Slasher

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L’editore e l’autore ringraziano ARF! Festival per averli fatti incontrare.

slasher di Marco Greganti © dell’Autore dei testi © Solone srl per questa edizione © degli aventi diritto per le immagini utilizzate Collana: Narrativa, 17 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa e Supervisione: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it service editoriale Marika Russo grafica in copertina Sebastiano Barcaroli Stampato presso Peruzzo Industrie Grafiche SpA Mestrino (PD) Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) recapito postale NPE c/o mbe via Brodolini, 30/32 z.i. 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it facebook.com/edizioniNPE twitter.com/edizioniNPE instagram.com/edizioninpe


Slasher il genere, gli archetipi e le strutture di Marco Greganti

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INDICE

Capitolo primo

Capitolo secondo

Capitolo terzo

MORFOLOGIA DELLO SLASHER 1.0 Il genere e le aspettative 1.1 Gli archetipi 1.2 Fiabe, miti, sogni 1.3 La struttura: da Aristotele a Hollywood 1.4 Com’è fatto uno slasher 1.5 Un po’ di storia 1.6 Lo slasher e la letteratura

IL VIAGGIO 2.0 On the road 2.1 Il viaggio come archetipo 2.2 Autonomia, emancipazione, identità 2.3 Partire è un po’ morire 2.4 “L’angoscia del distacco” 2.5 Il guardiano della soglia ti aspetta al drugstore 2.6 Altri viaggi, altri codici L’ARENA E IL SECONDO ATTO 3.0 L’Arena 3.1 L’arena e i luoghi comuni 3.2 Spazi chiusi: la casa 3.3 Spazi aperti: il bosco 3.4 Mousetrap 3.5 L’arena, il conflitto e il secondo atto

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Capitolo quarto

Capitolo quinto

Capitolo sesto

Capitolo settimo

PERSONAGGI 4.0 Protagonisti e desideri 4.1 Lo slasher e il Bildungsroman 4.2 La rivoluzione copernicana: l’Eroe è femmina 4.3 Da vittima a Guerriera: il caso di The Descent 4.4 Il Trickster (o Imbroglione) 4.5 Il prepotente 4.6 L’unione fa la forza 4.7 L’autorità

ANTAGONISTI ALLA RIBALTA 5.0 Il fascino del male 5.1 L’Ombra, l’inconscio e l’irrazionale: parte di noi 5.2 Serial killer e traumi 5.3 Maschere 5.4 Armi 5.5 L’Uomo Nero 5.6 L’inevitabilità del male 5.7 La natura dell’antagonista EROS È THANATOS 6.0 Sesso = Morte 6.1 Cinema e istinti 6.2 Pulsione di vita e pulsione di morte 6.3 Non commettere atti impuri 6.4 Serial killer e sessualità 6.5 Kill your father LO SLASHER SI TRASFORMA 7.0 Giocare con il linguaggio 7.1 Scream 7.2 The Cabin in the Woods 7.3 The Final Girls 7.4 Tucker & Dale vs Evil 7.5 House of 1000 Corpses

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indice

7.6. Il mockumentary 7.7 Altre strade, codici e linguaggi BIBLIOGRAFIA

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capitolo 1

Morfologia dello Slasher I racconti del terrore vengono in genere raccontati intorno al fuoco di un campeggio o comunque dopo il tramonto, perché le cose di cui si ride alla luce del sole possono essere diverse sotto le stelle.

stephen king, danse macabre

1.0 Il genere e le aspettative Se hai tra le mani questo libro vuol dire che ti piace lo slasher, e più in generale l’horror. Anche se sei semplicemente curioso va bene lo stesso. In ogni caso c’è qualcosa che ti ha spinto, che ti ha motivato. La stessa cosa che ti fa uscire di casa per andare a rinchiuderti in una sala buia in mezzo a gente che non conosci e pagare otto euro per vedere una storia. Ogni genere narrativo esistente, che sia un horror, un thriller, una storia d’amore, un melodramma o una storia di guerra, esaudisce una particolare aspettativa legata a uno stato emotivo. Se entri nella sala buia di cui sopra per vedere una storia horror, ad esempio, pretendi che il narratore faccia leva sulla tua paura. Può anche farti ridere o commuovere, ma prima di tutto deve farti provare paura. E come fa? La prima risposta, ovvia: raccontando storie che facciano paura. La seconda, più articolata: raccontando storie che utilizzino quelle forme e quei contenuti che appartengono a un certo tipo di immaginario. Questo vuol dire che le storie che appartengono a un determinato genere, e quindi a un certo tipo di immaginario, non sono altro che “copia e incolla” di altre storie? No. Non quelle buone, almeno. Vuol dire che le storie che appartengono a un determinato genere raccontano, sostanzialmente, la stessa storia? Sì. Raccontare la stessa storia non significa che i fruitori debbano accorgersi che 9


slasher - il genere, gli archetipi e le strutture quella storia assomiglia ad altre storie. In quel caso, sarebbe una storia raccontata male. Ma se aderisce e soddisfa le nostre aspettative e lo fa coinvolgendoci, divertendoci e sorprendendoci allora è una buona storia ed è raccontata bene. Quindi, bene o male, anche lo slasher deve aderire e soddisfare determinate aspettative. Non è un caso se vogliamo sentirci raccontare ogni volta la stessa storia. Che fa più o meno così: un gruppo di ragazzi raggiunge una determinata località, ma un maniaco dalla forza sovraumana li uccide uno ad uno. Alla fine sopravviverà un’unica ragazza, la più innocente. Questo è lo slasher. Le modalità e le variazioni sul tema sono tante, ma la storia di uno slasher è sempre la stessa. Vogliamo che sia la stessa. Ogni volta. Perché?

1.1 Gli archetipi Le storie, tutte, hanno dei personaggi a cui succede un qualche tipo di disgrazia e a un certo punto devono fare qualcosa per superarla. Altrimenti non sarebbero storie, ma arte sperimentale. Già solo questo basterebbe a farci capire che cos’è e cosa definisce un archetipo: la sua universalità. Per dirlo con le parole del più autorevole in materia, e cioè Carl Gustav Jung, gli archetipi sono «immagini comuni presenti fin dai tempi remoti»1. Queste immagini sono «i contenuti psichici non ancora

Fig. 1 - Ra, il Dio-Sole

1   Jung C.G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2008, p.17.

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morfologia dello slasher sottoposti a elaborazione cosciente»2 e appartengono all’uomo praticamente da sempre. Ancora prima che l’uomo si mettesse a raccontare storie intorno al fuoco. Fin dai tempi remoti, appunto.

Per quanto tutti diversi, e lo siamo, abbiamo tutti qualcosa in comune. Questo qualcosa in comune non va inteso banalmente con ‘qualcosa che ci accomuna’; è piuttosto il comune denominatore della psiche e dell’emotività umana. Prendiamo il sole, la palla infuocata che sta nel cielo. Potremmo non parlare la stessa lingua ma vediamo tutti il sole allo stesso modo. Il sole è quel pianeta che è al centro del sistema solare e che ci permette di sopravvivere. Ma il sole è anche quell’immagine esterna che calata in un certo contesto rivela caratteristiche psichiche ed emotive comuni a tutti. Uno dei contesti è il mito, ad esempio. Il sole è presente nella mitologia greca (Apollo), azteca (Nanauatzin), egizia (Ra, il Dio-Sole), nella simbologia cristiana e così via. «[...] il sole nel suo peregrinare deve raffigurare il destino di un dio o di un eroe il quale, in fin dei conti, non vive che nell’anima dell’uomo. Tutti i fenomeni naturali mitizzati, come estate e inverno, fasi lunari, stagioni delle piogge, [...] sono espressioni simboliche dell’interno e inconscio dramma dell’anima che diventa accessibile alla coscienza umana per mezzo della proiezione»3. In questo senso il sole è un esempio per capire come va inteso un archetipo, come guardare e come considerare un’immagine presente fin dai tempi remoti. Altro modo per definire un archetipo, sempre per usare il lessico di Jung, è il concetto di inconscio collettivo: «Esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui. Quest’inconscio collettivo non si sviluppa individualmente, ma è ereditato. Esso consiste di forme preesistenti, gli archetipi, che possono diventare consci solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti psichici»4. Da qui il valore dei simboli. In diverse culture e religioni ad esempio troviamo simboli che si assomigliano, proprio perché sono archetipi e dunque parte dell’inconscio collettivo. Un esempio concreto ce lo fornisce sempre Jung parlando di un suo paziente: «Mi rammento assai bene il caso di un professore che, in seguito a un’improvvisa visione, si era messo in testa di essere matto. Egli venne a trovarmi in preda a un panico totale. Io mi limitai a prendere da uno scaffale un libro stampato quattro secoli prima e a mostrargli un’antica incisione che raffigurava esattamente la sua visione. “Lei

Ibid., pp. 17-18.   Ibid., p. 19. 4   Ibid., p. 70. 2 3

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slasher - il genere, gli archetipi e le strutture non ha alcun motivo per ritenersi matto” gli dissi. “La sua visione era già nota quattro secoli fa”. A queste mie parole, egli si lasciò cadere sopra una sedia completamente rilassato e di nuovo normale»5. Altro elemento che ci aiuta a capire che cos’è un archetipo, forse quello più immediato, è la sua ripetitività. Più un’immagine simbolica è presente ed è reiterata nei miti, nelle favole e nei sogni, più ha un valore archetipico forte e radicato. L’Eroe o l’Antagonista sono archetipi non perché qualcuno ci ha detto che dev’essere così, ma perché sono presenti in tutte le storie che l’uomo racconta dai tempi remoti. Analizzando le fiabe, il formalista russo Vladimir Propp si rese conto che «[...]cambiano i nomi (e con essi gli attributi) dei personaggi ma non mutano le loro azioni o funzioni»6. E ne concluse che «[...] i personaggi della fiaba, per quanto diversi essi siano, spesso fanno la stessa cosa»7. Torniamo dove abbiamo cominciato poco fa: fare la stessa cosa equivale a raccontare la stessa storia. E quando succede il motivo è uno e uno solo: le storie raccontano archetipi. Così per lo slasher. Gli elementi ricorrenti all’interno del genere sono archetipi e sono presenti nel nostro inconscio collettivo. Tutti gli slasher raccontano la stessa storia, quella storia che porta con sé immagini simboliche di cui l’uomo si nutre da sempre.

1.2 Fiabe, miti, sogni Quelle che oggi conosciamo come fiabe dei fratelli Grimm, di Andersen o di Perrault, sono in realtà racconti popolari antichissimi che risalgono ancora prima del mito. Contrariamente a quanto si pensa, le fiabe non sono nate per essere raccontate esclusivamente ai bambini: «[...] in questo senso le fiabe sono l’espressione di una società nella quale non esisteva la netta separazione fra mondo dell’infanzia e mondo degli adulti»8. Le società antiche avevano a che fare con problemi diversi rispetto a quelli che abbiamo noi, ad esempio: «Quando si è cominciato a raccontare Cappuccetto Rosso era necessario ricordare a tutti la presenza dei lupi nelle foreste

Jung C.G., L’uomo e i suoi simboli, TEA, Milano, 2004, pp. 52-53.   Propp V.J., Morfologia della fiaba - Le radici storiche dei racconti di magia, Newton Compton, Roma, 2003, p. 26. 7   Ibid., p. 27. 8   Denti R., Le fiabe sono vere, Interlinea, Novara, 2014, p. 18. 5 6

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morfologia dello slasher

Fig. 2 - Cappuccetto Rosso in un’illustrazione di G. Doré

e nei boschi»9. Poi col tempo hanno acquisito una valenza pedagogica ed educativa, ma di fatto le fiabe sono state i primi contenitori degli archetipi intesi come manifestazioni profonde della psiche umana. Idem per il mito. Le storie raccontate nella mitologia svelano qualcosa di noi stessi. Qualcosa di profondo, di universale, che ci appartiene, che abbiamo nel nostro dna. Per dirla con Joseph Campbell: il mito rivela delle verità mascherate e lo fa con l’uso dei simboli universali, degli archetipi appunto. «I simboli della mitologia non si fabbricano», spiega Campbell «non si possono inventare, controllare, o abolire per sempre: sono produzioni spontanee della psiche e ciascuno ne conserva intatto il potere germinativo»10. E infine: cosa sono le “produzioni spontanee della psiche” se non i sogni? Nei sogni siamo liberi da vincoli, condizionamenti e costrizioni. Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, lo aveva capito. E aveva capito che durante la notte l’inconscio mette in scena delle stravaganti rappresentazioni oniriche che rivelano ciò che siamo. Per Freud i simboli onirici sono prevalentemente i desideri legati alla sfera della sessualità e risiedono in ciò che definisce Es.   Ibid., p. 21.   Campbell J., L’eroe dai mille volti, Guanda, Parma, 2008, p. 12.

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slasher - il genere, gli archetipi e le strutture Quest’ultimo è la sede caotica delle nostre pulsioni e dei nostri istinti: l’inconscio. Ma allo stesso tempo il simbolismo onirico «[...] non è un elemento esclusivo del sogno: lo ritroviamo nel mito, nel rito, nelle favole, nel folklore»11. Ecco che torniamo sempre lì, Fig. 3 - Conscio, subconscio e inconscio collettivo agli archetipi. Queste sono, in estrema sintesi, le categorie interpretative che troverete in questo saggio e che approfondiremo mano a mano. Archetipi, fiabe, miti e sogni ci aiutano a capire la sostanza di cui sono fatte tutte le storie, e di conseguenza quelle di genere slasher.

1.3 La struttura: da Aristotele a Hollywood Il primo a dirci com’è fatta una storia da un punto di vista strutturale è stato Aristotele: c’è un principio, un mezzo, e una fine. Inizio, centro, fine. Detta tecnicamente: primo, secondo, terzo atto. Queste sono le parti di una storia che studiosi e narratori di tutti i tipi hanno approfondito e formalizzato in quella che oggi conosciamo come la teoria dei tre atti. Ma attenzione: non vuol dire che la teoria dei tre atti è vera perché lo ha detto Aristotele. Anche, certo. Quello che però lui ha notato è che le storie, nel caso specifico le tragedie, hanno tutte quante una precisa struttura. Cioè, Aristotele si è “accorto che”. Si è “limitato” a portare alla luce quelli che sono i meccanismi profondi del racconto, del nostro pensiero e della nostra vita. Ogni azione compiuta è in tre atti (prendo un bicchiere, bevo, metto via il bicchiere), la nostra giornata è in tre atti (ci alziamo, facciamo quello che dobbiamo fare, andiamo a dormire), la nostra vita è in tre atti (nasciamo, viviamo, moriamo). Una barzelletta è in tre atti così come la Divina Commedia   Vegetti Finzi S., Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano, 2000, p. 65.

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morfologia dello slasher (strutturata tutta sul numero tre) o una canzone (strofa, bridge, ritornello). Sogniamo in tre atti (provate a ricordarvi l’ultimo sogno che avete fatto, che abbia un minimo di senso). E pensiamo, in tre atti. Lo psicologo Johnson-Laird ha elaborato la teoria dei modelli mentali oggi universalmente riconosciuta nell’ambito della scienza cognitiva, affermando che il fondamento psicologico della comprensione si basa sul ragionamento sillogistico: premessa maggiore, premessa minore e conclusione. Guarda caso torniamo nuovamente ad Aristotele. Più di duemila anni dopo, il formalista russo Vladimir Propp, proprio come Aristotele con la tragedia, si accorse che le fiabe ripetevano non solo la stessa storia, ma lo stesso schema. Un esempio: come prima cosa in una fiaba troviamo una situazione di equilibrio iniziale. Successivamente l’equilibrio viene spezzato e ciò dà luogo a peripezie, pericoli e prove a cui il protagonista (meglio noto con l’archetipo dell’Eroe) è sottoposto. Infine, viene ristabilito un nuovo ordine nella vita e nel mondo dell’Eroe. Da questo schema strutturale e generalissimo di una fiaba – che si sviluppa sempre sui tre atti – Propp fa ulteriori analisi e la suddivide in “pezzi più piccoli” individuando trentuno sequenze che mandano avanti il racconto. Lo studio di Propp è stato fondamentale non solo per la formalizzazione dei modelli narrativi, ma anche per la natura e le caratteristiche dei personaggi. A dispetto di quanto si possa credere, le storie non vogliono raccontare di persone così come sono nella realtà, ma di personaggi che raccontano come in realtà siamo noi, che è un’altra cosa. Questo è un altro modo per dire l’archetipo. La storia della drammaturgia è molto ricca e complessa e ovviamente qui sono costretto ad accennare solo genericamente le categorie interpretative utili a questo saggio. Per questo ora facciamo un salto che ci porta al boom televisivo degli anni Cinquanta in usa. Le storie raccontate in tv da quel periodo in poi aumentarono vertiginosamente, arrivando nel giro di pochi anni a migliaia. Gli autori, molti dei quali scrittori prestati al cinema (nomi come Faulkner, Fante, Chandler) hanno cominciato a capire che avevano bisogno di tecniche che fornissero un supporto alla creatività giorno dopo giorno. Tecniche che con il tempo si sono “insediate” nelle diverse forme di scrittura influenzando reciprocamente cinema, teatro, tv, romanzo e pubblicità. Inoltre va detto che la cultura anglosassone, differentemente dalla nostra, inserisce la drammaturgia come disciplina indispensabile nella formazione 15


slasher - il genere, gli archetipi e le strutture didattica degli studenti e che le scuole di scrittura creativa nascono in America nei primi del ’900. Questo, a grandi linee, il motivo per cui oggi quasi tutte le tecniche di scrittura hanno una matrice statunitense: pur non avendo inventato nulla, gli americani hanno diffuso e divulgato l’arte della scrittura drammaturgica contribuendo a radicarla sempre di più nel tessuto sociale e culturale. L’hanno formalizzata, strutturata, sezionata nei minimi dettagli proprio perché avevano (ed hanno) la necessità di farlo. La produzione immensa di storie ti costringe a sapere come Fig. 4 - The Storyteller di Josephine Wall si fanno. E questo è anche uno dei motivi per cui ci troveremo ad analizzare storie di genere slasher per la stragrande maggioranza statunitensi. Dev’essere altrettanto chiaro però che non esistono banali formulette da applicare se si vuole raccontare una storia. Non ci sono attestati né patentini o tanto meno diplomi che “provino” che uno sia un narratore e un altro no. Le tecniche servono, ma non a priori. Chi racconta una storia prima di tutto deve farlo, o meglio, deve avere l’esigenza e la necessità di farlo. Poi la tecnica e gli strumenti servono ad affinare le sue abilità. Ma solo dopo. Personalmente credo che tutti i narratori debbano essere artigiani e che l’arte di raccontare storie sia un mestiere. Ma l’essenza di un racconto, quello che c’è dentro, la differenza insomma, la fa l’idea. Per dirla in breve: nell’arte di raccontare storie non c’è artista che non sia artigiano, e viceversa. Mi soffermo su questo punto perché anche se gli archetipi e le strutture delle storie siano, per dirla con Kant, “a priori”, sono sempre raccontate da qualcuno. Le storie non esisterebbero se non ci fosse un narratore. Quando un milione e mezzo di anni fa (circa) l’uomo scoprì il fuoco, l’evoluzione fece un balzo in avanti, e insieme a questa anche l’arte di raccontare storie. Dopo aver cacciato, dopo essersi nutrita, la tribù si sedeva intorno 16


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Fig. 5 - Storie intorno al fuoco in Friday the 13th part 2

al fuoco e ascoltava qualcuno che raccontava una storia. Oggi facciamo la stessa identica cosa. Con la tv, con il cinema, con un libro o con un fumetto. In questo saggio avremo a che fare con le strutture universali applicate allo slasher ma più concretamente con i registi, gli sceneggiatori, gli scrittori che hanno messo in scena quelle strutture universali. Questo non l’hanno fatto seguendo passo passo quelle formule o quelle regole come potrebbe fare un commercialista o un ingegnere. In quel caso, il narratore avrebbe semplicemente sbagliato mestiere. Lo slasher segue precise strutture e precisi archetipi non perché “deve”, ma perché è la tipologia di storie che racconta a richiedere quel determinato modello narrativo. Lo slasher e l’horror in generale, più di altri generi, affonda le radici in forme di racconto antiche. Perché è un genere puro che si rivolge direttamente alla parte profonda del nostro io, del nostro inconscio, dell’Es. È lì che dimorano le nostre paure, lì che scorrono e lottano caoticamente i nostri istinti, le nostre pulsioni e le nostre ombre. Lo slasher bypassa tutte le nostre sovrastrutture mentali e parla direttamente allo stomaco. Ma per farlo si serve allo stesso tempo di una ratio, di una direzione e di un contenitore ben preciso in cui raccontare una storia, o meglio, la stessa storia. Questo, chi fa genere, lo sa. Gli autori (quelli bravi) consapevoli del genere sanno perfettamente dove risiedono quelle storie e da dove vengono. Come lo sa qualsiasi bravo autore di qualsiasi altro genere. E adesso lo sappiamo anche noi. 17


slasher - il genere, gli archetipi e le strutture Sappiamo che in tempi remoti ci radunavamo intorno al fuoco e ascoltavamo qualcuno che aveva qualcosa da raccontare. È quello che succede ad esempio in Friday the 13th part II. A un certo punto al campeggio vicino a Crystal Lake, il capo scout seduto intorno al fuoco con gli altri dice: «Non voglio spaventare nessuno. Ma ho il dovere di raccontarvi la storia di Jason...». Oppure in The Burning o all’inizio di Madman. Spesso negli slasher i personaggi si raccontano storie intorno al fuoco. Ma purtroppo per loro in quei casi non si tratta solo di fiabe, miti o leggende...

1.4 Com’è fatto uno slasher La domanda a cui cercherò di dare una risposta il più esaustiva possibile all’interno del saggio e in punti generici in questo paragrafo è: che cosa fa di uno slasher uno slasher? Detta in altro modo: quali sono gli elementi narrativi, archetipici, strutturali, che definiscono uno slasher? Mettendo a confronto la maggior parte degli slasher ci accorgiamo che il denominatore comune è più di uno. Modalità a parte, i contenitori narrativi sono sempre gli stessi. Pertanto le caratteristiche del genere qui riassunte per punti generici sono:

Il viaggio iniziale. Nella maggior parte degli slasher c’è sempre la presenza di un viaggio. Il gruppo di ragazzi si sposta per raggiungere una meta di qualsiasi tipo.

Un luogo circoscritto. Raggiunta la meta, il luogo in cui si svolge la storia è delimitato da confini ben precisi. Confini oltre i quali i personaggi non possono uscire. I personaggi. Quelli principali e secondari rispondono sempre a determinati archetipi e tipi psicologici. Morti. I personaggi di cui sopra vengono uccisi uno a uno tranne... La Final Girl. L’eroina che sopravvive alla fine di ogni storia.

Antagonista. La presenza di un “nemico” profondamente malvagio e, di fatto, ineliminabile. Di natura umana e non. Lo chiameremo in molti modi: 18


morfologia dello slasher serial killer, maniaco, villain, assassino, mostro, omicida e quant’altro. La figura dell’antagonista è centrale. Sesso e morte. Una tematica ricorrente è l’assioma sesso = morte. Violenza. In ogni sua forma, e che sia esteticamente appagante.

Queste sono le caratteristiche fondamentali e fondanti del genere. Che verranno approfondite e sviluppate nel dettaglio nel corso di questo saggio. È necessario però fare alcune precisazioni, rivolte soprattutto agli appassionati. Le categorie che definiscono lo slasher, lo abbiamo detto, devono essere considerate come dei princìpi e non come formulette che bisogna rispettare tutte insieme e a tutti i costi. Abbiamo a che fare con l’arte di raccontare storie, non con leggi matematiche. Esempio: una caratteristica fondamentale è che il villain uccida più di una persona. Vero, se manca questo elemento non ci troviamo di fronte a uno slasher. Allo stesso tempo però non è detto che il maniaco debba essere sempre e per forza uno. O che non ci possa essere una Final Girl che sopravviva alla fine insieme a un’amica. O che debba essere per forza di natura femminile. Se, considerati tutti gli ingredienti che fanno parte di uno slasher ne abbiamo un’alta percentuale, allora abbiamo sicuramente a che fare con il genere. Ma se di tutti quei punti che definiscono il genere non abbiamo quello fondamentale, come ad esempio può essere la figura dell’antagonista, allora ci stiamo allontanando dal genere. O ancora: se per considerare tale uno slasher dobbiamo assistere a una sequenza piuttosto elevata di uccisioni da parte di un villain, non vuol dire che tutte le storie che hanno una sequenza elevata di uccisioni da parte di un villain siano storie slasher. Altro esempio: in The Silence of the Lambs abbiamo tantissimi elementi in comune con le storie slasher: un assassino seriale, la sessualità associata alla morte, la violenza, una Final Girl, un viaggio, e anche un luogo che mano a mano diventa sempre più circoscritto. Ma The Silence of the Lambs non è uno slasher. È un thriller. Perché, per quanto ci addentriamo nella parte oscura dell’essere umano, il plot principale è focalizzato sull’indagine. Gli slasher non hanno mai (o quasi mai) indagini come plot principale. Perché se ciò accade, il focus è sul detective, e quelle sono detective stories. Nello slasher viene messa in risalto e viene esaltata ai massimi livelli la figura 19


slasher - il genere, gli archetipi e le strutture dell’antagonista. Motivo per cui – e so che alcuni storceranno il naso su questo punto – Profondo Rosso, il capolavoro di Dario Argento, non è uno slasher. È un thriller, un giallo o come ci piace chiamarlo. Ma non uno slasher. Il focus narrativo degli slasher è, detta semplice, su un gruppo di vittime che mano a mano perde la vita e allo stesso tempo è sugli antagonisti che li uccidono. È il peso che hanno determinati elementi all’interno di una storia a farla rientrare nel genere. L’antagonista assume una rilevanza tale da essere considerato il protagonista. L’antagonista diventa un’icona, un simbolo. È di Freddy Krueger che vogliamo vedere le gesta, di Jason o di Michael Myers. Non delle loro vittime. L’analisi che in questo saggio faccio sul genere mette in evidenza precisi patterns, alcuni dei quali sono assolutamente determinanti, ma in una percentuale che è stabilita anche dal buon senso. Per dire, qui si considera Alien come uno slasher. Sul web molti siti che si occupano di genere e molti forum non la pensano allo stesso modo. Ma la motivazione che danno a sostegno della tesi che Alien non sia uno slasher è piuttosto debole: c’è un mostro alieno ed è fantascienza. Quindi non è uno slasher. E perché? Alien è un horror/sci-fi, sicuro, ma questo non vuol dire che non sia uno slasher. Perché in Alien gli elementi dello slasher ci sono tutti, in ogni singolo dettaglio. Molti di più di quello che possiamo pensare. E poi chi ha detto che l’antagonista di uno slasher non debba essere di una natura diversa da quella umana? Freddy Krueger è umano? Lo è stato, ma tecnicamente non lo è. Allora secondo questa logica nemmeno Final Destination, Child’s Play, Stay Alive, Cabin Fever, Jeepers Creepers o Predator sono degli slasher. Già, perché anche Predator è uno slasher. Solo che alla fine non c’è una Final Girl, ma un Final Boy. Il piccolo sforzo che un appassionato del genere dovrebbe fare qui è staccarsi per un momento dalle etichette e considerare il genere non 20

Fig. 6 - John Carpenter sul set di Halloween


morfologia dello slasher secondo la sua storicità, ma in base a quei principi universali che lo generano, lo costituiscono e lo identificano. Bisogna partire dagli archetipi, dalle strutture e dai riferimenti profondi di ogni singola opera. E verificare quali e quanti di questi elementi hanno in comune le storie slasher. È questo che determina il genere. Il fatto che la maggior parte di appassionati o simil tali escluda a priori determinate opere dal genere slasher e di conseguenza crede che altre ne facciano parte solo perché le etichette dicono così, è piuttosto limitante. Le etichette lasciamole al supermercato, qui ci occupiamo d’altro.

1.5 Un po’ di storia Gli archetipi e i simboli universali sono senza tempo, ma la storia ha ovviamente la sua rilevanza e la sua influenza nei contenuti narrativi (l’esempio del lupo in Cappuccetto Rosso).

Per quanto riguarda lo slasher: se dovessimo stabilire una data in cui tutto ebbe inizio, diremmo sicuramente il 1978. Un giorno, il produttore Irwin Yablans ebbe l’idea di ambientare un film horror nella notte di Halloween, principalmente per realizzare un film a basso budget. Telefonò a John Carpenter, che aveva già girato Assault on Precint 13 e lui gli rispose che poteva girare il film in 4 settimane con un budget limitato. Successivamente Carpenter e la sceneggiatrice Debra Hill ebbero l’idea di raccontare la storia di una baby sitter perseguitata dall’Uomo Nero. Così nacque Halloween. Lo stratosferico incasso che il film registrò in pochi mesi non va letto esclusivamente da un mero punto di vista di quattrini. Quando determinati prodotti incontrano i favori del mercato vuol dire che hanno incontrato prima di tutto quello del pubblico. E se un vasto pubblico condivide la stessa cosa, il Fig. 7 - Janet Leigh in Psycho 21


slasher - il genere, gli archetipi e le strutture vasto pubblico sta condividendo un archetipo. La storia di una baby sitter perseguitata dall’Uomo Nero lo è. Allo stesso tempo questo non vuol dire che tutto ciò che incontra i favori del pubblico sia a prescindere un archetipo. Possiamo dire che John Carpenter sta allo slasher come Cristoforo Colombo sta alla scoperta dell’America. Carpenter ha portato alla luce ciò che già esisteva, proprio come Colombo: l’America c’era anche prima di essere scoperta. Gli archetipi esistono da sempre ma la storia ha motivo di farci notare come e perché Colombo scoprì l’America. È giusto mettere una bandierina, per quanto arbitraria, Fig. 8 - The Hills Have Eyes sul punto d’inizio del nostro viaggio e della storia dello slasher. Sto parlando di arbitrarietà perché storicamente sono esistiti slasher ancora prima di Halloween. Un paio d’esempi: Psycho è del 1960, Black Christmas del 1974. Per non parlare di The Texas Chainsaw Massacre, anche quello del 1974. Psycho più di tutti potrebbe essere considerato il genitore di Halloween e guarda caso Carpenter scelse proprio Jamie Lee Curtis come protagonista: lei è la figlia di Janet Leigh, quella della “scena della doccia” di Psycho, per capirci con tutti. È solo con Carpenter dunque che la “stessa storia” ha cominciato a essere raccontata in modo sistematico e per un’infinità di volte sullo schermo. In qualche modo Halloween ha aperto le danze, ma è con Friday the 13th che nel 1980 comincia definitivamente il periodo d’oro per lo slasher. Sean S. Cunningham diede particolare attenzione alle uccisioni: spettacolari, granguignolesche, splatter ed esteticamente appaganti. Grazie alle abilità artistiche e artigianali nel trucco e negli effetti speciali di Tom Savini, Friday the 13th diede il via a quella che oggi è la cifra stilistica e identificativa del genere: le “ammazzatine”. Sempre più coreografiche ed elaborate, vere e proprie performance estetiche ad altissimo tasso di emoglobina. Ma c’è un altro “signore” che ha 22


morfologia dello slasher contribuito a rendere lo slasher un genere sempre più popolare: Wes Craven. Se Carpenter è stato il Colombo dello slaher, allora Wes Craven fu una specie di Neil Armstrong. Certo, i suoi The Hills Have Eyes (1977) o The Last House on the Left (1972) sono slasher antecedenti al 1980 ma se è di epoca d’oro che stiamo parlando, dobbiamo anzitutto citare A Nightmare on Elm Street, del 1984. Craven ha portato lo slasher dentro il sogno, letteralmente, eliminando per sempre il pregiudizio che l’elemento fantastico non possa appartenere al genere. Oltre a Craven, che ci ha portato sulla luna, c’è Sam Raimi. Con un gruppo di amici, il futuro regista di Spiderman, nel 1981 realizzò Evil Dead. E con lui siamo finiti direttamente all’inferno. L’Italia nella storia del genere ha avuto un ruolo centrale. Non è un segreto per nessuno che Reazione a Catena (1971) di Mario Bava fu fonte di ispirazione per i molti che si cimentarono con lo slasher. Registi come Lucio Fulci, Sergio Martino, Ruggero Deodato e naturalmente Dario Argento, oltre che maestri, possono essere considerati per molti versi i pionieri del genere. L’Italia però non ha formalizzato il genere così come hanno fatto gli usa per i motivi che ho accennato prima con Profondo Rosso. Il poliziesco, la

Fig. 9 - La celebre ammazzatina di Kevin Bacon in Friday the 13th

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slasher - il genere, gli archetipi e le strutture detective story e l’horror hanno generato qua e là storie di genere slasher, ma non sono mai diventate “sistema” come in America. La visione di questi registi italiani ha sì influito sullo slasher ma è solo con la produzione massiccia statunitense che questo genere si è strutturato e radicalizzato nelle strutture e negli archetipi, oggetto di questo saggio. Questa dunque una panoramica dei “pesi massimi” che conFig. 10 - Il protagonista di Profondo Rosso tribuirono a inaugurare il durante la sua indagine periodo d’oro dello slasher. Grazie a loro negli anni Ottanta assistiamo negli usa a una vera e propria invasione di pellicole che non fanno altro che raccontare la “stessa storia”. Senza sosta. Film come Prom Night, Terror Train, The Boogey Man, My Bloody Valentine, Maniac e tantissimi altri. Forse troppi, perché dalla seconda metà degli anni Ottanta sembra si assista a una ripetizione di pellicole già viste, stavolta nel vero senso della parola, complici sequel su sequel che moltiplicano in maniera esponenziale franchise di ogni tipo. L’ironia di April Fool’s Day non basta a rivitalizzare quello che critica e pubblico danno come un genere ormai in declino12. Ma negli anni Novanta succede qualcosa. Precisamente nel 1996. Perché nelle sale arriva Scream e apre la strada a una serie di pellicole che rielaborano e innovano il linguaggio dello slasher, ma questo lo approfondiamo nell’ultimo capitolo. Il successo e la diffusione del genere slasher ha anche una relazione profonda con il tessuto sociale e culturale degli anni Sessanta e Settanta. The Texas Chainsaw Massacre scioccò spettatori di mezzo mondo perché portava sullo schermo le follie del serial killer di Ed Gein, la cui storia ispirò parzialmente il film di Tobe Hooper.

Per ulteriori approfondimenti si consiglia la visione del documentario Going to Pieces: The Rise and Fall of the Slasher Film.

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morfologia dello slasher Ma in quegli anni non c’è stato solo Ed Gein a turbare l’immaginario collettivo della società americana. Il brutale massacro da parte della famiglia Manson ai danni, tra le altre vittime, dell’allora moglie di Roman Polansky, fu un caso di cronaca nera senza precedenti.

E ancora: nel 1966 venne pubblicato A Sangue Freddo, il capolavoro letterario di Truman Capote che racconta, sotto forma di romanzo, l’insensato omicidio di un’intera famiglia da parte di due ragazzi. Questo per dire solo alcuni degli eventi che hanno modificato la percezione della realtà dagli anni Sessanta in poi. Ma cosa stava succedendo esattamente? Si veniva dagli anni Cinquanta, periodo in cui negli usa e nella maggior parte del mondo occidentale si assisteva a una crescita economica senza pari e con questa cresceva anche il benessere della gente. Negli anni successivi, però, ci si rese conto che la società consumistica era immersa in una visione “da sogno” e che il benessere era soltanto di facciata: dietro le famiglie sorridenti delle pubblicità si nascondevano mostri. La cronaca li portava a galla costringendo così le persone a guardare che cosa c’era davvero dietro la loro porta di casa. I mostri reali vengono così sublimati con quegli stessi mostri che si nascondono nella famiglia Myers (Halloween), nella famiglia Sawyer (The Texas Chainsaw Massacre), nella famiglia Voorhees (Friday the 13th). In buona sostanza in quegli anni si è cominciato a capire che nessuno è al sicuro. Nemmeno nei luoghi che reputavamo familiari. Lo slasher è stato il termometro in grado di misurare la reale temperatura delle nostre paure. Quelle più vicine a noi, e allo stesso tempo universali.

Fig. 11 - Truman Capote

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slasher - il genere, gli archetipi e le strutture

1.6 Lo slasher e la letteratura Quelle forme che appartengono universalmente allo slasher non le troviamo solo al cinema ma anche in letteratura. Anzi, se vogliamo individuare un’origine diremmo che a gettare le basi del genere è stato un romanzo in particolare: Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie. È la storia di un gruppo di persone che riceve una misteriosa convocazione che li porterà in un’isola disabitata. Qui verranno fatti fuori uno alla volta e, trattandosi di Agatha Christie, alla fine scopriremo da chi e perché. L’identità dell’assassino e il movente rientrano sicuramente nella detection e vanno a inserire questo romanzo nel genere whodunit13, ma il fuoco della storia, oltre alla domanda centrale sul chi e sul perché, è sui personaggi che diventano vittime. Personaggi che raggiungono (viaggio) un’isola deserta (luogo circoscritto, da cui è impossibile scappare) e conosceranno la loro fine nei modi più fantasiosi (violenza, in ogni forma) da parte di un maniaco/assassino. Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1939 e, a dispetto del titolo italiano del 1946 ...E Poi Non Rimase Nessuno (e della versione statunitense And Then There Were None), che ha comunque la sua efficacia, c’è anche qualcuno che sopravvive alla fine. Alla fine degli anni Sessanta Robert Bloch scrisse Psycho e come sappiamo Hitchcock lo consegnò all’Olimpo del cinema. Anche qui abbiamo molti elementi che identificano lo slasher: un viaggio iniziale, una trappola mortale, la sessualità associata alla morte, una successione di persone uccise da un maniaco: tutte cose che poi troveremo negli slasher cinematografici ancora prima che Robert Bloch potesse conoscerne l’esistenza. Chi ne era a conoscenza invece è stato Joe R. Lansdale. Tra la vasta produzione dello scrittore texano il romanzo che più si identifica con il genere è La Notte del Drive-in. Nel libro primo della trilogia un gruppo di persone, in realtà un mucchio di gente, rimane intrappolato con le proprie auto in un drive-in che si trasformerà presto in una folle gabbia mortale. Oltre all’omaggio e alla dichiarazione d’amore di Lansdale per i film d’exploitation, gore e splatter, con toni surreali e ironici, per non dire da commedia, il romanzo stesso ha una forte identità riconducibile allo slasher. Così come Island di Richard Laymon, storia che racconta di un gruppo di persone naufragate su un’isola in cui si nasconde un pericoloso assassino.   Dall’inglese: who has done it? (“chi l’ha fatto, chi è stato”)

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morfologia dello slasher Entrambi questi autori sono stati esponenti di spicco dello splatterpunk, movimento letterario nato sul finire degli anni Ottanta che faceva dello splatter e del gore il proprio manifesto. Durò una decina d’anni ma fu più che altro un modo per dare la giusta risonanza mediatica ad autori come Clive Barker, Jack Ketchum e altri talentuosi scrittori oltre a quelli citati. Cosa simile avvenne in Italia nella seconda metà degli anni Novanta quando l’Einaudi pubblicò l’antologia di racconti horror estremo Gioventù Cannibale.

Spostandoci per un momento in Giappone incontriamo il romanzo che più di tutti porta lo slasher nella letteratura: Battle Royale di Koushun Takami scritto nel 1996. Diventato poi film nel 2000, il libro racconta di una classe di quindicenni costretta a partecipare a un gioco al massacro in un’isola deserta.14 La sua particolarità è l’assenza di un’antagonista, perché tutti sono vittime e antagonisti allo stesso tempo. A scandire il body-count – ovvero il numero di morti ammazzati in successione, altro elemento fondamentale dello slasher – la fine di ogni paragrafo: 42 studenti rimasti, 41 studenti rimasti, e così via. Come si può notare, queste opere letterarie non sono tutte propriamente degli slasher ma hanno in comune con esso molti archetipi e strutture, in primis il romanzo della Christie scritto quando nemmeno esisteva una definizione per lo slasher. Questo vuol dire, ancora una volta, che i patterns narrativi che definiscono lo slasher esistevano già prima di questo genere. Sono, per dirla alla Kant, “forme a priori” che troviamo in Friday the13th o Halloween e in decine di altri slasher che vedremo nel corso di questo saggio, ma ancor prima nella letteratura, nel mito, nelle fiabe e nei sogni. Archetipi. Gli elementi comuni alle storie slasher possono essere presenti nella loro totalità oppure parzialmente, con pesi e misure diverse. In letteratura, e nella fattispecie nella letteratura horror, troviamo molti di quegli archetipi che identificano lo slasher ma che da soli non bastano a far rientrare una determinata opera letteraria nel genere. Prendiamo The Dome di Stephen King. È la storia di una cittadina che un giorno si ritrova intrappolata sotto un’immensa cupola. La popolazione verrà mano a mano decimata, vittima di se stessa, della cupola e di ciò che ne è la causa. Alla fine potremmo definire The Dome una specie di “slasher cosmico”. Ma che rimanga tra noi.

14   Non è un caso che negli esempi fatti finora ci sia una sovrabbondanza di isole deserte. Luoghi che possiamo definire Mousetrap, trappole senza via d’uscita, come vedremo meglio nel capitolo 3.

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slasher - il genere, gli archetipi e le strutture Ci sono altre storie di Stephen King che hanno in sé quegli elementi che caratterizzano lo slasher, come Il Gioco di Gerald o Cujo, ma nessuno di questi si può definire a tutti gli effetti uno slasher perché manca di altri patterns appartenenti al genere. Nonostante questo, inutile ricordarlo, Stephen King rimane l’autore che più di tutti gli altri ha influito sulla letteratura horror e letteratura tutta, sul cinema horror e sull’arte di raccontare storie. E infine su quelle pellicole che rientrano nello slasher. Il genere ha un debito anche con lui. Quindi se andiamo a vedere altri autori e altre storie lontane dal genere slasher troveremo quegli elementi, o meglio, alcuni di quegli elementi che lo rendono tale. Pensiamo ad American Psycho di Bret Easton Ellis, a Figlio di Dio di Cormac McCarthy o a L’Assassino che è in Me di Jim Thompson. Storie di maniaci assassini raccontate attraverso la potenza evocativa della letteratura e che potrebbero ritrovarsi benissimo in uno slasher. Che però slasher non sono. Difficile dire il motivo per cui le storie di genere slasher in letteratura siano infinitamente minori rispetto a quelle che troviamo al cinema. Se dovessi ipotizzarne uno, potrei dire che il respiro di una storia slasher non riesce a coprire lo stesso respiro a cui il romanzo ci ha abituato. I novanta minuti al cinema riescono a raccontare quel tipo di storia che diversamente un romanzo non riesce a fare per questioni di carenza di materiale narrativo. Ma questa è solo un’ipotesi. Il coraggioso tentativo di Stephen Graham Jones con The Last Final Girl non basta da solo a riempire quel vuoto che troviamo in letteratura. Inoltre questo libro è un gioco meta linguistico sul genere cinematografico e si presenta, formalmente, più come una sceneggiatura che come un romanzo. Quello che invece potrebbe essere considerato il vero antesignano degli slasher è Summer Camp for Corpses racconto di Leo Zagat pubblicato nel 1937 in Horror Stories.15 Ora siamo pronti per il nostro viaggio dentro il genere e i suoi archetipi. Ma prima di partire qualche altra avvertenza. Le pellicole di genere slasher che verranno analizzate sono quelle più o meno note. Sono le principali, sia per importanza che per gusto personale. Ma non sono tutte. Infatti la produzione tra gli Ottanta e i Novanta principalmente negli States è stata enorme e sarebbe off topic esaminare e citare tutti gli slasher usciti fino a oggi: la natura di questo saggio è critica e non antologica.   Pizzo G.F. (a cura di), Guida alla letteratura horror, Odoya, Bologna, 2014, p. 65.

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morfologia dello slasher Quindi, se non trovate quel film che avete recuperato in fondo a una cesta zeppa di dvd in un afoso mercatino estivo e che ora custodite gelosamente nella vostra teca priva di acari, non dovete preoccuparvi. Per chi è interessato alle antologie: nell’ultimo capitolo ne segnalo una utile a chi voglia farsi una mappa esaustiva del genere. E comunque sul web si possono trovare decine di validi siti che elencano liste di film slasher conosciuti e sconosciuti. Il più delle volte di dubbia qualità. Su questo punto (la qualità dei film citati) ho cercato il più possibile di essere imparziale. Quello che ci deve interessare qui non sono le stellette da associare ai film ma quelle caratteristiche universali che li accomunano e che li identificano. D’altronde è plausibile che per mille motivi io preferisca un film a un altro o che ritenga che il suo valore in termini cinematografici, narrativi ed estetici sia migliore di un altro. Pertanto se m’è scappata qualche preferenza attribuitelo al fatto che tutti hanno un debole per qualcosa o qualcuno, o viceversa un’avversione. Non mi resta che augurarvi buon viaggio, e ricordarvi che negli slasher alla fine ne sopravvive solo uno...

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