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Fiume: storia di un’impresa

Ieri avvenne di Chiara Paoli

Fiume, storia di un’impresa

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Dal Palazzo del Governo di Fiume, il 12 settembre 1919, si leva potente ed evocativa la voce di Gabriele D'Annunzio «Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume.»

La frustrazione di una “vittoria mutilata” solleva gli animi e muove gli eserciti, che sostenuti dal poeta vanno ad occupare la “terra promessa” con il patto di Londra, firmato il 26 aprile del 1915. Bisogna tenere conto non soltanto dei patti firmati dall’Italia prima di entrare in guerra, ma anche di quelli che sono i dati che emergono dai censimenti dell’epoca, che evidenziano come circa la metà della popolazione fiumana, parlasse correntemente l’italiano, a dispetto di un quarto parlanti il serbocroato, cui si aggiungevano minoranze di lingua slovena, ungherese e tedesca. La stessa città di Fiume voleva entrare a far parte del Regno d’Italia; nell’ottobre del 1918 si era già costituito a Fiume un Consiglio nazionale, con presidente Antonio Grossich, a favore dell’annessione all’Italia. Ma le trattative a Parigi, nell’aprile del 1919 non vanno come gli italiani si aspettano, a causa della forte opposizione del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che concede Trento e Trieste, ma non vuole cedere per quanto concerne Fiume e la Dalmazia. E' proprio in conseguenza dell’abbandono del tavolo delle trattative, da parte di Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, che si forma il primo nucleo della Legione Fiumana, creata su base volontaria per volere di Giovanni Host-Venturi e Giovanni Giuriati, intenzionati a difendere la città dal giogo di altre nazioni. Mentre la popolazione tutta insorge fortemente a sostegno dell’italianità di Fiume, i militari francesi si oppongono, strappando il tricolore che le donne portavano ben in vista, scoppiano quindi tafferugli e tumulti, che a partire dal 29 giugno si protraggono per una settimana, venendo ribattezzati come “Vespri fiumani”. Gli scontri lasceranno sul campo 9 morti e molti feriti. Arriva quindi l’intervento di Parigi, che impone lo scioglimento del Consiglio Na-

zionale Fiumano ed il ritiro delle truppe italiane, ingiustamente accusate di aver provocato i disordini. Il presidente Grossich però non demorde ed incontra il poeta D’Annunzio a Roma il 30 giugno 1919, per chiedergli di fare da guida alla resistenza. In risposta viene chiesto l’allontanamento da Fiume dei Granatieri di Sardegna, comandati dal generale Mario Grazioli, che lascerà la città il 25 agosto, per accamparsi in quel di Ronchi, da dove venne inviata una lettera al Vate Gabriele D’Annunzio, perché li

raggiunga, con il suo esercito. Un’influenza causerà qualche giorno di ritardo nella partenza del poeta, che il giorno precedente si decide anche a scrivere una lettera a Mussolini, per chiedere il suo aiuto: «Mio caro compagno, il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile...Sostenete la Causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.» Seguiranno 16 mesi di occupazione da parte dell’esercito Dannunziano, con l’affermazione nell’agosto del 1920, di uno stato indipendente, la Reggenza Italiana del Carnaro. Tanti mesi di battaglie, porteranno infine alla firma del Trattato di Rapallo, che in data 12 novembre 1920 riconosce l’indipendenza di Fiume. Ma D’Annunzio non intende scendere a compromessi e dopo alcuni giorni rifiuta il testo, scatenando l’ultimatum da parte del generale Caviglia. Seguono quindi i giorni del cosiddetto “Natale di sangue”; il primo attacco viene infatti sferrato alla Vigilia, per proseguire nei giorni 26 e 27 dicembre; diverse decine le vittime degli scontri, che inducono il Vate alla resa di fine anno, rassegnando le proprie dimissioni, con una lettera al generale Ferrario «Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919 e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei Rettori adunati in Governo Provvisorio. Io lascio il Popolo di Fiume arbitro unico della propria sorte, nella sua piena coscienza e nella sua piena volontà... Attendo che il popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore, la mia vittoria.»

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