Sotto Rete

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Adoro le sfide perché mi aiutano ad allontanare la paura. Paura di sbagliare, di non riuscire o di fallire. L’inizio della stagione è molto impegnativo. Con la scusa che sono un debuttante, per non dire un novellino, l’allenatore cerca di cambiare molte delle mie abitudini, dei miei movimenti tecnici e tattici, che avevo stabilizzato nel tempo. Le sue imposizioni le vivo come delle costrizioni, contro natura. Mi sforzo di capire quello che il coach vuole da me, ma faccio molta fatica ad andare contro il mio corpo. E questo mi dà molto fastidio. Mi voleva fare adottare tecniche nuove, secondo lui vincenti per il mio ruolo. Ma non era così, visto che non si trattava di automatismi ma di meccanicismi. Cercavo, i primi tempi, di muovermi secondo i suoi diktat, ma mi sentivo come un automa. Come un omino telecomandato. Le sue nuove idee mi facevano apparire, agli occhi del pubblico e degli altri giocatori, imbranato, impacciato. Provo e riprovo, ma non funziona nulla di ciò che mi viene chiesto, e alla fine, in partita, decido di seguire la mia testa: mi limito a rispettare i suoi schemi tecnici di gioco, e prendo solo i movimenti che a me vengono bene. Un giocatore professionista, deve essere libero di potersi muovere in campo, e di fare il bagher o la schiacciata o il muro come meglio crede. Lui invece dalla panchina continuava a gridare al mio indirizzo frasi del tipo: «Più tese quelle bracciaaaaaa, forza alzati di più sulle punte, di più sulle punte e dritta quella schiena nello slancio». Evidentemente ce l’aveva con me, che ero l’ultimo arrivato, oppure mi credeva così scemo da volermi insegnare a saltare, a schiacciare e così via. Mi ero imposto di non ascoltarlo, quando non era il caso, e ascoltavo di più il capitano della squadra, perché tanto in campo c’eravamo noi, non lui. Per come l’ho sempre inteso io, il coach funziona come il catalizzatore del cambiamento. Il suo intervento deve stimolare e promuovere la crescita dei giocatori, nel pieno rispetto delle loro caratteristiche individuali. Il coach è un professionista dedito allo sviluppo delle potenzialità 141


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del singolo, ma anche del gruppo, per il raggiungimento di obiettivi specifici a breve termine, la vittoria di una partita, o a lungo termine, la vittoria del campionato. Così inteso, dopo qualche mese di lavoro tutto questo ha dato i suoi frutti. Alla prima partita di campionato, si gioca in casa contro il Corigliano Calabro. Do il massimo, e cerco al tempo stesso di esprimermi al meglio. Riesco a trasmettere fiducia ai miei compagni di squadra, raggiungendo il primo obiettivo che mi sono posto per capire se ho la stoffa per stare in questa categoria. Dalla parte della rete c’è Matej Černič, pluripremiato schiacciatore e, ora, mio antagonista diretto. Lo conosco bene Matej, siamo stati compagni di squadra a Vibo. Sfidare un campione del suo calibro mi dà parecchia forza in questo momento di transizione. Mi dà sicurezza. La partita finisce con il risultato a nostro favore: tre set vinti su quattro. A fine partita vengo assalito dai giornalisti e dai cronisti della radio e delle tv locali. Sono la vera novità del campionato. Quelli della stampa, curiosi per natura, mi guardano e mi trattano come un alieno venuto da chissà quale pianeta. Ed è un’emozione unica poter testimoniare ancora una volta la mia rinascita fisica e sportiva in una categoria di primo livello. Dovevo sapere che il cambiamento sarebbe stato imminente. Mi sentivo a mio agio e in questo modo vedevo confermate le mie qualità. Per la squadra ero un elemento importante. Si sbagliava e si vinceva tutti insieme. Si giocava di squadra e non in squadra. La differenza è molto sottile, ma c’è e si vede. Come in un’orchestra, dove se anche uno soltanto stona, sì sente. La stagione scorre in avanti molto bene. Vinciamo quasi tutte le partite: otto su nove sia nel primo che nel secondo girone di andata e ritorno. La promozione in Serie A1 è per noi pressoché scontata. Nello spogliatoio si respira un bel clima, e la squadra fa gruppo anche fuori dal campo. È non è cosa di poco conto. 142


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Domenica dopo domenica i punti in classifica continuano a salire, fino alla Final Four di Coppa Italia, organizzata a gennaio, per le prime quattro squadre del girone. Come campo di gioco è stato scelto quello del PalaIper di Monza, per merito della nostra presidente, Alessandra Marzari, che ha fatto di tutto, in questo anno di campionato, per riportare la pallavolo di nuovo al centro della città di Monza. Ora, a noi giocatori, spetta l’arduo compito di fissare questo obiettivo ad ogni costo. In semifinale incontriamo il Matera. Il palazzetto è strapieno. Ed è un grande successo per la città. Mai tanto pubblico prima di quella partita aveva seguito un incontro di pallavolo. La Brianza è da sempre una provincia esclusivamente calcistica. Dal Monza hanno spiccato il volo manager del calcio come Adriano Galliani. Però noi della pallavolo, vincendo quasi tutte le partite degli ultimi quattro mesi e facendo parlare molto di noi, eravamo riusciti a strappare parte del pubblico al calcio. Perché si sa che i tifosi, così come i giornalisti, sono curiosi e vanno dove soffia più forte il vento. Sta di fatto che non c’era un posto libero, nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Nemmeno in piedi. Persino i bagarini di San Siro, nasato l’affare, si erano precipitati al PalaIper per tirar su qualche guadagno in più. Vinciamo per 3-0 in soltanto un’ora di partita. Un’unica volata verso la vittoria. La carica è tanta, e in totale scioltezza raggiungiamo il posto in finale. Forse non me ne rendo conto ma ad un anno dalla fine delle cure, sono in una finale di Coppa Italia. Non voglio cedere alla tentazione di commuovermi, tanto meno di mettermi a piangere. Grido soltanto, così da scaricare la tensione: «Cazzo, cazzo, cazzooooooo, sono stato davvero fortunatissimo». Altri non ce l’hanno fatta, nello sport e prima ancora nella vita, e io sono qui anche per tutti coloro che non ci sono più. E per tutti coloro che si trovano ora a combattere contro la malattia, per testimoniare che si può vincere, basta volerlo. Mi sento un portavoce per chi soffre. So di essere un miracolato, e non 143


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vedevo l’ora di disputare la finale contro il Pallavolo Padova, per dimostrare a me stesso, prima di tutto, che mi sono meritato tutto questo. Il Padova è la prima squadra in classifica, ed è molto forte. Siamo consapevoli che non sarà così facile vincere, come è stato contro il Matera. Il pubblico è quello delle grandi occasioni: sono in quasi quattromila, tra cui tanti giovani, ammassati in ogni spazio libero calpestabile. La banda accompagna con ritmi incalzanti le majorette, che, posizionate al centro del campo dove c’è la bandiera tricolore, mettono in scena delle scenografie per intrattenere il pubblico. Si vedono giornalisti correre da tutte le parti alla ricerca dello scoop. Ma il vero scoop è la grande festa della pallavolo. Il team manager, Dario Livio, viene da me, mi abbraccia e mi dice: «Te la sei meritata tutta, questa grande festa è per te». Dal campo di gioco non sento i miei compagni, talmente tanta è la confusione che fanno i tifosi. Mi chiedo come farò a giocare in questo clima, e mi preoccupo. Poi, dal fischio d’inizio, stacco ogni contatto con l’esterno, e mi concentro solo sulla palla. La partita viene trasmessa in diretta da Rai Sport, ed è subito record di ascolti. Volley Coppa Italia A2 maschile: Padova alza il trofeo Grande pallavolo al PalaIper con la Tonazzo che davanti a 3500 spettatori vince al quinto set la sfida che valeva la Coppa Italia con il Vero Volley Monza. La Del Monte Coppa Italia di Serie A2 è della Tonazzo Padova, che nella finalissima di questa sera ha superato i padroni di casa del Vero Volley Monza. corrieredellosport.it 12 gennaio 2014

Volley, battaglia in Coppa Italia. Padova batte Monza al tie-break Combattuta come deve essere una finale. Padova ha vinto la Coppa Italia di serie A2 di volley al tie-break, al nono match point complessivo e col giro di campo con bandiera tricolore. Monza si è dovuta inchinare 23-21 all’ultimo scambio dopo oltre due ore e quaranta di partita. In precedenza Padova aveva vinto il primo set

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Sotto rete in rimonta con Giannotti e Bonetti capaci di rispondere a Padura Diaz per risalire dal 19-21 al 26-24 finale dopo aver annullato tre set point. Nel secondo parziale il Vero Volley ha restituito il favore, mangiando tre punti di vantaggio agli avversari e mettendo la testa avanti sul 17-16 con muro di Gonzalez. Una serie di Padura Diaz in battuta ha portato Monza a vincere 25-22 e a pareggiare i conti. Nel terzo, dopo un avvio ancora in equilibrio, è stata Monza a prendere la regia del set (18-20) e a sfruttare gli affanni degli avversari a muro e ricezione. Ancora Padura Diaz, protagonista di diversi errori in battuta (e in generale alla fine grande protagonista nel bene e nel male), ha ritrovato la concentrazione ed è andato a chiudere 25-19. Vero Volley a rincorrere nel quarto set (12-11 poi 16-12) con tanti errori al servizio e Padova capace di tenere botta fino al 25-21 che ha mandato la sfida al tie-break. Chiara Pederzoli ilcittadino.it 12 gennaio 2014

Dopo due ore e mezza di partita, a gioire è il Padova. Il nostro sogno è infranto. Passiamo dall’euforia al silenzio. Dal sorriso al pianto. Sulla squadra è come se fosse passato un caterpillar. Il sogno non si è avverato. Giocare in casa ci aveva fatto sentire più sicuri, forse troppo. Diversi miei compagni non riescono a trattenere le lacrime. Li vedo piangere, seduti ai bordi del campo, come fanno i bambini di fronte ad un insuccesso. Io invece, non mi faccio prendere troppo dalle emozioni. Vengo da un periodo duro, quello della malattia, in cui ho imparato, meglio di chiunque altro, a controllare me stesso. E per me è comunque una vittoria essere arrivato in finale. Il merito va riconosciuto al Padova, che ha vinto, per poco è vero, ma i numeri sono numeri. È stata, per noi, come una finale vinta ai rigori, anche se nella pallavolo non si tirano i rigori. Questo per ribadire il fatto che il Padova aveva vinto con pochi punti di differenza. Il pubblico non ci lascia soli e accoglie la nostra uscita dal campo con un lungo, anzi lunghissimo, applauso. Superare questa sconfitta non è stato facile. Il campionato andava avanti, e c’era da rimettersi in carreggiata per puntare al primo posto in classifica per salire in Super Lega. Mai 145


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fermarsi. Il secondo posto ci aveva dato il peso della nostra possibilità di andare su di categoria. Ogni partita doveva darci il punto per salire in prima posizione. A Monza non si parlava d’altro che di pallavolo. Lo scontro di campionato contro il Padova arrivò come una saetta a ciel sereno. Un po’ per gli scheletri nell’armadio della Coppa Italia, un po’ per la convinzione che per noi era un team troppo forte, perdiamo ancora e la nostra squadra non riesce a portare a casa il risultato. Era già la seconda volta che la squadra veneta occupava il nostro palazzetto, e ci strappava il risultato dalle mani. Ma com’era possibile. Non eravamo stati capaci di reagire. E questa ulteriore sconfitta ci fa aggiudicare la seconda posizione in classifica. Arriviamo ai play-off, con la carica di chi vuole riconquistarsi una dignità calpestata e perduta. Il discorso della presidente ci riporta alla situazione di inizio campionato, quando eravamo tutti molto più rilassati e impostati. Il 18 maggio è la data della finale play off contro il Cantù. Per noi è come l’equivalente di una finale di Champions. Non abbiamo alcuna voglia di perdere un bene così importante. L’unica soluzione è vincere, oppure ci aspetta lo strazio della gara a cinque. L’unica soluzione è puntare alla vittoria, perché ce lo meritiamo. Siamo indubbiamente i più forti. Il campo, la nostra casa. Vogliamo vincere per la società, per noi stessi e per i nostri tifosi. Questa volta è il nostro caterpillar ad asfaltare gli avversari. La determinazione ci ha portato dritti alla vittoria. Il PalaIper esplode in un boato di grida e appalusi. La bolgia dei tifosi invade il campo. Siamo in serie A1 di Super Lega.

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