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Mercati Il Sud-Est Asiatico ha fame di latte e cereali, cresce l’import Anna Mossini da Europa e Italia

La carne resta a tutt’oggi un alimento connotato da forte convivialità (photo © karepa – stock.adobe.com).

— e all’utilizzo della superfi cie agricola dei prin cipali Paesi orientata in buona parte alla zootecnia, il fatto è che questo accanimento appare un tantino dogmatico e comincia ad avere un sapore stucchevole: il mantra secondo cui “mangiare carne è peccato” (contro l’ambiente e le generazioni future, ça va sans dire) comincia a cozzare con le abitudini culturali radicate da secoli.

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Anche in aree del pianeta tradizionalmente avanzate dal punto di vista dell’etica ecologista come i Paesi del Nord Europa, la fi losofi a per la quale la carne va sostituita con qualcosa che ci assomigli non

sta facendo breccia.

Pur biasimando i consumi eccessivi che caratterizzano dal Novecento Paesi come gli Stati Uniti e l’Argentina, con valori pro capite decisamente superiori alla media mondiale dei Paesi sviluppati, la ritrosia a passare da un momento all’altro ad una dieta dove sul piatto ci sia un cibo di origine vegetale o della carne di origine cellulare prodotta in un bioreattore è forte anche tra i consumatori delle economie più avanzate.

Quando si muovono ingenti capitali a livello mondiale è facile pensare che diffi cilmente si tratterà di un buco nell’acqua: tra i principali investitori ci sono tanto colossi del settore alimentare quanto piccole imprese di nuova costituzione, tutte sostenute da un cospicuo fl usso di moneta proveniente da fondi e società di investimento globali. La società di consulenza fi nanziaria Kearney di Chicago prevede che la quota di carne convenzionale sul mercato globale della carne diminuirà dal 90% nel 2025 ad appena il 40% entro il 2040; nello stesso periodo la quota detenuta dai nuovi sostituti della carne (cioè le alternative di carne a base di piante, come i neonati Beyond Burger e Impossible Burger) dovrebbe passare dal 10% al 25%, mentre la carne coltivata in laboratorio è destinata a coprire la rimanente quota del 35%.

Ora, se questi studi si concretizzassero, vuol dire che assisteremmo ad un netto cambiamento nelle

abitudini alimentari in meno di un

ventennio e ad un vero e proprio

sconvolgimento delle fi liere zootec-

niche. Alcuni segnali, tuttavia, non vanno in quella direzione.

Una ricerca condotta nel 2020 dalla Divisione Bioeconomia e Salute dell’Istituto svedese RISE3 ha indagato se ed in quale misura i cittadini della Svezia intendessero seguire i consigli di modifi care la propria dieta secondo criteri di maggiore sostenibilità ambientale, come peraltro incoraggiano a fare le politiche governative statali dal 2016. Lo scopo della ricerca era quello di capire le motivazioni profonde alla base dei risultati di

un sondaggio nazionale condotto nel 2020 che, sorprendentemente, aveva mostrato come ben il 75% degli intervistati non avesse alcuna intenzione di diminuire il consumo

di carne nel breve periodo (specifi camente la domanda era riferita alle scelte per il 2021).

La ricerca del RISE è consistita in un’indagine approfondita e tematica su un gruppo ristretto di alcune decine di consumatori per sondare le motivazioni psicologiche

sottese alla riluttanza al cambio nel regime alimentare evidenziate dal sondaggio: i dubbi maggiori emersi dai partecipanti relativamente ai nuovi prodotti di origine vegetale riguardavano gli aspetti organolettici (sapore, consistenza), l’eccessiva presenza di ingredienti che renderebbe l’alimento poco naturale, la minore qualità percepita di questi alimenti rispetto alla carne tradizionale, gli effetti ignoti sulla salute di un’alimentazione con piante sinora estranee alla dieta occidentale come la soia oppure concentrati di glutine di frumento, la poca dimestichezza nel cucinare questi nuovi cibi.

Chi consuma carne ha detto che per ridurre l’impatto ambientale piuttosto che eliminarla dal proprio menù sceglie carni locali o co munque nazionali oppure si ripropone di diminuire le porzio-

ni. Alcuni degli intervistati hanno detto che, se dovessero scegliere, preferirebbero prodotti alternativi che assomiglino in tutto e per tutto alla carne, mentre altri opterebbero per alimenti che non debbano per forza essere ricondotti alle medesime caratteristiche strutturali ed organolettiche.

Molto forti sono gli aspetti culturali che vedono nella carne un alimento insostituibile in determinate occasioni come il Natale o le grigliate estive, momenti che connotano la tradizione e la convivialità svedesi.

Un altro fattore che è emerso consiste nella libertà di scelta del consumatore, che agisce e sceglie di volta in volta in base alle proprie ispirazioni senza doversi per forza sentire ingabbiato da modelli, calcoli e considerazioni circa le conseguenze di ciò che mette in tavola o consuma fuori casa.

Altre ricerche svolte nelle economie sviluppate tra il 2015 e il 2020, alcune delle quali citate nella ricerca svedese, hanno messo in luce aspetti contraddittori della sostituibilità delle carni, che non sostengono le magnifi che sorti e progressive radiosamente prospettate dagli analisti fi nanziari globali e dal movimento-setta vegano.

Vinceranno le scelte libere e consapevoli dei cittadini, basate su un innumerevole impasto di fattori socio-culturali sedimentati in decenni e persino secoli, oppure sarà il mercato ad orientare forzosamente gli acquisti e le politiche istituzionali al fi ne di remunerare gli ingenti investimenti realizzati?

Roberto Villa

Note

1. Dati del Global Forest Watch, www. globalforestwatch.org/dashboards/country/BRA 2. Dati FAO, www.fao.org/faostat 3. ELIZABETH S. COLLIER et al. (2021),

Identifying barriers to decreasing meat consumption and increasing acceptance of meat substitutes among Swedish consumers, AP-

PETITE, 167, reperibile integralmente su: www.sciencedirect.com/science/article/pii/

S019566632100550X

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Il Sud-Est Asiatico ha fame di latte e cereali, cresce l’import da Europa e Italia

Durante un recente webinar organizzato da Clal.it sono state analizzate le potenzialità che il lattiero-caseario, il settore della carne suina, dei cereali e dei semi oleosi possono sfruttare per aumentare l’import innanzitutto da parte della Cina. Crescono le esportazioni dall’Italia

di Anna Mossini

La carne suina costituisce uno dei comparti produttivi più importanti per i Paesi del Sud-Est Asiatico, Cina in primis (photo © bannafarsai – stock.adobe.com).

Quali opportunità nasconde per l’agroalimentare della UE e dei Paesi occidentali il mercato del Sud-Est Asiatico? Se ne è parlato di recente ad un webinar organizzato da Clal.it, il portale che analizza i mercati nazionali e internazionali dei settori lattierocaseario, della carne suina e dei salumi, dei semi oleosi e dei cereali. Con 2,14 miliardi di abitanti i Paesi del Sud-Est Asiatico, che comprendono Cina, Hong Kong, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam, rappresentano il 28% della popolazione mondiale, con un trend che dal 1960 al 2020 ha conosciuto un aumento di oltre 260 milioni di abitanti, e un PIL (Prodotto Interno Lordo, NdA) che analogamente ha registrato un costante aumento, lievemente ridotto nell’anno della pandemia, ma pur sempre in crescita.

Tanti i numeri illustrati durante l’incontro, a partire proprio dalle previsioni del PIL elaborate dal Fondo Mondiale Internazionale nei confronti della Cina per il 2021: +8,4% che nel prossimo anno dovrebbe scendere a un +5,4%, a cui fa riscontro il più modesto +2,3% del 2020. Un aumento che ha incassato anche il Vietnam, registrando nel 2020 un +2,9%, con una previsione per il 2021 di +6,5% e di +7,2% nel 2022. E se il Prodotto Interno Lordo di Indonesia, Corea del Sud, Filippine e Thailandia nel 2020 ha subito una frenata, per l’anno in corso e quello prossimo gli indicatori sono visti tutti in positivo.

Per carni suine e produzione di mais la Cina può vantare un’autosuffi cienza rispettivamente del 90% e del 93%; diverso è il discorso per il settore lattiero-caseario e per i semi di soia: 77% per il primo e addirittura 16% per il secondo. Una situazione che, in termini di valore, nel 2020, ha incassato a livello globale un aumento del 14% sull’anno precedente per le importazioni totali di prodotti lattiero-caseari, carni suine, cereali e semi oleosi toccando la cifra di 144 miliardi di dollari; mentre l’import

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