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Muse: tutti i dati dal 2013 ad oggi
Cronache trentine
di Nicola Maschio
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MUSE, ecco il Bilancio di Missione: tutti i dati dal 2013 ad oggi
Più di un semplice museo. Era il 13 luglio 2013, circa alle ore 18, quando il Muse venne inaugurato proiettando anche Trento tra le grandi città culturali d’Europa. Un momento storico, ma da quella giornata sono successe tantissime cose. Ed ecco che, in quello che prende il nome di “Bilancio di missione” (presentato nella mattinata di ieri quale evoluzione del bilancio di sostenibilità), lo stesso Museo delle Scienze ha voluto ripercorrere le sue tappe principali ma, soprattutto, i numeri che ne attestano la grandezza. Eventi, momenti di incontro, conferenze, esperimenti, discipline variegate che si incrociano e si contaminano tra loro: tutto questo è stato e sarà il Muse, hanno spiegato i suoi rappresentanti, sottolineando inoltre come la struttura abbia saputo rispondere alla grande ai due anni di flessione legati alla pandemia di Covid-19. Numeri, dicevamo, in grado di dare il quadro della situazione. Uno su tutti: dal 2013 ad oggi sono stati quasi quattro milioni i visitatori del museo, con questo 2022 che ha già fatto registrare ingressi di notevole quantità (nel primo semestre 108.619, contro i 139.369 complessivi del 2020 ed i 128.007 del 2021). Impossibile poi non sottolineare l’impatto economico che la struttura ha sulla città di Trento: nel solo 2021 il Muse ha restituito all’economia locale una somma stimata di oltre 8 milioni di euro (+37,29% sul 2020). Coloro che vengono a visitare il Museo sono prevalentemente di altre regioni (il 79%), con una maggiore affluenza dal Veneto (26%), dalla Lombardia (22%) e dall’Emilia Romagna (16%) e, con l’avvento della pandemia, in molti (l’80% dei clienti totali) hanno ormai preso l’abitudine di acquistare il proprio biglietto d’ingresso online. Ma tutti coloro che scelgono di visitare il Muse, chi trovano al suo interno? Ben 228 persone danno vita al vastissimo staff della struttura, con un’età media attorno ai 41 anni e per il 58% composto da donne (132 in tutto); 81 coloro che possono vantare un contratto a tempo indeterminato, ma sono tantissimi anche i collaboratori (il 40%, 92 complessivi) e coloro che si occupano della gestione interna, cioè i custodi (ben 31). Non mancano nemmeno figure particolari e uniche: il Pilot, mediatore scientifico e animatore che fornisce assistenza e informazioni ai visitatori sulle esposizioni e collezioni; il Coach, che organizza attività educative come laboratori scientifici o visite guidate; poi il Duty manager, che gestisce l’apertura del museo al pubblico, coordina e controlla gli accessi e si occupa di risolvere guasti e problemi. Fidati compagni di viaggio sono poi i giovani del servizio civile, con i quali sono stati avviati 86 progetti dal 2007, con ben 128 i ragazzi in tutto coinvolti e 37 di loro che hanno poi avuto modo di proseguire il rapporto di lavoro con il Muse. Nel 2021 inoltre la struttura ha coinvolto 21 tirocinanti curricolari, 79 volontari (57 nella ricerca e altri settori e 22 nelle attività ed eventi per il pubblico), con 138 studenti ospitati per l’alternanza scuola-lavoro solo lo scorso anno. «Questo “Bilancio di missione” è il DNA, il cuore, la mente di questo museo – ha spiegato la vicepresidente Laura Strada. – I dati ci dicono che il Muse è vitale per la città e vive la contemporaneità senza essere statico, ma entrando nel territorio a tutti gli effetti. Questo è un obiettivo che portiamo avanti da sempre, così come la sostenibilità: parliamo di un progetto più complesso, l’antropocene, dove le tracce dell’uomo sono sempre più evidenti ed il ruolo dei musei sta cambiando velocemente, chiedendoci di stare al passo con questa evoluzione» .
Lo sport delle 4 ruote in cronaca
di Alessandro Caldera
FERRARI:
dal “Kaiser” Schumacher all’inferno (e ritorno?)
“C’è un limite oltre il quale la sopportazione cessa di essere una virtù”. Così si esprimeva Socrate, uno dei più importanti esponenti della filosofia occidentale, vissuto in Grecia attorno al V secolo a.C. Le sue parole appaiono oggi più che mai adatte per descrivere una situazione, a livello sportivo, che ha assunto negli ultimi tempi delle sembianze drammatiche, rasentando quasi il patetico. Stiamo parlando della condizione attraversata dalla scuderia più nota a livello planetario, la Ferrari, che in occasione del recente appuntamento mondiale, in Austria, ha celebrato tra l’altro i 90 anni dalla comparsa sulle vetture dell’iconico stemma del “Cavallino”, palesatosi per la prima volta durante le 24h di Spa del 1932. La storia della casa di Maranello è stata sempre stata costellata di grandi successi, che hanno assunto i connotati dell’egemonia con l’avvento del secondo millennio, grazie al fantastico ed inscindibile binomio instauratosi con il “Kaiser”: Michael Schumacher. Nel periodo recente, come detto in apertura, la situazione però è stata tutt’altro che esaltante, al punto tale da essere intercorsi quasi 5390 giorni da quando Kimi Raikkonen, in Brasile, ha matematicamente conquistato l’ultimo titolo iridato con la “Rossa”. In questo lasso di tempo, due volte si è stati vicini al grande traguardo, nel 2010 e 2012, grazie al coriaceo Fernando Alonso, arresosi solo di fronte all’irraggiungibile Red Bull, resa inafferrabile dal genio di Adrian Newey. È stato però con l’avvento dell’era ibrida, nel 2014, che la situazione è totalmente franata, portando i sostenitori della Ferrari al limite della già citata sopportazione, con le tremende stagioni 2020 e 2021. Un episodio che sicuramente ha trafitto nell’orgoglio i tifosi della rossa, è stato il doppiaggio di entrambe le vetture, in occasione del Gp di Ungheria del 2020, un gesto compiuto da Hamilton, su Mercedes, con una facilità disarmante e frustrante. A livello manageriale il team principal, Mattia Binotto, ha più volte predicato “il duro lavoro” e la calma, ammorbandoci settimanalmente con il mantra, parodiato poi anche dal comico Maurizio Crozza, del “dobbiamo capire”. Una parziale luce in fondo al tunnel la si è potuta intravedere già sul finire dello scorso anno, memorabile oltre
Lo sport delle 4 ruote in cronaca
che per l’epico scontro generazionale tra Hamilton e Verstappen, anche perché avrebbe lasciato spazio all’attuale ed incredibile rivoluzione delle auto. Infatti con l’avvento del 2022 le monoposto hanno subito delle modifiche sostanziali; queste in parte sono state orientate a rendere meno centrale la componente termica degli pneumatici, aspetto che, assieme ad un minor disturbo aerodinamico, ha favorito la competizione e i sorpassi. Per chi se lo chiedesse, il duello tra Arnoux e Villeneuve a Digione nel 1979, rimane ancora una chimera, anche se va reso onore a questi giovani rampanti, che cercano a loro modo di emulare quel pezzo di storia. Ora però dopo questo ampio preambolo è doveroso chiedersi: “ Come si è adattata la Ferrari a questo nuovo regolamento?”. Possiamo dire che dopo le prime prove il bilancio ha superato ogni più rosea aspettativa, si è posto fine in occasione della prima tappa della stagione, in Bahrain, ad un digiuno di vittorie che durava da ben 903 giorni, precisamente da Singapore 2019. Grazie anche al doppio ritiro di Verstappen, Leclerc, pilota di punta della scuderia, aveva incamerato circa 30 punti di vantaggio sul pilota olandese. Poi la sfortuna, apparsa parzialmente sotto forma di affidabilità, e gli errori nella gestione della corsa, hanno presentato il loro conto piuttosto salato. Durante le gare in Spagna e in Azerbaijan, nelle quali il primo posto appariva oramai cosa assodata, il motore ha deciso di mettersi di traverso, mentre nei Gp di Montecarlo e in quello di Gran Bretagna, reso comunque meno amaro dal successo di Sainz, grandi colpe sono da attribuire al “muretto”. Complessivamente quindi la scuderia di Maranello, ha approcciato bene a questo campionato con ben quattro trionfi, oltre a svariati podi e pole position. La monoposto appare sicuramente competitiva, anche se al momento la Red Bull rimane indubbiamente favorita, per via soprattutto di questa grande integrità dimostrata a livello componentistico, oltre alla guida pressoché perfetta dell’ “olandese volante” Max. Un precedente in realtà per la Ferrari esiste e risale, come ricordato da Leo Turrini, storica penna de “il Resto del Carlino”, al 1974 durante il quale la vettura si dimostrò eccezionale sul giro secco, ma debole a livello di resistenza degli elementi meccanici. Solo il tempo, elemento non trascurabile in F1, dirà chi avrà avuto ragione, con la speranza di rivedere ad Abu Dhabi, il 20 novembre, il cielo tinto nuovamente di rosso.
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