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Comunicazione: propaganda e razionalità

Accade nel mondo

di Guido Tommasini

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COMUNICAZIONE:

propaganda e razionalità

Una delle tematiche attuali è spesso quella delle interviste ai giornalisti russi o altri funzionari di regime che vengono invitati ad esporre le loro ragioni e allora accade che subentrano reazioni da parte di opinionisti di tendenza opposta che denunciano queste esibizioni come propaganda. Inoltre è stata anche identificata sulla stampa una presunta galassia italiana filorussa composta da freelance, economisti e politici che farebbero propaganda a Putin, poi ridimensionata. Senza voler entrare nel merito specifico, per capire questi fenomeni bisogna intendersi innanzitutto sul significato del termine “Propaganda” che ha diversi significati. Nella sua accezione negativa significa più o meno un complesso di notizie diffuse ad arte per fini propri o comunque particolari, ma questa parola storicamente era il gerundivo neutro plurale del verbo latino “Propagare”, tradotto come”Cose da diffondere” (non esiste in italiano il modo gerundivo ma i latini lo usavano spesso). “Propaganda” in seguito trovò la sua prima importante utilizzazione nel Rinascimento(1622) con l’istituzione vaticana della famosa “Sacra Congregazione De Propaganda Fide”(dopo la riforma di Giovanni Paolo II cambiò la denominazione in “Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli”). Il significato del termine “Propaganda” nel contesto odierno dovrebbe essere, anche secondo una condivisa interpretazione letteraria – “la verità espressa da

un certo punto di vista - oppure la verità interpretata da una certa prospettiva o da un certo angolo

di visuale”. Si trova conferma di ciò da quanto affermato dal filosofo Giorgio De Santillana, il quale ai Colloqui di Royaumont del 1964 sull’argomento – Il concetto di informazione - , specificò testualmente: “Il cambio di prospettiva può dare un senso anche alle cose che non lo hanno, voglio dire anche alle cose che si possono attribuire liberamente alla fantasia, senza peccare per esagerazione” Vorrei fare un esempio storico a proposito dell’informazione alternativa: nei primi Anni Sessanta la guerra del Vietnam era già iniziata a piccoli passi con l’invio in quel paese da parte di Kennedy di quaranta consiglieri (advisers). Il periodo successivo fu quello della guerra limitata e allora Jean Larteguy(Jean Pierre Lucien Osty) ex militare francese divenuto giornalista e scrittore di romanzi bellici, scrisse un articolo sulla situazione politico militare che vedeva contrapposti sudvietnamiti e americani da una parte e vietcong(Fronte Nazionale di Liberazione) con la RDV dall’altra. Avendo l’esperienza della guerriglia nell’Indocina francese ed in Algeria, Larteguy era uno specialista sul campo e così scrisse tranquillamente che i vietcong avevano già vinto la guerra in quanto dominavano tutto il Vietnam centrale dove amministravano normalmente i villaggi e riscuotevano le tasse mentre nelle grandi città stavano già instaurando un dualismo di potere. Le opinioni di Larteguy vennero snobbate sia dagli USA, sia dalla grande stampa occidentale ma i fatti avrebbero dimostrato in seguito che Larteguy aveva ragione.

Accade nel mondo

Infatti dopo l’incidente del golfo del Tonchino(Agosto 1964) la guerra ebbe una crescita esponenziale con l’escalation americana(1965). Andò avanti così con battaglie sanguinose ed offensive da ambo le parti, ma poi accadde un fatto fondamentale: nel 1971 Daniel Ellsberg, uno dei quei primi quaranta consiglieri americani, membro anche della Rand Corporation, passò al New York Times e soprattutto al Washington Post una valigia di documenti fotocopiati dai quali trasparivano tutte le notizie secretate e le omissioni nelle notizie divulgate dove si capiva che le amministrazioni USA erano coscienti delle enormi capacità di resistenza vietnamita e avevano già capito fin dall’inizio che non avrebbero mai potuto vincere quella guerra. Si scoprì così che le amministrazioni che si erano succedute avevano mentito e ci fu uno scandalo enorme, Così nel giro di pochi anni (30 Aprile 1975) grazie a quelle rivelazioni quella guerra impossibile da vincere ebbe fine, ma nel frattempo erano morti circa 56.00 americani senza contare le enormi perdite vietnamite e cambogiane. Potrei fare altri esempi similari su questi meccanismi ideologici come i genocidi nel Bangla Desh e in Timor Est, ma la questione più emblematica è stata la seconda guerra contro l’ Irak (2003), innescata da fake news inerenti alle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam, che furono avallate in pieno dalla grande stampa, mentre i pochi che avevano denunciato quella bufala venivano snobbati. Talvolta sottovalutare tematiche di primaria importanza esposte da un altro punto di vista o comunque alternative(non antagoniste) può diventare un fondamentale errore di disinformazione. Sulla questione dell’Ucraina aggredita militarmente dalla Russia bisogna dire che se le informazioni belliche che pervengono sono esaustive, invece di certi aspetti laterali non si parla molto. Non ci sono per esempio informazioni relative ad un certo contesto politico-economico: tanto per fare un esempio, non viene detto quasi nulla su certe multinazionali straniere alle quali i vari regimi, da Poroshenko a Zelensky hanno concesso la totalità dei raccolti di grano. E poi c’è il caso Soros: nessuno s’interroga per quali finalità uno speculatore come Soros il quale auspica la rimozione degli stati-nazione sostituendoli con uno scenario sovranazionale di ingegneria politico-sociale, abbia appoggiato con forza la rivoluzione arancione ucraina del 2014, promuovendo il nazionalismo ucraino.

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Qui Bosnia Erzegovina

di Emanuele Paccher

La storia

dell’emigrazione e gli inizi

Missione in Bosnia Erzegovina per il consigliere regionale della Valsugana Roberto Paccher. Al centro del suo viaggio nelle scorse settimane, una volta di più, la comunità trentina di Stivor. La vicenda di Stivor è bella e particolare allo stesso tempo, visto che si tratta di un centro abitato solamente da una popolazione partita (ormai 140 anni orsono) dal Trentino. In larghissima parte dalla Valsugana, ma anche dal Primiero, come pure da Cimone e da Aldeno. La storia di questa comunità prende le mosse a cavallo tra il 1881 e il 1882. Paccher che da quelle parti è ormai di casa, avendo voluto mantenere il più possibile saldo il legame con la gente emigrata, le origini di quella grande migrazione le sa raccontare con dovizia di particolari ed uguale partecipazione emotiva: “In quel periodo il Brenta uscì dagli argini per via delle copiose piogge e l’alluvione che ne conseguì ebbe effetti disastrosi sull’attività agricola di molte famiglie. Diverse famiglie della Valsugana ( che a quel tempo era provincia austriaca del Tirolo) si videro distruggere le case dall’acqua e altrettanti videro sconsolate le loro attività economiche andare a rotoli. A quel punto molti di loro, circa un migliaio, si misero d’accordo per andare a cercare fortuna altrove, di emigrare, e la scelta all’inizio cadde sul Sud America, con le famiglie valsuganotte decise a cambiare vita in Brasile. Tuttavia, questo è quello che racconta la voce popolare, sembra che alcune persone che avevano preso l’incarico di acquistare il viaggio via mare siano scappate con i risparmi dei paesani che già si trovavano in gravi difficoltà” spiega Paccher. Il piano b, la decisione di emigrare in Bosnia, arrivò dunque per una serie di circostanze, anche legate a questioni storiche. Perchè? Il paese di Roncegno era molto apprezzato per le cure termali all’epoca della dominazione austriaca. E l’imperatore Francesco Giuseppe, visitatore dei centri termali della Valsugana, una volta conosciute quelle vicende, decise di venire in aiuto alla popolazione, donando ai migranti un pezzo delle terre, in particolare nella provincia di Banja Luka: “Ecco allora che nel 1882 i valsuganotti, dopo settimane di viaggio, arrivarono nel luogo che era stato loro destinato. Promesso e descritto prima della partenza, a suo tempo, come un terreno fertile ma che alla prova dei fatti non si rivelò propriamente tale. Tuttavia prosegue - il consigliere Paccher - la comunità si integrò molto bene nel territorio circostante” I motivi alla base del fatto che la comunità trentina sia rimasta sempre molto coesa è dovuta anche a motivi religiosi: i cattolici trentini rimasero, lo sono orgogliosamente ancora, una enclave perché dall’inizio della loro avventura hanno trovato una popolazione locale di religione musulmana: “Infatti. Dunque i trentini non si sono sposati con i loro vicini che praticavano un’altra fede ma hanno scelto di farlo con i propri connazionali, con quelli emigrati assieme a loro. Finendo per mantenere chiuso il loro gruppo per motivi religiosi e culturali. E questo per decenni, sino ad oggi, con i trentini rimasti a Stivor ancora un fiero nucleo autoctono. Che non vuole rescindere - chiosa l’esponente politico - il cordone ombelicale con il Trentino”.

Qui Bosnia Erzegovina

di Emanuele Paccher

LA DOPPIA PISTA:

quella nazionale con il ministro e quella locale con il sindaco

Durante il proprio viaggio in Bosnia Roberto Paccher si è mosso su due fronti. Uno più propriamente politico, per mettere a disposizione della comunità di Banja Luka la nostra particolare esperienza, quella di una Regione Trentino Alto Adige che è diventata un esempio di convivenza, grazie ad uno Statuto di Autonomia che, proprio in queste settimane, celebra i 50 anni del Secondo Statuto. Non a caso, a Banja Luka, Paccher ha incontrato un esponente del governo nazionale, il ministro all’integrazione e alla cooperazione europea Zlatan Klokic. Alla riunione ha perso parte anche il rappresentante delle minoranze linguistiche del Paese Franjo I. Rover, un trentino originario proprio di Stivor. “In una terra dove le minoranze sono tante, sempre alla ricerca della migliore formula di convivenza, il Trentino Alto Adige è, una volta di più, esempio da studiare, da capire. Ecco perché - ha osservato Paccher - ho invitato il ministro dell’integrazione Klokic a farci visita a Trento, magari nei prossimi mesi, in occasione dei 140 anni dalla migrazione dei trentini nella zona di Stivor. In Trentino Alto Adige abbiamo minoranze tedesche, ladine e cimbre, nel territorio della Bosnia siamo di fronte ad un calderone culturale molto composito che deve armonizzare ben 17 diverse espressioni di minoranze. Ecco perché ben volentieri ci siamo proposti come una formula di convivenza di grande successo, studiata in Europa e non solo, ed abbiamo chiesto al ministro Klokic di venirci a trovare a Trento, magari proprio in quel Consiglio regionale che è la casa anche fisica dell’Autonomia. Del resto che i trentini siano gente che cerca la convivenza lo si nota anche dalla nomina di Rover in un ruolo di rappresentanza tanto prestigioso quanto delicato” osserva il consigliere regionale. Ma Paccher ogni volta che si reca a Stivor, al di là di aspetti politici importantissimi legati agli equilibri di una terra che ne è sempre alla ricerca, ha soprattutto a cuore le soluzioni pratiche, quelle legate al benessere di una comunità che parla il valsuganotto, quello doc di una volta, non influenzato da contaminazioni dialettali diverse. Ecco dunque la seconda pista battuta dall’uomo politico, quella discussa con il sindaco di Prnjavor, Darko Tomas, sotto la cui giurisdizione nella regione di Banja Luka, ricade anche Stivor, la località dove vive la comunità di origine trentina: Non ho potuto che elogiare le condizioni create dai nostri trentini di Prnjavor, che non si sono limitati ad una semplice convivenza ma hanno lavorato per una reale integrazione. Nell’occasione - ha detto il vicepresidente - si è parlato di un immobile che a suo tempo era stato costruito come magazzino per i vigili del fuoco di Stivor, capannone che dal 2003 è sostanzialmente dismesso. Ho chiesto dunque al sindaco Tomas di coinvolgere la comunità trentina per valutare a quale uso adibirlo, quale destinazione dargli. La finalità unica deve essere il benessere della popolazione che era partita dalle nostre valli, dei loro discendenti. Dovranno essere loro - ha osservato - con le forme più opportune ad indicare il futuro di quella struttura che deve rimanere patrimonio dei trentini di Stivor”.

Roberto Paccher con Darko Tomas, sindaco di Prnjavor

Roberto Paccher con il MinistroZtalan (Integrazione europea e Cooperazione Internazionale) e con Rover Franjo (Rappresentante della minoranza in Bosnia)

Qui Bosnia Erzegovina

di Eleonora Mezzanotte

LA NOSTRA INTERVISTA A ROBERTO PACCHER

Consigliere Paccher quale bilancio si sente di trarre dalla sua trasferta in Bosnia?

Debbo dire che ogni volta che ci vado, questa era la settima volta, torno soddisfatto, contento di vedere come rimanga un legame fortissimo tra quella comunità ed il Trentino. La prima volta che sono stato a Stivor è stato nel 1984. Mi sono recato in primo luogo per la profonda amicizia che nutro nei confronti degli abitanti di quella località, poi perché affascinato dalla storia di quella popolazione di migranti, fieri e legati alle proprie origini. Poi ci sono tornato da presidente del Consiglio regionale ed ora da vicepresidente.

Le istituzioni trentine hanno mantenuto legami molto saldi con quella comunità.

Non c’è dubbio. Ricordo che anni fa la Provincia organizzò qualcosa come 11 pullman dal Trentino, nel 1982, in occasione del centenario di quella migrazione. E non solo: Stivor venne “adottato” come il 22 comune della bassa Valsugana

Durante la guerra dei Balcani non deve essere stato facile vivere in quelle zone.

Infatti. I trentini che decisero di ritornare in Italia furono aiutati dalle nostre istituzioni e si sono visti riconoscere la cittadinanza italiana. Ma a Stivor sono rimaste comunque tuttora un migliaio di persone, tutte originarie delle nostre valli. Il 90 per cento è ritornato in Italia ma hanno mantenuto anche la casa in quella zona, l’hanno ristrutturata. E durante i periodi di vacanza quel paese si ripopola, di tanta gente che ritorna dove sono nati loro, gli stivorotti. O i loro genitori e nonni.

Che tipo di dialetto trentino si sente parlare a Stivor?

La parlata di quelle persone è incontaminata, originale, senza eventuali influssi veneti, tedeschi. Come del resto sono doc, al 100 per cento, la loro cucina, le loro tradizioni. C’è il bar Trentino, l’unico, un negozio di alimentari, una bella chiesa.

In concreto si è occupato anche di una struttura che a Stivor ha cambiato destinazione d’uso, è così?

Si. Avevo presentato un ordine del giorno, approvato in Consiglio provinciale, e nel mio viaggio in quella località ho voluto dare seguito all’approvazione di quel documento. Ho chiesto al sindaco Tomas di chiedere alla comunità trentina, coinvolgendola, quale destinazione dare a quello che in origine doveva essere il capannone per i vigili del fuoco locali. Io non ho una soluzione preconcetta, debbono essere i trentini di Stivor ad individuarla. La Provincia a suo tempo ha finanziato l’opera e si deve impegnare per completarla non appena deciso che cosa dovrà diventare.

Paccher con i titolari del Bar Trento a Stivor

Stivor - Nei boschi della Bosnia si trova un villaggio italiano (da Milano Città Stato) Quest’anno sono 140 anni che i valsuganotti hanno lasciato la loro terra per andare a cercare fortuna a Stivor.

Esatto. Ho chiesto al ministro dell’integrazione Klokic di tenere qui da noi, in Regione a Trento, un momento di approfondimento, pensiamo ad un convegno con diversi apporti. Visto che si tratta di un terra, come lo è il Trentino Alto Adige, dove convivono diverse minoranze linguistiche.

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