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Leggende in Valsugana : gli Orchi di Roncegno
Le leggende della Valsugana
di Andrea Casna
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Gli ORCHI di Roncegno
Un tempo si sapeva che sopra al paese di Roncegno, fra i massi e le rocce, abitavano gli Orchi. Esseri giganteschi con una forza sovrumana. La gente aveva paura di questi esseri. Si narravano storie con aneddoti atroci. Erano ghiotti di carne umana. Si divertivano a fare scherzi paurosi ai contadini e ai pastori. Rubavano il bestiame e, in alcuni casi, anche le belle fanciulle dei villaggi. Ma gli orchi che abitavano nelle foreste di Roncegno erano solo forti e grandi. Non amavano spaventare le persone. Anzi. Il loro più grande desiderio era quello di fare amicizia con gli umani. Ma gli umani avevano paura. Infatti quando percepivano la presenza di un Orco scappavano a gambe levate avvisando tutto il villaggio. Gli Orchi, per questo motivo, erano tristi. Si sentivano soli ed umiliati. Per molto tempo rimasero ai margini del bosco, fra le loro rocce e a vivere nell’oscurità delle caverne: si erano auto esiliati. Avevano un animo buono questi orchi di Roncegno. Un giorno, per esempio, aiutarono un contadino al quale si era ribaltato il carro. Ma l’Orco, non dosando bene la propria forza, nel sollevare il carro stritolò i buoi. Per la gente, insomma, erano solo portatori di guai e svenute. Una sera di primo autunno, però, gli orchi decisero di fare una passeggiata nel bosco. Ridendo e scherzando arrivarono nei pressi di Maso Vestri. Si fermarono e videro che le finestre erano illuminate e da dentro la casa uscivano canti e risate. Gli orchi si fermarono per qualche minuto rimanendo in ascolto. Erano tentai di avvicinarsi e di bussare alla porta per poter essere partecipi di tanta felicità e spensieratezza. Ma niente. Decisero di rimanere a distanza, per non spaventare gli abitanti, per poi scomparire nel bosco. La sera seguente, il più piccolo di loro, prese coraggio e si recò nel prato antistante maso Vestri. Con voce poco roca chiamò il padrone di casa. Gli abitanti del maso uscirono subito sulla soglia della porta di casa: erano spaventati e molto preoccupati. «Ecco un orco -pensò un ragazzo. Cosa vorrà? Ci distruggerà la casa? Si porterà via un vitello? Lancerà un incantesimo?». L’orco si avvicinò al padrone di casa: «Buonasera -disse il piccolo Orco. Sono qui perché vorrei solamente passare una bella serata in vostra compagnia». Il padrone di casa, a quel punto, fece cenno quindi all’orco di entrare e, in quel preciso istante, altri cinque orchi uscirono allo scoperto. «E ora come facciamo?
Roncegno antica
-pensò l’uomo. Non posso più tirarmi indietro. Gli orchi potrebbero infuriarsi e distruggere la casa. O ancora peggio: maledire me e tutta la mia famiglia». Per non rischiare l’uomo invitò la compagnia degli orchi in casa. Tutti si sedettero comodi attorno al focolare. Gli Orchi usarono un timbro della voce adatto all’udito umano e i più grandi stavano attenti a non muoversi in modo brusco: l’obiettivo era di fare una bella impressione. E ci riuscirono. Fu una bella serata all’insegna delle risate, di storie buffe e di canti. Tutto accompagnato da abbondanti calici di vino. E fu il vino a colpire in modo particolare la curiosità degli orchi. La serata era andata bene. E dopo di quella ce ne furono altre. E altre ancora. Un giorno, l’orco più anziano, ormai entrato in confidenza con la famiglia, chiese al padrone di casa “la ricetta per fare il vino”. L’uomo rimase in silenzio. «Ecco -pensò subito- ora gli orchi vogliono portami via il segreto. Anzi. Peggio, voglio maledire i miei vigneti. Si sono comportati bene per conquistare la mia fiducia solo per mettere in atto il loro piano malefico». Questi timori indussero l’uomo a raccontare una bugia. «Questo vino lo si ricava dai rovi -disse l’uomo». E gli Orchi, una volta tornati alle loro caverne, iniziarono a piantare rovi. Quasi ogni giorno si recavano dai loro nuovi amici per avere nuove istruzioni e gli abitanti di maso Vestri, ormai schiavi del loro inganno, si inventavano tecniche per coltivare i rovi. Ma gli Orchi non sono stupidi e notarono, dopo qualche tempo, una notevole differenza fra il loro “vigneto” e quello di maso Vestri. Traditi nell’amicizia lanciarono quindi una maledizione: «da ora in poi che le viti abbiano radici fino alle punte». E così fu. Da quel momento il vigneto dei Vestri si trasformò in un roveto...un roveto per sempre.