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Fiesta, Leatherette

Fiesta, ma è toro della Camargue

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di Giovanni Papalato

Sì, so che “Fiesta” è un termine spagnolo e la grafi ca in copertina di questo nuovo album stampato dalla BRONSON RECORDINGS rimanda proprio ad una tauromachia tipica del Paese con capitale Madrid, ma osservare i suoi colori mi ha riportato in Provenza, tra campi di lillà e arancioni tramonti sull’acqua. Più precisamente mi sembra di tornare in Camargue, regione che ho visitato solo pochi mesi fa e dove tori e arene sono tutto tranne che elementi alieni. La corrida qui però è la Course à la cocarde o Course camarguaise, in cui lo scopo non è combattere e uccidere l’animale, ma sottrarre piccole coccarde o laccetti fi ssati sulla testa e sulle sue corna.

In francese a volte si usa il termine taureau anche quando si tratta di un esemplare castrato, ma è importante considerare che in occitano il bovino è sempre chiamato buòu e non taurè. In queste corride è spesso utilizzato un bue, protagonista assoluto più di chi lo sfi da: nei manifesti che annunciano la gara sono i nomi dei buoi ad essere annunciati e non quelli degli sfi danti, a differenza di ciò che succede con i toreri. Animali il cui colore del mantello è marrone scuro o nero, sono di dimensioni ridotte: le femmine hanno un’altezza media di 120 cm e un peso di 200-270 kg mentre i maschi hanno altezza di 130 cm e peso di 300-450 kg; le corna sono lunghe e rivolte verso l’alto. Non addomesticato, il suo allevamento è praticato da 120 allevatori che raggruppano circo 15.000 capi. Gli animali poco combattenti vengono utilizzati per la produzione di carne, che nel 2000 ha ottenuto la Denominazione d’Origine Protetta (DOP) Taureau de Camargue. Il territorio strettamente connesso alla tradizione culinaria permette di gustare questa carne alla griglia così come stufata, nell’entroterra come lungo la costa, da Montpellier a Saint Marie Le Mer passando per Arles.

La Gardiane de taureau (lo stufato di toro) si prepara partendo da una mescolanza di carne magra e gelatinosa che si prende da collo, guancia e scamone e che viene poi marinata con un vino rosso strutturato, alloro, timo, scorza essiccata d’arancia, sale, pepe, aceto, cipolla e aglio. Cotta a fuoco lento, si impiatta con riso rosso integrale, che mantiene il suo profumo anche soltanto bollito. Ricette come queste rinnovano la tradizione rimanendo il piatto principale nelle feste di famiglia, attraversando le generazioni.

Allora che Fiesta sia anche con una famiglia come quella dei Leatherette, formatasi a Bologna unendo più luoghi di nascita, dal Salento al Piemonte passando per l’Abruzzo, mentre sul piatto gira la loro ricetta di Post Punk. Leatherette, fi nta pelle, come irriverente derisione del rock e della sua iconografi a, in cui ritrovarsi un momento solo per irriderla con un’eterogenea sequenza di composizioni che abbracciano caos

e malinconie. Nel 2021 WWNBB pubblica EP autoprodotto e registrato in casa, Mixed Waste che, partendo dall’Italia, portano in giro per l’Europa e Regno Unito.

Le canzoni che compongono il disco d’esordio e che risalgono a prima di questo intenso periodo live, vengono arrangiate con ciò che si contamina e si modifi ca nell’esecuzione reiterata, nei viaggi condivisi e nelle esperienze vissute. Per questo post punk e attitudine jazz sono solo radici da cui si dirama un groviglio eterogeneo di art-rock, weird garage, emo, math-rock, elettronica, hip hop e free-jazz.

Le contrazioni che si caricano di scambi diretti tra sax, chitarre e voce, tirati dalla sezione ritmica danno a Come Clean la responsabilità di aprire il disco. Siamo in territori sonori che fanno capo alla scena di South London che in questi ultimi anni ha recuperato formule espressive nervose di irruenza muscolare che avevano defi nito un periodo immediatamente successivo al 1977, sull’onda generata dal Punk e in un cotesto socio culturale incerto con punti di relazione paradossalmente in comune con quello che stiamo vivendo ora.

Con uno scarto rapido si mette in chiaro subito che non si prosegue uniformemente e i riff ruffi ani di So Long giocano col dolore dell’incomunicabilità cantato all’interno di un confl itto stilistico che si fa seguire con complicità.

Ma è con Dead Well che si apre ancora di più il ventaglio espressivo: galleggia su un hip hop inaspettato quanto irriverente per poi procedere a bracciate sempre più intense verso il fondo, riemergendo e schizzando rumore e caos circolare, dove il sax si impone a spingere e rilasciare in spasmi sonori.

Lo stesso strumento rimane centrale anche nel brano seguente, Fiesta, disegnando attraverso le note jazz un mood che unito al testo rievoca l’omonimo romanzo di ERNEST HEMINGWAY costituendo un omaggio ispirato quanto sincero.

Si defi la senza perdere di importanza affi ancando la voce nell’essenziale Cut che chiude il primo lato, mentre una linea di basso viva e pulsante e algidi picchi di sintetizzatore indicano la direzione.

Si riprende bruscamente col delirio molesto e ansiogeno di Fly Solo, echi di una New York disperata quando i Seventies stanno fi nendo e gli specchi rotti delle mirror ball riflettono la fine dell’ennesima illusione,

Sembra una bugia No Way, che racconta di una negazione assoluta su una ritmica meticcia come di spazzole digitali e poi sbatte su sé stessa in un crescendo sofferto di gola e negazioni. Raccontare l’amore è un rischio che tutti corrono, qui si prova a raccontare come in amore si debbano correre dei rischi e lo si fa con una canzone che prende da certi talking Heads, incastrando fl uida un motivo orchestrale che sembra uno ska al rallenty assieme al caro vecchio post punk.

Aggiungere un sax soprano? Perché no! In Play lo suona MATT BORDIN (già Gentlemen e Squadra Omega), in una Babilonia che sale senza paura di cadere.

Arriva il momento di chiudere e farlo ci pensa una Sunbathing che entropica e trascinante in un contrasto che non smette di urlare celebra la speranza come un pacifi cante bagno di sole che arriva sempre nonostante tutto, anche dopo la notte di certi giorni.

E in fondo Fiesta parla di questo, di violenza e catarsi, di esporsi e ferirsi per non morire. Lo fa non replicando una formula defi nita, ma sommando ad ogni brano un elemento personale che lo rende un album di debutto prezioso. Il passato sonoro c’è ma è parte di un processo in cui i testi si fanno sorreggere e spingere fuori sollevati da chitarre muscolari e un sax fi ammante perché entrare in contatto con le nostre nevrosi, le nostre paure, le nostre ansie ci permetta di sentire concretamente la nostra umanità.

Giovanni Papalato

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