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Racconti d’Arte: Un lutto insolito

Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

UN LUTTO INSOLITO

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Joan Mitchell, Edrita Fried, 1981. Olio su tela, 295.3x760.7 cm - Joan Mitchell Foundation, New York | © The Estate of Joan Mitchell

In queste giornate la testa gira in loop su due chiodi fissi: Parigi e l’azzurro. Cosa avranno a che vedere l’una con l’altro? – vi chiederete giustamente. E cosa poi con una rubrica che racconta l’arte? Potrei iniziare con il dirvi che a Parigi si è appena svolta “Paris + Par Art Basel”, una nuova esperienza fieristica che ha incuriosito il mondo dell’arte monopolizzando per giorni le storie Instagram, gli articoli dei giornali di settore online, le chat con gli amici, e incrementando a dismisura la mia voglia di essere lì. Dovrei continuare poi spiegandovi l’azzurro… quello dei cieli incantevoli di ottobre, quello – più tendente al blu – di un maglione ipnotico di mia nonna. Quello chiaro della giacca appena arrivata in regalo, quello che esce dagli anni Settanta dai mari spessi dell’artista Paul Thek e ancora quello, una via di mezzo con il verde, che contraddistingue il fondale salmastro di un allestimento, anch’esso per coincidenza parigino. Ma è stato quasi all’improvviso che Parigi e l'azzurro hanno combaciato alla perfezione, sfogliando un giornale, e divorando immagini una dopo l’altra. Ha inaugurato da pochissimo alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi – in collaborazione con il Musée Marmottan Monet – la mostra “Monet-Mitchell”, che mette in dialogo le ultime opere di Claude Monet (1840-1926) con quelle di Joan Mitchell (1925-1992). È la storia di una relazione fatta di tocchi a distanza, di luoghi in cui gli artisti hanno entrambi vissuto, di albe in cui uscendo hanno incontrato lo stesso viola, di influenze, di pennellate sempre più libere e sciolte, di tele di grandi formati – vi siete mai chiesti quale coinvolgimento fisico comporti la realizzazione di un grande dipinto? – di giardini, laghi e stagni. Di attenzioni a luci e spazi. Di risonanze. Guardate adesso il quadro. Risale al 1981. L’autrice è Joan Mitchell, artista americana che ha vissuto lungamente in Francia. Immaginatelo occupare una grande parete: si tratta di un olio su tela, un quadrittico lungo sette metri e mezzo circa e alto quasi tre. Il titolo è “Edrita Fried”, nome di un’amica dell’artista, una psicanalista da poco deceduta. Non storcete subito il naso perché vi sembra di non capire cosa ci sia raffigurato. Mitchell ci dice di cosa si tratta: «Il mio dipinto è astratto, ma è anche un paesaggio senza essere un’illustrazione»[1]. Non è un paesaggio copiato punto per punto, ma restituito dopo averne fatta l’esperienza, trascrivendo le sensazioni. Eppure, anche senza imitazione della natura, non facciamo fatica a leggere un cielo, acqua, piante, e fiori, mescolati con una forte luce che si tende fino a evadere i bordi nel tentativo di non chiudere troppo lo spazio aperto. È un luogo che racconta una persona, Edrita Fried, e mi fa pensare subito al diario del lutto scritto da Roland Barthes e al suo continuo riportare alla presenza fisica e spaziale l’assenza della madre[2]. L’azzurro di cui parlavamo prima, è ovunque. Da sinistra a destra, si muove in un crescendo notevole che abbraccia, lega e coinvolge tutto: il viola,

l’arancio, il marrone, il giallo, il bianco del primer, proprio quello che ci dà l’impressione di una spinta fortissima oltre la tela. Anche le tinte più brillanti vengono trascinate nella tristezza del lutto, ma credo siate d’accordo con me nel pensare che non c’è niente di irreversibile, non c’è indugio nel dolore. C’è energia, comunque. Rubo allora il titolo dell’articolo a quello di un libro di Yewande Omotoso, e vi dico che per me è un lutto insolito[3]. Quello di Joan Mitchell come quello della protagonista del libro, Mojisola, che cercando di mettere assieme e conoscere i frammenti di vita della figlia persa appenderà alle pareti i disegni trovati nella città in cui la ragazza era andata a vivere. Evocazione di una persona e dei luoghi che le appartenevano, ancora una volta. Ma il suo lutto non si fermerà qui, e avrà il gusto di una rinascita, di un vigore nuovo. Chiudo citando la frase finale del testo scritto per il catalogo “Monet-Mitchell” da Suzanne Pagé, curatrice della mostra: «In un momento della loro vita in cui Monet e Mitchell stavano vivendo in melanconica solitudine, in uno stato simile di sofferenza, tristezza e lutto, noi sentiamo, al di là di tutto, il trionfo della pura gioia della pittura, una gioia di vivere, di quelle che ci invitano a condividerle con vertiginosa e abbagliante emozione.»[4] Mitchell ci fa sentire, condividere, e nostra diventa la vertiginosa abbagliante emozione, nostro il lutto. Entrambi accordati con lei, e con Monet, Barthes, Omotoso. Con chiunque si perderà nelle sale della Fondazione Louis Vuitton, o guarderà a pieno un dipinto. Poteri salvifici dell’arte. *Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

[1] Intervista del 1982 citata in Suzanne Pagé, Prefazione al catalogo “Monet-Mitchell” presente nella cartella stampa della mostra “Monet – Mitchell”, 5 ottobre 2022 – 27 febbraio 2023, Fondazione Louis Vuitton, Parigi. [2] Roland Barthes, Journal de deuil, Édition du Seuil / Imec, Parigi 2009; (trad.it) Dove lei non è, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 2010. [3] Yewande Omotoso, An Unusual Grief, Cassava Republic Press, Londra 2021; (trad.it) Un lutto insolito, 66thand2nd, Roma 2022. [4] Suzanne Pagé, op.cit.

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