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La ragione, il senso religioso e il potere

Il senso religioso di Franco Zadra

LA RAGIONE, IL SENSO RELIGIOSO E IL POTERE

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Un pensiero che è saltato in mente a tutti noi, almeno una volta nella vita, e sul quale abbiamo costruito spesso la nostra opinione riguardo alla religione, o forse più semplicemente alle “cose di Chiesa”, è che la ragione, il raziocinio, sia una cosa e lo Spirito, la fede, o il soprannaturale siano un’altra cosa. Tanto che comunemente si “pensa” che il credere sia un atto “irrazionale”, senza che la cosa ci ponga alcun problema. Per questo, un confronto tra fede e ragione sembra nella mentalità corrente, del tutto improponibile, e dire “lo dice la scienza” risulta molto più autorevole e di un’altra categoria di un “lo crede la Chiesa”. Ma basta riflettere un po’ più a fondo sulla nostra esperienza di esseri umani per capire che – come scrive Luigi Giussani – «proprio «per esperienza» viviamo moduli e fenomeni che non si riducono all’ambito biologico e fisico-chimico, e l’esperienza stessa nella sua totalità guida alla comprensione autentica del termine ragione o razionalità». La ragione è uno strumento del quale l’uomo – quel livello della natura in cui la natura si chiede «perché ci sono?» – è naturalmente dotato, per arrivare alla verità delle cose, senza riduzioni indotte da preconcetti o ideologie, come vedevamo la volta scorsa; una realtà che si dispiega in tutti i suoi fattori, illuminati proprio dalla razionalità. «La razionalità – scrive ancora Giussani – è la trasparenza critica, che avviene cioè secondo uno sguardo totalizzante, della nostra esperienza umana», e insiste, «la caratteristica dell’esistere proprio dell’uomo è quella di essere trasparente a sé stesso, cosciente di sé, e in sé di tutto l’orizzonte del reale». Il termine “ragione”, che un detto dialettale dileggia senza remore nel dire “la reson l’è dei aseni”, trova proprio nel “senso religioso” la sua più autentica applicazione; il senso religioso, dunque, come il vero volto della razionalità, poiché funziona come una sete inesauribile di quello per cui ha senso essere dotati di ragione, l’unica “ragione” per la quale esiste la ragione, cioè, la ricerca di un significato. Un’esigenza insopprimibile, questa del significato, che si pone prima o poi e per forza di cose contro quella fiducia nel potere, o anche quel agognare il potere che tanto ci preoccupa, quando non lo abbiamo, (che è in definitiva il rendersi autonomi da Dio, l’illudersi che l’uomo si salvi da sé), e che Giussani legge nella testimonianza dello scrittore Andrej Sinjavskij. Ateo, comunista inquadrato in quella logica di potere, per la quale perfino “Il libro della giungla” di Kipling era ritenuto una farsa letteraria al servizio del capitalismo, Sinjavskij, una volta convertito, si oppose a l’establishment comunista, e nel 1966 fu condannato a sette anni di lavori forzati presso un lager penale per attività anti sovietica e propaganda reazionaria contro il regime sovietico. Per Sinjavskij – che nel suo “Il libro della giungla” scrive: «Non bisogna credere per tradizione, per paura della morte, oppure per mettere le mani avanti. O perché c’è qualcuno che comanda e incute timore, oppure ancora per ragioni umanistiche, per salvarsi o per far l’originale. Bisogna credere per la semplice ragione che Dio esiste» –, “il reale”, o meglio, il realismo socialista, è giudicato un’illusione perché nega l’esistenza di quello che non si vede ma esiste. Possiamo, con Sinjavskij, intendere la ragione come un paio di occhiali speciali che ti permettono di osservare l’aldilà, alla faccia del “potere” che di volta in volta s’incarica di farti guardare da un’altra parte.

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