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I sistemi elettorali a confronto
La politica in controluce
di Emanuele Paccher
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Sistemi elettorali a confronto
Di recente in Parlamento aleggia l’idea di introdurre (di nuovo) un sistema elettorale proporzionale. Ma cosa sono i sistemi elettorali? Il sistema elettorale è quell’insieme di previsioni che stabiliscono i requisiti dell’elettorato attivo (persone che possono votare) e passivo (persone che possono essere votate), l’ampiezza delle circoscrizioni, le modalità di votazione e, soprattutto, la formula elettorale, ossia il meccanismo di traduzione dei voti in seggi. A grosse linee, si può dire che i sistemi elettorali si dividono in due grandi categorie: sistemi proporzionali e sistemi maggioritari.
Il sistema proporzionale è quello che più garantisce l’uguaglianza del voto del cittadino: il partito politico che otterrà il 10% dei voti otterrà il 10% dei seggi. Il grande problema di un simile sistema è il fatto che rende difficile governare un Paese. Con esso viene data rappresentanza anche a partiti politici con una percentuale di voti esigua, frammentando il Parlamento e rendendo più agevole l’attività di ostruzionismo. Poi con tale sistema è difficile riuscire ad avere i numeri per ottenere la maggioranza: occorre ricorrere a grandi coalizioni dopo le elezioni. Per cercare di risolvere alcuni inconvenienti del proporzionale puro si è fatto ricorso ad alcuni “correttivi”: specialmente il premio di maggioranza e le soglie di sbarramento. Il primo prevede che il partito o la coalizione che raggiunga una determinata percentuale otterrà dei seggi ulteriori in più. Ad esempio una legge in passato prevedeva che il partito che avesse ottenuto almeno il 40% dei voti avrebbe ottenuto il 55% dei seggi. Le soglie di sbarramento invece servono ad evitare che ci sia una eccessiva frammentazione in Parlamento, introducendo delle percentuali minime di voti che il partito deve ottenere per poter accedere al riparto dei seggi. Al lato opposto si trovano i sistemi maggioritari. Questi prevedono dei collegi più o meno ampi, in cui il partito che ottiene anche un solo voto più degli altri si porta a casa tutti i seggi del collegio. Ad esempio, se in un collegio concorrono tre partiti, nei quali uno prende il 34% e gli altri due il 33%, il primo ottiene l’interezza dei seggi, con la conseguenza che il restante 66% dei voti andrà disperso. Come si può facilmente intuire, il sistema maggioritario tende a garantire una maggiore stabilità. In aggiunta, permette di evitare un’eccessiva frammentazione del Parlamento e tende a favorire la creazione di coalizioni prima delle elezioni, in modo tale che l’elettore sappia in anticipo quali siano gli schieramenti politici in gioco. Tuttavia, il sistema maggioritario presenta un deficit di democraticità e di uguaglianza del voto in uscita. Potenzialmente può dare luogo a grosse distorsioni della realtà, pre-
La politica in controluce
miando un partito con una quantità di seggi ben maggiore di quello che è il suo consenso nel Paese. Quali sistemi sono stati adottati in Italia nel corso degli anni? Dal 1946 fino al 1993 ci fu un sistema elettorale proporzionale. Negli anni ’90 fu proposto un referendum abrogativo per introdurre un sistema maggioritario, la cui approvazione portò alla legge “Mattarella”, che introdusse per l’appunto un sistema in larga parte maggioritario. Nel 2005 si tornò indietro, e si introdusse un sistema proporzionale corretto. A partire da quell’anno si assistette ad un’intensa attività legislativa, con una serie di riforme elettorali, molte delle quali dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale. E attualmente quale legge elettorale c’è in Italia? Dal 2017 il sistema in vigore è un sistema misto, in cui il 37% dei seggi è attribuito con un sistema maggioritario uninominale (ossia con collegi in cui si elegge un solo parlamentare), il 61% viene ripartito con un sistema proporzionale con alcune soglie di sbarramento e il restante 2% è dedicato al voto degli italiani residenti all’estero. Oggi una modifica alla legge elettorale potrebbe essere opportuna, anche in conseguenza della modifica costituzionale che ha ridotto il numero di parlamentari. Tuttavia, non può non destare qualche perplessità la possibile scelta di orientarsi verso un proporzionale puro: con ciò si rischia di non garantire governabilità ad un Paese che sembra già connotato da forti instabilità. Forse in Parlamento si è già deciso di ricorrere, per ancora altri anni, ad ampie maggioranze tra partiti anche molto diversi tra loro, magari scegliendo come Presidente del Consiglio una figura di alto profilo.