Storia degli effetti speciali

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Giovanni Toro

STORIA DEGLI EFFETTI SPECIALI

dai fratelli Lumière ad Avatar


A Steven Spielberg, per aver dato fuoco alla mia innata immaginazione… A Fonzie (Henry Winkler), tenace nemico di tutte le mie insicurezze adolescenziali… A Jerry Lewis, che mi ha insegnato come sorridere alla vita… Agli amici, a quelli che ho perso e a quelli che non ho mai avuto… Alla mia famiglia, A mia moglie, fonte inesauribile d’esempi… A me stesso, perché credo finalmente di meritarlo…


Giovanni Toro

Storia degli effetti speciali dai fratelli Lumière ad Avatar


capitolo 3

Dal trucco all’effetto speciale 3.1 Georges Méliès e la “cinemagia” Quella sera del 28 dicembre del 1895, alla proiezione dei fratelli Lumière al Salon Indien, parteciparono davvero in tanti. Tra di loro vi era anche Georges Méliès, direttore del teatro Robert-Houdin, situato a poco passi sia dal Museo Grévin, dove Reynaud aveva presentato i suoi spettacoli luminosi, che dal Grand Café dove i Lumière avrebbero iniziato le loro rappresentazioni cinematografiche. Una zona che, a ragione, venne definita da Jaques Deslandes1 come le boulevard du cinéma. Méliès rimase assolutamente travolto da quella novità e decise così di chiedere ad Antonine Lumière di vendergli un apparecchio di quel tipo. Antoine però si rifiutò perché credeva che il cinematografo fosse solo una moda passeggera e che quindi avrebbe dovuto, insieme al fratello, sfruttarla quanto più possibile prima che il pubblico ne perdesse l’interesse. A Méliès però non interessava lo strumento per registrare la realtà fenomenica così come appariva ma aveva compreso le potenzialità tecnico-espressive del mezzo: voleva a tutti i costi utilizzarlo per ottenere degli effetti di illusione per i suoi spettacoli teatrali. Così nei mesi successivi iniziò una ricerca spasmodica e appassionata per procurarsi un apparecchio cinematografico senza tuttavia riuscirci. Decise allora di costruirsene uno e per farlo chiese l’aiuto dell’inventore inglese R.W. Paul2.

Storico e critico cinematografico. Ingegnere, inventore e regista inglese (1869-1943). Le fonti sull’acquisizione di un macchinario per ripresa e proiezione sono parecchio contrastanti. In Il Cinema dell’Ingegno di Ettore Pasculli, sembrerebbe che Méliès acquisti il brevetto da R.W. Paul, che aveva costruito un dispositivo basandosi su quello di Edison. Per David Bordwell e Kristin Thompson in Storia del cinema e dei film pare invece che R.W. Paul venda a Méliès un suo macchinario. Per Gianni Rondolino in Storia del Cinema è Méliès invece a costruirsene uno, basandosi su un prodotto inglese (forse proprio quello di R.W. Paul). 1 2

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Il kinetografo, così chiamò il suo dispositivo, fu brevettato nel 1896 e spinse Méliès a sperimentare tutte le potenzialità del mezzo, al punto che questo primo anno fu di assoluto apprendistato per la cinematografia dell’artista francese. In questa prima fase non mancheranno filmati “descrittivi”, simili a quelli dei fratelli Lumière. Questi filmati furono però realizzati dall’artista più con l’intento di studiare il nuovo mezzo che per conseguire una vera produzione in tal senso. Nel 1897, Méliès decise di costruire a Montreuil un vero e proprio studio cinematografico per iniziare a sperimentare e realizzare le sue pellicole piene di trucchi e illusioni, specialità in cui l’illusionista primeggiava già nei suoi spettacoli teatrali. Nello stesso anno il teatro Robert-Houdin lasciò pian piano le rappresentazioni teatrali dal vivo per sostituirle con la proiezione di filmati, che agli occhi del pubblico apparirono per davvero magici e spettacolari. […] Alla base della poetica di Méliès ci sono infatti la meraviglia, l’illusione ottica, il mistero non svelato, che sul palcoscenico del suo teatro scaturivano dai trucchi sempre più complicati, dagli effetti scenici opportunamente dosati, dall’abilità sua e dei suoi collaboratori. Il cinema permetteva di ampliare questa meraviglia, illusione e mistero, di potenziare gli effetti, era insomma un teatro all’ennesima potenza […] 3

Per gli spettacoli dal vivo, l’artista ricorreva a tutta una serie di stratagemmi e illusioni al fine di ottenere meraviglia e stupore nei suoi spettatori: utilizzava ad esempio degli specchi per effettuare sparizioni o apparizioni; costruiva grotte e abissi per presentare spettri e fantasmi; esibiva decapitazioni tragicomiche e viaggi nello spazio, il tutto farcito anche dalla presenza di strani personaggi come demoni, stregoni, mummie ecc. Questi stessi trucchi, almeno per quanto riguarda i suoi primissimi lavori, furono in parte inseriti all’interno delle sue produzioni cinematografiche dove effettuava anche delle performances personali. Tuttavia, quando iniziò a capire il vero potenziale del nuovo mezzo, decise di impegnarsi per trasformare i suoi trucchi teatrali in qualcosa che potesse superare i limiti fisici e scenici del teatro, inventando così delle nuove illusioni legate alla nuova forma d’arte e facendo nascere i “trucchi cinematografici”. Une nuit terrible (1896), suo secondo lavoro cinematografico dopo Partie de cartes (1986), non fa uso di trucchi ma solo di espedienti già usati con successo negli spettacoli dal vivo. Méliès interpreta un uomo che sta per addormentarsi e che viene disturbato da un gigantesco insetto che improvvisamente salta sul suo letto. 3

Id, Storia del Cinema, Utet, Torino, 2000 p. 29.

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L’espediente usato in questa rappresentazione è di tipo teatrale, con l’uso di un insetto-marionetta mosso da fili poco spessi.

Un frame tratto da Une nuit terrible del 1896

In Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin (1896) Méliès inizia ad applicare dei trucchi prettamente cinematografici, abbandonando le classiche esibizioni illusionistiche. Durante questo spettacolo fa sparire una signora, seduta su di una sedia e fa apparire al suo posto uno scheletro. Réjane Hamus-Vallée, nel suo libro4 sugli effetti speciali, ci racconta come Méliès scoprì questo trucco in maniera davvero casuale. Lo stesso artista racconta, infatti, che una volta la sua cinepresa si era inceppata ed era stato costretto a fermare la registrazione per poi riprenderla subito dopo aver risolto il problema. Quando visionò la pellicola, si rese conto che gli oggetti e le persone che stava riprendendo un momento prima dell’inceppamento, erano come per magia sparite nell’istante successivo, proprio nel punto in cui si era fermata la registrazione. Comprese, con quell’incidente, che poteva alterare la realtà, facendo apparire e sparire oggetti e persone a piacimento. Aveva inventato il suo primo trucco cinematografico e “preso coscienza della sua missione” 5. 4

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Réjane Hamus-Vallée, Gli effetti speciali: forma e ossessione del cinema, Lindau, Torino, 2006. Edgar Morin, Il Cinema o l’uomo immaginario, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016, p. 61.

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Per capire come Méliès ha realizzato l'effetto presente in Escamotage d'une dame chez Robert-Houdin, di uso comune anche nella cinematografia odierna, prendiamo in considerazione 3 segmenti di tempo: a, b, c. Nel segmento a Méliès cerca di fare apparire la signora che in precedenza era scomparsa da una sedia. Nel segmento b la registrazione viene fermata e sulla sedia viene appoggiato uno scheletro (avviene quello che in gergo tecnico si chiama “fermo macchina”). Nel segmento c la cinepresa inizia a riprendere nuovamente l’azione. I segmenti a e c risulteranno in sequenza, senza ovviamente mostrare alcuna interruzione. Infatti il segmento b, che rappresenta proprio l’entrata in scena dello scheletro e il suo posizionamento sulla sedia da parte dei collaboratori di Méliès, rimane al di fuori di quanto registrato e quindi non verrà mai mostrato dalla pellicola. Se Méliès avesse voluto svelare il trucco, avrebbe potuto riprendere tutta l’azione con un’altra cinepresa che, in questo caso, avrebbe svelato il trucco. Illustrazione di Giovanni Toro

Per la verità un primissimo artificio era stato sperimentato anche dai Lumière in Demolition d’un mur (1896) dove si vede la ricomposizione di un muro che era stato abbattuto qualche attimo prima. Questo risultato era stato ottenuto facendo scorrere al contrario quanto ripreso, effetto utilizzato anche nel film Superman (1978) di Richard Donner. Qui, il personaggio della DC Comics6, per riportare in vita Lois Lane7, decide di volare vorticosamente attorno al globo terrestre invertendo così la sua rotazione e riportando indietro il tempo. Il trucco però che Méliès aveva utilizzato per l’apparizione dello scheletro era stato già usato negli Stati Uniti almeno un anno prima.

Casa editrice americana conosciuta in tutto il mondo per aver creato personaggi come Superman, Batman, Wonder Woman, Flash e Lanterna Verde. 7 Giornalista immaginaria del «Daily Planet» e collega di Clark Kent/Superman. 6

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Alfred Clark8 nel suo The Execution of Mary Queen of Scots (1895) mostra la decapitazione di una donna, un avvenimento parecchio convincente per gli spettatori dell’epoca. Il fermo macchina permise infatti al regista di posizionare un manichino al posto dell’attrice e di farlo poi decapitare senza problemi. La cura della messa in scena non è ancora perfetta: se si visiona il filmato procedendo a passo uno9 è possibile intercettare proprio il frame in cui avviene la sostituzione con il manichino. Si nota molto bene, infatti, che la posizione assunta dal manichino è diversa da quella dell’attrice presente nel frame precedente. Inoltre la forma del surrogato è incerta, palesemente fittizia. Il filmato, che dura poco meno di un minuto, può comunque essere considerato come il primo trucco della storia del cinema. Nonostante questo record, va di sicuro riconosciuto a Méliès la definizione di mago del cinema10 o cinemago. Nel corso degli anni ha infatti inventato tutta una serie di trucchi che lo hanno reso molto celebre, trasformandosi in un vero e proprio marchio di fabbrica. L’artista francese li utilizza con regolarità in tutte le sue produzioni e spesso la messa in scena è funzionale proprio al trucco stesso. Sembra che avesse un catalogo di circa 1500 filmati, tanti purtroppo perduti, in cui il fantastico, l’illusione e la magia rappresentavano gli ingredienti principali della sua produzione. Molte delle sue trovate avrebbero fornito, negli anni successivi, la base di moltissimi degli artifici filmici che avrebbero popolato le pellicole cinematografiche. Nel 1889, in Le portait Mysterieux, Méliès usa per la prima volta il mascherino che gli permetterà di effettuare dei trucchi mirabolanti, come ad esempio quello di clonare se stesso. La tecnica in sé non è complicata, si tratta infatti di “impressionare” la pellicola in due momenti distinti: nella prima fase si occulterà una parte di nastro con un mascherino di colore nero (un cartoncino, un pezzo di stoffa, una parte dipinta ecc.) in modo che la luce non raggiunga mai la superficie della pellicola, lasciandola in questo modo integra. A venire registrata sarà così solo la parte “nuda”, cioè quella non coperta dal mascherino; nella seconda fase, la pellicola viene riportata indietro esponendo adesso la parte non impressionata – quella che era stata coperta prima – mentre si protegge, con un altro mascherino, quella appena registrata. Méliès duplica se stesso grazie a questo stratagemma, riprendendosi in due momenti differenti. Il risultato è un filmato composto da due riprese che appaiono contemporaneamente.

Cameramen e regista delle pellicole per il kinetoscopio di Edison (1873-1950). Avanzando sulla pellicola in modo da visualizzarne i frame uno per volta. 10 Iid, Storia del Cinema e dei Film, Editrice Il Castoro, Milano, 2007, p. 62. 8 9

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Un frame tratto da Le portait Mysterieux, 1889

Non basta, però, solo portare indietro la pellicola e riprendere la scena sperando che tutto vada per il meglio. Dietro ad ogni trucco cinematografico di Méliès c’è sempre un grande lavoro di immaginazione e di preparazione. Méliès deve sapere come vorrà sdoppiarsi, dove posizionare il suo doppio e come regolare i mascherini per ottenere un buon risultato finale. Oggi, con il progresso tecnologico, non ci rendiamo conto di quanto le cose siano diventate per certi versi più semplici e immediate, soprattutto nel campo del videomaking11. Pensiamo ad esempio alle attuali videocamere: adesso basta veramente poco per creare dei video: puntiamo un soggetto, premiamo un pulsante e filmiamo il tutto salvando il nostro lavoro sul computer e magari lo distribuiamo su internet in modo da farlo vedere anche ai nostri amici. I software video, poi, ci aiutano a confezionare dei prodotti audiovisivi di un certo livello anche con il minimo sforzo. Con un word processor, ad esempio, è possibile correggere le parole in un istante, possiamo sistemare il layout delle nostre pagine senza grossi problemi tagliando, spostando e incollando testo e immagini in maniera pressoché perfetta. Tutte quelle operazioni che portano alla realizzazione di un prodotto audiovisivo (ripresa, montaggio, color correction, effetti, audio, finalizzazione).

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Azioni che con le macchine da scrivere classiche erano davvero impossibili anche solo da pensare e da realizzare, se non con infiniti e accurati lavori di “taglia e cuci” a cui non tutti erano certamente portati. Pensiamo, allora, per un attimo, in che condizioni potessero lavorare i pionieri del cinema e in particolare Méliès, quando sperimentava e inventava i suoi trucchi alla fine dell’Ottocento. Di sicuro gli va riconosciuta anche una buona dose di intelligenza oltre che di creatività, per essere riuscito ad emergere in un contesto parecchio difficoltoso e tecnologicamente arretrato. Nonostante tutto, Méliès era comunque sempre pronto ad escogitare e collaudare cose nuove. Con L’affaire Dreyfus12 (1899) aveva notato che, mettendo in sequenza i vari “quadri cinematografici”13, poteva non solo ottenere un filmato dalla durata più lunga ma aveva creato delle relazioni tra di loro parecchio interessanti. […] Il regista girò dieci inquadrature come fossero dieci film diversi; quando vennero proiettate insieme, costituirono una delle opere più complesse del cinema delle origini. […]14

La messa in sequenza di quanto ripreso avrebbe rappresentato un grandissimo passo in avanti nella storia cinematografica. Lo stacco15 tra un quadro e l’altro gli fornì la possibilità di suddividere i suoi lavori in scene ed episodi, realizzando così dei prodotti sicuramente più completi. […] Secondo le regole del dramma tradizionale o del romanzo d’avventure: ricchi di personaggi e ambienti diversi, articolati in una successione di scene realizzate in studio (e a volte anche all’aperto) in cui i personaggi si muovono secondo schemi di recitazione in gran parte d’origine teatrale ma perfettamente integrati allo schematismo scenografico e alla bidimensionalità dello spazio filmico. […]16

In Cedrillon (1889), dove si racconta la storia di Cenerentola, il cinemago realizza per la prima volta quella che in gergo tecnico si chiama “dissolvenza”17.

Riguarda un caso politico che fece molto scalpore nella Francia della Terza Repubblica: un ufficiale ebreo dell’esercito francese venne accusato di aver passato dei documenti riservati all’esercito tedesco. Successivamente le accuse si rivelarono infondate gettando il sospetto che fossero state messe in atto a causa delle fede ebraica del militare. 13 L’effettivo perimetro dell’inquadratura. 14 Iid, Storia del Cinema e dei Film, Editrice Il Castoro, Milano, 2007 p. 62. 15 Il passaggio netto che si ha tra un quadro e l’altro di un filmato. 16 Id, Storia del Cinema, Utet, Torino, 2000, p. 30. 17 http://www.treccani.it/enciclopedia/dissolvenza_(Enciclopedia-del-Cinema)/ 12

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Si tratta di un tipo di passaggio graduale da un quadro all’altro in cui, per un istante, le due immagini si fondono per poi cedersi il passo reciprocamente. Un effetto di certo in linea con il racconto favolistico di Méliès che inizia ad imporsi al pubblico come un eccellente narratore del fantastico, in grado di mettere tantissima cura nei particolari e nelle scenografie dei suoi lavori. Invece con la “carrellata” – un altro termine per indicare questa volta il movimento fisico della cinepresa per mezzo del suo scorrimento su appositi binari – Méliès realizza un altro effetto semplice ma molto potente. L’illusionista si rese infatti conto che, muovendo la cinepresa in avanti o indietro, poteva ingrandire o rimpicciolire i soggetti ripresi. Usa, quindi, questo espediente nel suo L’homme à la tête en cahoutchouc (1901) in cui, impiegando anche la tecnica del mascherino, decide di gonfiare la sua testa all’inverosimile.

L’homme à la tête en cahoutchouc, 1901

Inoltre, realizzando un’inquadratura molto stretta del suo volto, crea per la prima volta un “primissimo piano”18, dove lo stesso Méliès recita con smorfie e atteggiamenti vari. Edgar Morin nel suo libro19 sostiene che le formule magiche di cui Méliès si serve (in buona sostanza le illusioni e gli artifici ottici che questo nuovo mezzo gli fornisce) rappresentano in realtà le basi della sintassi, del linguaggio e dei mezzi espressivi di quello che poi verrà chiamato cinema. I lavori dell’artista, spesso criticato da alcuni teorici del cinema quali ad esempio Jean Mitry – che lo disconosce addirittura come regista – portano a delle metamorfosi che modificheranno per sempre il cinematografo. L’irrealismo assoluto di Méliès, che si contrappone al realismo assoluto dei Lumière, costringe lo stesso artista ad inventare procedure e tecniche sempre nuove per superarsi in ogni lavoro finendo così per tracciare, anche se in maniera solo accennata, alcuni degli elementi di base del linguaggio cinematografico.

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Una tipologia di inquadratura. Id, Il Cinema o l’uomo immaginario, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.

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L’obiettivo di Méliès è quello di allontanarsi dalla realtà, in primo luogo perché è un magician teatrale e poi perché comprende il potenziale infinito della cinepresa, che di fatto può fargli fare tutto quello che riesce ad immaginare. Certo, come lo stesso Morin sostiene, il cinema non fu concepito da un giorno all’altro e da un solo inventore oppure da un solo esperimento – e a conferma di questo abbiamo già visto il lungo percorso che poi ha portato alla prima proiezione nella storia del cinema – così come, continua Morin, il montaggio, che diviene tale solo dopo venticinque anni di invenzioni e reinvenzioni per trovare il suo maestro in Ejzenštejn. Gli esperimenti di Méliès rappresentano però la novità dentro la novità, il trucco dentro il cinematografo. Per qualche storico forse questo non è abbastanza perché Méliès non ha inventato il cinema, ma dobbiamo certamente riconoscere all’artista francese di aver creato una produzione differente ed eccezionale rispetto a quella che veniva realizzata da Edison e dai Lumière nello stesso periodo. Quest’ultimi, infatti, non facevano altro che esibire, nonostante l’eccezionalità dell’invenzione e la spettacolarità di una visione mai vista prima, una realtà già conosciuta – la cosiddetta fotografia animata – mostrandola all’interno di un macchinario (quello di Edison) oppure su un grande schermo (quello di Lumière). A favore di Méliès, Rondolino sostiene che come creatore del cinema scenografico e spettacolare, il magician possa aver anticipato o posto le basi dei grandi film storici italiani o delle superproduzioni hollywoodiane. Si potrebbe scrivere ancora molto su Méliès: citare la sua immensa produzione e destrutturare ogni singolo fotogramma delle sue pellicole, alla ricerca dell’ultimo trucco o dell’ultimo stratagemma attuato per sbalordire il suo pubblico (in Visite sous-marine du Maine, 1898, simula ad esempio la scena sottomarina, ponendo un acquario davanti alla cinepresa); oppure parlare dell’uso che faceva di alcuni fogli di carta trasparente per far passare la luce naturale, illuminando così in maniera omogenea e diffusa i suoi set20; o ancora accennare al fatto che colorava a mano i suoi lavori, grazie a delle collaboratrici che, nel suo laboratorio, usavano colori all’anilina diluiti con alcol e acqua per ottenere risultati trasparenti e brillanti; che dire poi del fatto che sia stato il primo produttore della storia del cinema a subire il fenomeno della pirateria? Voyage dans la lune (1902) – pellicola che prende spunto sia dal romanzo Dalla terra alla luna di Jules Verne21 del 1875 sia da quello di H.G. Wells22 del 1901 intitolato I primi uomini sulla luna – racconta le avventure del Oggi questi fogli sono meglio conosciuti span glass e assolvono agli stessi compiti di quelli di Méliès. Autore francese di libri per ragazzi, d’avventura e di fantascienza (1828-1905 22 Autore britannico molto conosciuto per aver scritto alcune delle opere più importanti della fantascienza (1866-1946). 20 21

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professor Barbenfouillis, intrepretato sempre dallo stesso Méliès, che insieme ad un gruppo di improvvisati astronauti tenta il primo volo sulla luna incontrando delle strane forme di vita. Da questa pellicola fu tratta una copia con la connivenza di un proprietario di un cinema di Londra. La copia fu successivamente portata a New York, dove fu duplicata e proiettata centinaia di volte senza che venisse corrisposto nessun compenso a Méliès. Forse è proprio per questo motivo che il fratello Gaston aprì un’agenzia della Star-Film, la casa cinematografica di Méliès, proprio a New York, per evitare che i distributori copiassero e diffondessero i loro film senza averne alcun diritto. L’avventura cinematografica di Méliès finisce comunque con l’ultima delle quasi 1500 pellicole prodotte, intitolata A La Conquête Du Pôle del 1912, in cui un gruppo di ricercatori arriva al polo per scoprire una mostruosa creatura che elimineranno servendosi di un cannone. Da questo momento in poi l’attività cinematografica della Star-Film sarà in discesa. A questa fase infatti, corrisponderà la produzione di opere sempre meno impegnative a causa della concorrenza delle grandi case cinematografiche, che nel frattempo avevano iniziato a dominare il mercato, come la francese Pathé. Sia Voyage dans la lune che A La Conquête Du Pôle rappresentano per Méliès la sintesi visiva, l’apice di tutta la sua produzione, dove trovate tecniche e stratagemmi, illusioni e fantasticherie, splendide scenografie prospettiche, ricavate da un serio e minuzioso studio della realtà, si supportano e si amplificano a vicenda, regalando al pubblico del tempo uno spettacolo mai visto prima e consacrando Méliès nell’Olimpo della cinematografia mondiale.

Voyage dans la lune, 1902

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A La Conquête Du Pôle, 1912

3.2 Ferdinand Zecca, Edwin S. Porter e gli altri “maghi” Mentre Méliès ideava quei trucchi, chiamati all’epoca tricks perché fondati proprio su di una matrice ancora di tipo teatrale, altri pionieri si confrontavano con il cinematografo e tentavano di andare al di là della pura registrazione del mondo fenomenico. Uno di questi è senz’altro Ferdinand Zecca23, un altro francese la cui produzione farà la fortuna della Pathé, una delle prime società cinematografiche fondata nel 1896. Zecca copierà molte delle opere di Méliès e realizzerà parecchi film, sia di genere comico-fiabesco che drammatico, ispirati più o meno a reali fatti di cronaca. Il discorso del plagio è certamente presente in un periodo, come quello dei primi anni del cinematografo, in cui i vari pionieri si imitavano a vicenda per sperimentare e capire la natura del nuovo mezzo. All’inizio lo stesso Méliès aveva imitato i Lumière, realizzando delle registrazioni di pura vita quotidiana. 23

Regista francese (1864-1947).

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Così adesso accadeva pure con Zecca, anche se dal 1908 abbandona quasi totalmente la regia per dedicarsi alla ricerca di talenti, diventando un vero e proprio direttore di produzione. Dal punto di vista dei trucchi cinematografici, Zecca usa, e per certi versi migliora, le tecniche inventate da Méliès. In A la conquête de l’air (1901), ad esempio, Zecca fa volare un uomo in sella ad una bicicletta volante sovraesponendo due volte la stessa pellicola. Lo aveva fatto anche Méliès nei suoi corti ma la novità adesso sta nel fatto che, conosciuta la tecnica, questa viene declinata in tutte le sue possibili varianti. In questo caso Zecca applica una mascheratura orizzontale: prima riprende l’uomo sulla bicicletta, posizionandolo nella parte alta del quadro e coprendo la parte bassa della pellicola per evitare che fosse esposta alla luce e quindi impressionata. Poi riporta indietro la pellicola e la registra nuovamente coprendo adesso la parte alta e riprendendo la città che scorre in basso. Il risultato, per quegli anni, è senza ombra di dubbio notevole.

Un frame tratto da A la conquête de l’air, 1901

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La tecnica usata da Ferdinand Zecca (schema di Giovanni Toro)

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I trucchi cinematografici di quegli anni sono parecchio semplici, se confrontati a quelli attuali, e le varie tecniche venivano in qualche modo inventate quasi per caso, andando magari a sperimentare delle situazioni diverse che fino a quel momento rappresentavano la normalità. Zecca si rese conto, ad esempio, che cambiando il punto di vista della cinepresa poteva ottenere dei risultati davvero sbalorditivi. In The Policemen’s Little Run (1907) Zecca ci fa vedere come dei poliziotti, intenti a catturare un randagio di strada che aveva addentato velocemente un quarto di carne, riescano ad arrampicarsi sulle pareti di uno stabile all’inseguimento del fuggitivo a quattro zampe, come se fossero dotati degli stessi poteri dell’Uomo Ragno24. L’effetto è ottenuto da Zecca posizionando la cinepresa in alto con l’obiettivo rivolto verso il basso, perpendicolare su di un pannello che ruota sopra un congegno a trascinamento che porta con sé una scenografia. Gli attori avanzano a gattoni sopra la scenografia simulando in questo modo la scalata dell’edificio.

La scalata dei poliziotti in Policemen’s Little Run, 1907

Noto personaggio dei fumetti che si arrampica sui muri e salta da un grattacielo all’altro a caccia di criminali (il suo alter ego è Peter Parker). Ideato nel 1962 da Stan Lee e tutt’ora pubblicato dalla Marvel Comics, storico editore statunitense.

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L’arrampicata va contro qualsiasi legge fisica ma inizia a delineare, nei trucchi cinematografici del tempo, l’abbozzo di una natura più funzionale dell’effetto in relazione proprio alla narrazione della storia, abbandonando così la messa in scena spettacolare dell’effetto fine a se stesso. L’esasperazione con cui i poliziotti rincorrono l’animale, inasprita anche dal fatto di non poter dar voce a questo inseguimento facendo sentire le proprie urla per via della mancanza del sonoro di queste prime pellicole, esplode in maniera davvero manifesta ed esagerata proprio con questa improbabile scalata a mani nude dei poliziotti, come a voler sottolineare la voglia impellente da parte degli stessi di ristabilire l’ordine e la legge (e qui il trucco cinematografico acquisisce davvero un secondo fine). Nel 1903, Edwin S. Porter25 realizza il suo The Great Train Robbery. Si tratta di una pellicola della durata di 12 minuti, considerata dai più il primo western della storia del cinema. La prima scena della pellicola è ambientata all’interno dell’ufficio telegrafico di una stazione ferroviaria. Mentre si svolge l’azione, da dietro una finestra si scorge un treno che passa. Il treno fu aggiunto con la tecnica, ampiamente usata, della doppia esposizione26. Tuttavia è la prima volta che si adopera questo effetto per un uso prettamente scenografico, contestualizzando meglio l’ambiente della stazione ferroviaria. Nel 1907 è The Dream of a Rarebit Fiend, sempre di Potter, a presentare delle interessanti trovate visive. La pellicola racconta la storia di un uomo che, a causa di una bruttissima indigestione, soffre di incubi notturni e sogna davvero di tutto: dai diavoletti femminili che escono da un pentolino e che lo torturano con dei forconi sulla testa fino allo stesso pentolino, volante e fumante; oppure sogna il suo volo a bordo del letto sopra il ponte di Brooklyn per poi cadere su un campanile, dove rimane incastrato sul segnavento. Questi trucchi sono ottenuti con l’uso di diverse sovrapposizioni di immagini. Inoltre, nella parte finale della pellicola, Potter utilizza un manichino per simulare la caduta dal campanile; surrogato che verrà sostituito dall’attore con la tecnica del fermo macchina. Sono gli esperimenti, però, che J. Stuart Blackton27 realizza, tra il 1906 e il 1912, a diventare importanti per la cinematografia degli effetti e in particolare per quella d’animazione. Blackton ricorre infatti alla tecnica del fermo macchina in maniera parecchio originale effettuando delle “riprese continue a fotogramma singolo”28. Abbiamo già visto come il fermo macchina permetta di cambiare, tra un fotogramma e l’altro, la presenza delle istanze esistenti sulla scena. Regista statunitense (1870-1941). Pasculli Ettore, Il Cinema dell’Ingegno, Nuove edizioni Gabriele Mazzotta, Milano, 1990. 27 Regista, produttore e attore (1875-1941). 28 Quello che in gergo cinematografico prende il nome di stop-motion.

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Ma cosa accadrebbe se si decidesse di registrare un oggetto la cui posizione nello spazio cambia ad ogni fotogramma ripreso? Assisteremmo di certo ad un movimento: l’oggetto registrato inizierà a spostarsi da solo anche se si tratta, nella nostra realtà quotidiana, di un elemento inanimato. Blackton comprese queste potenzialità e dopo alcuni esperimenti decise di applicare questa tecnica anche al disegno, registrando così delle linee che si animavano su di una lavagna. Sulla base di queste prove, venne realizzato nel 1906 Humorous Faces of a Funny Face, una pellicola che mostra alcuni visi animati e che può essere considerata come il primo cartone animato della storia dell’animazione.

Humorous Faces of a Funny Face, 1906

Suoi sono ancora: Work made easy, in cui alcuni bidoni dell’immondizia si animano per divorare la spazzatura sparsa sulle strade (realizzato con la stessa tecnica) e Liquid electricity, del 1907, dove una pozione accelera la velocità di un qualsiasi individuo se questa gli viene spruzzata addosso29. Alcune delle sue geniali soluzioni tecno-linguistiche entreranno a far parte del futuro linguaggio cinematografico: Blackton impose ai suoi attori di recitare pensando soprattutto a valorizzare le inquadrature della macchina da presa e non più basandosi sulla sola pantomima, molto presente nei prodotti cinematografici del tempo.

Il trucco viene realizzato registrando le scene a meno di 16 fotogrammi al secondo, mostrando così un’accelerazione nella velocità della stessa proiezione e quindi l’aumento della velocità nei soggetti ripresi. Tuttavia, ad essere interessante è che il personaggio artefice della pozione, il professor Watt, non rimane assolutamente coinvolto da questo effetto. Allora non esistevano elaborazioni al computer che avrebbero reso semplice la realizzazione di questo trucco. Blackton però trova la maniera per farlo, chiedendo all’attore che interpretava Watt di recitare la sua parte rallentando i movimenti in modo che poi, in fase di proiezione della pellicola, gli stessi fossero percepiti dal pubblico come normali rispetto a tutto ciò che invece lo circondava e che era accelerato perchè influenzato dagli strabilianti effetti della pozione. 29

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dal trucco all'effetto speciale

Inoltre il termine “piano americano” (quel tipo di inquadratura che riprende il personaggio dalle ginocchia in su), nasce proprio dai lavori e dalle indicazioni che lo stesso Blackton fornice ai registi che lavorano alla Vitagraph, la sua società cinematografica, conferendo così un notevole impulso artistico al nascente cinema americano. La tecnica delle “riprese continue a fotogramma singolo” venne utilizzata e ulteriormente sviluppata da Willis Harold O’Brien30. Il suo primo lavoro, The Dinosaur and the missing link del 1915, è una pellicola di 5 minuti in cui anima un pupazzo umanoide, che rappresenta un uomo della preistoria, insieme a diversi altri personaggi, tra cui un gorilla e un dinosauro. Per muovere con agilità questi personaggi, O’Brien realizza delle strutture snodabili, costruite in metallo, che vengono inserite all’interno dei manichini in modo da offrire una buona stabilità alle loro pose ed essere così fotografati in tutte le varie fasi del movimento. Nel 1916 è la volta di R.F.D 10,000 BC, che ripresenta le stesse tematiche con animazioni adesso più complesse e una pellicola della durata di circa 11 minuti. L’artista svilupperà successivamente anche una tecnica mista che unisce le riprese live-action a quelle animate, creando delle ibridazioni molto interessanti. Questi suoi esperimenti furono usati, successivamente, in film come The Lost World, nel 1925 e nella prima versione cinematografica di King Kong del 1933. Vale la pena infine ricordare, per chiudere questo periodo sull’invenzione dei primi trucchi cinematografici, i lavori di George M. Williamson31 che nella pellicola Twenty Thousand Leagues under the Sea (1916) trova il modo di realizzare le prime riprese subacquee della storia del cinema inserendo la cinepresa all’interno di una bolla protettiva, perfettamente stagna, da calare in acqua per realizzare le scene relative all’attacco di una piovra gigante. Un surrogato che si muoveva grazie all’immissione di aria compressa all’interno dei suoi tentacoli manovrati da un tecnico. Da ricordare anche i lavori dell’americano Norman O. Dawn32, molto importanti per l’evoluzione degli effetti cinematografici. Nel 1907, O. Dawn realizza un documentario dal titolo Missions of California, utilizzando una tecnica da lui inventata, che prende il nome di glass shot. La tecnica consiste nel posizionare davanti alla cinepresa una lastra di vetro sulla cui superficie sono stati disegnati degli elementi scenografici. Tali elementi copriranno o espanderanno quelli realmente presenti nella scena, realizzando così ambientazioni diverse senza agire materialmente sulle scenografie reali. La registrazione in pellicola poi fonderà gli elementi presenti sulla superficie del vetro con quelli reali, restituendo così delle ambientazioni parecchio elaborate.

Animatore e regista statunitense (1886-1962) che vinse l’Oscar degli effetti speciali nel 1950 per il film Mighty Joe Young (“Il Re dell’Africa”). Attore e cinematografo (1885-1914). 32 Regista (1884-1975). 30 31


storia degli effetti speciali

In alto un esempio di applicazione pratica della tecnica del glass shot In basso una scheda dettagliata per le riprese, redatta da Norman O. Dawn

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…Lo squalo non si può ammaestrare, quindi è necessario crearne uno, un surrogato che lo sostituisca affinché possa agire non solo secondo il copione, ma risultare pure vero, come il più vero dei predatori degli abissi mai fotografati prima…

isbn: 978-88-94818-61-1

€ 12,00


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