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Uomo, ecologia e ambiente
Uomo, ecologia e ambiente di Caterina Michieletto
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Siamo giunti alla coda di un’estate assediata dal mal tempo, in cui abbiamo vissuto i segni tangibili del cambiamento climatico, nodo urgente nelle agende politiche di ogni governo. Oggi quello che ci chiediamo con insistente preoccupazione è: “cosa possiamo fare, qui ed ora, non per contrastare, ma per rallentare il riscaldamento globale?” La risposta a tale quesito, non più differibile, è stata al centro dell’incontro con Luca Mercalli, Presidente della Società meteorologica italiana, tenutosi il 25 luglio a San Gregorio Nelle Alpi, organizzato dalla Consulta Giovani e dalla Proloco di San Gregorio Nelle Alpi. Mercalli ha presentato il suo ultimo libro “Salire in montagna: prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale”, diario che racconta la scelta della montagna non solo come passione e come tema del suo lavoro, ma da tre anni come scelta di vita, di ciò che l’autore stessa chiama “migrazione verticale”.
Di questo investimento nel futuro ambiente montano approfondiamo i “come” ed i “perché” con IL
Prof. Luca Mercalli.
L’INTERVISTA
La parola chiave della sua esposizione è stata “ristrutturazione”: una ristrutturazione del nostro modo di vivere e del capitale immobiliare esistente. Un’operazione non priva di difficoltà: la matassa della burocrazia è senz’altro “un freno a mano” rispetto al motore del cambiamento. È uno dei problemi maggiori in Italia: introdurre la burocrazia significa far lievitare i costi, dilatare i tempi tanto da indurre qualcuno addirittura a rinunciare. Ristrutturare una casa o una vita richiede un grande impegno rispetto ai limiti delle nostre forze e delle potenzialità di una persona e di una famiglia. Quando si affronta la fase iniziale di vendita dell’immobile con la frammentazione fondiaria e i cavilli notarili si perde molto tempo e si devono affrontare delle spese inutili, ad esempio la tassa di registro sui terreni che viene applicata per transazione e non su m2, senza differenziare in modo proporzionale all’estensione del terreno. Spesso non si considera neanche la differenza tra il valore di mercato ed il valore venale dell’immobile? Esatto, oppure non c’è neppure una correlazione con il valore del terreno: nel senso che è applicata tanto per un terreno a Milano che potrebbe valere migliaia di euro in termini di valore immobiliare, come per un pezzo di pietraia in montagna che anche se non vale nulla, può avere un valore altissimo sul piano della funzionalità, specie nelle piccole borgate, dove lo
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spazio è preziosissimo dal punto di vista operativo. Un altro aspetto problematico è la normativa relativa alla progettazione della ristrutturazione delle case. Qui si entra nel gorgo delle normative regionali e nazionali, comprese quelle per i bonus energetici, che si cumulano e si contraddicono le une con le altre. Ci sono uffici tecnici in cui c’è una certa apertura e disponibilità, mentre ce ne sono altri che si proteggono a priori con sbarramenti ad ogni proposta. Ci vorrebbero maggiore elasticità e criteri generali che sono quelli del valore storico-locale, senza puntarsi su dettagli tecnicamente irrilevanti che possono bloccare un’intera attività. Un’applicazione dei vincoli urbanistici improntata alla ragionevolezza e alla flessibilità? Specialmente flessibilità, in particolare con riguardo alle case vecchie dove certe volte ci sono dei vincoli strutturali che possono veramente far cambiare il senso dei progetti e i costi. Mentre la casa nuova nasce dal nulla, perciò si può sempre cambiare sul progetto senza che succeda nulla, nella casa vecchia non è possibile farlo. Con riferimento ai criteri con i quali programmare questa migrazione verticale, ha parlato dell’assenza di una legge sul divieto di consumo di suolo. È un problema nazionale che non riguarda solo la montagna ma prima di tutto la pianura, dove il suolo è stato consumato in maniera drammatica. La legge non c’è: è in discussione dal 2012 ma nessuno la vuole firmare. Eppure, il divieto di consumo di suolo sarebbe un principio di sostenibilità ambientale, economica e sociale? Assolutamente. La vulnerabilità del territorio aumenta e non sarà più possibile riparare dopo, perché è talmente estesa che avrebbe dei costi e dei limiti fisici insuperabili, sarebbe impensabile. L’unico modo è fermarsi oggi e risparmiare quel poco territorio che ancora non è stato compromesso. La tutela del paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema sono costituzionalmente sancite, ma come tanti precetti costituzionali rimangono allo stato di potenza senza passare alla messa in atto. La Costituzione italiana non mette l’ambiente al primo posto e questo ha una sua ragione storica: è solo da poco tempo che si cerca di dare un valore costituzionale all’ambiente, in maniera trasversale, cioè attraverso la tutela della salute (art. 32) e sul piano estetico mediante la tutela del paesaggio (art. 9). Tuttavia, mancano tutti i principi fondamentali dal punto di vista scientifico. Talvolta l’attenzione all’ambiente si riduce alla raccolta differenziata, piccoli gesti che sono importanti, però non viene percepito il concetto dell’ecologia, cosa molto più profonda, ramificata con tante materie che si intersecano. Tutto ciò è mancato, si comincia solo ora a parlarne.
Siamo ancora in una logica per cui la tutela dell’ambiente e le libertà economiche sono due aspetti escludenti oppure possiamo dire di aver aperto effettivamente il capitolo della “green economy”? Purtroppo, siamo ancora in una situazione di forte conflitto. C’è un sentimento popolare che vede i temi ambientali come un ostacolo all’attività economica, senza rendersi conto che sono la base della qualità della vita. Poi c’è l’aspetto dello sfasamento temporale: quando facciamo una predazione delle risorse naturali spesso non vediamo immediatamente il danno, che diventerà più visibile in futuro. È anche vero però che spesso i segnali si manifestano nel breve termine. Pensiamo anche solo agli inquinamenti dei PFAS nel vicentino: l’acqua nella falda rimarrà inquinata in maniera persistente per secoli penalizzando le persone di quel territorio. Nel libro descrive la scelta dell’efficienza energetica come un investimento: per l’ambiente, per la qualità della vita e per la bolletta. Dunque, oltre ad essere una scelta eticamente imperativa rappresenta anche un’opzione economicamente persuasiva? Quando parliamo di efficienza
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nell’uso delle risorse parliamo anche di minori spese per la fornitura dell’energia e delle materie prime. Se spreco poco e riesco ad utilizzare energia rinnovabile ne guadagna anche la mia bolletta, quindi c’è anche un ritorno economico, ma non in tutto. Nel senso che spesso la” green economy” la si fa solo dove conviene; invece, bisogna anche fare delle rinunce cioè bisogna anche “non fare” certe cose a priori, anche se avrebbero una certa convenienza economica. La definizione calzante di principio dello sviluppo sostenibile? La definizione canonica dello sviluppo sostenibile è fare in modo che non ci siano compromissioni della qualità della vita e dell’ambiente per le generazioni future. Nell’attuale sistema economico, fondato sulla crescita, non è possibile alcuno sviluppo sostenibile, perché è negato dal dogma della economia di mercato, cioè la crescita infinita in un pianeta finito. Non è possibile fondare il sistema su una crescita continua. Dovremmo essere consapevoli dei limiti: questa sarebbe la grande acquisizione che metterebbe a posto tutto. Al proposito si è affermato il concetto di “decrescita felice”. Se parliamo di “decrescita felice” dobbiamo distinguere… Un conto sono le leggi fisiche che sono inflessibili: non è possibile la crescita infinta in un pianeta finito. Poi ci sono le modalità antropologiche e politiche di declinare questo principio. La decrescita ha senso nei Paesi occidentali ricchi che sprecano molto, ma non nei Paesi poveri dove bisogna ancora crescere almeno al livello di potersi assicurare una vita dignitosa. La decrescita non è come un principio fisico che vale ovunque, perché ha già una sua connotazione locale e culturale, tipica più di una situazione dei Paesi occidentali, dove effettivamente è necessaria. Io stesso ho fatto della decrescita a casa mia: prima usavo 1000 m3 di gas per scaldarmi adesso ne ho azzerato il consumo. Il cambiamento climatico sta avvenendo qui e adesso. Possiamo tornare ad un clima sano? Si possono solo limitare le conseguenze, perché è già diventato irreversibile nella sua forma attuale, che per fortuna è ancora ai suoi primi passi. Non possiamo più guarire: guarire è tardi ma possiamo limitare l’entità dei sintomi. Dalla Convenzione di Rio del ’92 l’impegno per la riduzione delle emissioni di CO2 è rimasto lettera morta. Perché non sono stati accolti i ricorrenti appelli della comunità scientifica? Per interessi economici, per incapacità di rendersi conto che i danni che facciamo sono irreversibili, si è cercato in tutti i modi di ignorare le misure che si dovevano prendere quando forse avrebbero avuto un effetto più efficace se le avessimo cominciate trent’anni fa. Tutti i provvedimenti di prevenzione richiedono qualche rinuncia iniziale, che non si è stati disposti a fare. Scetticismo perché si pensava che fosse un problema lontano? Mancanza di coesione politica globale sul contrasto al cambiamento climatico? L’interesse di colossi dell’industria mondiale, che traggono beneficio da regolamentazioni ambientali permissive, ad alimentare la “macchina della negazione”? Tutti questi fattori hanno concorso alla realtà di emergenza climatica che viviamo oggi. Nel cambiamento climatico non c’è una responsabilità unica e totale: c’è la responsabilità sia di singoli individui sia della collettività. Quanto da ora in avanti potremo fare in termini di contenimento sarà fondamentale per ammortizzare gli effetti del cambiamento climatico. Economia circolare, riqualificazione energetica, ripensamento dello stile di vita delle persone saranno il “vocabolario” con cui dovremo scrivere il nostro domani.
Un sentito ringraziamento al Professore Luca Mercalli per la gentile disponibilità e preziosa collaborazione.