmente più dilatato. Una volta fidelizzato il pubblico, gli autori iniziano a sviluppare trame ampie e complesse che si dispiegano su più albi. La misura aurea delle 22 pagine viene mantenuta, tuttavia l’albo può concludersi sul più bello, con uno spettacolare cliffhanger che spinga il lettore a recuperare il numero successivo. Umberto Eco, Il mito di Superman, in id., Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 2016 (ed. or. 1964), pp. 219-261. 15 Id., Tipologia della ripetizione, in Francesco Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Marsilio, Venezia 1984, p. 27. 16 Ivi, p. 28. 14

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Avendo stabilito che quanto accade di episodio in episodio sia destinato a rimanere ed essere ricordato sia dai lettori sia dai personaggi, gli autori elaborano anche dei procedimenti che permettano loro di districarsi dagli obblighi della continuity. La più tipica di tali strategie consiste nella retcon, una narrazione che emendi o integri una narrazione precedente, in varie maniere e con diversi esiti; parlerò più approfonditamente di retcon altrove, ma accennarvi adesso è utile a inquadrare un’altra caratteristica fondamentale della serialità nel fumetto supereroico americano, ovvero l’interesse per il passato diegetico. Se Lee e Kirby introducono un principio di progressione lineare nelle nuove serie, la generazione di autori successiva, la prima ad aver trascorso la giovinezza, se non proprio l’infanzia, leggendo fumetti di supereroi, volge sovente lo sguardo all’indietro. Mutando con la crescita le proprie esigenze per la sospensione dell’incredulità, costoro si chiedono, per esempio, come sia stato possibile che i supereroi della Golden Age non abbiano potuto/saputo contrastare gli orrori della seconda guerra mondiale17. Appositamente per rispondere a tale domanda le nuove serie intitolate agli Invasori (1969) e all’All-Star Squadron (1981), firmate rispettivamente per Marvel e DC dall’autore più rappresentativo della nuova ondata, Roy Thomas, spostano per la prima volta l’azione nei lontani anni Quaranta. In seguito, i supereroi verranno calati in epoche ancora più lontane, ma questo scrupolo retrospettivo si esprime in effetti a più livelli. Al di là dei vari casi di reboot18, infatti, sia in casa Marvel sia in DC è ancora frequentissimo che le storylines si ripieghino su sé stesse e i personaggi siano costretti con vari espedienti a rivivere o rinarrare determinati momenti topici della propria esistenza finzionale o della storia contemporanea. Un esempio su tutti: la ricorsività dell’origin story, ovvero la riproposizione ossessiva e la frequente riscrittura d’autore del racconto di come i vari Batman e Uomo Ragno abbiano intrapreso la propria crociata contro il Male, autodeterminandosi in quanto supereroi. La retcon è inoltre la manifestazione di un più generale approccio enciclopedico a cui pertiene anche la strutturazione del cosiddetto “multiverso”, elaborata per la prima volta in casa DC e adottata presto anche dalla Marvel. In breve, il modello del multiverso funziona in senso sincronico come la continuity funziona in senso diacronico: se già Eco riconosce nel corpus di fumetti di Superman dei casi isolati in cui viene raccontato “come sarebbe andata se…” (what if), in altre parole, storie dagli esiti irreversibili, nel dopoguerra gli autori e gli editor della DC normalizzano questa pratica situando delle versioni alternative dei loro personaggi in mondi paralleli che, in determinati casi, possono anche interagire. Paradossalmente, mentre un lettore bambino non pretende la verosimiglianza in quanto concepisce la diegesi come assolutamente finta, una volta adulto dimostra una minore disponibilità alla sospensione dell’incredulità e, dunque, finisce per chiedersi come sia possibile che Superman, cioè i poteri di un dio al servizio del mondo libero (leggi: dell’America), non abbia facilmente posto fine al conflitto mondiale. Essendo inoltre gli universi diegetici Marvel e DC del tutto simili a quello reale, e ciò in base alla consuetudine inaugurata a inizio anni Sessanta, una regola non scritta impone il divieto di sconvolgere le vicende storicamente determinate, almeno sul piano macroscopico. Quando la generazione di Roy Thomas assume il timone delle testate di entrambe le case editrici, le esigenze dell’autore e quelle del fan si scontrano per la prima volta, per poi riconciliarsi nel ricorso a modalità narrative e seriali peculiari. 18 Il reboot è una strategia che consente di far ripartire una narrazione seriale ignorando quello che la serie è stata fino a quel momento. Per approfondire quali possano essere le funzionalità peculiari del reboot nei vari ambiti mediali, cfr. William Proctor, Regeneration & Rebirth: Anatomy of the Franchise Reboot, in «Scope: an Online Journal of Film and Television Studies» n. 22, Febbraio 2012. 17

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L’esigenza è inizialmente quella di giustificare le differenze tra i supereroi della Golden Age e le loro versioni aggiornate del dopoguerra: ai primi viene assegnata la dimensione Terra 2, parallela alla più frequentata Terra 1, dove appunto si muovono i loro doppi al passo coi tempi. A queste due dimensioni se ne affiancano molte altre, e non solamente per dare uno statuto ai what if: col tempo, infatti, assume un ruolo decisivo nell’ampliamento del multiverso una componente puramente ludica e compilatoria. La serialità nel fumetto americano di supereroi, insomma, i cui cardini sono la continuity in senso sia progressivo sia regressivo e la stratificazione del multiverso, è un dispositivo particolarissimo, che assomma le caratteristiche della saga echiana, lineare e genealogica insieme19, a quelle del modello a mondi così come tratteggiato da Paolo Bertetti20 e quelle della categoria cinematografica e televisiva del serial21. Certo è che essa può funzionare come “serie [episodica] mascherata”, di cui Eco scrive: “i personaggi cambiano […] ma in realtà essa ripete, in forma storicizzata, celebrando in apparenza il consumo del tempo, la stessa storia, e rivela all’analisi una fondamentale astoricità e atemporalità”22. Essendo una parodia del fumetto supereroico, Rat-Man ne replica e interpreta finanche il carattere seriale, sebbene in Italia format analoghi non vengano coltivati. Se le prime storie autoprodotte si conformano al modello della serie episodica, con rari spunti di serializzazione nel background, a partire da Il ritorno! («Rat-Man» n. 7, novembre 1996) Ortolani dispiega la narrazione su tre puntate, raccontando eventi di una certa portata drammatica, che inaugurano una cronologia progressiva all’interno della quale vengono fatte rientrare anche le storie precedenti e nella quale si inseriranno quelle successive, fino alla conclusione della serie. La trilogia de Il ritorno! è un racconto sul passato di Rat-Man, che ne integra le origini narrate nella primissima storia del 1989, operando una retcon piuttosto significativa. Ortolani torna spesso e volentieri sul passato del personaggio, riscrivendolo attraverso strategie sempre più elaborate e originali. Infine, anche il modello del multiverso trova spazio nella diegesi di RatMan: se, da un lato, la successiva storia complessa in tre parti, inaugurata da La tela strappata! («Rat-Man Collection» n. 5, marzo 1998), è incentrata sul tema degli universi paralleli e ammette al loro interno delle versioni alternative del protagonista, la struttura a multiverso tiene insieme, dichiaratamente, la saga e le parentesi parodistiche in cui il cretino con il volto scimmiesco e le orecchie da topo veste i panni di James Bond, Luke Skywalker o Harry Potter. Leo Ortolani introduce nel fumetto italiano una pratica seriale percepita come altra, inconciliabile con i formati editoriali nostrani. Non solo: nel momento in cui la collaborazione con l’editore Marvel Italia (poi Panini) gli A seconda che alla linea temporale partecipi solo un personaggio o anche la sua discendenza; nel caso dei supereroi, oltre a quelli che mettono su famiglia, andrebbe considerata anche la casistica della giovane spalla, che in molti casi cresce e acquista una sua autonomia (si pensi alle vicende dei vari Robin nella saga di Batman). Cfr. Tipologia della ripetizione, cit., p. 28. 20 Il modello a mondi implica un’espansione seriale per accumulo: ogni testo implementa il mondo diegetico a livello di spazio, tempo e informazione. Cfr. Paolo Bertetti, Mondi narrativi e storie future. Modelli di espansione seriale tra pulp magazines e franchise transmediali, in «Between», vol. VI, n. 11, maggio 2016. 21 Si tratta della meccanica del feuilleton ottocentesco applicata al mezzo audiovisivo: un racconto lungo o lunghissimo segmentato in puntate che può avere o meno una fine predeterminata. 22 Tipologia della ripetizione, cit., p. 28. 19

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garantisce stabilità e maggiore disponibilità di spazio, egli concepisce un format originale, emancipato dal modello d’Oltreoceano, che si dimostra perfettamente sostenibile sul mercato italiano. Le invenzioni di Ortolani, stimolate dalla prassi parodica, rappresentano un’alternativa agli storici format italiani ancora imperanti negli anni Novanta: da un lato le serie episodiche a bassa serializzazione basate sul ritorno del protagonista titolare e dall’altro gli schemi completamente a-cronologici delle produzioni umoristiche. Rat-Man, tra i tanti esperimenti esterofili tentati in quegli anni, è uno dei pochi a essersi protratto nella contemporaneità, laddove assistiamo a una ripresa d’interesse verso la serialità americana e giapponese. Mentre le librerie si riempiono di euromanga e scimmiottamenti dei moduli narrativi statunitensi, l’opera di Ortolani fornisce nel suo complesso dei validi parametri per misurare lo scarto che intercorre tra un calco mal fatto e una parodia ben congegnata.

4. Le origini di Rat-Man Se la dimensione progettuale dell’appropriazione parodica di un certo tipo di fumetto d’importazione si precisa e si esplicita solo con la prima uscita dell’autoproduzione intitolata a Rat-Man nel novembre 1995, alcuni dei suoi motivi principali sono già rintracciabili nella primissima storia del personaggio, risalente a sei anni prima. Rat-Man non è solo l’esordio del personaggio, ma anche l’origin story su cui si incardina la serie, eppure con ogni evidenza per il Leo Ortolani del 1989 doveva trattarsi di un esercizio di scrittura estemporaneo. Nonostante ciò, la storia ammicca alla possibilità di una ripresa di tipo seriale della narrazione; d’altronde, si tratta della parodia di una narrativa, quella batmaniana, di natura intimamente seriale. Una volta integrata nella continuity della saga tramite retcon, la storia Rat-Man viene completamente ridisegnata senza modifiche sostanziali nella sceneggiatura e riproposta col titolo Le sconvolgenti origini del Rat-Man!. Questa sorta di remake, datato 1996, è considerato canonico e, in quanto tale, continuamente ristampato sia sulle testate sia sui volumi antologici dedicati al personaggio; l’originale RatMan, pubblicata per la prima volta su «Spot» n. 2, allegato a «L’Eternauta» n. 86 (giugno 1990), è stata riproposta tardivamente su «Rat-Man Collection» n. 75 (novembre 2009) in occasione del ventennale della creazione del personaggio. Vorrei dunque procedere a un’analisi comparata delle due versioni delle origini del supereroe con le orecchie da topo. Rat-Man è una storia di sei tavole da cinque strisce ciascuna, fittissime di vignette, mentre Le sconvolgenti origini del Rat-Man! respira molto di più, in quanto lo stesso numero di vignette è distribuito su quattordici tavole da tre strisce ciascuna. La prima è pensata infatti per adattarsi a una rivista di grande formato, mentre la seconda alle modeste dimensioni dell’albetto autoprodotto, che tuttavia consente una foliazione maggiore. Sebbene la sceneggiatura sia la stessa, i tempi di lettura sono diversi. Dal punto di vista del racconto, Rat-Man è un flusso che scorre inesorabilmente e indifferentemente fino alla conclusione, senza che la tavola assurga a struttura e conseguentemente la narrazione ne risulti, nel suo complesso, correttamente pausata; il ritmo, insomma, è dato dal mero alternarsi delle sequenze. 25


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Altri volumi della stessa collana che abbiamo pubblicato: Il Corriere dei Piccoli - Una supernova tra le riviste d’autore – isbn: 978-88-36271-33-7 Ventenni Paperoni – Ma leggi ancora Topolino? – isbn: 978-88-36271-20-7 Diabolik – dietro le quinte: Ginko all’attacco! – isbn: 978-88-36271-19-1 Giorgio Foresto – Avventure a colori di un pittore fuggiasco – isbn: 978-88-36271-18-4 Le vite de’ più eccellenti fumettori – isbn: 978-88-36270-85-9 Pinocchio illustrato da Paolo Mottura – isbn: 978-88-36270-66-8 Realizzando Diabolik – isbn: 978-88-36270-72-9 Diabolik – Il Libro Rosso – isbn: 978-88-36270-00-2 Le origini del fumetto – ed. brossurata – isbn: 978-88-36270-69-9 Fumetti e potere – isbn: 978-88-94818-89-5 Frammenti dall’assurdo n.e. – isbn: 978-88-36270-58-3 Eccetto Topolino – seconda edizione brossurata – isbn: 978-88-36270-28-6 Tarzan – isbn: 978-88-94818-75-8 Tex – Fiumi di China Italiana in Deserti Americani – ed. brossurata – isbn: 978-88-88893-71-6 I Disney Italiani – isbn: 978-88-97141-26-6 Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti – isbn: 978-88-97141-09-9

La casa editrice del fumetto d’autore

edizioninpe.it


Il mondo dopo la fine di Rat-Man In virtù del successo di pubblico e di critica, la saga di Rat-Man di Leo Ortolani è considerata una delle espressioni più felici del fumetto nostrano. Ricostruendo il contesto in cui è nata e mappandone l’evoluzione in quasi trent’anni di pubblicazioni, questo saggio mostra come abbia inciso sullo status culturale e sul mercato del fumetto in Italia e quale sia la profonda eco che getta sul futuro della Nona Arte.

ISBN: 978-88-36271-32-0

euro 25,00


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