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Quando a Levico arrivarono i polacchi
Cronache di casa nostra
di Andrea Casna
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«Profughi polacchi a Levico? Sia ben chiaro che noi non li vogliamo!». Era il titolo dell'Adige del 15 agosto 1987 proprio nella sezione dedicata a Trento. L'articolo è firmato Leonardo Bizzarro. E si tratta di un piccolo spaccato di giornalismo e storia recente della nostra provincia. Era appunto il 1987. La Guerra Fredda era agli sgoccioli. Il sistema sovietico-comunista si stava sgretolando, ma il mondo era ancora ben diviso in due grandi blocchi: quello occidentale, trainato dagli USA e dalla NATO, e quello orientale a guida comunista con il Patto di Varsavia e Mosca. I giornali del tempo riempivano gli spazi con articoli sui rapporti tra Reagan e Gorbaciov, crisi missilistiche e, spesso, cronache dalla guerra in Afghanistan. Oltre la cortina di ferro il malessere popolare stava emergendo con forza, in modo particolare nella Repubblica Democratica Tedesca e in Polonia. E la Polonia, forse perché madrepatria dell’allora santo padre Papa Giovanni Paolo II, era spesso al centro delle notizie. Gli anni Ottanta erano iniziati con le proteste del sindacato Solidarność, (organizzazione appoggiata dal Vaticano): scioperi, proteste, uso della forza militare avevano scandito il ritmo dei primi anni Ottanta. «La Polonia è un grande campo di concentramento» titolavano sempre i giornali occidentali in riferimento alla repressione comunista verso gli operai della Polonia. Ma era solo questione di tempo: a pochi anni da quelle manifestazioni di piazza, nel novembre 1989 il mondo intero avrebbe assistito al crollo del Muro di Berlino e del comunismo. I profughi polacchi a Levico. Ed è in questo contesto, qui riassunto brevemente, che si inserisce tale vicenda nostrana. Nel 1987 arrivarono a Levico i profughi dalla Polonia. Ma chi erano questi polacchi in fuga dal comunismo che Levico non voleva? Erano ingegneri, medici, avvocati. Insomma persone istruite e benestanti. E come scriveva l’Adige «non i vu cumprà che affollano le spiagge di laghi e mari italiani cercando di vendere magliette dal falso coccodrillo ed elefantini di legno». Ma non solo polacchi: anche cecoslovacchi (per i più giovani che stanno leggendo una volta esisteva la Cecoslovacchia), albanesi e rumeni. Famiglie in fuga dalle dittature sovietiche per andare, non in Italia, ma dai loro parenti in Canada, Nuova Zelanda, Usa o Australia. Al tempo il campo di Latina era stato chiuso e quindi serviva una nuova sistemazione temporanea: una sistemazione per ben 500 polacchi, di cui 250 ospitati nella colonia “Degasperi” di Levico gestita dalla Croce Rossa. E ovviamente all’ora, come oggi, quando si palesa l’ipotesi di ospitare profughi i peli si rizzano. Dall’articolo si apprende il no della giunta comunale ma che allo stesso tempo affermava che «infondo – come si legge nell’articolo – i profughi polacchi non sono degli appestati e possono anche essere accolti dall’ospitale Levico». In una riunione dei capigruppo, scriveva sempre l’Adige in quel lontano 1987, riunione aperta agli operatori economici, tutto era stato ribaltato: «non li vogliamo, questi “turisti” senza soldi - scrive sempre L’Adige riferendosi agli albergatori e commercianti». Le motivazioni di questo no? «La colonia Alcide Degasperi non può contenere una comunità così numerosa. Le strutture non potrebbero sopportare un’invasione di questo genere...». Insomma, in quell’estate del 1987 il
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malessere albergava tra gli operatori turistici di Levico. Ma il 18 agosto i polacchi arrivarono a Levico, e l’Adige, in prima pagina, titolava «Benvenuti polacchi»: una settantina sono arrivati con le proprie auto, gli altri con i pullman della polizia. «Al Levico -scrive l’Adige» - i profughi sono stati sistemati dignitosamente, pur con qualche problema di spazio, che si tenterà di risolvere, nei prossimi giorni». Nei giorni successivi (21 agosto) l’Adige scriveva: «A Levico intanto proseguono con celerità i lavori per la sistemazione dei duecentosessantatre – una ventina in più di quelli annunciati – profughi alloggiati nella colonia “Degasperi”. Fra dieci giorni saranno montati alcuni prefabbricati dove troverà posto una ventina di famiglie. Altre venti fra un mese verranno trasferite a Pergine, nella villa Valdagni».