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No, non è la crisi del 2008, è peggio Sebastiano Corona

Uno strumento fondamentale per informare bene

Oggi l’informazione è la nuova materia prima delle aziende. Infatti, anche grazie alle tecnologie digitali, il data management consente di migliorare l’effi cienza, ridurre i costi e aumentare il livello di servizio al consumatore. Un

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consumatore che è immerso appieno in questa rivoluzione dell’informazione “fl uida”: disponibile in

qualunque momento, in qualunque luogo e in quantità inimmaginabili fi no a qualche anno fa.

Accanto alla rivoluzione digitale il consumatore risponde, poi, agli stimoli della cultura alimentare e delle scoperte scientifi che su come il cibo infl uenzi la salute e il benessere. L’informazione sui prodotti alimentari diventa così

un elemento fondamentale e l’etichetta è il primo posto “fi sico” per entrare in contatto con il consumatore,

educarlo e soddisfare la sua esigenza di informazioni complete e trasparenti. Le persone sono alla ricerca di punti di riferimento e i punti di vendita e le marche dispongono di strumenti informativi importanti per costruire una relazione di valore con loro: “informare bene” è oggi una delle mission costitutive per le imprese. Mancava ancora, tuttavia, una misurazione reale del rapporto tra informazione ricercata e risultati di mercato in termini di vendite. Per colmare questo vuoto, nel 2016, è nato l’Osservatorio Immagino GS1 Italy: l’integrazione tra le oltre 100 variabili (ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certifi cazioni, claim e indicazioni di consumo) registrate da Immagino sulle etichette dei prodotti già digitalizzati da un lato e i dati Nielsen di venduto (retail measurement service), consumo (consumer panel) e di fruizione media (panel TV-Internet) dall’altro, apre la strada a un modo nuovo di guardare i fenomeni di consumo che si verifi cano

Questa decima edizione dell’Osservatorio Immagino raccoglie i dati dell'anno terminante a giugno 2021. È stata realizzata su una base di oltre 125.000 prodotti del largo consumo, nata dal confronto tra i prodotti della banca dati Immagino a giugno 2021 e i prodotti in vendita nella Grande Distribuzione rilevati da Nielsen. A ottobre 2021 i prodotti digitalizzati da Immagino sono arrivati a 130.000.

Declinando i prodotti Immagino all’interno dei reparti in cui si segmenta il largo consumo confezionato, secondo l’Albero delle categorie ECR, si evidenzia una copertura diff erente a seconda del reparto considerato. Per le carni si è arrivati al 73%. Stessa percentuale anche per l’ittico (photo © Robert Kneschke).

totalmente o largamente riciclabile e che, rispetto ai 12 mesi precedenti, è diminuita la quota di quelli non riciclabili (scesa dal 5,7% al 4,9%), a prova che, quando viene comunicato sulla confezione, l’impegno delle aziende del largo consumo per la raccolta differenziata è il più delle volte effettivo e concreto.

Guardando alle aree merceologiche, il freddo si conferma quella in cui viene maggiormente comunicata la riciclabilità del prodotto (54,9% dei prodotti), mentre al secondo posto si attesta ancora una volta l’ortofrutta (46,0%). Invece bevande (principalmente per il vetro), petcare e cura persona sono le aree con la minor percentuale di prodotti che indicano in etichetta la possibilità di riciclo del packaging, con quote al di sotto del 20% delle referenze. E quando la riciclabilità viene comunicata in etichetta nella maggior parte dei casi la confezione è effettivamente riciclabile o largamente riciclabile, ma tra le aree merceologiche la situazione è disomogenea.

Se in ortofrutta, cura casa, bevande e carni il packaging è riciclabile per oltre il 90% dei prodotti rilevati dall’Osservatorio Immagino, in drogheria, fresco, freddo e cura persona le quote di riciclabilità si abbassano intorno all’80%. Sempre quando viene specifi cata la riciclabilità in etichetta, le categorie con packaging meno riciclabili restano i condimenti freschi (24,1% totalmente o largamente riciclabile), i prodotti da ricorrenza (28,6%), i preparati e piatti pronti (45,2%).

Infi ne, complice l’effetto rimbalzo sui picchi di vendita registrati nei mesi precedenti durante l’emergenza Covid-19, nell’anno terminante a giugno 2021 le unità vendute sono rimaste pressoché stabili (+0,7%). Ma quelle dei prodotti con indicazione di riciclabilità (totale, largamente o parzialmente) sono cresciute a differenza di quelli dei prodotti non riciclabili, gestibili in base al Comune oppure dove non è comunicata la riciclabilità. Fonte: Osservatorio Immagino osservatorioimmagino.it

No, non è la crisi del 2008, è peggio

Infl azione galoppante, prezzi alle stelle, manufatti e materie prime introvabili, caro bollette. Famiglie, imprese, pubblica amministrazione e distribuzione accomunati da un’emergenza senza precedenti

di Sebastiano Corona

Ifattori negativi sono troppi e tutti concomitanti. Non avevamo ancora fi nito di osannarci per la più grande ripresa di sempre, un PIL schizzato a livelli elevatissimi, mai visti negli ultimi decenni — frutto non tanto e non solo di merito specifi co, quanto di naturale rinascita dopo la pandemia — che arriva quella che dai più è stata defi nitiva la tempesta perfetta.

Il leitmotiv del momento, il tema della transizione energetica, si fa quanto mai attuale, ma allo stesso tempo si infrange sulla dura realtà, oggi più condizionata da fattori di geopolitica che da una rinnovata attenzione all’ambiente.

Una situazione che riguarda molti Paesi dell’Unione Europea, mettendone in ginocchio però solo alcuni, Italia in testa. Mai come oggi tocchiamo infatti con mano le conseguenze di scelte sbagliate degli ultimi 30 anni, il procrastinare di decisioni che andavano assunte in tempi non sospetti, l’esserci messi in mano di altri Stati, sottovalutando il pericolo che ne poteva derivare.

Abbiamo a suo tempo abbandonato l’idea di certe fonti di energia che, pur rischiose per l’ambiente, non hanno trovato valide alternative. E oggi che ragioniamo su altre modalità di approvvigionamento, più che in altri momenti paghiamo il conto del fatto di essere rimasti inermi nel momento storico sbagliato. Siamo alla resa dei conti.

I prezzi delle materie prime avevano iniziato ad aumentare già nel 2021, anche a causa della carenza di prodotto, per moltissimi settori e non solo alimentari. Stesso discorso per innumerevoli tipologie di manufatti, soprattutto di provenienza asiatica e cinese nello specifi co, che sono funzionali a diverse fi liere. Ma a chiudere il circolo vizioso di una situazione senza precedenti nel recente passato si è presentato l’aumento smisurato del costo dell’energia elettrica e del gas.

Un incremento che si distribuisce a tutti i livelli e falcia indistintamente famiglie e imprese, senza appello e senza clemenza. Non solo, sappiamo quando è iniziata. Ma non abbiamo idea di quando e se potrà fi nire.

Stavolta non saranno suffi cienti soluzioni tampone o misure a macchia di leopardo. Mai come oggi ci troviamo di fronte ad un meccanismo capace di generare reazioni negative a catena che vanno a stanare tutti gli anelli di ogni fi liera, dove più dove meno.

E chi pensa che la questione si risolva nell’affrontare sommariamen-

te l’emergenza bollette si sbaglia di grosso, perché stavolta si tratta di una situazione che non ha molti precedenti e che rischia davvero di sfuggire di mano, generando danni irreparabili.

Il problema non è solo l’aumento di energia elettrica e gas. L’infl azione ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 26 anni, siamo prossimi al 5%. Una stangata, questa, che appare solo all’inizio e si scaglia su famiglie e imprese peggio della pandemia. Non basterà fare i parsimoniosi su riscaldamento e luce, perché con aumenti di questa portata su tutti i prodotti in maniera indistinta le imprese perderanno completamente il loro margine e le famiglie faranno una fatica immane a sbarcare il lunario, in un momento in cui anche i salari sono piantati a terra. Rincara l’energia, ma non si può dire diversamente delle materie prime, dal grano alla carne e, per chiudere la fi liera, dei materiali per il packaging, i macchinari per la trasformazione, i prodotti per la pulizia degli ambienti e tanto altro ancora. Molti di questi sono inoltre introvabili e la loro penuria sul mercato sta generando ulteriori problemi alle imprese e ha ovvie conseguenze anche sui prezzi.

Non bastasse, in alcuni settori dell’agroalimentare le questioni sono ulteriormente complicate da una stagione siccitosa, da condizioni climatiche generali avverse, ma anche dalla crisi aviaria che si ripercuote su uova e pollami e dalla Peste Suina Africana che ora si affaccia nelle regioni del Nord e crea grattacapi serissimi.

Un comparto che fa i conti con l’atteggiamento non sempre favorevole della Grande Distribuzione Organizzata e che vive il confronto con la concorrenza estera, partendo da un profondo svantaggio che genera una guerra combattuta ad armi impari.

Secondo l’ISTAT, il carrello della spesa fa segnare un 3,8% in più e i trasporti rincarano del 7,7%. A gennaio sono aumentati sia i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +2,4% di dicembre a +3,2%), sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +4,0% a +4,3%).

Solo per la tavola, gli Italiani si ritrovano oggi a spendere 285 euro in più a famiglia su base annua.

Soffrono, dunque le famiglie, ma non va meglio alle imprese. Secondo COLDIRETTI, i prezzi delle materie prime alimentari sono al massimo degli ultimi dieci anni nel mondo, con un incremento medio dei prezzi (sulla base dell’Indice FAO 2021 su 2020) del 28,1%.

Un aumento, a livello internazionale, che si rifl ette anche in Italia dall’agricoltura alle industrie, dagli alimentari nei supermercati fi no alla colazione al bar. E a proposito di bar, le quotazioni della qualità arabica sono volate al +80% e quelle della robusta al +70% ed ecco perché non dobbiamo sorprenderci se anche la tazzina di caffè dovesse toccare € 1,50.

Ma non mancano all’appello gli oli vegetali, i cereali, lo zucchero. Quest’ultimo è aumentato del 29,8%, arrivando al livello più alto dal 2016. Salgono anche i grassi vegetali, cresciuti del 65,8% rispetto all’anno scorso, e i prodotti lattiero-caseari, giunti ad un +16,9%, seguiti da quelli della carne, con +12,7%.

Per i cereali l’impennata era iniziata già nel 2021, raggiungendo il livello annuo più alto dal 2012, con un +27,2 % di media rispetto al 2020. Il mais è aumentato del 44,1%, mentre il grano del +31,3%. Un colpo duro per gli allevamenti.

Lancia un grido d’allarme anche FABIO FONTANETO, amministratore delegato del raviolifi cio Fontaneto Srl e presidente nazionale di APPAFRE (Associazione produttori di pasta fresca della piccola e media impresa) che dice: «da settembre abbiamo registrato aumenti delle semole di grano duro anche a doppia cifra percentuale, ma non basta. Facciamo pasta fresca ripiena e abbiamo subito un’impennata dei prezzi di molte altre materie prime come il burro, salito di quasi il 70%; il semolino di riso, che usiamo per “spolverare” i ravioli, aumentato di oltre il 40%; le uova, impiegate per la pasta all’uovo, anch’esse lievitate del 40%; la carne bovina, usata per il ripieno, con un + 30%».

Non è fi nita: non sono mancati rincari considerevoli, dal 20 al 50%, dei materiali da imballo, come vaschette, cartoni, etichette e persino dei bancali di legno, indispensabili per la movimentazione dei prodotti alimentari, che oltre ad essere quasi introvabili, hanno ormai un costo proibitivo.

Poi è arrivata la madre di tutti i rincari: l’energia elettrica. «Sono tante le piccole e medie aziende che rischiano di chiudere, perché non saranno in grado di sostenere i maggiori costi produttivi» sottolinea Fontaneto.

Perché se ci sono imprese che riescono ad aumentare i prezzi al consumatore fi nale, ce ne sono altrettante, soprattutto quelle che operano con la GDO, i cui contratti erano stati stipulati in tempi non

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