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Il personaggio: Frank Williams
Il personaggio di Alessandro Caldera
Frank Williams,
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Il campionato del mondo di F1 che abbiamo appena vissuto passerà indubbiamente alla storia e i motivi per cui questo avverrà sono presto detti. Innanzitutto non si deve dimenticare la presenza costante del Covid-19 che, oltre ad aver falcidiato circa 5 milioni di persone, è sempre rimasto in sottofondo nel duello agonico tra Verstappen e Hamilton durato 22 gare, fatte di scontri “fisici” e verbali, conclusosi poi con un finale meritevole del premio Oscar. Come sappiamo ad aggiudicarsi il titolo, per la prima volta in carriera con il successo ottenuto il 12 dicembre sulla pista di Yas Marina, nella sfavillante cornice degli Emirati Arabi Uniti, è stato proprio il pilota olandese della Red Bull. Tutto ciò ha portato sicuramente una ventata di freschezza nel mondo della F1, una realtà meravigliosa e adrenalinica che, solamente tre settimane prima, aveva assistito alla dipartita di una delle sue stelle più lucenti e uno dei suoi più valorosi esponenti: Frank Williams. Nato con la velocità nel sangue, il padre fu membro della Royal Air Force. A causa della separazione dei genitori, Frank crebbe con gli zii materni a Jarrow, nel Regno Unito, prima di trasferirsi in Scozia per ultimare i propri studi. L’avvicinamento al mondo dei motori è in realtà puramente casuale e si deve ad un suo amico che, sul finire degli anni Cinquanta, gli diede l’opportunità di guidare una Jaguar XK150, esperienza che lo elettrizzò parecchio e che lo spinse ad interessarsi in modo più che significativo a questo mondo. A soli 24 anni, dopo una breve parentesi da meccanico e pilota, decise di fondare una scuderia che avrebbe portato il suo nome: “Frank Williams Racing Car”. Nel ’69 dopo alcune esperienze formative maturate in categorie minori, come ad esempio la Formula 3, approdò in F1 servendosi del telaio di una Brabham, guidata dal pilota Piers Courage, spirato a soli 28 anni durante il Gp d’Olanda del 1970, a seguito di un terribile schianto e successivo incendio che coinvolse la sua vettura. Quest’ultimo fatto fu anche il motivo, o forse semplicemente coincise, con la fine dell’apprendistato, o partnership, tra Frank e l’imprenditore argentino Alejandro de Tomaso, colui che di lì a poco avrebbe rilevato persino la Maserati. Durante questo periodo, il britannico ebbe l’opportunità di lavorare in Italia, a Modena, dove poté avvicinarsi maggiormente alla nostra cultura ed ai nostri gioielli automobilistici. Nel’76 però, a seguito del fallimento dell’Iso, Williams dovette cedere a Walter Wolf, magnate del petrolio, il 60% delle quote della scuderia, prima di abbandonarla definitivamente, insieme all’ingegnere Patrick Head, l’anno seguente. I due decisero quindi di acquistare un negozio di tappeti nell’Oxfordshire, e da lì fondarono poi un nuovo team, detenuto dalla stessa famiglia Williams fino al 21 agosto 2020, prima della vendita al fondo Dorilton Capital. Nel 1979, dopo i suddetti sforzi, Frank ottenne la prima vittoria della storia della scuderia grazie al successo di Clay Regazzoni e nel 1980 riuscì addirittura sollevare il titolo piloti, con l’australiano Alan Jones. Gli anni Ottanta sarebbero quindi da ritenersi meravigliosi per il costruttore inglese: oltre infatti al successo del già citato Jones, arrivarono, quello di Keke Rosberg nel 1982, emulato poi nel 2016 dal figlio Nico, e di Nelson Piquet nel 1987. In tutta questa incredibile storia c’è però un tremendo “ma”, capace
Il personaggio
di condizionare per sempre la vita di Frank. Nel 1986 nel tragitto francese dal tracciato del Paul Ricard, all’aeroporto di Nizza, il britannico perse il controllo della sua vettura che nella carambola si ribaltò atterrando sul tetto; l’esito fu tremendo, rottura della spina dorsale con conseguente utilizzo perenne della sedia a rotelle. Al di là di quello che poteva essere un handicap fisico (al riguardo, la sensibilità di oggi rispetto al tema non era così presente a quei tempi), ciò che segnò più di tutto Williams fu quello che occorse nel 1994 a Imola con Senna. Il destino alle volte sa essere tremendo e spietato: Frank aveva “consegnato” la propria vettura a talenti incredibili, quali Piquet o Mansell, ma provava sicuramente un debole per la figura di Ayrton. Il fatto che la morte del campionissimo brasiliano fosse avvenuta alla guida di una sua monoposto, fu una cosa dalla quale non si riprese facilmente, una ferita realmente mai rimarginata. Di dolore, oggi, può parlare chi Frank lo ha conosciuto, una persona alla quale questo sport deve tantissimo, che con lui e grazie a lui è cresciuto. Ci ha lasciato a 79 anni, “l’Enzo Ferrari d’oltre Manica”, con la consapevolezza che da un piccolo sogno o passione, si può realmente giungere a traguardi inimmaginabili.
ONGARO CLAUDIO
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