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Qui Europa: da Novaledo a Bruxelles e ritorno

Qui Europa

di Emanuele Paccher

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Da Novaledo a Bruxelles e ritorno

Nel mese di giugno la redazione del “giornalino dei ragazzi” di Novaledo, progetto portato avanti dalla Vicesindaca Barbara Cestele, si è recata a Bruxelles per poter visitare uno dei principali centri di quella grande istituzione che è l’Unione Europea. I ragazzi e le ragazze hanno infatti avuto l’occasione di visitare il Parlamento europeo e il museo della storia europea. Inoltre, il 21 giugno hanno avuto l’opportunità di passare un’intera serata con Herbert Dorfmann, parlamentare europeo eletto nel 2019 nella circoscrizione italiana nord – orientale con oltre 140 mila preferenze. Per l’Onorevole Dorfmann questa è stata la terza elezione consecutiva al Parlamento Europeo, dopo le elezioni del 2009 e del 2014, sempre tra le fila della Südtiroler Volkspartei (SVP). Dentro al Parlamento ha aderito al Partito Popolare Europeo. In Europa si occupa primariamente di agricoltura e sviluppo rurale. Classe 1969, laureato in scienze agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, prima di divenire europarlamentare ha mosso i primi passi in politica come sindaco di Velturno (BZ). Grazie a questa occasione d’incontro abbiamo intervistato, in esclusiva, l’Onorevole Dorfmann.

Onorevole Dorfmann, come Le è nata la passione per la politica?

È successo un po’ per caso, come tante cose nella vita e soprattutto in politica. Ho cominciato per varie circostanze fortuite come Sindaco, e poi ho avuto l’occasione di candidarmi come europarlamentare. I cittadini mi hanno dato fiducia e mi hanno eletto per la prima volta nel 2009. Ormai è più di dodici anni che ricopro questa carica. È per me un onore, ma porta grandi responsabilità.

Da sinistra Barbara Cestele (Vicesindaca di Novaledo), Dorfmann (europarlamentare), Emanuele Paccher e Gloria Svaizer (una delle ragazze facente parte del giornalino)

L’Unione Europea spesso è avvertita come distante dal cittadino, come un insieme di burocrati, lontani dal comprendere quali siano le necessità della gente. È veramente così?

Distante è distante, non c’è dubbio. Io prima di essere eletto come parlamentare europeo ho fatto il Sindaco. In un’ottica di sussidiarietà è chiaro che il Comune è l’organo più vicino, mentre l’Unione Europea è quello più lontano. In un piccolo Comune il cittadino sente come vicina la decisione del consiglio comunale, mentre una decisione presa a Bruxelles la avverte come lontana, imposta dall’alto. Poi c’è da dire che effettivamente è venuto a crearsi un grande sistema burocratico, e questo la gente lo avverte. Ma secondo me più importante di tutto è comprendere un problema di cui si parla poco: l’Unione Europea non ha dei media. Questa è la grande differenza con gli Stati Uniti d’America: anche Washington è distante da San Francisco, ma CNN, Fox News e Washington Post parlano spesso di politica federale, e soprattutto con un’ottica federale. Da noi emittenti come la Rai, ma anche il Corriere della Sera ad esempio, parlano di Europa sempre con l’ottica italiana. Da noi il giornalismo europeo è molto sottosviluppato.

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È ricorrente l’espressione secondo la quale nelle istituzioni europee vi sia un deficit di democraticità, poiché il Parlamento Europeo è l’unico organo eletto direttamente, mentre per tutti gli altri organi la composizione è decisa dai Governi degli Stati, e il voto dei cittadini non viene mai previsto. Secondo Lei questo è un problema solo apparente o ha delle ripercussioni effettive?

Mi conceda una battuta: ma Draghi è eletto dalla gente? Andando più nel dettaglio, in realtà noi abbiamo un sistema migliore di quello italiano: perché a Roma il Presidente della Repubblica sceglie un Presidente, il quale sceglie i ministri e poi con un voto unico si dà la fiducia all’intero Governo. Non ci si può esprimere sui singoli ministri. In Europa invece prima si elegge il Presidente della Commissione, poi gli Stati membri, in contatto con le istituzioni europee, indicano i “ministri”, ma il Parlamento rimane sempre nel potere di escludere un membro della Commissione, oppure di dargli indicazioni sul come formarsi per poter poi tornare dopo un certo periodo di tempo. In ogni caso alcune criticità ci sono. Il grosso problema risiede nel grosso potere dei Governi nella nomina dei commissari. Onestamen-

Un momento dell'intervista

te non sempre ci sono state nomine di qualità da parte degli Stati. Troppo di frequente questo posto a Bruxelles viene visto come il modo per dare un incarico ad un ex ministro o a un vecchio esponente politico, talvolta prescindendo dal merito. A tal riguardo da anni assieme ai miei colleghi stiamo cercando di riformare il sistema. Avevamo cercato di portare lo “Spitzenkandidat” come modello generale di elezione, il quale avrebbe portato ad una maggiore democraticità, ma purtroppo questo metodo è stato adottato solo per l’elezione del 2014 e poi abbandonato.

Andando in questioni più specifiche e di attualità, la guerra in Ucraina che effetti ha e che effetti potrebbe avere sull’agricoltura europea?

La situazione è molto difficile, in primis per la gente in Ucraina, ma anche per noi: l’Ucraina produce tantissimi prodotti alimentari, specialmente il grano. Tutto ciò è chiaro che è venuto a mancare. Ma non manca solo a noi, pensiamo anche all’Africa. Lì c’è un urgente bisogno di questi prodotti. Agli inizi di giugno mi sono recato sul confine tra Polonia e Ucraina, e ho pure fatto alcuni passi all’interno del territorio ucraino. Sono andato là per cercare alcune vie per portare fuori il grano. Ma come ho detto è una situazione molto difficile. Si pensi anche al fatto che abbiamo 6 milioni di profughi ucraini sui nostri territori, e pensiamo all’aumentare dei prezzi. La guerra è sempre brutta, e questa lo è in special modo.

L’Europa ha previsto che le auto a benzina smetteranno di essere prodotte nel 2035. Prima era impossibile farlo?

Anche questo è un tema molto complesso. Abbiamo necessità di tecnologie adeguate, e una decina d’anni sono necessarie. Le auto elettriche hanno senso solo se la corrente elettrica proviene da fonti rinnovabili, non ha senso se dobbiamo produrla dal petrolio. Da questo punto di vista in Trentino Alto Adige abbiamo già

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tantissime centrali idroelettriche, e quindi tante energie rinnovabili, ma in altre parti d’Italia e d’Europa tutto ciò non c’è.

Quest’anno si festeggiano i 50 anni dalla seconda riforma dello Statuto dell’Autonomia del Trentino Alto Adige. È uno Statuto ancora attuale o avrebbe senso iniziare a pensare ad una terza riforma?

Io penso che non ci sia bisogno di un terzo Statuto. È chiaro che il contesto oggi non è più quello del 1972. 50 anni fa c’era uno Stato forte, con l’Unione Europea che decideva solo su pochissimi argomenti. Lo Statuto di Autonomia era stato pensato esclusivamente all’interno dello Stato italiano. La parola Unione Europea non compare mai. Oggi io penso che la competenza politica non possa che essere o a Trento o a Bruxelles. E qui bisogna fare delle scelte. Si hanno tante materie in cui è meglio una decisione a livello provinciale, altre per cui è più adatta Roma e altre ancora in cui è necessario uno sguardo più ampio, ossia quello europeo. Sono scelte di miglior adattamento alle esigenze dei cittadini. Credo che un’Autonomia inserita in un contesto europeo sia un progetto del futuro. Ma non c’è una necessità di riscrivere lo Statuto.

Mi collego a questo: secondo Lei ha ancora un senso l’Autonomia delle Province di Trento e di Bolzano? A volte questa è vista solo come un privilegio. Cosa ne pensa?

A Trento la situazione storica è diversa da quella di Bolzano, e quindi è giusto distinguere. Parlo per la mia terra d’origine: a Bolzano la gente considera l’Autonomia come un diritto, a nessuno viene in mente di considerarla come un privilegio. Ci tengo poi a sfatare un mito: non è assolutamente vero che la nostra Autonomia ricada sulle spalle degli altri italiani, perché i cittadini delle nostre due Province pagano di più allo Stato di tanti altri. Io credo poi che l’Autonomia, ma in generale un sistema federale, se gestito bene può portare ad un profitto sul territorio. Bisogna sempre ricordarsi che l’obiettivo finale deve essere il benessere della gente. E per raggiungerlo ci sono vari strumenti. Lo strumento dell’Autonomia ha dimostrato di funzionare bene nelle Province di Trento e Bolzano, diversamente che in altri territori come Cagliari e Palermo, dove forse sarebbe stato meglio se ci fosse stato un governo da parte di Roma. ì

Ieri avvenne

di Massimo Dalledonne

Un pattugliamento enologicodidattico in Valsugana

Una strana guerra. Fatta di esplorazioni e ricognizioni. Tra campi, vigneti ed i paesi. Siamo nell’agosto del 1915 e quello che raccontiamo è un fatto realmente accaduto, tratto dal libro “…’riva i Taliani” di Luca Girotto. Un fatto che lo stesso autore descrive come “un pattugliamento enologico-didattico in Valsugana”. In quei giorni le truppe italiane erano impegnate tra Borgo, Olle, Castelnuovo e Telve nel perlustrare il territorio. Lo facevano di giorno, di notte toccava agli austriaci ed alle pattuglie “prussiane”. A Borgo gli italiani erano entrati la prima volta il 9 giugno con gli esploratori dell’83 fanteria. Accolti dagli austriaci a fucilate da Castel Telvana. Il secondo balzo offensivo avviene il 15 agosto e solo dal 24 dello stesso mese i fanti della Brigata Venezia occuparono stabilmente il paese. Come scrive Girotto “in quelle settimane le pattuglie italiane arrivavano dalla linea del Maso, tra loro anche il battaglione Valbrenta in cui militava un volontario di Borgo. Il suo pseudonimo era l’aspirante ufficiale Vittorio Baratto, il nome vero Ruggero Lenzi. In Valsugana arriva il 20 agosto, a disposizione della 15° divisione, “A Castel Ivano viene convocato nel locale Casermone da un ufficiale superiore che gli affida l’incarico di una ricognizione nel suo paese natio. Con dodici alpini supera il torrente Maso all’altezza di Carzano avanzando tra i filari di viti fino alla riva sinistra del fiume Brenta. A mezzanotte entra a Borgo. Il suo incarico era quello di vedere se vi fossero truppe austriache ed ottenere dagli abitanti delle informazioni sul nemico. “La pattuglia arriva dinnanzi ad una lussuosa villa nei pressi della stazione ferroviaria. Era villa Lenzi – scrive Luca Girotto – la sua casa natia. In tasca Baratto aveva le chiavi e, una volta entrato, tutto appariva in ordine. Quando scesero in cantina, davanti agli occhi increduli degli alpini si presentò uno spettacolo celestiale: tutte le botti erano intatte. Le bottiglie anche”. Le ore successive trascorsero in allegria e quando i soldati italiani uscirono vennero sorpresi da una pattuglia austriaca in perlustrazione. “Quando tutto sembrava perso, Baratto fece entrare i suoi uomini nell’andito di una vecchia casa. C’era una donna sui 30 anni, spaurita, avvolta in uno scialle. Fuori il passo cadenzato degli austriaci rompeva la quiete del mattino, Dentro era calato il silenzio. Alla donna venne chiesto di uscire e di cercare di capire cosa stesse accadendo. Quando rientrò – scrive ancora Girotto – disse che c’erano due compagnie in perlustrazione sicure nella certezza che in paese non ci fosse nemmeno l’ombra di un italiano”. C’era un però. I soldati erano entrati in una casa dove la donna, durante il giorno accudiva diversi bambini. Una sorta di asilo infantile fino alle sei di sera. Gli alpini non uscirono fino all’imbrunire e ogni bambino che arrivava (…) faceva gli occhi grandi e la bocca tonda. Poi, passata la paura, facevano amicizia con gli alpini. E la maestra quel giorno ebbe dodici (…) meravigliosi aiutanti. Verso le 19 i piccoli ritornarono alle loro case e gli alpini, dopo caute perlustrazioni, poterono avviarsi alla strada del ritorno. Dopo due ore erano nuovamente a Strigno con Lenzi che relazionò all’ufficiale superiore in merito a quello che era successo. “Al termine dell’esposizione – si legge nel volume – il suo commento, fra il serio ed il faceto, lasciò di sasso l’aspirante soldato di Borgo. Beh, Baratto…con quel suo cranio pelato e lucido, lei il fisico da maestro elementare ce l’avrebbe proprio!”. Borgo venne occupato stabilmente dagli italiani pochi giorni dopo e Lenzi fece ritorno al suo battaglione Valbrenta. Con i suoi commilitoni ritorno in Valsugana pochi mesi dopo. Nell’ottobre del 1915 scendendo dall’altopiano di Asiago nella valle del Brenta. “I monti della catena del Lagorai-Cima d’Asta – conclude Luca Girotto - sarebbero diventati per due lunghi anni l’habitat naturale di quei fieri montanari”

Una veduta di Borgo Valsugana durante la Prima Guerra Mondiale

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