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Il personaggio: Anita Berber

Il personaggio di Alice Vettorata

ANITA BERBER

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Anita Berber si muove sulla scena in modo accattivante e frenetico mentre il suo volto è quello tipico del cinema muto degli anni venti. Occhi appesantiti da un intenso trucco scuro per enfatizzarne l’espressività e per poter risaltare nelle riprese la gonna, che a sua volta crea dei movimenti interessanti mentre lei danza sul palco. Sembra essere pienamente a suo agio mentre viene ritratta dalla cinepresa in preda a una danza ipnotica. Questo probabilmente perché la sua carriera iniziò presto, all’età di sedici anni, trasferendosi da Dresda, la città in cui visse con la nonna causa il divorzio dei genitori, a Berlino, un ambiente ricco di opportunità. Arrivando nella capitale portò con sé un bagaglio personale non da poco: i suoi studi di danza intrapresi con l'insegnante Rita Sacchetto, ballerina e attrice del cinema muto di spicco. A Berlino, quindi, inizia a lavorare nell’ambito artistico, dapprima come modella e successivamente dedicandosi quasi esclusivamente alla danza e al cinema. Fino a questo punto potrebbe trattarsi della biografia di diverse ragazze che cercando una carriera e futuro migliori, durante il periodo della Repubblica di Weimar, si trasferirono in centri urbani ricchi di opportunità. La Berber però fu uno di quei casi che si contraddistinse, detenendo primati interessanti e talvolta controversi rispetto alle sue colleghe. Lo stile di vita che iniziò a seguire a Berlino contribuì a renderla celebre tanto quanto stavano già facendo le sue doti artistiche. Le movenze della sua danza, capaci di riempire le stanze dei cabaret, erano caratterizzate anche dal vestiario assente della ballerina. Fu la prima infatti a calcare i palcoscenici di Weimar nuda, solo con la sua corta chioma di capelli a caschetto tinta di rosso. I titoli che Anita Berber decideva di associare a ciascuna sua coreografia esplicitavano un altro motivo per cui il suo atteggiamento veniva considerato stravagante e pericoloso. Ai numeri venivano dati nomi come ”Morphium” o “Cocaine”, per citarne alcuni. Cocaina, morfina e oppio, oltre all’alcolismo, furono le dipendenze principali delle quali soffriva e che tragicamente la resero interessante agli occhi del pubblico. La sua vita privata era diventata l’opera d’arte da osservare, così distante da quella comune. Arrivò a oscurare le sue abilità, rendendola un bersaglio della curiosità morbosa dei suoi contemporanei. Ciò non la ostacolò però nel proseguire la sua carriera prendendo parte a venticinque pellicole in soli sette anni, tra le quali alcune firmate da Fritz Land. Le movenze nei film erano quelle tipiche della danza espressionista tedesca sotto la Repubblica di Weimar, caratterizzata da pose plastiche come quelle presenti nel celebre film “Metropolis”. Come avviene ancora oggi, la vita degli artisti viene spesso amalgamata con la loro sfera privata e così accadde per la Berber, sulla quale spesso si scrisse della sua bisessualità, dei matrimoni falliti e delle azioni viste come trasgressioni dal suo pubblico. Una vita simile, ricca di curiosità e talento, è stata, ed è ancora oggi, una fonte d’ispirazione importante. Anita Berber fu molto vicina ai Dadaisti, lavorò con il direttore teatrale espressionista Max Reinhardt, stregò l’artista Hannah Höch con un libro intitolato ”Dances of Vice, Horror and Ecstasy”. Una delle immagini più note che è possibile trovare su Anita Berber è il ritratto realizzato da Otto Dix nel 1925, il quale la ritrasse con l'iconico caschetto rosso ma stranamente vestita, nonostante si fosse messa in posa come danzava, senza veli. Il caschetto rosso rimane in una recente illustrazione dell’artista Elisa Talentino, che con pennellate ben studiate sembra ritrarre la vera essenza di Anita Berber. Rapida e fugace, come la sua vita. Una breve danza giunta al termine a soli ventinove anni.

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