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Tra presente e passato: a caccia con i rapaci
Tra presente e passato di Alvise Tommaseo
A CACCIA CON I RAPACI come rivive un'arte antica
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Un urlo breve e secco si alza dalla vallata ed il bellissimo rapace, che vola alto sul bosco, cambia repentinamente direzione e si dirige in picchiata verso il prato che circonda un’elegante abitazione immersa nel verde. Il falco, un incrocio tra la specie Pellegrino e Sacro, ha sentito nitidamente il richiamo di Matteo ed ha capito che è arrivata l’ora del pranzo, naturalmente a base di carne cruda che, lanciata in aria dal suo padrone, viene intercettata dal rapace ad una decina di metri di altezza. Una scena magnifica che si ripete spessissimo, nella vallata feltrina, soprattutto in questa stagione fino ad inverno inoltrato.
Grazie ad Alvaro ed a Matteo Bassani, padre e figlio rispettivamente di 72 e 39 anni, da sempre residenti nella bella località di Seren Del Grappa, l’antica arte della falconeria continua a vivere, con i suoi riti e le sue millenarie tradizioni, anche nella provincia di Belluno.
La loro passione risale ad una ventina di anni fa, all’inizio del nuovo millennio, quando decisero di partecipare ad un corso di falconeria organizzato a Bassano del Grappa. “Fin da ragazzino – racconta Alvaro Bassani, imprenditore oggi in pensione – rimanevo affascinato dal volo dei falchi e delle poiane che numerosi solcavano la nostra vallata. Il loro volteggiare, veramente maestoso, mi continua ad incuriosire ed a incantare.”
A parere di Matteo, insegnante di informatica, il fenomeno più interessante è quello dell’ascesa dei rapaci, senza battito d’ali, a seguito delle correnti di aria calda, fino ad altezze incredibili che arrivano a sfiorare i duemila metri. “Si tratta della stessa tecnica – spiega il giovane falconiere – adottata dagli alianti e dai parapendii. Grazie al calore del sole, il terreno si scalda facendo in modo che si formi una sorta di bolla d’aria tiepida che, essendo meno densa è più leggera di quella che la circonda, si stacca dal suolo per dirigersi verso l’alto. I rapaci si accorgono di questo fenomeno naturale ed entrano nelle correnti ascensionali. Così, senza battere le ali e con il minimo sforzo, si alzano nel cielo, volteggiando lentamente da veri
Tra presente e passato
dominatori degli spazi aerei.” Quale è la tecnica che contraddistingue l’arte venatoria della caccia con i rapaci? “La falconeria – ribatte Matteo – è la perfetta simbiosi tra l’uomo e l’uccello e si distingue, in modo netto, in due branche: la caccia con gli uccelli di alto volo e quella con i rapaci a volo basso. Al primo gruppo appartiene sicuramente il falco pellegrino. Gli esemplari appartenenti a questa specie, una volta liberati, si posizionano a circa duecento metri di altezza. A quel punto il cacciatore può fare partire dal suolo, o dallo specchio d’acqua, il selvatico, solitamente una pernice, una quaglia, un fagiano o un’anatra. Il rapace appena si accorge della potenziale preda si getta in picchiata nel tentativo di catturarla. Diversa è la strategia dei rapaci a basso volo, tra i quali primeggia l’astore. In questo caso si concretizza una caccia ad inseguimento diretto: il falconiere si muove tra la campagna o la boscaglia, tenendo posato sul polso il rapace, che lancerà in volo solo quando la preda scovata abbandona il nascondiglio per darsi alla fuga.” A questo proposito Alvaro, forte della sua esperienza e saggezza, precisa “che il bello della caccia è la sua imprevedibilità; tante volte la preda si rivela più furba dei falchi, i cui attacchi spesso non vanno a buon fine. Ma questo succede anche in natura e, quindi, va benissimo anche così: il vero falconiere si entusiasma per la correttezza del volo del proprio uccello, per l’obbedienza ai comandi del conduttore; non certo per il numero dei selvatici catturati.” La famiglia Bassani ha un tale amore per i rapaci che è riuscita a fare realizzare, da un esperto fabbro di Seren Del Grappa, il cancello di ingresso al proprio giardino con impressa l’effigie di due bellissimi rapaci. Alvaro e Matteo hanno la falconeria nel rispettivo Dna. Nella loro lunga esperienza di allevatori - addestratori hanno ospitato, nelle ampie voliere del giardino, un grande numero di uccelli appartenenti a varie specie di rapaci, la maggior parte diurni, ma non sono mancati quelli notturni come il barbagianni. “Abbiamo iniziato – ricordano – con la poiana di Harris, di origine americana che è facile alla socializzazione. Purtroppo il bell’esemplare, a cui eravamo molto affezionati, è stato ucciso da un
contadino della zona perché aveva attaccato le anatre di sua proprietà. Dopo questa spiacevole esperienza siamo passati, in una prima fase, all’Astore, al Nibbio Reale, al Girifalco, al Lodolaio e poi ai falchi Pellegrini e Sacri, oltre che agli Sparvieri.” La loro conoscenza, nei decenni, si è fatta talmente completa che, addirittura, le stesse Guardie Provinciali chiedono la loro collaborazione quando viene reperito sul territorio un rapace selvatico in difficoltà, a condizione che non abbia,
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ovviamente, bisogno di cure veterinarie. Altre volte Alvaro e Matteo Bassani vengono chiamati per le dimostrazioni a scopo didattico. “E’ capitato – sottolineano - che vengano da noi delle scolaresche per vedere i rapaci in volo; altre volte ci spostiamo con i nostri animali su richiesta di qualche associazione o gruppo di persone interessate ad una dimostrazione.” Ma quali sono i maggiori pericoli che mettono in pericolo i rapaci selvatici? La cultura del rispetto dell’ambiente e delle specie animali, in questi ultimi decenni, fortunatamente, ha fatto proseliti. Il bracconaggio, che pur persiste, si è comunque drasticamente ridotto ed anche gli agricoltori non fanno più un dramma per la perdita di una gallina o di un’anatra. “I danni maggiori – sot-
tolinea Matteo – sono imputabili ai cavi della corrente elettrica, sia quelli ad alta che a bassa tensione. Quando le ali di un rapace fanno ponte, l’uccello rimane inesorabilmente folgorato. Bisogna, quindi, intervenire sulle linee elettriche più pericolose.” Il periodo di maggior diffusione della falconeria in Italia ed in Europa è stato sicuramente il medioevo, lo testimoniano vari quadri ed affreschi dipinti un po’ in tutti i Paesi. Ma ci sono anche degli interessanti mosaici che ci ricordano come anche gli antichi Romani cacciassero gli uccelli con l’ausilio dei rapaci notturni. Tra tutti si cita quello magnifico conservato, in provincia di Treviso, nelle sale del museo di Oderzo; nella fattispecie viene rappresentata la cattura delle allodole grazie all’aiuto delle civette, pratica venatoria che è stata praticata nei nostri territori fino agli anni ’60
del Novecento. Il futuro della falconeria? “Purtroppo – ribattono all’unisono Alvaro e Matteo – tenere ed addestrare un rapace è estremamente impegnativo. Si tratta di uccelli meravigliosi che abbisognano di cure continue e costanti. Chi li detiene deve dedicare loro tanto tempo per tutto il corso dell’anno. Si tratta di un sacrificio, che regala però tante soddisfazioni, ma che non tutti sono disposti a fare. Noi fortunatamente siamo in due e, quindi, quando uno di noi si allontana da Seren Del Grappa c’è sempre l’altro presente. Ma non tutti hanno questa fortuna ed opportunità.” La vallata feltrina, nella speranza che qualche giovane si avvicini a questa antichissima disciplina venatoria, può intanto dormire sonni tranquilli: finché ci saranno i Bassani la falconeria continuerà a vivere in questo bellissimo territorio ed i rapaci da loro addestrati volteggeranno anche nel prossimo futuro nei cieli del bellunese.