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Accade nel mondo: Israele, garanzia di sicurezza
Accade nel mondo
di Guido Tommasini
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ISRAELE: GARANZIA DI SICUREZZA
MA ANCHE SALVAGUARDIA DEI DIRITTI UMANI
La situazione palestinese sotto l’occupazione israeliana è stata analizzata in continuazione da almeno cinquant’anni sotto tutti i punti di vista. Ormai tutto quanto succede in quello spazio politico non ha più bisogno di analisi anche perché sarebbero tutte ripetitive, una macabra routine di poche parole: occupazione israeliana, manifestazioni palestinesi, repressioni talvolta con qualche morto e consolidamento dell’occupazione. Lo scenario si sviluppa da anni sulla quella virtuale linea di demarcazione che contrappone le legittime istanze di un popolo con le altrettanto legittime garanzie di sicurezza di uno Stato. In questo contesto si rileva che ultimamente hanno trovato la morte due giornaliste che seguivano le manifestazioni di protesta palestinesi. Si tratta di Shireen Abu Akleh e Ghofran Warasnah. La prima era la famosa giornalista americana di Al Jazeera, cinquantunenne di origini palestinesi uccisa da un colpo partito da un convoglio militare israeliano il giorno 11 Maggio 2022, nonostante avesse la scritta – Press – impressa a caratteri cubitali sul giubbotto. Secondo il Washington Post, che ha fatto analizzare 60 video sulla sua uccisione collegandoli con i lampi degli spari, le risultanze parlano da sole: il colpo è partito dal convoglio. L’indagine dell’agenzia OHCHR dell’ONU ha definitivamente stabilito che:”La giornalista è stata uccisa dalle forze di sicurezza israeliane” L’episodio ha avuto poi un’appendice: al funerale della suddetta giornalista i militari israeliani hanno caricato il corteo funebre e tutto il mondo ha potuto vedere quella bara ondeggiare qua e là, sostenuta a stento dalle mani dei compatrioti che venivano assaliti e picchiati. Un’immagine emblematica che ci fa pensare a quanto aveva scritto Giovanbattista Vico, quando alcuni secoli fa aveva definito il culto dei morti come una delle prime espressioni della civiltà umana, per cui anche per Israele ci dovrebbero essere dei limiti. Di certo il Presidente americano Biden ha preso molto sul serio quell’episodio. Nell’ambito di un discorso a favore di uno Stato palestinese “sovrano, vitale, dotato di continuità territoriale”, il Presidente ha citato proprio Shireen. C’è stata anche un’altra giornalista uccisa: Ghofran Warasnah, che aveva con sé un coltello per difendersi, durante un’altra manifestazione. Detto questo, su questi episodi c’è da dire che dal punto di vista mediatico Israele risulta difficilmente attaccabile, perché in tali situazioni ha un potente atout che, per usare una metafora militare, funge da – paracadute di riserva - diluendo quelle brutalità in un ambito più generale: si tratta ovviamente dell’immagine simbolo che lo Stato ebraico esibisce come unica democrazia del Medio Oriente, circondata da dittature. Un’immagine che incute un certo timore reverenziale a chiunque voglia fare delle critiche. D’altro canto se si focalizzano gli eventi attraverso una disamina attenta si scopre che, oltre ai gravi fatti come quelli citati, ci sono diverse attività in quello Stato che con la democrazia non hanno niente a che fare, come le prevaricazioni
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amministrative e le prepotenze dei coloni che strappano continuamente territori e strutture pubbliche ai palestinesi, ma poi c’è soprattutto la tortura. La tortura di stato è scomparsa da almeno un paio di secoli dalla civiltà occidentale ma in Israele sussiste ancora: si prenda ad esempio il caso di Hiba al Labadi, una ragazza giordana di origine palestinese di 24 anni arrestata dagli israeliani il 20 agosto 2019 all’Hallenby Bridge per aver postato sul suo sito frasi di sostegno ai manifestanti palestinesi e citando anche Hezbollah. Dopo essere stata soggetta ad una detenzione amministrativa illegale, aveva attuato uno sciopero della fame di 35 giorni per protesta, finché il 7 Novembre di quell’anno è stata liberata, fisicamente distrutta e psichicamente provata. I funzionari ONU che hanno seguito il caso hanno accertato che veniva sottoposta a venti ore d’interrogatorio al giorno, sempre strettamente legata in malo modo ad una sedia e sottoposta di continuo ad “ill-treatment (maltrattamenti)” mentre il suo avvocato è stato più esplicito, affermando che tutti i mezzi di tortura sono stati usati contro di lei per costringerla a confessare, ma senza esito. Saranno state anche torture “democratiche”, ma tener legata una ragazza per settimane immobilizzata su una sedia, maltrattata di continuo, privandola del sonno, sputandole addosso, impedendole di occuparsi della regolare tenuta delle sue funzioni corporali(per decenza non si entra nei particolari) sono pratiche abnormi per uno Stato che si dice democratico. Cambiando argomento, Israele tempo fa è riuscita anche ad attaccare, un ente al di sopra di qualsiasi sospetto come Amnesty International, che aveva criticato il regime di “apartheid” vigente in quel paese. Si ricorda che Amnesty è stata sempre storicamente caratterizzata per il suo impegno a favore dei detenuti politici di tutto il mondo a prescindere dalle ideologie. Tanto per non andare lontani, nel Giugno 1978 il suo segretario trentino d Amnesty Barbato, aveva preso la difesa dei desaparecidos argentini sotto la dittatura.