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Una farfalla di nome Loie Fuller

Racconti d'arte di Daniela Zangrando

UNA FARFALLA DI NOME LOÏE FULLER

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Marzo è il mese dell’equinozio di primavera. Un mese un po’ bizzarro, in cui si dice che l’inverno si difenda dagli attacchi della primavera con gelate, capricci, piogge, venti, perturbazioni. Ma lo sa da solo che inalberarsi è inutile, e che dovrà arrendersi. È solo questione di tempo. Qualche giorno fa ho visto la prima farfalla. Giallissima ed elegante, ha svolazzato tra i grappoli di inflorescenze dei noccioli. Impossibile non notarla. Mi ha fatto ripensare all’opera di cui voglio parlarvi oggi, che, lo vedrete subito, è piena di primavera. Vi porto indietro nel tempo, e vi racconto la Danse Serpentine di Loïe Fuller. Siamo alla fine dell’Ottocento, a Parigi, nel locale Folies-Bergère. Guardate le immagini. C’è una donna, su un palco. Sola. Non c’è altro oltre a lei: né oggetti di scena, né scenografia. Indossa un vestito ampissimo, una sorta di grande tunica, che fa vorticare sul palco, ottenendo movimenti fluidi e estremamente sinuosi. La sua danza serpentina. È farfalla, fata, essere svolazzante, quasi un pipistrello. Ecco che ora è un uccello notturno, e poi cerchio, ellisse, fiore, calice, disegno rapidissimo e sempre diverso, colorato. È pura leggerezza. Impermanenza. Credo non avreste nulla in contrario se usassi la parola bellezza. Sì, perché è un essere bellissimo e lieve, in grado di sorprenderci ancora, oggi, a distanza di più di un secolo, esattamente come quella farfalla che ho visto io. Ne conserva la naturalezza e la grazia. La dignità e il temperamento. Facciamo un salto “dietro le quinte”. Da dove arriva una così ampia veste? E come mai è colorata? E chi è questa donna? Un’attrice? Una danzatrice? Partiamo a ritroso, da lei. Mary-Louise Fuller nasce in Illinois nel 1862. È donna, e omosessuale. Inizia a lavorare giovanissima, autodidatta, come attrice teatrale, danzatrice in spettacoli di folklore, operette, vaudeville, circhi, burlesque e teatro di varietà. Fa anche la manager, l’autrice teatrale e la coreografa, muovendosi tra

Parigi, Londra e New York. Il suo nome comincia a cambiare e prendere la forma di quel nome d’arte con cui oggi la ricordiamo. Prima La Louie, gioco tra la forma elisa del suo nome e il termine “l’ouïe” che in francese indica l’udito, e poi La Loïe, per corruzione dell’espressione medievale “l’oïe” che significa comprensione e ricettività. E la ricettività in lei è totale, massima. Assorbe tutto, dalla più piccola intuizione alle grandi scoperte scientifiche. Lei non risponde ai canoni di bellezza cui siamo abituati rivolgerci quando pensiamo ad una danzatrice: è robusta, e anche fortemente miope. Non è nemmeno una ballerina in senso stretto, perché non ha mai studiato danza. Eppure trasforma il mondo della danza. Nella sua autobiografia dice che questa rivoluzione è nata quasi dal caso. Un giorno, ballando davanti ad uno specchio, si rende conto di come i riflessi dorati del sole «si rincorrevano tra le pieghe di seta luccicante» del suo abito. E continua così: «in quella luce il mio corpo veniva appena rivelato sotto forma di una sagoma oscura. […] Avevo creato una nuova danza. Perché non ci avevo mai pensato?». E da questa intuizione crea davvero una nuova danza. Ingrandisce sempre di più il vestito, arrivando fino a 350 metri di stoffa che per fluttuare necessita di duri e costanti allenamenti. Tiene la stoffa allacciata al collo e usa delle bacchette come prolungamento delle braccia, per rendere ancora più ampia la possibilità del movimento. È vorace di tutto quello che sta accadendo nel mondo culturale e scientifico. Sfrutta le conoscenze degli studi sulla luce e il passaggio dall’illuminazione a gas a quella elettrica, e approfondisce le ricerche sull’influenza dei colori sugli organismi. Quegli enormi tessuti diventano per lei schermi, sui quali punta proiettori con vetrini colorati e utilizzando gelatine. È inarrestabile. Nel 1890 i coniugi Curie scoprono il radio e Loïe Fuller chiede loro di aiutarla a fabbricare delle ali di farfalla fosforescenti, dipinte con una vernice ricavata proprio dal radio. Dietro la leggerezza delle immagini che guardate e dei movimenti che state immaginando, c’è dunque tantissimo: allenamento, studio, connessione con una tecnologia in continua progressione, e la grande capacità di respirare e appropriarsi degli accadimenti del proprio tempo. Quello che vedete, ovviamente è “solo” arte. Un’arte che i suoi contemporanei non fanno a meno di notare. Di Loïe Fuller parla Stéphane Mallarmé, le rende omaggio Marinetti nel suo “Manifesto della Danza Futurista”, la ritrae Henri de Toulouse-Lautrec. E ne subiscono il fascino registi e grandi scenografi come Adolphe Appia e di Edward Gordon Craig. Niente male per una ragazzotta ritenuta piuttosto brutta e a cui probabilmente non avreste dato un centesimo… alla prossima farfalla, fateci un pensiero. Buona primavera!

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