4 minute read

La censura e la libertà di stampa

Tra passato e presente di Franco Zadra

La nascita della censura e la libertà di stampa*

Advertisement

Tutti i sistemi politici dell’ultimo secolo hanno imposto delle limitazioni alla comunicazione pubblica e privata. Storicamente, il primo limite imposto è stato quello della censura militare a salvaguardia della sicurezza nazionale. Quello più famoso è il celeberrimo caso Dreyfus, con il sovrapporsi di diversi metodi di censura, fino anche a quella che oggi viene chiamata autocensura, cioè la scelta deliberata da parte degli organi di stampa di non divulgare una notizia conosciuta.

Dreyfus era un ufficiale dell’esercito francese alla fine dell’Ottocento, tra i pochi di origine ebraica riuscito a salire nelle gerarchie militari, accusato sulla base del ritrovamento di alcune carte nel cestino del suo ufficio, di essersi proposto di vendere all’esercito tedesco dei segreti militari. Lo scandalo esplose violentissimo: Dreyfus fu accusato di essere una spia e un traditore del suo paese. Fu arrestato, processato, condannato alla deportazione nella Guaiana, una colonia penale in America Latina tra le più terribili della Francia di allora, malgrado le prove addotte non fossero affatto convincenti. I giornali francesi, scelsero di parlarne il meno possibile, di non occuparsi direttamente delle indagini, e di non presentare le prove che nel frattempo alcuni andavano raccogliendo sulla innocenza di Dreyfus. Poi arrivò la bomba! Prima le Figarò, poi Emile Zolà, pubblicarono delle violentissime accuse ai militari francesi di avere fabbricato le prove e di avere condannato un innocente. Dreyfus fu riportato in Francia, riprocessato, condannato soltanto a 10 anni, alcuni anni dopo gli fu concessa la grazia, e quando morì, la stampa francese ne parlò con un certo distacco e incertezza, mostrando di nutrire ancora dei dubbi sulla vicenda, con l’esito di smussare il problema sollevato da Zolà e da altri intellettuali francesi, della libertà individuale di poter dimostrare la propria innocenza, la discussione sulla modalità di conduzione dei processi, e la legittimità di alcune sentenze. Un caso che portò per la prima volta l’intera Europa, ma anche gli Stati Uniti, a discutere su quali dovessero essere i limiti, i ruoli, e le funzioni della stampa. Il primo grande esperimento di censura fuori della Francia, ma che coinvolse anche questa, fu la Prima guerra mondiale, quando tutti i paesi europei hanno messo a punto dei sistemi di controllo sulla stampa. Limitazioni introdotte già con l’avvicinarsi della guerra, sempre più severe, alle notizie che potessero riguardare la sicurezza dello Stato, interpretata però in maniera molto più rigida che in passato. «Il nemico ti ascolta!» è il motto emblematico del pericolo percepito dagli stati che imponevano limitazioni alla stampa. Ma sui giornali non c’erano soltanto notizie di carattere strettamente militare. Vi erano anche notizie sul, cosiddetto, “spirito pubblico”.

Tra passato e presente

L’opinione pubblica era a favore della guerra? I giornali cosa ne pensavano? Gli editorialisti come si schieravano davanti alla possibilità che il proprio paese venisse coinvolto in una guerra? La censura fu quindi da subito allargata in maniera diffusa secondo un meccanismo che, con l’inizio della guerra, fu perfezionato in ogni minimo dettaglio. Il Comando supremo, in Italia come negli altri paesi, stabilì che i giornali, prima di essere pubblicati, dovessero venire sottoposti al controllo di un prefetto, in molti casi un funzionario nominato dal prefetto, che leggeva i giornali prima della loro pubblicazione e stabiliva cosa poteva venir pubblicato e cosa no. Spesso la censura si limitava alla cancellazione di alcuni articoli, e i giornali uscivano con articoli in bianco, o semplicemente con la cancellazione di alcune righe. Particolare è il caso dell’Italia poiché quasi tutta la stampa italiana si schierò a favore della guerra. Quindi i direttori di giornali e gli stessi giornalisti, consapevoli della posizione del proprio giornale e dei meccanismi di censura, si autocensuravano non presentando al prefetto dei pezzi che potessero essere in qualsiasi modo considerati come pericolosi per la sicurezza nazionale. La censura, in apparenza, fu esercitata in modo limitato, ma perché ne esisteva una a monte fatta già dai giornalisti. L’Avanti! che si attestava su posizioni socialiste, fu invece colpito duramente dalla censura, presentando pubblicazioni di pagine con larghi spazi in bianco, lasciando al lettore l’impressione che il giornale avesse qualcosa da dire, ma non era stato autorizzato a dirlo. Questo meccanismo trova corrispondenza in un altro, molto più sofisticato, che si sviluppò insieme alla censura: il cosiddetto Servizio P, cioè la propaganda. Questo Servizio P aveva lo scopo non solo di impedire ai giornalisti di pubblicare notizie pericolose, di mantenere alto lo spirito pubblico, ma anche la funzione di mantenere alto il livello di partecipazione dei soldati, spiegando loro i motivi per i quali si combatteva e quali erano gli obiettivi. Una censura che si estendeva quindi anche al controllo delle corrispondenze private da e per il fronte. Il Servizio P creò poi dei nuovi giornali, destinati in primo luogo ai combattenti e alle regioni interessate dal conflitto, alcuni dei quali ebbero diffusione anche nel paese. Giornali di trincea che testimoniavano che il ruolo dei giornalisti non fosse solo quello di attenersi alle strettissime regole della censura, ma anche quello di raccontare l’eroismo dei soldati, la loro partecipazione allo sforzo bellico, e, come nel caso dell’Italia, le ragioni della vittoria. Una stampa che si fa carico quindi, in maniera molto più sottile del mero controllo sulla diffusione delle notizie, di esaltare lo spirito pubblico, convincere i soldati, e compattare le masse, propiziando un esito positivo all’immenso sforzo bellico.

*Questo articolo ha come fonte principale un corso del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo, tenuto da Dario Biocca, docente di storia contemporanea.

This article is from: