Rambo - Primo Sangue

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rambo - primo sangue di David Morrell © dell’Autore dei testi © Solone srls per questa edizione italiana © degli aventi diritto per le immagini utilizzate Collana: Narrativa, 8 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa: ufficiostampa@edizioninpe.it Traduzione: Luigi Formola Stampato presso Lampi di Stampa s.r.l. Gruppo Messaggerie Milano service editoriale - tespiedit@gmail.com grafica in copertina - Sebastiano Barcaroli Nicola Pesce Editore è un marchio in uso di Solone srls via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) recapito postale NPE c/o Golden Store via de Amicis, 22/28 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it https://www.facebook.com/EDIZIONINPE


David Morrell

Rambo Primo Sangue



Parte Prima



1. Il suo nome era Rambo, e sembrava proprio un ragazzo da niente, in piedi davanti al distributore di una stazione di servizio nei sobborghi di Madison, Kentucky. Aveva una barba lunga e folta, e i suoi capelli scendevano fino al collo nascondendogli le orecchie. Mostrando il pollice teso chiese un passaggio a una macchina che si era fermata al distributore. A vederlo così, appoggiato su un solo fianco, con una bottiglia di Coca Cola in mano e un sacco a pelo arrotolato poggiato per terra vicino ai suoi stivali, nessuno avrebbe mai immaginato che il martedì, il giorno seguente, quasi tutta la polizia della contea di Basalt gli avrebbe dato la caccia. Senz’alcun dubbio, nessuno avrebbe ipotizzato che, giunto giovedì, avrebbe avuto alle costole la milizia statale del Kentucky e la polizia di sei contee e una folta schiera di cittadini privati a cui piaceva sparare. Effettivamente, vedendolo lì, sfatto e impolverato di fianco al distributore di benzina, nessuno avrebbe potuto immaginare che tipo di ragazzo fosse Rambo, o cosa stesse per accadere. Rambo, tuttavia, sentiva che c’erano guai in vista. Dei grossi guai, se qualcuno non avesse fatto attenzione. La macchina cui aveva chiesto un passaggio quasi lo travolse quando lasciò il distributore. Il benzinaio ficcò in tasca un foglio di acconto e un libretto di buoni e sogghignò guardando i segni lasciati dagli pneumatici sull’asfalto rovente vicino ai piedi di Rambo. Poi, la macchina della polizia si 7


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tirò fuori dal traffico e si diresse verso di lui e Rambo riconobbe l’inizio del solito schema e divenne teso. «No, per Dio. Non questa volta. Questa volta non lascerò che mi comandino». Sull’auto era scritto Capo della Polizia, Madison. Si fermò di fianco a Rambo, l’antenna della radio oscillava e il poliziotto all’interno si sporse sul sedile anteriore, aprendo la portiera del passeggero. Fissò gli stivali incrostati di fango, i jeans sgualciti, strappati ai bordi e con una toppa sulla coscia, la camicia blu sudata ricoperta di piccole macchie che sembravano sangue rappreso, la giacca di cuoio. Si soffermò sulla barba e sui capelli lunghi. No, non era questo che lo infastidiva. C’era dell’altro, ma non riusciva a focalizzarlo. «Avanti, salta dentro». Disse. Ma Rambo non fece un passo. «Ho detto salta dentro», ripeté l’uomo. «Dev’essere terribile stare lì fuori al caldo con quella giacca». Ma Rambo sorseggiò la sua Coca, guardò le auto che passavano su e giù lungo la strada, chinò lo sguardo sul poliziotto nella pattuglia e rimase dov’era. «Sei mica sordo?», disse il poliziotto, «entra qui dentro prima che mi arrabbi». Rambo lo osservò esattamente come lui l’aveva osservato a sua volta: piccolo e tozzo dietro al volante, con delle rughe intorno agli occhi e delle guance leggermente butterate che avevano la solidità di una tavola di legno seccata. «Non mi fissare». disse il poliziotto. Ma Rambo continuò a osservarlo: l’uniforme grigia, il primo bottone della camicia aperto, la cravatta allentata, il davanti della camicia intriso di sudore. Rambo guardava la pistola, ma non riusciva a identificare che modello fosse. Il poliziotto aveva la fondina sul fianco sinistro, lontano dal lato del passeggero. «Ascolta bene», disse il poliziotto. «Non mi piace essere osservato». «A chi piace?». Rambo diede ancora un’occhiata in giro, poi prese da terra il suo sacco a pelo. Entrando nella pattuglia, pose la borsa tra sé e il poliziotto. 8


Parte Prima

«Hai aspettato tanto tempo?» chiese il poliziotto. «Un’ora. Da quando sono arrivato». «Avresti potuto aspettare molto più a lungo. Le persone della zona di solito non si fermano per un autostoppista. Soprattutto con il tuo aspetto. È vietato dalla legge». «Il mio aspetto?» «Non fare il finto tonto. Intendo dire che fare l’autostop è vietato. Spesso le persone si fermano per dare un passaggio a un ragazzo che fa l’autostop e immediatamente sono rapinate o assassinate. Chiudi la porta». Rambo sorseggiò con calma ancora un po’ di Coca prima di fare ciò che gli era stato detto. Diede un’altra occhiata al benzinaio che ancora ghignava davanti al distributore mentre il poliziotto si reinseriva nel traffico in direzione del centro città. «Stai tranquillo», disse Rambo al poliziotto. «Non ho intenzione di derubarti». «Molto divertente. Nel caso non avessi letto sulla portiera, sono il capo della polizia. Teasle. Wilfred Teasle. Ma credo che per te non abbia molta importanza sapere il mio nome». Attraversò un incrocio principale mentre la luce del semaforo diventava gialla. Su entrambi i lati della strada vi era una serie di negozi addossati l’uno all’altro – una farmacia, una sala da biliardo, un negozio di caccia e pesca – e altre dozzine di negozi. Alla loro sommità, lontano verso l’orizzonte, le montagne si estendevano alte e verdi, diventando rosse e gialle nei punti dove le foglie erano cominciate a morire. Rambo osservò l’ombra di una nuvola che scivolava lungo le montagne. «Dove sei diretto?» ascoltò la domanda di Teasle. «Ha importanza?» «No. A pensarci bene, non credo abbia molta importanza saperlo.È lo stesso. Ma tu, dove sei diretto?» «Forse a Louisville». «O forse no». 9


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«Esatto». «Dove hai dormito? Nei boschi?» «Esatto». «È abbastanza sicuro in questo periodo, immagino. Le notti diventano più fredde, e i serpenti preferiscono rifugiarsi piuttosto che andare a caccia. Tuttavia, una di queste notti potresti trovare al tuo fianco un compagno di letto che impazzirebbe per il calore del tuo corpo». Superarono un autolavaggio, un supermarket, una tavola calda per gli automobilisti con una grande insegna della Dr. Pepper in esposizione. «Guarda quell’orribile locanda» disse Teasle. «Hanno messo una cosa del genere sulla strada principale, da allora, siamo invasi da ragazzini che parcheggiano le loro auto, suonano i loro clacson e gettano i loro rifiuti sui marciapiedi». Rambo sorseggiò la sua Coca. «Ti ha dato un passaggio qualcuno della città?», chiese Teasle. «Ho camminato. È da stamattina all’alba che cammino». «Mi dispiace, davvero. Almeno questo passaggio ti aiuterà un po’, non credi?». Rambo non rispose. Sapeva ciò che stava per succedere. Oltrepassarono un ponte e un ruscello accedendo alla piazza principale, in fondo a destra c’erano un vecchio stabile di pietra, il tribunale, e altri negozi stipati uno sull’altro su entrambi i lati della strada. «Sì, la stazione di polizia è proprio lassù, all’interno del tribunale», disse Teasle. Ma continuò a guidare attraverso la piazza e lungo la strada fino a quando non ci furono solo case, prima pulite e agiate, poi delle baracche grigie di legno crepato con dei bambini che giocavano nel terriccio di fronte. Proseguì lungo una strada tra due burroni fino a un altopiano, dove non c’erano più case ma solo una distesa di campi di grano tagliato che stava scurendo al sole. E subito dopo un cartello che annunciava Adesso state lasciando Madison. Guidate con cautela, lasciò la strada asfaltata e si fermò sul ciglio ghiaioso della carreggiata. 10


Parte Prima

«Stai attento», disse. «“E stai lontano dai guai”», rispose Rambo. «Funziona cosi, no?» «Esatto. Sei già stato su questa strada. Quindi, non c’è bisogno che sprechi del tempo a spiegarti che tipi come te hanno il vizio di creare problemi». Spostò il sacco a pelo che Rambo aveva messo tra di loro, lo appoggiò sulle ginocchia di Rambo, e si sporse per aprire la porta del passeggero. «Stammi bene, davvero». Rambo scese lentamente dalla macchina. «Ci rivedremo», disse e sbatté la porta. «No», rispose Teasle attraverso il finestrino aperto del passeggero. «Non vorresti rincontrarmi». Guidò la pattuglia verso la strada, fece inversione a U, e si diresse nuovamente verso la città, strombazzando il clacson mentre passava. Rambo osservò la pattuglia sparire lungo la strada tra i due burroni. Prese l’ultimo sorso dalla sua Coca, scaraventò la bottiglia in un fosso, e prendendo il sacco a pelo per la corda, lo appese alle spalle e si diresse verso la città. 2. L’aria puzzava di grasso fritto. Rambo guardò la vecchia signora che da dietro al bancone scrutava i suoi vestiti, i capelli e la barba, attraverso i suoi occhiali a doppia lente. «Due hamburger e una Coca» le disse. «Falli da portare», sentì dire da dietro. Guardò attraverso il riflesso in uno specchio posto dietro il bancone e vide Teasle incorniciato nella porta d’ingresso, la manteneva aperta, e la fece sbattere con un colpo. «E fa in fretta, ok, Merle?» disse Teasle. «Il ragazzo ha una certa fretta». C’erano pochi clienti seduti al bancone e altri ai tavolini. Rambo li guardò attraverso lo specchio e vide che masticavano lentamente mentre lo fissavano. Poi, Teasle si appoggiò allo juke box vicino alla porta, e poiché sembrava non dovesse succedere nulla di serio, si 11


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concentrarono nuovamente sul cibo. La vecchia signora dietro al bancone aveva la sua testa bianca inclinata su un lato, interdetta. «Ah! Merle, e mentre prepari questa roba, che ne dici di farmi un caffè al volo», disse Teasle. «Come preferisci, Wilfred», disse ancora interdetta versando il caffè. Rambo fissava Teasle attraverso lo specchio, e viceversa. Teasle aveva una spilla dell’American Legion appuntata alla camicia vicino al distintivo. Chissà per quale guerra, pensò Rambo. Era troppo giovane per la seconda guerra mondiale. Fece girare lo sgabello e si mise faccia a faccia con lui. «Corea?», disse, indicando la spilla. «Esatto», rispose Teasle senza entusiasmo. E continuarono a fissarsi a vicenda. Rambo spostò rapidamente lo sguardo sul fianco sinistro di Teasle e sulla sua pistola. Fu una sorpresa, non era la classica pistola d’ordinanza ma una semi-automatica, e a giudicare dal manico grosso era una Browning calibro nove. Anche lui aveva usato una Browning una volta. Il manico è grosso perché contiene un caricatore da tredici proiettili, invece che sette o otto come la maggior parte delle pistole. Di certo non avresti steso un uomo con un solo proiettile di una Browning, ma potevi fargli molto male, e con altri due colpi l’avresti finito, e avresti ancora dieci proiettili a disposizione per sparare a chiunque fosse nelle vicinanze. Rambo ammise che Teasle la portava dannatamente bene. Teasle era alto un metro e settanta, forse settantadue, e su un uomo di bassa statura una pistola del genere l’avrebbe reso ridicolo, invece non era cosi. Bisogna essere abbastanza grosso da impugnare un’arma del genere, pensò Rambo. E poi guardò le mani di Teasle, fu impressionato dalla loro grandezza. «Ti avevo avvertito sulla questione del fissare», disse Teasle. Appoggiato allo juke box, si scollò la sua camicia sudata dal petto. Con la mano sinistra prese una sigaretta dal pacchetto nella tasca della sua camicia, la accese, spezzò in due parti il fiammifero usato, poi 12


Parte Prima

ridacchiò, scosse la testa per divertimento e si avvicinò al bancone sorridendo a Rambo seduto sullo sgabello. «Bene, volevi fregarmi, vero?» disse. «Non era mia intenzione». «Oh, certo che no. Non era tua intenzione. Ma volevi fregarmi lo stesso, vero?». La vecchia signora posò il caffè di Teasle e chiese a Rambo «Come li preferisci gli hamburger? Semplici o conditi con qualche spezia?» «Cosa?» «Semplici o con qualche condimento?» «Con molte cipolle». «Come preferisce». Si allontanò per cuocere gli hamburger. «Già, l’hai fatto per davvero», disse Teasle continuando a sorridere in modo strano. «Mi hai fregato». Corrugò le sopracciglia guardando il cotone sporco che fuoriusciva da uno strappo nello sgabello accanto a Rambo e si sedette malvolentieri. «Voglio dire, ti comporti come un tipo intelligente. E parli come un tipo intelligente, cosi credevo che avessi afferrato l’idea. Poi hai deciso di ritornare qui prendendoti gioco di me, e questo è sufficiente per farmi capire che forse non sei così intelligente come sembra. C’è qualcosa che non va in te? È cosi, vero?» «Ho fame». «Sai, non m’interessa», disse Teasle, tirando una boccata dalla sua sigaretta. Non c’era il filtro e dopo che aveva espirato il fumo, tolse dalla lingua e dalle labbra dei pezzettini di tabacco che erano rimasti attaccati. «Un tipo come te, dovrebbe avere abbastanza cervello e portarsi uno spuntino dietro. Capisci, per le emergenze, come ti è capitato adesso». Prese la brocca della panna per versarla nel suo caffè, poi notò i grumi giallognoli attaccati sul fondo della brocca e fece una smorfia di disgusto. «Cerchi un lavoro?» «No». «Allora hai già un lavoro?» «No, nemmeno. Non ho bisogno di un lavoro». 13


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«Stai dicendo che sei un vagabondo?» «Chiamalo come diavolo ti pare». Teasle batté un colpo con la mano sul bancone. «Bada come parli!». Tutti i presenti si voltarono di scatto verso il poliziotto. Teasle si guardò intorno, e sorrise come se avesse detto qualcosa di divertente, poi si appoggiò al bancone per sorseggiare il suo caffè. «Adesso hanno qualcosa di cui parlare». Sorrise e tirò un’altra boccata dalla sigaretta, togliendo altri pezzetti di tabacco dalla lingua. Lo scherzo era finito. «Ascolta, non capisco il modo in cui ti poni, i vestiti, i capelli e tutto il resto. Non capisci che davi nell’occhio come un negro, mentre passavi lungo la strada principale? I miei uomini mi hanno avvertito via radio dopo cinque minuti che eri tornato». «Ci hanno messo tanto?» «Stai attento», disse Teasle. «Ti ho avvertito». Sembrava volesse aggiungere dell’altro, ma la vecchia signora portò a Rambo una busta di carta mezza piena e disse: «Uno e trenta». «Uno e trenta? Per così poco?» «Hai detto che volevi i condimenti». «Paga e sta’ zitto», disse Teasle. Tenne stretto il sacchetto fino a quanto Rambo non le diede i soldi. «Va bene, ora andiamo», disse Teasle. «Dove?» «Dove ti sto per portare». Svuotò la tazza in quattro sorsi veloci e posò una moneta da venticinque centesimi sul bancone. «Grazie Merle», tutti i presenti li guardarono mentre si avviavano verso l’uscita. «Quasi dimenticavo», disse Teasle. «Senti, Merle, un’ultima cosa. Che ne dici di pulire il fondo della brocca della panna?». 3. La pattuglia era parcheggiata lì fuori. «Entra», disse Teasle, scuotendo la sua camicia pregna di sudore. «Dannazione, fa un caldo infernale per essere il primo d’ottobre. Non capisco come fai 14




Parte Seconda



1. Non c’era un secondo da perdere. Teasle doveva riunire i suoi uomini e collocarli nei boschi prima che arrivasse la Polizia Statale. Sterzò portando la pattuglia fuori strada, sull’erba, seguendo a tutta velocità le tracce lasciate sul selciato dalle due auto della polizia e dalla moto del ragazzo, verso la recinzione di legno alla fine del campo, verso il cancello aperto. Shingleton, di fianco a lui, aveva le mani salde contro il cruscotto, mentre l’auto oscillava e sfrecciava per il campo, le profonde buche lungo il tragitto facevano ondeggiare la vettura, quasi spezzando le sospensioni. «Il cancello è troppo stretto», avvertì Shingleton, «Non ce la faremo mai a passare». «Gli altri ce l’hanno fatta». Teasle frenò improvvisamente mentre attraversava il cancello, a pochi centimetri dai bordi, per poi ripartire a tutta velocità diretto verso il ripido pendio, dove le due auto della polizia erano ferme a pochi metri dalla cima. Si erano dovuti fermare in quel punto: quando le raggiunse, la salita divenne così ripida che il motore girava a vuoto. Ingranò con forza la prima e accelerò a tavoletta, sentendo le ruote posteriori che scavavano a fondo nell’erba e l’auto che sfrecciava verso la sommità della montagna. L’agente Ward era in cima ad aspettare, arrossato dal grosso sole che splendeva a sinistra, basso sulle montagne. Aveva le spalle 59


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inclinate in avanti, la pancia in fuori e il cinturone alto sulla sua vita. Si piazzò davanti alla macchina prima che Teasle si fosse fermato. «Da questa parte», disse, indicando la strettoia tra le file di alberi. «Attenti al ruscello. Lester ci è caduto dentro». I grilli cantavano in prossimità del ruscello. Teasle era appena sceso dall’auto quando sentì il rumore di un motore che proveniva dalla strada percorsa dai carri. Si voltò subito, sperando che non fosse la Polizia Statale. «Orval». Un vecchio furgoncino Volkswagen, anch’esso inondato di un colore rosso dovuto al riflesso del sole, stava percorrendo il prato sul fondo della collina. La macchina, non essendo in grado di salire il pendio, si fermò alla base, Orval scese dall’auto, era alto e magro e con lui c’era un poliziotto. Teasle temeva che i cani non fossero nel furgoncino, non li aveva sentiti abbaiare. Sapeva che Orval li aveva addestrati così bene che abbaiavano solo quando necessario. Nonostante ciò non riusciva a non pensare che ci fosse tanto silenzio solo perché Orval non li aveva portati con sé. Orval e il poliziotto si affrettarono a salire il pendio. Il poliziotto aveva ventisei anni, il più giovane della squadra di Teasle, e contrariamente a Ward, portava il cinturone basso in vita come i vecchi pistoleri. Orval lo superò correndo, avvicinandosi con le sue lunghe gambe. Aveva il centro della testa calva e luccicante, e i capelli bianchi tutt’intorno. Portava gli occhiali e indossava una giacca di nylon e dei pantaloni di cotone verdi, degli stivali allacciati fin sopra. La Polizia Statale, pensò di nuovo Teasle, guardando verso la strada sterrata e assicurandosi che non fossero nelle vicinanze. Si voltò verso Orval, adesso era più vicino. Prima, era riuscito a vedere solo il viso sottile e scuro alterato dal sole, ma adesso vedeva chiaramente le rughe e i profondi solchi e la pelle flaccida sulla parte anteriore del collo, fu stupito di quanto fosse invecchiato dal loro ultimo incontro, avvenuto tre mesi prima. Orval però non si comportava da vecchio. Era ancora in grado di risalire il pendio senza affaticarsi, più in fretta del giovane agente. 60


Parte Seconda

«I cani», chiese Teasle. «Hai portato i cani?» «Certo, ma non ho capito perché mi hai mandato quell’agente per aiutarmi a caricarli nel furgone», rispose Orval raggiungendo la cima, rallentando. «Guarda quel sole. Tra un’ora sarà buio». «Credi che non lo sappia». «Ti credo», disse Orval. «Non avevo intenzione di insinuare nulla». Teasle si era pentito di aver parlato. Non poteva permettersi che si ripetesse di nuovo. Questa volta era troppo importante. Orval lo trattava sempre come se fosse ancora un tredicenne, dicendogli cosa fare e in che modo, proprio come quando Teasle viveva da lui da ragazzo. Ogni volta che Teasle stava pulendo un fucile o preparando un caricatore speciale, puntualmente arrivava Orval per dargli dei consigli, e alla fine se ne occupava lui, e Teasle non riusciva a sopportarlo e gli diceva di starne fuori, che poteva occuparsene da solo, e spesso litigavano. Capiva perché non gli piacevano i consigli: aveva incontrato degli insegnanti che anche quando non erano in classe non riuscivano a smettere di impartire lezioni, lui era un po’ come loro, era così abituato a dare ordini che non accettava che qualcun altro gli dicesse cosa fare. Non è che rifiutasse sempre un consiglio. Se era un buon consiglio, spesso lo accettava. Ma non poteva lasciare che diventasse un’abitudine; per fare correttamente il suo lavoro, doveva contare solo su sé stesso. Se Orval gli avesse detto cosa fare solo in rare occasioni, non l’avrebbe infastidito. Ma non ogni volta che erano insieme. E adesso che stavano quasi per ricominciare, Teasle doveva starsene buono. Orval era l’unico di cui aveva realmente bisogno al momento, e Orval era abbastanza testardo da prendere i suoi cani e riportarli a casa se avessero discusso di nuovo. Teasle tentò di sorridere. «Ehi Orval, scusami per il tono che ho usato. Non farci caso. Sono felice di vederti». Si avvicinò per stringergli la mano. Fu Orval a insegnargli come si stringe la mano quando era un ragazzo. Ferma e decisa, gli aveva detto Orval. Fa in modo che la stretta di mano sia all’altezza delle tue parole. Ferma e decisa. Adesso, appena le loro mani s’incrociarono, Teasle sentì 61


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stringersi la gola. Nonostante tutto, voleva bene a questo vecchio, e non sapeva adeguarsi alle nuove rughe sul suo viso, ai capelli bianchi ai lati della sua testa che erano diventati più radi e sottili come i fili di una ragnatela. La loro stretta di mano fu impacciata. Teasle aveva deliberatamente scelto di non vedere Orval negli ultimi tre mesi, da quando si era allontanato urlando dalla sua casa, perché una semplice osservazione che aveva fatto si era trasformata in una lunga discussione su come allacciare una fondina, puntandola in avanti o indietro. Poco dopo, si sentì in imbarazzo per il modo in cui se n’era andato, e anche adesso si sentiva a disagio, cercando di sembrare spontaneo e guardando Orval dritto negli occhi, con pessimi risultati. «Orval – riguardo al nostro ultimo incontro – mi dispiace. Davvero. Grazie per essere venuto così in fretta nel momento del bisogno». Orval accennò un sorriso; era bellissimo. «Non ti avevo detto di non parlare mai mentre stringi la mano a qualcuno? Guardalo fisso negli occhi. Non farfugliare nulla. Penso ancora che una fondina vada rivolta all’indietro». Fece l’occhiolino agli altri uomini. La sua voce era bassa e risonante. «Cosa mi dici di questo ragazzo? Dove si è cacciato?» «Di qua», disse Ward. Li condusse attraverso il ruscello servendosi di due rocce barcollanti, in direzione della fila di alberi e su per la gola. Erano al fresco sotto gli alberi, camminarono fino al punto in cui la moto giaceva su di un fianco sopra i rami spezzati di un albero secco. I grilli non cantavano più. Appena Teasle e gli altri si fermarono nell’erba, i grilli ripresero a cantare. Orval con un cenno della testa indicò un blocco di rocce, e degli alberi sradicati che attraversavano la gola e il sottobosco ai lati. «Bene, è possibile vedere dove si è arrampicato, sulla destra, tra i cespugli». Come se la sua voce fosse stata un richiamo, qualcosa di grosso frusciò lassù tra i cespugli e credendo che potesse essere il ragazzo, Teasle indietreggiò e impugnò istintivamente la pistola. «Non c’è nessuno in giro», disse un uomo da lassù. Era Lester che, 62


Parte Seconda

scivolando giù per i cespugli, portava con sé pietre e terriccio. Era ancora bagnato fradicio da quando era caduto nel ruscello. Aveva sempre gli occhi un po’ spalancati, e quando vide la pistola di Teasle, li sgranò ancora di più. «Ehi, sono solo io. Stavo solo controllando se il ragazzo fosse nelle vicinanze». Orval si grattò il mento. «Speravo non l’avessi fatto. Probabilmente hai alterato la scena. Will, hai qualcosa che appartiene al ragazzo che posso far odorare ai miei cani?» «Nel bagagliaio della macchina. Mutande, pantaloni, stivali». «Tutti abbiamo bisogno di mangiare qualcosa e di dormirci sopra. Se ci organizziamo bene possiamo cominciare appena sorge il sole». «No. Stanotte». «Che cosa?» «Iniziamo subito». «Non mi hai sentito quando dicevo che sarà buio tra un’ora? Non ci sarà la luna stanotte. Siamo una squadra troppo grande, ci separeremo e ci perderemo nel buio». Teasle se lo aspettava; era certo che Orval avrebbe rimandato fino al mattino. Questa era la prassi. C’era solo una cosa che la prassi non considerava: non poteva aspettare troppo a lungo. «Con la luna o senza, dobbiamo continuare a inseguirlo» disse a Orval. «L’abbiamo spinto fuori dalla nostra giurisdizione, e l’unico modo per non perderlo è continuare la ricerca. Se aspetto fino a domani mattina, dovrò consegnare il caso alla Polizia Statale». «Allora lascialo a loro. È comunque un lavoro scomodo». «No». «Che differenza vuoi che faccia? La Polizia Statale sarà qui tra poco, in ogni caso – non appena il proprietario di queste terre li avrà chiamati per segnalare tutte queste auto che guidano per i suoi campi. A ogni modo, devi lasciarlo a loro». «Non se mi trovo in questi boschi prima del loro arrivo». Avrebbe voluto convincere Orval, senza che i suoi uomini fossero lì ad ascoltare. Se non avesse insistito con Orval, si sarebbe sentito sminuito, e se avesse esagerato Orval l’avrebbe mollato lì e sarebbe 63


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tornato a casa. Ciò che disse Orval non fu di alcun aiuto. «No, Will, mi dispiace contraddirti. Farei di tutto per te, ma quelle colline sono difficili da attraversare anche di giorno, e non voglio perdere i miei cani facendoli diventare ciechi, solo perché vuoi l’esclusiva». «Non ti sto chiedendo di farli diventare ciechi. Tutto ciò che ti chiedo, è di portare i tuoi cani, e nel preciso istante in cui ritieni che si stia facendo troppo buio, ci fermeremo e ci accamperemo. È sufficiente per non interrompere la ricerca. Avanti, in passato ci siamo già accampati tu ed io. Sarà come quando c’era ancora papà». Orval sospirò profondamente e diede uno sguardo alla foresta. Era ancora più buio di prima, faceva più freddo. «Non vedi che è una follia? Non siamo equipaggiati per dargli la caccia. Non abbiamo fucili né cibo. Non abbiamo niente». «Shingleton può tornare indietro e recuperare tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Gli daremo uno dei tuoi cani, così domani mattina potrà seguire le tracce e raggiungerci dove ci accamperemo. Ho abbastanza uomini a sorvegliare la città, così quattro di loro domani potranno venire qua con Shingleton. Ho un amico all’aeroporto della contea, ci presterà un suo elicottero per portarci tutto quello di cui abbiamo bisogno per individuare il ragazzo dall’alto. Adesso sei l’unico che può ostacolarci. Te lo sto chiedendo. Ci aiuterai?». Orval guardava i suoi piedi, sfregando uno dei suoi stivali avanti e indietro nel terriccio. «Non ho molto tempo, Orval. Se saremo lassù in poco tempo, la polizia di stato mi lascerà al comando. Mi faranno coordinare l’operazione e metteranno delle pattuglie lungo le strade principali giù dalle colline, ci lasceranno inseguirlo attraverso le montagne. Ma te lo sto chiedendo, se non mi dai una mano con i tuoi cani, posso anche rinunciare da subito alla sua cattura». Orval guardò in alto, e lentamente tirò fuori dalla sua giacca un sacchetto di tabacco e una cartina da sigaretta. Stava rimuginando sulla faccenda rollando con cura la sigaretta, Teasle sapeva che non poteva dargli fretta. Infine, poco prima di accendere un fiammifero: 64


Parte Seconda

«Potrei aiutarti. Se riesco a capire. Che cosa ti ha fatto questo ragazzo, Will?» «Ha squartato quasi a metà un agente e ne ha colpito un altro rendendolo forse cieco». «D’accordo Will», disse Orval accendendo il fiammifero, e proteggendolo con la mano accese la sua sigaretta. «Ma non mi hai risposto. A te, che cosa ti ha fatto il ragazzo?». 2. La zona era rocciosa e selvaggia, con un folto sottobosco, frammentata da precipizi e burroni, e dissestata da infossamenti. Proprio come le colline dove si era allenato in Carolina del Nord. Ancor di più, somigliavano alle alture cui era fuggito durante la guerra. Era il tipo di terreno in cui sapeva muoversi e combattere, ed era meglio per tutti tenersi alla larga, o avrebbe agito – seriamente. Corse più lontano e in fretta che poteva, sempre più in alto, combattendo contro il calare del sole. Il suo corpo nudo era rigato dal sangue a causa dei rami che lo graffiavano; i suoi piedi scalzi erano lacerati e sanguinanti a causa degli stecchi che trovava sul suo percorso e dei pendii rocciosi e dei dirupi. Arrivò a un pendio, dove si erigeva un pilone dell’elettricità, era stato creato un varco tra gli alberi per impedire che i fili dell’alta tensione si aggrovigliassero nei rami. La zona priva di alberi era ricoperta di rocce, ghiaia e cespugli taglienti, si arrampicò con fatica in cima, con i fili dell’alta tensione sopra la sua testa. Doveva raggiungere il punto d’osservazione più alto, prima che facesse buio; doveva vedere cosa c’era dall’altro lato del pendio e stabilire in quale direzione andare. In alto, sotto il pilone, l’aria era pulita a limpida, e affrettandosi per raggiungere la cima riuscì a sentire gli ultimi raggi del sole mentre tramontava in lontananza a sinistra. Si fermò, lasciandosi rapire dalla luce fioca e calda, godendo della gradevole sensazione del terreno morbido sotto i suoi piedi. La cima di fronte a lui 65


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brillava anch’essa al sole, mentre il pendio era poco illuminato e la vallata in fondo era già buia. Era lì che era diretto, lontano dal terreno morbido che aveva trovato in cima al pendio, verso altri sassi e altre rocce, verso la vallata. Se non avesse trovato quello che cercava in quel punto, avrebbe deviato a sinistra verso un torrente che aveva avvistato, e da lì lo avrebbe costeggiato. Sarebbe stato più facile proseguire in questo modo, camminando lungo la riva; quello che stava cercando si trovava sicuramente vicino a un corso d’acqua. Piombò giù tra le rocce, verso la vallata, scivolando, cadendo, con il sudore salato che penetrava nei tagli sulla pelle. Quando giunse alla base del pendio, si accorse che era stato inutile, era un’unica grande palude di melma e acqua torbida. Almeno il terreno era nuovamente morbido, fece il giro della palude sulla sinistra finché non raggiunse il torrente che la alimentava, poi iniziò a risalirlo, senza correre, solo camminando a passo svelto. Sapeva di aver percorso circa otto chilometri, e la distanza l’aveva affaticato. Non era ancora in forma come prima che lo catturassero durante la guerra, non si era ancora ripreso dopo le lunghe settimane in ospedale. A ogni modo, non aveva dimenticato i trucchi del mestiere, e anche se non fosse potuto andare più lontano, aveva percorso otto chilometri senza problemi. Il corso del torrente era tortuoso, e lo seguì. Sapeva che presto ci sarebbero stati i cani a inseguirlo, ma non si preoccupò di far perdere le sue tracce camminando nell’acqua. L’avrebbe solo rallentato, e poiché alla fine sarebbe uscito dall’acqua su una delle due rive, l’uomo che guidava i cani li avrebbe divisi in due gruppi su entrambe le rive fino a che non avessero ritrovato le tracce. Avrebbe solo sprecato del tempo. Il buio calò più in fretta di quanto si aspettasse. Arrampicandosi lungo il pendio era riuscito a percepire sul suo corpo gli ultimi raggi di sole, adesso il bosco e tutta la vegetazione erano un tutt’uno con l’oscurità. Di lì a poco, solo gli alberi e le rocce più grandi sarebbero stati distinguibili a grosse linee, poi sarebbe calato il buio su tutto. Si sentiva solo il rumore del torrente che scorreva sul letto di 66


Parte Seconda

rocce, il canto dei grilli, degli uccelli notturni e degli animali rintanati al buio, e iniziò a urlare. Di certo, non avrebbe trovato nessuno di chi stava cercando se avesse continuato solo a seguire il flusso del torrente e gridare. Doveva incuriosirli. Doveva spingerli a vedere chi diavolo fosse. Gridò a gran voce in vietnamita, in un pietoso francese che aveva imparato a scuola. Provò a imitare l’accento del sud, poi quello dell’ovest e quello della gente di colore. Elencò una lunga lista di oscenità, tra le più vili che avesse potuto evocare. Il torrente discese repentinamente in una breve conca sul lato del pendio. Nessuno. Il torrente risalì e scese in un’altra cavità, e non c’era ancora nessuno. Continuò a gridare. Se non avesse trovato qualcuno al più presto, avrebbe raggiunto la sorgente del torrente in cima alla collina, e non avrebbe avuto più nessun punto di riferimento. Andò proprio così. Il sudore gli si raffreddava addosso per l’aria della notte, raggiunse il punto in cui il torrente diventava un piccolo stagno e si sentiva zampillare la sorgente. Ci riprovò. Gridò ancora una volta, lasciando che le sue oscenità riecheggiassero dal basso verso l’alto per la collina buia, aspettò, poi riprese a salire. Ipotizzò che se avesse continuato a salire e scendere per i pendii, alla fine avrebbe incontrato un altro torrente e l’avrebbe seguito. Aveva superato la sorgente da circa dieci metri quando due torce abbaglianti lo illuminarono sia a destra sia a sinistra, e lui si fermò, immobile. In qualsiasi altra circostanza si sarebbe liberato dai fasci di luce e sarebbe scappato via nell’oscurità. Girovagare di notte per le montagne e ficcare il naso negli affari altrui, gli sarebbe potuto costare la vita; quanti uomini erano stati uccisi, con una pallottola conficcata in testa, per quello che stava facendo lui, scaricati poi in una fossa poco profonda e sventrati dagli animali notturni. Le torce gli erano puntate addosso, una sulla faccia, l’altra sul suo corpo nudo. Continuava a non muoversi, era immobile, testa alta, fissando con calma un punto tra le due luci come se fosse perfettamente a suo agio, come se l’avesse fatto ogni notte della sua vita. Alcuni insetti luccicanti volavano dentro e fuori il fascio delle torce. 67


Rambo - Primo Sangue

Un uccello svolazzò via da un albero. «Ehi, è meglio che lasci cadere la pistola e il rasoio», disse un vecchio sulla destra, con una voce roca. Rambo respirò più facilmente: non l’avrebbero ucciso, non in quell’istante almeno, era stato in grado d’incuriosirli a sufficienza. A ogni modo, tenere la pistola e il rasoio era stato un azzardo. Una volta che queste persone li avessero visti, avrebbero potuto sentirsi minacciate e sparargli. Ma non poteva permettersi di camminare attraverso i boschi di notte senza qualcosa con cui difendersi al momento necessario. «Sissignore», disse Rambo pacificamente e lasciò cadere la pistola e il rasoio sul terreno. «Non c’è nulla di cui preoccuparsi. La pistola non è carica». «Certo che non lo è». Un uomo anziano sulla destra, e uno più giovane sulla sinistra, Rambo iniziò a pensare. Probabilmente erano padre e figlio. Oppure zio e nipote. Queste usanze seguivano sempre uno stesso schema, restava tutto in famiglia, un uomo più anziano impartiva gli ordini e uno o più giovani eseguivano il lavoro da fare. Rambo sentiva che questi due lo stavano esaminando da dietro le loro torce. Adesso, il vecchio era in silenzio, e Rambo non avrebbe detto null’altro finché non gli fosse stato chiesto di parlare. Era un intruso, avrebbe fatto bene a tenere la bocca chiusa. «Diamine, tutte quelle oscenità e porcherie che stavi urlando», disse il vecchio. «Stavi chiamando “succhiacazzi”, o cose del genere proprio noi?» «Pà, chiedigli perché cammina in giro completamente nudo con gli attributi che gli penzolano», disse l’uomo sulla sinistra. Dalla voce dimostrava di avere meno anni di quanto Rambo avesse ipotizzato. «Stai zitto», il vecchio ordinò al ragazzo. «Ti ho detto di non fiatare». Rambo sentì lo scatto di una pistola provenire dal vecchio. «Aspetta un secondo», disse velocemente. «Sono solo. Ho bisogno 68


Parte Seconda

di aiuto. Non sparate finché non mi avrete ascoltato». Il vecchio non rispose. «Davvero, non sono qui per dare problemi. Non fa alcuna differenza, anche adesso che so che non siete due uomini e che uno di voi è solo un ragazzo. Non ho intenzione di farvi del male per questo motivo». Era un’ipotesi. Di certo, il vecchio aveva perso la sua curiosità ed era intenzionato a sparare. Ma Rambo percepiva che, nudo e sanguinante, appariva pericoloso agli occhi del vecchio, e soprattutto che il vecchio non avrebbe corso rischi adesso che Rambo sapeva che erano solo un uomo e un ragazzo. «Sto fuggendo dalla polizia. Hanno preso i miei vestiti. Ho ucciso uno di loro. Gridavo affinché qualcuno mi aiutasse». «Si, hai bisogno d’aiuto», disse il vecchio. «La domanda è, da chi?» «I cani mi daranno la caccia. Troveranno la distilleria, se non proviamo a fermarli». «La distilleria?» disse il vecchio. «Chi ti dice che c’è una distilleria quassù? Pensi che io abbia una distilleria qui?» «Siamo nel buio pesto in una cava vicino a una sorgente. Cos’altro vi avrebbe spinto fin qui? Dovete averla nascosta dannatamente bene. Sono certo che c’è, anche se non riesco a vedere le fiamme della fornace». «Ti aspetti che se ci fosse una distilleria qui vicino, perderei del tempo con te invece che affrettarmi a trovarla? Diamine, sono un cacciatore di tassi». «Senza cani? Non c’è tempo per queste cose. Dobbiamo sistemare tutto prima che domani arrivino per davvero i cani». Il vecchio imprecava fra sé. «Va bene, siete nei guai» disse Rambo. «Mi dispiace di avervi coinvolto, non avevo alcuna scelta. Ho bisogno di cibo, di vestiti e di un fucile, non vi lascerò fuori da questa storia finché non me li avrete dati». «Avanti Pà, sparagli e basta», disse il ragazzo sulla sinistra. «Vuole fregarci». Il vecchio non rispose e Rambo restò in silenzio. Doveva lasciargli 69


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il tempo per pensare. Se avesse insistito, il vecchio avrebbe potuto sentirsi messo alle strette e avrebbe sparato. Rambo sentì il ragazzo sulla sinistra che caricava il fucile. «Tieni giù quel fucile, Matthew», disse il vecchio. «Ma vuole fregarci. Non vedi? Non capisci che potrebbe essere uno del governo?» «Quel fucile sarà avvolto intorno alle tue orecchie, se non fai come ti ho detto». Poi il vecchio ridacchiò. «Uno del governo. Stronzate. Guardalo, dove diavolo avrebbe nascosto il distintivo?» «Ascolta tuo padre, è meglio», disse Rambo, «lui ha capito la situazione. Se mi uccidi, i poliziotti che mi troveranno domattina vorranno sapere chi l’ha fatto. Poi metteranno i cani sulle vostre tracce. Non importa dove deciderete di seppellirmi o in che modo nasconderete il mio passaggio per di qui. Loro…». «Calce viva», disse furbamente il ragazzo. «Certo, la calce viva vi aiuterà a coprire le mie tracce. Ma il mio odore resterà su di voi, e a quel punto è a voi che i cani daranno la caccia». Si fermò, scrutando entrambe le torce, dandogli il tempo di riflettere. «Il problema è che, se non mi darete il cibo, i vestiti e il fucile, non mi allontanerò da questa zona finché non avrò trovato la vostra distilleria, così quando domattina i poliziotti seguiranno le mie tracce, arriveranno fin lì. Non importa se stanotte fate sparire tutto e nascondete ogni cosa. Vi seguirò fino al posto in cui nasconderete tutto il materiale». «Aspetteremo l’alba per spostare ogni cosa», disse il vecchio. «Non puoi permetterti di stare qui cosi a lungo». «In ogni caso, a piedi nudi non posso andare molto più lontano. No. Credetemi. Per come sono ridotto, hanno buone possibilità che mi scoprano, e farò in modo che trovino anche voi due». Il vecchio stava nuovamente imprecando. «Ma se mi aiutate, se mi date quello di cui ho bisogno, allora me 70


Parte Seconda

ne andrò da qui e la polizia non si avvicinerà minimamente alla vostra distilleria». Questo era il modo più semplice per spiegare le cose. A Rambo l’idea sembrava convincente. Se volevano proteggere i loro affari, avrebbero dovuto aiutarlo. Certo, si sarebbero potuti arrabbiare per il modo in cui stava forzando loro la mano, forse li stava spingendo a ucciderlo. Oppure avrebbe potuto essere una famiglia di ritardati, non abbastanza intelligenti da capire il senso logico della proposta. Faceva più freddo, e Rambo non riusciva a smettere di tremare. Adesso che tutti erano in silenzio, i grilli sembravano più assordanti. Finalmente il vecchio parlò. «Matthew. Credo sia meglio che tu corra a casa a prendere quello che ci ha chiesto». Non aveva un tono di voce particolarmente felice. «E porta anche una tanica di kerosene», disse Rambo. «Poiché mi state aiutando, farò in modo che non vi sarà fatto del male per questo. Cospargerò i vestiti di kerosene e li lascerò asciugare prima d’indossarli. Il kerosene non fermerà i cani dall’inseguirmi, ma almeno non sentiranno il vostro odore sui vestiti, non vi seguiranno per vedere chi mi ha aiutato». La torcia del ragazzo rimase fissa su Rambo. «Farò quello che dice mio padre, non tu». «Va, e fai quello che ti dice», disse il vecchio. «Non piace neanche a me, ma sa dannatamente bene in che guaio ci ha messi». Il fascio della torcia del ragazzo rimase per un attimo fisso su Rambo, come se il ragazzo stesse decidendo se dovesse andare, o salvarsi la faccia. Poi il fascio di luce si spostò da Rambo ai cespugli, la torcia si spense e Rambo lo sentì muoversi attraverso la boscaglia. Probabilmente aveva percorso così tante volte la strada dalla casa alla sorgente, e viceversa, che poteva muoversi a occhi chiusi, e soprattutto senza luce. «Grazie», disse Rambo al vecchio che continuava a puntare la luce sul suo viso. Poi la luce si spense. «Grazie anche per questo», disse Rambo, il bagliore della luce rimase impresso nei suoi occhi ancora qualche secondo, prima di sparire lentamente. 71


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«Solo per conservare la carica delle pile». Rambo sentì che si stava avvicinando attraverso il sottobosco. «È meglio che non ti avvicini», disse al vecchio. «Non vogliamo mica mescolare il tuo odore con il mio». «Non ne avevo intenzione. Volevo solo sedermi su un tronco che è qui vicino». Il vecchio accese un fiammifero e lo avvicinò alla pipa. Il fiammifero non rimase acceso a lungo, ma mentre il vecchio aspirava dalla sua pipa e la fiamma aumentava lentamente, Rambo vide una testa arruffata e un viso scheletrico, e la parte superiore di una camicia a scacchi rossa con le bretelle sulle spalle. «Hai un po’ della tua roba con te?» chiese Rambo. «Forse». «Fa davvero freddo. Non mi dispiacerebbe un sorso». Il vecchio indugiò, poi accese la sua torcia e gli passò una fiasca in modo che Rambo potesse vederla nella luce e afferrarla. La fiasca pesava come una palla da bowling, e con suo stupore Rambo la fece quasi cadere a terra. Il vecchio sghignazzò. Rambo tirò via il tappo bagnato e stridente, e nonostante il peso della fiasca, bevve stringendola con una sola mano, proprio come sarebbe piaciuto al vecchio, infilando un dito nell’anello e appoggiando la fiasca nella piega del gomito, per mantenere l’equilibrio. Il sapore era deciso e dorato, il liquore gli sembrava che fosse di duecento gradi, bruciandogli la lingua e la gola, inondando di calore ogni singolo centimetro, giù fino allo stomaco. Si sentì quasi soffocare. Quando posò a terra la fiasca, i suoi occhi stavano lacrimando. «Un po’ troppo forte?» chiese il vecchio. «Un po’», disse Rambo, avendo difficoltà a far uscire la voce. «Che cos’è?» «Miscuglio di cereali. Ma è un po’ forte, vero?» «Sì. Direi che è un bel po’ forte», ripeté Rambo, con la voce ancora non del tutto chiara. Il vecchio rise. «Già, davvero un bel po’ forte». Rambo alzò la fiasca e bevve di nuovo: il liquore, denso e caldo, 72


Parte Seconda

gli procurò dei conati di vomito, e il vecchio rise ancora una volta, in modo secco. 3. I primi canti degli uccelli del mattino svegliarono Teasle mentre era ancora buio, giaceva accanto al fuoco, rannicchiato nella coperta che aveva portato dalla vettura, scrutando le ultime stelle sopra la cima degli alberi. Erano anni che non dormiva più all’aperto nei boschi. Calcolò che erano trascorsi più di vent’anni, risalendo fino al 1950. Non fino la fine del 1950: non includeva le notti trascorse a dormire nelle gelide trincee della Corea. No, diamine, l’ultima volta che si era accampato all’aperto era durante la primavera in cui ricevette la cartolina-precetto e decise di arruolarsi nei Marines, e lui e Orval fecero un’escursione sulle colline durante il primo fine settimana utile abbastanza caldo. Adesso, era intorpidito per aver dormito sul terreno accidentato, i suoi vestiti erano umidi poiché la rugiada era penetrata attraverso la coperta inzuppandoli, e nonostante fosse vicino al fuoco, il freddo gli era penetrato fin dentro le ossa. Ma erano anni che non si sentiva così vivo, entusiasta di essere di nuovo in azione, impaziente d’inseguire il ragazzo. Ad ogni modo, non c’era bisogno di svegliare tutti gli altri fino a quando Shingleton non sarebbe tornato con le provviste e il resto degli uomini, per ora era l’unico a essere sveglio, felice di trovarsi lì da solo, a differenza delle notti che aveva trascorso in solitudine da quando Anna era andata via. Si avviluppò ancora più stretto nella coperta. Poi fu raggiunto da un odore, e vide Orval seduto oltre il fuoco, aspirava una sigaretta che aveva rollato, il fumo arrivava a Teasle portato dal venticello fresco del mattino. «Non sapevo fossi sveglio» sussurrò Teasle per non disturbare gli altri. «Da quanto?» «Da prima di te». «Ma io sono sveglio da circa un’ora». 73



Parte Terza



1. Era notte, e il retro del camion puzzava di olio e di grasso. Una copertura di tela rigida copriva la parte superiore e serviva da tetto, Teasle si era seduto sotto, sdraiato su una panca, osservando una grande mappa geografica appesa su una parete. La luce proveniva da una sola lampadina che penzolava vicino alla mappa. Accanto ad essa vi era un’ingombrante radio bidirezionale appoggiata su un tavolo. L’operatore radio indossava delle cuffie. «Camion numero ventotto del reggimento in posizione», stava dicendo ad un agente. «A cinque chilometri dalla curva che porta al torrente». L’agente annuì, e appuntò un’altra spilla rossa sulla mappa, vicino alle altre disseminate sul lato sud. A est, le spille gialle indicavano il dispiegamento della Polizia Statale. A ovest, le spille nere indicavano la polizia che era sopraggiunta da altre contee e da città limitrofe; a nord, le spille bianche erano la polizia di Louisville, Frankfort, Lexington, Bowling Green e Covington. «Non avrà mica intenzione di stare qui tutta la notte, vero?» qualcuno disse a Teasle dall’esterno del camion. Teasle guardò chi fosse, ed era Kern, il capitano della Polizia Statale. Era abbastanza lontano, la lampadina riusciva a illuminare solo una parte del suo viso lasciando gli occhi e la fronte in ombra. «Perché non va a casa e prova a dormire?» disse Kern. «Il dottore ha detto che deve 147


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riposare, e qui non succederà nulla d’importante per un bel po’». «Non posso». «Cos’ ha detto, scusi?» «I giornalisti mi assediano sia a casa sia in ufficio. Il modo migliore che conosco per riposare è evitare di rivivere ancora una volta tutto, raccontandogli ciò che è successo». «Presto verranno a cercarla fin qui». «No. Ho ordinato di non lasciarli passare ai posti di blocco». Kern strinse le spalle e si avvicinò al camion, mostrandosi in piena luce. Era accecante e accentuava le rughe sulla sua fronte e la pelle raggrinzita intorno agli occhi facendolo sembrare più vecchio di quanto non fosse. La luce non si rifletteva sui suoi capelli rossi, cosicché anch’essi apparivano opachi e spenti. Ha la mia stessa età, pensò Teasle. Se lui ha questa faccia, come sarà la mia, dopo questi ultimi giorni? «Si direbbe che quel dottore volesse dedicarle tutta la vita, fasciandole il viso e le mani», disse Kern. «Cos’è quella macchia scura che sta inzuppando la camicia? Non mi dica che sta sanguinando di nuovo». «È uno strato di pomata troppo spesso che il dottore mi ha spalmato addosso. Sono fasciato anche sotto i vestiti. Le bende intorno alle gambe e alle ginocchia sono così strette che riesco a malapena a camminare». Sorrise, come se il dottore avesse stretto le bende in quel modo per fargli uno scherzo. Non voleva che Kern capisse quanto si sentisse male, nauseato e che avesse le vertigini. «Prova dolore?» disse Kern. «Prima che mi mettesse queste bende così strette, non provavo tutto questo dolore. Mi ha dato delle compresse da prendere ogni ora». «Servono a qualcosa?» «Un po’». Era la cosa giusta da dire. Doveva prestare attenzione a come parlava a Kern, doveva minimizzare il dolore, ma non troppo, per evitare che smettesse di credergli e insistesse per riportarlo all’ospedale. Prima, in ospedale, Kern si era tremendamente 148


Parte Terza

arrabbiato con Teasle per aver inseguito il ragazzo nella foresta senza aspettare l’arrivo della Polizia Statale. «È la mia giurisdizione, e ne ha approfittato. Adesso deve solo restarne fuori», aveva detto Kern. Teasle aveva lasciato che dicesse tutto quello che voleva, che sfogasse tutta la rabbia, e poi pian piano aveva fatto del suo meglio per convincere Kern che una sola persona non fosse sufficiente a organizzare una ricerca così estesa. Evitò di affrontare un’altra questione, ma era sicuro che Kern ci stava pensando: anche questa volta sarebbero potuti morire molti uomini come già era successo, ed era preferibile dividersi la responsabilità. Kern era un capo di quelli deboli. Teasle aveva notato molto spesso che faceva affidamento sugli altri. Adesso Teasle era qui per dare una mano, senza intromettersi troppo. Nonostante i suoi difetti, Kern si preoccupava molto dei suoi uomini e di cosa fossero in grado di sopportare, e se avesse intuito che Teasle stesse soffrendo troppo, avrebbe deciso facilmente di mandarlo via. Da fuori proveniva il rumore di altri camion, Teasle sapeva che quei grossi autocarri trasportavano soldati. Risuonò una sirena, che si avvicinava a tutta velocità, dirigendosi in città, e Teasle fu felice di poter parlare di altro, di qualcosa che non fosse la sua salute. «Perché c’è un’ambulanza?» «Un altro civile che si è fatto sparare». Teasle scosse la testa. «Muoiono dalla voglia di essere d’aiuto». «Muoiono, ha usato la parola giusta». «Che è successo?» «Pura idiozia. C’era un gruppo di civili accampato nel bosco, che immaginavano sarebbero stati al nostro fianco quando saremmo partiti l’indomani. Hanno sentito un rumore nel buio, e immaginando che fosse il ragazzo hanno imbracciato i loro fucili e sono andati a vedere. Si sono dispersi subito nel buio. Uno dei ragazzi del gruppo ha sentito alcuni rumori e ha pensato che fosse proprio il ragazzo, invece era un altro del suo gruppo. In due hanno iniziato a spararsi a vicenda e poi anche tutti gli altri hanno sparato. Grazie a Dio nessuno è morto davvero, solo feriti gravi. Non avevo mai visto 149


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nulla del genere». «Io sì». Per un po’ di tempo, prima, quando stava fissando la mappa, aveva avuto la sensazione che la sua testa fosse stata riempita di raso e adesso, senza preavviso, si sentiva nuovamente così. Anche le sue orecchie sembravano ovattate e il suono delle parole “io sì” gli era sembrato un’eco proveniente dall’esterno. Stava per svenire, aveva un vago senso di nausea, voleva smettere di parlare e sdraiarsi sulla panca, ma non poteva lasciare che Kern capisse cosa stava succedendo. «Quando lavoravo a Louisville», disse, e quasi non riuscì a proseguire. «Circa otto anni fa. C’era una piccola città limitrofa dove fu rapita una bambina di sei anni. La polizia locale aveva ipotizzato che fosse stata aggredita e poi abbandonata da qualche parte, così organizzarono una ronda di ricerca, e alcuni di noi che quel fine settimana erano fuori servizio decisero di dare una mano. Il guaio era che le persone che avevano organizzato la ricerca, avevano messo un annuncio su tutti i giornali e avevano diramato la notizia attraverso tutte le stazioni radio, così tutti quelli che erano alla ricerca di un brivido e di un pasto caldo decisero di presentarsi». Non aveva alcuna intenzione di sdraiarsi. Ma iniziava ad avere la vista offuscata, e la panca su cui era seduto sembrava piegarsi. Trovò finalmente un compromesso e appoggiò la schiena contro la parete del camion, cercando di far trasparire che fosse a suo agio. «Quattromila», disse, cercando di parlare senza far confusione con le parole. «Non c’era posto per tutti, né per dormire né per mangiare. Non c’era modo di coordinare così tante persone. Quella città in pratica si popolò in una sola notte, nuocendo alla compattezza delle ricerche. La maggior parte di loro trascorreva metà del tempo a bere e poi si presentavano ancora ubriachi agli autobus che portavano all’area di ricognizione. Un ragazzo quasi annegò in una palude. Un gruppo di civili si perse e le ricerche della bambina furono interrotte in modo che tutti gli altri potessero trovarli. Morsi di serpenti. Gambe rotte. Insolazioni. La confusione aumentò al punto che fu ordinato a tutti i civili di tornarsene a casa, e rimase 150


Parte Terza

solo la polizia per continuare la ricerca». Si accese una sigaretta e aspirò a fondo, cercando di ignorare le vertigini. Alzò lo sguardo e vide che l’addetto radio e l’agente erano rivolti verso di lui e ascoltavano. Da quanto tempo stava parlando? Sembravano dieci minuti, ma potevano essere di meno. La sua mente procedeva avanti e indietro in una linea instabile e regolare allo stesso tempo. «Avanti, continui», disse Kern. «Che n’è stato della ragazza? L’avete trovata?». Teasle annuì lentamente. «Sei mesi dopo. In una fossa poco profonda vicino a una strada laterale, a circa due chilometri di distanza da dove si erano concluse originariamente le ricerche. Un vecchio che beveva in un bar di Louisville aveva fatto alcune battute sul toccare le bambine, e ci fu riferito. La possibilità che ci fosse una connessione era remota, ma decidemmo ugualmente di indagare. Poiché avevo condotto le ricerche e conoscevo il caso, lasciarono che fossi io a interrogarlo, e dopo quaranta minuti riuscii a tirargli fuori ogni dettaglio della storia. Stava guidando quando passò davanti alla fattoria e vide la bambina che sguazzava in una piccola piscina di plastica nel cortile davanti alla casa. Era stato il suo costumino giallo ad attrarlo, disse. La afferrò proprio nel cortile davanti casa e la caricò in macchina senza che nessuno lo vedesse. Ci portò direttamente alla fossa. Era una seconda fossa. La prima si trovava proprio al centro dell’area delle ricerche, e mentre i civili girovagavano facendo solo casini, una notte tornò sul posto e spostò il corpo della bambina». Aspirò profondamente un altro tiro dalla sigaretta, sentendo il fumo che gli riempiva la gola, e le dita fasciate strette che s’intorpidivano mentre reggeva la sigaretta. «Anche in questo caso, i civili faranno solo confusione. Non avrebbero mai dovuto sapere tutto quello che sta succedendo». «È colpa mia. C’era una giornalista che si aggirava per i miei uffici e ha sentito i miei uomini parlare prima che potessi farli tacere. Adesso ho ordinato ad alcuni di loro di riportare tutti gli estranei in città». 151


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«Certo, così una qualche banda di civili che è nei boschi rischia d’innervosirsi di nuovo e di sparare sui suoi uomini. In ogni caso, non riuscirete ad allontanare tutti quanti. Domani mattina ci saranno nuovamente dei civili che si aggireranno per le colline. Ha visto in che modo sono piombati tutti in città. Sono davvero troppi per poterli controllare. Il peggio deve ancora venire. Aspetti che sopraggiungano gli esperti». «Che cosa intende per esperti? Chi diavolo sono?» «Sono dei dilettanti in realtà, che si autodefiniscono esperti. Gente che non ha di meglio da fare che spostarsi in lungo e largo per il paese e precipitarsi ovunque ci sia una perlustrazione in corso. Ne ho incontrati alcuni quando stavamo cercando quella bambina. Un tipo arrivava direttamente dalle Everglades, dove stavano cercando alcuni campeggiatori scomparsi. Prima era stato in California per aiutare la ricerca di una famiglia che, partita per un’escursione, era rimasta bloccata da un incendio. Quell’inverno era stato in Wyoming, dove alcuni sciatori erano stati travolti da una valanga. Negli intervalli delle ricerche era stato nei luoghi inondati dal Mississippi o dove i minatori restavano bloccati a causa di una frana. Il problema è che tipi del genere non lavorano mai con chi è al comando delle operazioni. Vogliono il potere di organizzare i propri gruppi e andare per conto loro, e in poco tempo confondono il piano di ricerca, interferiscono con i gruppi ufficiali, perlustrano luoghi che reputano eccitanti come alcune vecchie fattorie, lasciando inesplorate grosse aree di ricerca». Il cuore di Teasle improvvisamente iniziò a battere in modo irregolare, perse un battito, accelerò, si portò le mani al petto, ansimando. «Che succede?» disse Kern. «Sta…». «Bene. Sto bene. Ho solo bisogno di un’altra pillola. Il dottore mi aveva avvisato che sarebbe potuto succedere». Non era vero. Il dottore non l’aveva avvertito proprio su nulla, ma questa era la seconda volta che il suo cuore sobbalzava, e la prima volta la pillola aveva ristabilito il battito, così né ingoiò immediatamente un’altra. Non 152


Parte Terza

poteva certo lasciare che Kern pensasse che avesse dei problemi cardiaci. Kern non sembrò molto soddisfatto della risposta. Ma l’addetto radio si sistemò la cuffia come se stesse ascoltando una nuova comunicazione, e disse all’agente «Camion numero trentadue della Milizia in posizione». Fece scorrere il dito lungo la lista segnata su un foglio, «Quindi all’inizio di Branch Road», e l’agente appuntò un’altra spilla sulla mappa. Il sapore di gesso della pillola era rimasto nella bocca di Teasle. Respirò, e la morsa intorno al cuore iniziò ad allentarsi. «Non sono mai riuscito a capire perché quel vecchio spostò il corpo della bambina in un altro fosso», disse a Kern, il suo cuore continuava a ristabilizzarsi. «Ricordo quando l’abbiamo disseppellita, com’era il suo aspetto dopo sei mesi sotto terra, e ciò che le aveva fatto il vecchio. Ricordo di aver pensato, Dio, dev’essere un modo davvero solitario di morire». «Che cosa le è successo poco fa?» «Niente. È affaticamento, ha detto il dottore». «La sua faccia era diventata grigia come la camicia». Fuori passarono altri camion, e approfittando del rumore Teasle non rispose. Poi una vettura si fermò dietro Kern, illuminandolo con i fari, e Teasle sapeva che non avrebbe più dovuto rispondere. «Credo di dover andare» disse a Teasle con riluttanza. «Questi sono i walkie-talkie da distribuire». Si avvicinò alla vettura, esitando, poi tornò indietro. «Almeno si sdrai sulla panca e cerchi di recuperare un po’ di sonno mentre sono via. Fissare la mappa non ci farà capire dove si trova il ragazzo, e dovrà essere lucido domani quando inizieremo le ricerche». «Se mi sentirò stanco, lo farò. Voglio essere sicuro, senza alcun dubbio, che ognuno si trovi nella propria posizione. Non sono in forma per perlustrare le montagne con lei, quindi è meglio che sia utile quaggiù». «Ascolti. Riguarda quello che le ho detto all’ospedale su quanto avesse fatto male a inseguirlo». 153


Rambo - Primo Sangue

«È andata. Non ci pensi più». «Sì, ma ascolti. So cosa stava cercando di fare. Stava pensando a tutti i suoi uomini che erano stati uccisi e stava spingendo il suo corpo al limite per punirsi. Forse è vero quello che ho detto – che Orval potrebbe essere ancora vivo se avesse collaborato con me dall’inizio. Ma è stato il ragazzo a premere il grilletto e tutto il resto. Non lei. Se lo ricordi». Teasle non aveva alcun bisogno che glielo ricordasse. L’addetto radio stava dicendo «Unità numero diciannove della Polizia Statale» e Teasle tirò un’altra boccata dalla sigaretta, guardando intensamente come l’agente appuntasse un’altra spilla gialla sul lato est della mappa. 2. La mappa non era molto dettagliata nella zona interna. «Nessuno, prima d’ora, ha mai chiesto una mappatura di queste colline», disse il topografo della contea quando la portò. «Forse se un giorno una strada passerà di lì, dovremo farlo. Ma i rilevamenti sono molto costosi, soprattutto in questo tipo di terreno accidentato, e semplicemente non era il caso di investire i nostri fondi su qualcosa che non sarebbe servito mai a nessuno». Almeno le strade circostanti erano ben dettagliate. A nord formavano la parte superiore di un quadrato; ma la strada a sud curvava come se fosse la parte inferiore di un cerchio, unendosi con le strade che risalivano su entrambi i lati. Il camion delle comunicazioni su cui stava Teasle era parcheggiato all’estremità sud dell’arco. Era stato trovato lì dal poliziotto, e poiché il ragazzo era stato anche lui in quell’area, le ricerche iniziarono proprio da quel punto. L’addetto radio guardò verso Teasle. «Sta arrivando un elicottero. Stanno parlando, ma non è abbastanza chiaro da capire cosa dicono». «I nostri due elicotteri sono appena partiti. Non sarebbero dovuti 154


Parte Terza

rientrare così presto». «Forse un guasto al motore». «Oppure non è uno dei nostri. Potrebbe essere qualche squadra di giornalisti che sta sorvolando per scattare delle foto. Se cosi fosse, non voglio che atterrino». L’addetto radio li chiamò, chiedendo d’identificarsi. Nessuna risposta. Poi Teasle sentì il rombo dell’elica che si avvicinava, si alzò rigidamente dalla panca, camminando con difficoltà verso l’apertura posteriore del camion. Accanto al camion si estendeva il campo arato che aveva percorso strisciando quella mattina. Era buio, poi vide i solchi che diventavano di un bianco abbagliante poiché, il faro posizionato sotto l’elicottero piombava sull’intero campo illuminandolo. Era lo stesso fascio di luce che gli operatori fotografici avevano utilizzato poco prima per scattare delle fotografie. «Sono ancora a mezz’aria», disse all’addetto radio. «Prova a richiamarli. Fai in modo che non atterrino». Ma l’elicottero stava già toccando il suolo, il rumore del motore diminuiva, le eliche frustavano l’aria emettendo un fischio che diventava sempre più debole. C’era una luce nella cabina di pilotaggio, e Teasle vide uscirne un uomo, e dal portamento agile, stabile e diritto che aveva, mentre attraversava il campo avvicinandosi al camion, Teasle, anche senza riuscire a vedere il suo abbigliamento, stabilì che di certo non si trattasse di un giornalista, né tantomeno di un poliziotto tornato indietro per un problema al motore. Questo era l’uomo che aveva mandato a chiamare. Scese lentamente, dolorante, dal retro del camion, e zoppicando si avvicinò al bordo della strada. L’uomo aveva appena raggiunto il filo spinato che delimitava il campo. «Scusi, ho percorso l’intera area cercando un tale», disse l’uomo. «Vorrei sapere se è qui. Mi hanno detto che dovrebbe essere in questa zona. Wilfred Teasle». «Sono io Teasle». «Io sono Sam Trautman» disse. «Sono venuto per il mio ragazzo». Passarono altri tre camion, stracolmi di militari in piedi che 155


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reggevano i loro fucili, con i volti pallidi che risaltavano nel buio sotto l’elmetto; mentre i fari lampeggiavano, Teasle riuscì a vedere l’uniforme di Trautman, i gradi da capitano, e il berretto verde infilato con cura sotto la cintura. «Il suo ragazzo?» «Non esattamente, suppongo. Non l’ho addestrato in prima persona. I miei uomini hanno provveduto. Ma ho addestrato gli uomini che l’hanno addestrato, quindi in un certo senso è un mio ragazzo. Cos’altro ha combinato? L’ultima cosa che ho sentito è che ha ucciso tredici uomini». Lo disse chiaro e diretto, senza enfasi, tuttavia Teasle riconobbe un certo imbarazzo nella sua voce; conosceva quel tono, l’aveva ascoltato molto spesso, di notte alla centrale, quando arrivavano i padri sconvolti, delusi e imbarazzati per ciò che avevano fatto i loro figli. Ma questa volta non era la stessa cosa, non era così semplice. C’era qualcos’altro che si nascondeva nella voce di Trautman, qualcosa di così poco familiare in una situazione del genere che Teasle aveva difficoltà a individuare cosa fosse, e quando ci riuscì, rimase sbalordito. «Sembra quasi fiero di lui», disse Teasle. «Davvero? Mi dispiace. Non era mia intenzione. È solo che lui è stato il miglior allievo che abbiamo mai avuto, e se non avesse combattuto come ha fatto finora, significava che la scuola non aveva fatto il suo dovere con la formazione del ragazzo». Indicò il filo spinato del recinto e cominciò a scavalcarlo, con la stessa economia di movimenti regolare che Teasle aveva notato quando era sceso dall’elicottero e aveva attraversato il campo. Mentre scendeva nel fossato, sul lato della barricata, Teasle era abbastanza vicino da vedere come la sua uniforme fosse perfettamente modellata sul suo corpo, non c’era una piega o una stropicciatura. La sua pelle nel buio sembrava color piombo. Aveva i capelli neri e corti pettinati all’indietro, un viso magro, un mento appuntito, leggermente sporgente. Teasle ricordò come Orval, ogni tanto, pensava alle persone paragonandole agli animali. Non “Trautman”, 156


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avrebbe detto Orval, adesso. Non una trota, come indica il nome. Ma un furetto. O una donnola. Una specie di animale agile e carnivoro. Ricordava alcuni ufficiali di carriera che aveva incontrato in Corea, assassini di professione, uomini che si sentivano a proprio agio con la morte, e aveva sempre sentito la necessità di allontanarsi da loro. Non so se voglio davvero che tu sia qui, pensò. Forse ho sbagliato a chiamarlo. Ma Orval gli aveva insegnato anche a valutare un uomo dalla sua stretta di mano, e quando Trautman risalì il fosso con tre passi, la sua presa non fu come se l’era immaginata Teasle. Anziché aggressiva e prepotente, essa era inspiegabilmente delicata e allo stesso tempo decisa. Teasle la trovò molto tranquillizzante. Forse Trautman sarebbe stato d’aiuto. «È arrivato prima di quanto immaginassi», gli disse Teasle. «Grazie. Abbiamo bisogno di ogni tipo d’aiuto». Forse perché aveva appena pensato a Orval, fu stupito dal fatto che lo stesso incontro era già avvenuto, due sere prima quando aveva ringraziato Orval per essere venuto, utilizzando quasi fedelmente le stesse parole. Ma adesso Orval era morto. «Lo so che vi serve una mano», disse Trautman. «In verità, era mia intenzione venire ancor prima che ricevessi una sua chiamata. Il ragazzo non è più al nostro servizio, è un caso esclusivamente civile, ciò non m’impedisce di sentirmi in parte coinvolto. Però c’è una condizione: non voglio essere implicato in uno spargimento di sangue. Vi aiuterò solo se l’operazione sarà condotta civilmente, per catturarlo e non per ucciderlo senza pietà. Potrà anche capitare che poi venga ucciso, ma non voglio che questo sia lo scopo di partenza. Va bene?» «Sì». Stava dicendo la verità. Non voleva assolutamente che il ragazzo fosse fatto fuori da un solo colpo di fucile fra le montagne. Voleva che lo riportassero giù, voleva vedere ogni dannata cosa che gli fosse fatta. «Siamo d’accordo, allora», disse Trautman, «Non sono sicuro che un aiuto vi sarà utile. Credo che nessuno dei suoi uomini riuscirà 157


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anche solo a vederlo, figuriamoci a catturarlo. È molto più intelligente e più resistente di quanto immagina. Come mai non ha ucciso anche lei? Non riesco a spiegarmi come sia riuscito a sfuggirgli». Lo riconosceva di nuovo quel tono che faceva trapelare tutto il suo orgoglio misto a delusione. «Adesso sembra quasi le dispiaccia che io sia ancora vivo». «Infatti, in un certo senso è cosi, ma non la prenda sul personale. Seguendo le regole della scuola, non sarebbe dovuto succedere. Non a uno con le sue capacità e il suo addestramento. Se lei fosse stato un nemico che il ragazzo aveva lasciato scappare, le conseguenze avrebbero potuto essere molto gravi, e mi piacerebbe sapere come sia stato possibile, nel caso abbia qualche insegnamento che possa tramandare ai miei uomini. Com’è riuscito a fare durare tanto questa storia? Come ha fatto a mobilitare così in fretta la milizia? «Avevano in programma delle esercitazioni di guerra per il fine settimana. Le loro attrezzature erano già pronte, così hanno solo dovuto anticipare l’azione di alcuni giorni». «Ma questo è un posto di comando civile. Dove è il quartier generale per i militari?» «Lungo la strada, in un altro camion. Ma gli ufficiali hanno lasciato a noi il comando. Vogliono vedere come si comportano i loro uomini lasciati da soli, così stanno solo monitorando la situazione, cose se fosse un’esercitazione di guerra». «Esercitazioni», disse Trautman. «Cristo, tutti adorano le esercitazioni. Come fa a essere così sicuro che sia ancora nei paraggi?» «Perché ogni strada intorno a queste montagne è sorvegliata da quando è salito lassù. Non può assolutamente discendere senza essere visto. E anche se vi fosse riuscito, l’avrei sentito». «Cosa?» «Non è nulla che possa spiegare. Una specie di sesto senso che ho sviluppato dopo tutto quello che mi ha fatto passare il ragazzo. Non ha importanza. In ogni caso è ancora lassù. E domani mattina invierò sulle sue tracce tanti uomini quanti sono gli alberi su cui può nascondersi». 158


Parte Terza

«Cosa che non è possibile, naturalmente, così lui sarà ancora in vantaggio. È un esperto della guerriglia, sa come sopravvivere con ciò che gli offre la terra, non ha bisogno di aspettare che arrivi cibo e rifornimento come i suoi uomini. Ha imparato a essere paziente, può nascondersi in qualsiasi posto e aspettare anche un intero anno, se necessario. È un solo uomo, quindi è difficile da individuare. È da solo, non deve seguire ordini, non deve sincronizzarsi con le altre squadre, così può muoversi in fretta, colpire e allontanarsi per nascondersi in un altro posto, e ricominciare tutto da capo. Proprio come gli hanno insegnato i miei uomini. «Va bene», disse Teasle. «Adesso, lo insegni anche a me». 3. Rambo si svegliò, era già buio e si trovava su una roccia piatta e fredda. Fu il suo petto a farlo svegliare. Era così gonfio e dolorante che dovette allentare la cintura che aveva stretto intorno ad esso e, ogni volta che respirava, le costole lo trafiggevano facendolo trasalire. Non sapeva dove si trovasse. Ipotizzò che fosse notte, ma non riusciva a capire perché il buio fosse così avvolgente, perché non vi fosse un po’ di grigio che si mescolava al nero, non c’erano stelle che brillavano, nessun chiarore dietro qualche nuvola. Batté le palpebre, il buio era ancora lì e, temendo che fosse successo qualcosa ai suoi occhi, appoggiò rapidamente le mani sul masso su cui giaceva, brancolando gli parve di toccare delle pareti di roccia umida. Una caverna, si disse perplesso. Sono in una caverna. Come ci sono arrivato? E, ancora stordito, cominciò a barcollare cercando l’uscita. Dovette fermarsi e tornare indietro al punto in cui si era risvegliato, poiché non aveva il fucile in mano, poi il torpore svanì e si accorse che aveva sempre avuto il fucile con sé, infilato tra il cinturone d’equipaggiamento e i suoi pantaloni, così riprese a cercare l’uscita. Il suolo della caverna discendeva gradualmente, però sapeva 159


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che l’uscita di una caverna si trova probabilmente in un punto più alto, non verso il basso, così ancora una volta tornò indietro. La direzione del venticello che penetrava dall’esterno avrebbe dovuto guidarlo verso l’uscita, ma non ci pensò finché non la raggiunse, svoltò l’angolo e la trovò davanti a sé. Fuori era una notte limpida, le stelle brillavano, in cielo si vedeva un quarto di luna; sotto di essa, si delineavano le sagome degli alberi e delle rocce. Non sapeva né quanto fosse stato svenuto né come avesse raggiunto la caverna. Le ultime cose che ricordava erano di essere stato sdraiato nei pressi del crinale di rovi, di essersi alzato con fatica mentre sorgeva il sole, di aver vagato per la foresta e di essersi disteso accanto a un flusso d’acqua per rinfrescarsi. Ricordò che si era gettato nel torrente volontariamente, aveva lasciato che l’acqua gli scorresse addosso per ridestarsi, e adesso si trovava all’ingresso di questa caverna ed era notte, vi erano un intero giorno e una larga parte del percorso che non riusciva a spiegarsi. Supponeva che fosse stato almeno un giorno. E se fossero stati molti di più? Pensò improvvisamente. Giù, in lontananza, vi erano delle luci, sembravano centinaia di puntini luminosi, che si accendevano e spegnevano, a intermittenza, erano principalmente di colore giallo e rosso. Il traffico di una strada, pensò, forse un’autostrada. Troppe automobili per essere normale. Vi era dell’altro: sembrava che non si muovessero. Le luci rallentavano. Poi si fermavano, formando, da destra a sinistra, una linea che si estendeva per circa tre chilometri. Avrebbe potuto sbagliare a calcolare la distanza, ma di una cosa era certo: le luci centravano con il suo inseguimento. Quanto movimento laggiù, pensò, Teasle deve volermi tanto disperatamente quanto nessun altra cosa al mondo. La notte era molto fredda, nessun cicalio d’insetti, nessun animale che si muoveva tra i cespugli, solo un leggero vento che faceva frusciare le foglie morte e faceva sbattere tra di loro i rami degli alberi. Si strinse nella sua camicia di lana e rabbrividì, poi sentì il frastuono di un elicottero che si avvicinava da sinistra, divenne 160


Parte Terza

un boato, e gradualmente diminuì sparendo alle sue spalle. Vi era un altro elicottero proprio dietro di lui, e un altro ancora alla sua destra, nella stessa direzione, in lontananza sentiva un debole abbaiare di cani. Poi il vento cambiò, soffiando verso di lui, provenendo dalla direzione in cui si trovavano le luci, portando con sé il guaito di altri cani e il ronzio lontano di numerosi motori di grossi camion. Poiché le luci erano rimaste accese, avevano tenuto anche i motori in funzione, pensò. Provò a contare le luci, ma la distanza lo confondeva, moltiplicò il numero indefinito di luci per la quantità di uomini che ogni camion poteva trasportare, venticinque, forse trenta uomini. Teasle lo voleva a ogni costo. E questa volta non prevedeva nessuna possibilità di fallimento, stava per dargli la caccia con ogni uomo e ogni tipo di equipaggiamento possibile. Ma Rambo non voleva più combattere. Era ferito e sofferente, e nell’intervallo in cui aveva perso Teasle e si era risvegliato nella caverna, tutta la sua rabbia era sparita. Aveva già cominciato a diminuire mentre proseguiva la caccia a Teasle, era esausto, voleva catturarlo disperatamente, non più per il piacere di ucciderlo, ma per farla finita ed essere libero. E dopo aver ucciso tutti quegli uomini, dopo aver sacrificato tanto tempo ed energie nella fuga, non aveva ancora vinto. Uno spreco inutile e senza senso, pensò. Si sentì tremendamente vuoto e disgustato. A cosa era servito tutto ciò? Avrebbe dovuto cogliere l’occasione per fuggire durante il temporale. Questa volta se ne stava andando per davvero. Si era scontrato con Teasle, una lotta onesta, Teasle era sopravvissuto: fine della storia. Che discorso di merda stai tirando fuori? Si disse. Chi stai prendendo in giro? Non vedevi l’ora di tornare a combattere, ed eri maledettamente sicuro di riuscire a batterlo, ma hai perso e adesso è l’ora della resa dei conti. Non ti sta ancora cercando, è ancora buio, ma appena sarà l’alba verrà verso di te con un piccolo esercito, e non avrai nessuna possibilità contro di loro. Non te ne stai andando perché ha vinto ed è finita. Vuoi andartene adesso che hai ancora la 161


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possibilità di farlo. Anche se lo vedessi da solo, con la testa al centro del tuo mirino, faresti bene a rimanerne fuori e rimanere vivo. Sapeva che non sarebbe stato così facile. Mentre tremava, fermo in piedi, asciugandosi il sudore dalla fronte e dalle sopracciglia, sentì un lampo di calore che partiva dalla base della spina dorsale e risaliva fino alla testa, poi improvvisamente sentì un brivido di freddo. La sequenza si ripeté. Capì che non stava tremando a causa del vento e del freddo. Aveva la febbre. E se sudava in quel modo doveva essere anche molto alta. Se avesse provato ad allontanarsi, per riuscire a sgattaiolare attraverso quella linea di luci in lontananza, forse sarebbe svenuto. Aveva difficoltà anche a stare in piedi. Un po’ di calore – ecco di cosa aveva bisogno. E un rifugio, un posto in cui sudare e far passare la febbre e far riposare il torace dolorante. E anche del cibo, non aveva mangiato niente da quando aveva trovato la carne essiccata sul corpo del vecchio precipitato giù dal dirupo, ma era trascorso troppo tempo. Tremava e barcollava, si resse con una mano all’ingresso della caverna per non perdere l’equilibrio. Ecco il rifugio, la caverna sarebbe andata bene. Non aveva la forza per trovare qualcosa di meglio. Si stava indebolendo molto velocemente, non era sicuro di riuscire a resistere e prepararsi un giaciglio nella caverna. Muoviti allora, non restare in piedi a ripeterti che sei debole. Agisci. Si fece strada discendendo un sentiero di scisto e si diresse verso gli alberi di cui aveva già visto le sagome. I primi alberi che incontrò sul percorso avevano i rami appuntiti poiché erano spogli, e non gli erano utili, continuò a camminare su una distesa di foglie finché non sentì gli aghi di pino, morbidi e flessibili, sotto i suoi piedi, si mise a cercare tra gli alberi alcuni rami folti da poter staccare, facendo attenzione a prenderne soltanto uno per ogni albero, di modo che non sarebbe stato evidente che era passato di lì per raccogliere legna. Quando ne ebbe raccolti cinque, il movimento per sollevare le braccia per staccare altri rami divenne uno sforzo insopportabile a causa delle sue costole. Avrebbe voluto raccoglierne altri, ma 162


Parte Terza

cinque sarebbero stati sufficienti. Sollevò i rami sulla spalla opposta alle costole rotte e si avviò alla caverna, barcollando costantemente sotto il loro peso. La salita lungo il sentiero di scisto fu la parte peggiore. Vacillava e tendeva a dirigersi verso i lati invece che proseguire dritto. Una volta perse l’equilibro e scivolò a faccia in avanti, sul suo volto comparve una smorfia di dolore. Quando raggiunse la cima, appoggiò i rami davanti all’ingresso della caverna e riprese a scendere lungo il sentiero, questa volta per raccogliere le foglie e alcuni piccoli pezzi di legno sparsi sul terreno. Infilò quello che poteva dentro la camicia di lana, e riempì le braccia di grandi rami secchi e li portò alla caverna, fece due viaggi all’interno, il primo con i rami secchi che già aveva tra le braccia, poi con i rami dei pini. Iniziava a pensare a cosa avrebbe dovuto fare una volta all’interno della caverna. Superò il punto in cui si era risvegliato, procedendo lentamente e tastando con i piedi per fare attenzione ai dislivelli del terreno. Più si addentrava, più il soffitto della caverna si abbassava, e quando dovette accovacciarsi, comprimendo le costole, si fermò. Il dolore era insopportabile. Questa parte della caverna era molto umida, si affrettò ad ammucchiare le foglie sul terreno e a mischiarle con i pezzi di legno secco, accese le foglie con i fiammiferi che gli aveva dato il vecchio alcune notti prima. I fiammiferi si erano bagnati sotto la pioggia e nel torrente, ma era trascorso abbastanza tempo affinché fossero asciutti. I primi due non si accesero, il terzo fece una piccola fiamma e si spense, e il quarto rimase acceso e Rambo bruciò le foglie. Le fiamme aumentarono lentamente, e pazientemente aggiunse altre foglie, altri pezzetti di legno secco, alimentando ogni piccola fiamma fino a quando non fu una sola fiamma alta che gli permise di aggiungere i pezzi di legno più grandi e infine i rami secchi. Il legno era così vecchio che non emanava molto fumo, e quel poco che vi era fu disperso dal vento che entrava nella caverna e si propagava lungo la galleria. Fissava il fuoco, tenendovi le sue mani sopra per riscaldarle, tremava, e all’improvviso si guardò intorno per vedere le ombre proiettate sulle pareti della caverna. Si 163


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era sbagliato. Non era una caverna, adesso riusciva a vederlo chiaramente. Qualcuno in passato aveva lavorato in questo posto, era una miniera. Era palese, per via della simmetria delle pareti e del soffitto e per la planarità del suolo. Non vi erano utensili lasciati in giro, nessuna carriola arrugginita o picconi rotti o secchi che marcivano, quando avevano abbandonato questo posto l’avevano rispettato, lasciando tutto in ordine. Avrebbero dovuto chiudere l’entrata, tuttavia. Erano stati stranamente imprudenti. Ormai i pali di legno e le travi di sostegno erano vecchi e cadenti. Se mai dei bambini si fossero inoltrati per un’esplorazione, anche solo sbattendo contro una trave, o facendo troppo rumore avrebbero potuto far crollare tutto il soffitto. In ogni caso, perché mai dei bambini avrebbero dovuto trovarsi lì dentro? Quel posto era distante chilometri e chilometri da qualsiasi centro abitato. Nonostante ciò, Rambo l’aveva trovato, e anche altri avrebbero potuto. Era certo, e l’avrebbero trovato già l’indomani, per questo doveva stare attento e andarsene prima che arrivassero. Guardando il quarto di luna e la sua altezza nel cielo, ipotizzò che fossero circa le undici. Qualche ora di riposo. Era tutto ciò di cui aveva bisogno, si disse. Già. Poi avrebbe ripreso a muoversi. Il fuoco lo scaldava e gli alleviava il dolore. Avvicinò i rami dei pini l’uno sull’altro, ricreando una specie di materasso e si distese sopra, esponendo al fuoco il fianco ferito. Gli aghi di pino lo punzecchiavano attraverso i vestiti, ma non poteva farci niente: aveva bisogno dei rami per non essere a contatto con il suolo umido. La stanchezza gli faceva percepire i rami come morbidi e rilassanti, chiuse gli occhi e ascoltò il leggero crepitio della legna. Dal soffitto gocciolava dell’acqua che si propagava con un eco. In un primo momento, si aspettava di vedere disegnati degli animali con le corna sulle pareti della caverna, e uomini che li inseguivano brandendo delle lance. Aveva visto delle fotografie che rappresentavano una cosa del genere, ma non riusciva a ricordare bene quando. Forse al liceo. Le immagini di caccia l’avevano sempre affascinato. Quando era ragazzino e viveva in Colorado, spesso 164


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andava da solo a fare delle escursioni in montagna, e una volta gli era capitato, entrando con cautela in una caverna, voltando l’angolo e accendendo la torcia, di vedere disegnato un bufalo sulla parete, uno soltanto, in giallo, perfettamente al centro della grotta. Era così reale, sembrava che stesse per materializzarsi davanti a lui e iniziasse a correre. Restò a fissarlo per tutto il pomeriggio, fino a quando la torcia non fu scarica. Tornò almeno una volta a settimana, giusto per sedercisi davanti e fissarlo. Era il suo segreto. Una sera suo padre lo aveva picchiato per scoprire dove fosse stato. Ricordando l’episodio, Rambo scosse la testa per non averglielo raccontato. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che era stato in quella caverna, e aveva la sensazione che anche questa sarebbe diventata un segreto. Lassù sulle montagne, un solo bufalo, con una grossa gobba, delle corna tozze e schiacciate, così lontano dalle sue pianure native, da quanto tempo era lì e chi l’aveva disegnato? E chi aveva lavorato invece in questa miniera? Quanto tempo fa? La sua caverna gli aveva sempre ricordato una specie di chiesa, e anche in questo posto aveva la stessa sensazione, adesso l’associazione dei due luoghi lo imbarazzava. In effetti, quando era un ragazzino, l’idea non lo imbarazzava. La prima comunione. La confessione. Ricordava come si sentisse quando spingeva via il pesante panno nero ed entrava nel confessionale buio, le ginocchia appoggiate sul bordo imbottito, la voce ovattata del sacerdote, che dava l’assoluzione al penitente dall’altro lato del confessionale. Che cosa aveva da confessare? Gli uomini che aveva appena ucciso. Era autodifesa, padre. Ma ne hai provato piacere, figliolo? È stato un modo per cedere al peccato? Questo lo imbarazzava ancora di più. Non credeva nel peccato, e non voleva pensarci. Ma la domanda si ripresentò: è stato un modo per cedere al peccato? E la sua mente assopita dall’avvolgente calore del fuoco, si chiese che cosa avrebbe risposto da ragazzino. Forse sì. La sequenza delle uccisioni era molto complicata. Si sarebbe potuto giustificare con il sacerdote che uccidere i cani e il vecchio vestito di 165


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verde fosse autodifesa. Ma dopo di ciò, quando aveva avuto l’opportunità di fuggire, quando invece d’inseguire Teasle aveva sparato i suoi agenti mentre scappavano, quello sì che era un peccato. E Teasle stava per tornare, ancora una volta, pensò, ed era giunta anche l’ora della sua penitenza. In fondo alla miniera si sentiva il suono dell’acqua che grondava. In fondo alla caverna. Avrebbe dovuto controllare prima. La miniera era una tana naturale per un orso. O per i serpenti. Che cosa poteva succedere dal momento che non aveva controllato? Prese un ramo che bruciava sul fuoco e lo usò come torcia per discendere la galleria della miniera. Il soffitto si abbassava sempre più, odiava doversi curvare e causarsi così del dolore, ma doveva controllare. Arrivò all’angolo, dove aveva sentito gocciolare l’acqua dal soffitto. Si raccoglieva in una pozzanghera, e filtrava attraverso una crepa nel suolo, e lì finiva. Mentre la torcia lentamente si spegneva crepitando, arrivò alla parete sul fondo, percorsa da una crepa di mezzo metro che sprofondava nella terra, e capì che era al sicuro. Mentre tornava indietro la torcia si spense definitivamente, ma capì che stava proseguendo nella giusta direzione poiché iniziava a vedere il riflesso luccicante delle fiamme sulla parete. Adesso si ricordò che c’erano altre cose da fare. Controllare se dall’esterno la luce del fuoco non fosse visibile. Cercare del cibo. Cos’altro? L’idea di riposarsi nella miniera gli era sembrata estremamente semplice all’inizio, ma stava diventando sempre più complicata, e allora fu tentato di lasciar perdere tutto e di provare a superare quella linea di luci giù dalla montagna. Riuscì a raggiungere l’entrata della miniera, poi barcollò vertiginosamente e dovette sedersi. Non poteva andarsene. Non aveva scelta. Doveva stare lì al riparo almeno per un po’. Solo per un po’. Il primo colpo di fucile echeggiò da destra in lontananza. Immediatamente fu seguito da altri tre colpi. Era troppo buio ed erano troppo lontani affinché fosse lui il bersaglio. Riecheggiarono altri tre colpi, poi seguì il debole lamento di una sirena. Che diavolo 166


Parte Terza

stava succedendo? Cibo. Era tutto ciò di cui doveva preoccuparsi. Cibo. E sapeva esattamente cosa: un grosso gufo che aveva visto volare tra gli alberi quando era uscito dalla caverna la prima volta. Era volato via, ma era tornato indietro dopo pochi minuti. Aveva visto la sua sagoma che si spostava tra gli alberi già due volte. Il gufo era scomparso nuovamente, ma Rambo sapeva che sarebbe tornato alla fine del suo giro. Vi furono altri spari in lontananza verso destra. Per quale motivo? Rimase in piedi ad aspettare e rabbrividì, esitante. Almeno il suo sparo si sarebbe confuso con tutti gli altri laggiù; non avrebbe rivelato la sua posizione. Prendere la mira di notte era sempre difficile, ma grazie alla vernice luminosa con cui il vecchio aveva segnato il mirino, aveva una possibilità. Aspettò, e aspettò ancora, e mentre il sudore sul suo viso e i brividi lungo la spina dorsale diventavano insopportabili, sentì un singolo battito d’ali e seguì al buio la discesa della sagoma del gufo che si appoggiava sui rami. Uno, due e mise il fucile sulla sua spalla, puntando la macchia nera delineata dal gufo. Tre, quattro, stava tremando, contraendo i muscoli per mantenere il controllo. Boom! Il rinculo schiacciò il fucile contro le sue costole, barcollò a causa del dolore e si appoggiò all’entrata della miniera. Pensò di averlo mancato, e temeva che il gufo fosse volato via e non sarebbe più tornato. Poi, grazie a Dio, il gufo cadde a peso morto dall’albero, colpì prima un ramo e poi il terreno e scomparve nel buio. Sentì il rumore del gufo che si muoveva sulle foglie secche, scivolò in fretta verso l’albero senza staccare gli occhi dal punto in cui pensava che l’uccello fosse caduto. Aveva perso l’orientamento, non riusciva a trovarlo; solo dopo averlo cercato a lungo, gli capitò sopra per caso. Finalmente poté ritornare al fuoco nella miniera, si distese sui rami con la testa che gli girava, tremava violentemente. Lottava per ignorare il suo dolore, fissando gli artigli chiusi del gufo e lisciando le sue piume arruffate. Stabilì che fosse un vecchio gufo, trovava il suo volto avvizzito piuttosto simpatico, ma non riusciva a lisciare 167


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bene le piume poiché gli tremavano le mani. Comunque, non riusciva ancora a capire a chi fossero indirizzati tutti quegli spari laggiù. 4. L’ambulanza sfrecciò con le sirene spiegate davanti al camion delle comunicazioni, dirigendosi a tutta velocità in città, seguita da tre camion carichi di civili che protestavano e urlavano cose incomprensibili ai militari che si trovavano lungo la strada. Due auto della polizia seguivano da vicino i camion facendo da scorta. Teasle si trovava sul ciglio della strada, i fari lo accecarono nel buio, distolse lo sguardo e si avviò lentamente verso il camion delle comunicazioni. «Non si sa ancora se ne sono stati colpiti altri?» chiese all’addetto radio sul retro. La testa dell’addetto radio era circondata da una specie di aureola prodotta dal bagliore della lampadina che penzolava alle sue spalle. «L’ho appena saputo, purtroppo», disse lentamente e a bassa voce. «Uno dei loro, uno dei nostri. Il civile è stato colpito al ginocchio, ma il nostro uomo alla testa». «Ah!» chiuse gli occhi per un istante. «Il paramedico dell’ambulanza ha detto che probabilmente non arriverà vivo all’ospedale». Probabilmente. Non ha nessuna possibilità, pensò. Da com’erano andate le cose negli ultimi tre giorni, non ce l’avrebbe fatta. Non c’erano dubbi. Non ce l’avrebbe proprio fatta. «Lo conoscevo? No. Aspetta. È meglio che non lo sappia. Conoscevo fin troppi uomini che sono morti in questi giorni. Almeno sono stati raccolti tutti questi ubriaconi? Così non spareranno più a nessuno. Era l’ultimo carico su quei camion?» «Kern dice di sì, ma non può esserne del tutto certo». «Questo significa che potrebbe esserci un altro centinaio di civili 168



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