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Soria e cultura Buffalo Bill contro i butteri Andrea Gaddini

Lost in the Stars: The Music of Kurt Weill, Hal Willner

Di bistecche, leggi morali e musica trasversale

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di Giovanni Papalato

Di tanti dischi raccontati su queste pagine, alcuni hanno riferimenti carnivori più espliciti di altri che sono invece da cercare. È il caso della copertina del tributo alla musica di KURT WEILL, che raffi gura diversi oggetti al posto dei brani, abbinati agli artisti che li interpretano. Ecco quindi che una bistecca campeggia sopra il nome di TOM WAITS. È senz’osso, quindi dovrebbe venire dalla parte centrale della schiena del bovino, visto che, partendo dalla sua metà, si ricavano prima le lombate e le costate, poi le fi orentine per poi terminare con il pregiato scamone. Qui rappresenta un tassello che serve a costituire un mosaico che vuole agitare chi lo osserva, in questo caso chi ascolta la canzone musicata da Weill. Ci torneremo a tempo debito.

Partiamo prima da contestualizzare il disco che abbiamo tra le mani. “Lost in the Stars” è uno dei primissimi album di tributo pubblicati. È l’inizio degli anni Ottanta quando il produttore HAL WILLNER pensò e realizzò “Amarcord” in omaggio a NINO ROTA, un disco in cui i brani non fossero interpretati da un unico artista ma un lavoro eterogeneo costituito da diversi artisti e produttori. Fu il primo di una serie che comprende anche questo dedicato a Weill, uscito nel 1985.

Negli anni si sono alternati, all’interno di un continuo aumento di pubblicazioni, comprese quelle a scopo di benefi cenza, raccolte autoreferenziali, in cui gli artisti cercano solo promozione tra un disco e un altro, e progetti di grande valore artistico e di grande ispirazione per approfondire il lavoro del soggetto celebrato oltre che apprezzare le cover registrate. “Lost in the Stars” appartiene decisamente a questa seconda categoria. Un artista che ha avuto la capacità di mescolare la musica colta, classica, per opere e balletti a quella più popolare dove il quotidiano è imprescindibile, che si rappresenta a Broadway e si suona attraverso le radio. Dagli esordi nel 1920 nella sua Germania alla morte per attacco cardiaco nel 1950 a New York, ha fatto in tempo ad essere celebrato in ogni ambito in cui ha composto musica lavorando, solo per citarne alcuni, con FRITZ LANG,

JEAN RENOIR e BERTOLT BRECHT. Diversi brani di questo disco appartengono al catalogo delle opere scritte assieme al drammaturgo tedesco, in particolare dall’Opera da tre soldi e al ciclo di Mahagonny (Ascesa e caduta della città di Mahagonny).

C’è qualcosa nella loro musica teatrale prodotta negli anni Venti che parla concretamente all’America, un’alchimia fi glia di una contaminazione che non si è esaurita nell’attimo immediato di una stagione. La disillusione che porta sì tristezza ma anche conoscenza e infi ne saggezza, l’identificazione dell’ascoltatore nella rappresentazione.

Prendiamo The Ballad Of Mack The Knife cantata praticamente da

chiunque (LOUIS ARMSTRONG, BOBBY DARIN, FRANK SINATRA, ELLA FITZGERALD, ROBBIE WILLIAMS…) una melodia imprescindibilmente dalla cultura europea e statunitense dal jazz al pop. Qui nella voce spigliata di STING, all’epoca dell’esordio da solista dopo lo scioglimento dei Police avvenuto solo un anno prima, completamente a suo agio nell’arrangiamento disinvolto di fi sarmonica e ottoni, a scapito di un testo crudo e spietato.

Un contrasto armonico che pervade il lavoro di Weill, che troviamo anche in The Cannon Song a fi rma STAN RIDGWAY di Wall of Voodoo: l’orrore della guerra qui reso in un’orchestrazione scintillate è una declamazione cinica nell’epicità.

L’impressione che ogni brano sia scritto apposta per artisti contemporanei è impressionante e si rafforza con Ballad of the Soldier’s Wife in cui MARIANNE FAITHFULL si muove con naturalezza, tra tasti di pianoforte e una melodia obliqua su cui insistere e aggrapparsi.

La suite/medley di diversi momenti di Johnny Johnson raggruppata da VAN DYKE PARKS tra archi, fi ati assieme a banjo e armonica illu mina la connessione tra la tradizione di musical newyorchesi e la matrice geniale del compositore tedesco.

Di nuovo un brano che vive di eterogenee interpretazioni, quella Alabama Song diventata folk e ubriaca per i DOORS, a quella post punk di BOWIE, che qui suona new wave tra batteria elettronica e chitarre fi ltrate interpretata dalle voci di RICHARD BUTLER, leader di Psychedelic Furs, e ELLEN SHIPLEY.

Una Youkali Tango strumentale, spogliata del testo e quindi inedita nella drammatica e bellissima ver-

sione di ARMADILLO STRING QUARTET, precede la conclusione del primo lato con Der Kleine Leutnant Des

Lieben Gottes a fi rma JOHN ZORN. Il sassofonista del Queens destruttura, scompone e riassembla in un caos amministrato, riuscendo a toccare il lavoro di Weill in una sintesi compositiva che conserva la longevità di un classico, nella sua contemporaneità.

Girando lato incontriamo quella che può essere a tutti gli effetti la più divisiva e allo stesso modo più riuscita interpretazione del disco. September Song è per certi puristi, educati da versioni malinconiche sempre meno intense e credibili, un brano che non può prescindere da un status di tristezza. LOU REED in questo “Lost in the Stars” riesce a liberarla, prendendo la linea melodica del brano e rimodellandola in una struttura aperta e ariosa assieme a fi ati funky e al suono minimale e inconfondibile della sua chitarra elettrica. È questo il brano che più dimostra la fl essibilità e l’eclettismo della musica di Weill.

Il disco continua alternando reinterpretazioni jazz come quella di CARLA BLEY nella composizione che dà il titolo alla raccolta e CHARLIE HADEN assieme a SHARON FREEMAN in Speak Low, quest’ultima arricchita da momenti di improvvisazione, a versioni spiritual come quella accreditata a MARK BINGHAM con JOHNNY

ADAMS e AARON NEVILLE.

Unica artista tedesca presente, DAGMAR KRAUSE in Surabaya Johnny sembra portare indietro nel tempo con la sua vocalità e la sua interpretazione a quando le opere venivano scritte conservando quella intensità che le ha portate fi no a qui.

Totalmente nei primi anni ‘80 è invece Call From The Grave /Ballad In Which Macheath begs all men for Forgiveness, che sembra suonare dalle casse di un locale dove si suona funky ed elettronica, tra sequencer e synth, fi ati e bassi.

Se la chiusura è affi data ad un altro episodio da Johnny Johnson a cura di VAN DYKE PARKS, che idealmente chiude quello che STEVE WEISBERG aveva cominciato con Intro from Mahagonny-Songspiel, noi raggiungiamo il brano che ci ha spinto a mettere il disco sul piatto, incuriositi da quella bistecca che assieme ad un bicchiere di birra, un cappello, un fi ammifero, un sigaro ed altri oggetti ha riempito la copertina di “Lost In The Stars” con un ritratto di Weill sullo sfondo. What Keeps Mankind Alive è affi data alla gola di TOM WAITS, letteralmente. Sa di sab-

bia e sigarette e ghiaia, viene dallo stomaco e canta. Canta di necessità

e bisogni, con cinismo denuncia. L’orchestrazione si muove da lato a lato, sorregge e accompagna, è fi glia di strumenti e agitazioni Bauhaus. In poco più di due minuti siamo sotto un palco, ad ascoltare una melodia che ci suona tra testa e pancia.

“Cosa mantiene viva l’umanità?”

“Prima il cibo, poi la morale”. Un concetto che riguarda tutti noi, quello che facciamo e come lo facciamo, a partire dal cibo. Ma siamo davvero capaci di farlo? Brecht punta il dito sul mondo che vedeva nel 1928

Photo © Lucio Pellacani

in Europa e che purtroppo, non smettiamo di vedere; “l’umanità è mantenuta viva dagli atti bestiali” conclude, dopo aver elencato soprusi e torture perpetrate dai potenti sui più deboli, in un contesto che da lì a poco avrebbe costretto compositore e drammaturgo a fuggire negli Stati Uniti.

Kurt Weill diceva che non esisteva musica “alta” o “bassa” ma solo “buona” o “scadente”. Che lo si condivida o meno, questo album dimostra come la sua produzione sia moderna e appartenga certamente ad una categoria virtuosa piuttosto che al contrario e come si possa prendere spunto da queste rielaborazioni per scoprirlo o ritrovarlo. La

musica di Kurt Weill è presente nelle nostre vite più di quanto possiamo

credere e certe volte gli album di tributo hanno davvero un senso.

Giovanni Papalato

Buffalo Bill contro i butteri

di Andrea Gaddini

Nel marzo 1890 a Roma si tenne la leggendaria sfi da tra i cowboy di BUFFALO BILL e i butteri della campagna pontina, nell’arena dello spettacolo Buffalo Bill Wild West Show. Nonostante la pioggia si ebbe il tutto esaurito, incassi alle stelle e polemiche sui giornali.

Buffalo Bill a Roma

Il colonnello WILLIAM FREDERICK CODY, più noto come Buffalo Bill, leggenda del West, creò nel 1883 il Buffalo Bill Wild West Show e iniziò una lunga tournée mondiale che lo portò per due volte in Italia (vd. GADDINI A., Buffalo Bill in Italia, in EUROCARNI n. 8/2021, pag. 132).

Nel corso della prima visita a Roma, dal 20 febbraio al 9 marzo 1890, Cody avrebbe voluto esibirsi nel Colosseo, ma rimase deluso perché le dimensioni e le condizioni dell’anfi teatro non lo permisero. L’accampamento fu posto invece ai Prati di Castello, nella zona allora quasi priva di fabbricati, accanto al casermone degli allievi carabinieri, dove oggi sorge il quartiere Prati. Come in tutte le piazze visitate, il Wild West Show si annunciò con forte anticipo con una campagna di affi ssioni fatta di grandi manifesti e inserzioni in stile americano, molto più pressante di quelle che gli Italiani erano abituati a vedere. I posti costavano 1, 2, 3 e 5 lire (questi ultimi muniti di tappeti e di cuscini), corrispondenti a somme in euro di oggi da 4 a 20 circa. All’incasso, di solito superiore alle 20.000 lire, dovuto al tutto esaurito, si aggiungeva quello per la vendita delle arachidi, prima di allora sconosciute in Italia (oltre 700 lire al giorno), e delle foto di scena (oltre 120 lire), preziose perché era proibito scattare foto

L’udienza di papa Leone XIII a cui fu presente Buff alo Bill (fonte: L’Illustrazione italiana).

I pellerossa del Wild West allo storico Caff è Greco di Via Condotti a Roma (fonte: Verdone).

nel recinto dello spettacolo.

Il forte afflusso di pubblico creava, specialmente su ponte Sant’Angelo e ponte di Ripetta, ingorghi di carrozze signorili, coupées e botticelle, che mettevano in diffi coltà le guardie municipali, a piedi e a cavallo, e creava nervosismo nei vetturini e carrettieri che erano in strada per lavoro. Il personale addetto alla vendita dei biglietti era americano e questo creò incidenti col pubblico, mentre la scarsa dimestichezza con le banconote italiane costò l’incasso di quattro banconote da cento lire false (ROMANO).

La mitica diligenza di Deadwood, usata per rievocare un assalto degli Indiani, dopo aver accolto teste coronate era diventato il nuovo punto di riferimento per l’aristocrazia europea, ma a Roma non ospitò membri della famiglia reale bensì nobili come il PRINCIPE ORSINI e il

DUCA SFORZA CESARINI.

Buffalo Bill si inserì agevolmente nella vita sociale romana, fu invitato in molti salotti della nobiltà, frequentava i veglioni al Teatro Costanzi (oggi teatro dell’Opera) e lo storico Caffè Greco in via Condotti, meta di grandi artisti, dove compariva in elegante abito da passeggio con bastone d’ebano con il pomo d’oro massiccio, ornato di pietre preziose, dono di ammiratori (ROMANO). Al Caffè Greco anche i pellerossa del Wild West, nella loro tenuta migliore, fecero grande effetto (VERDONE).

L’entusiasmo degli Americani verso la tappa romana è testimoniata da una breve poesia scritta per l’occasione (CROFT-COOKE e MEADMORE):

I’ll take my stalwart Indian braves Down to Coliseum

And the old Romans from their graves Will arise to see ’em

Praetors and Censors will return

And hasten through the Forum

The ghostly Senatum will adjourn Because it lacks a quorum (trad. it: Porterò i miei valorosi guerrieri indiani / Giù al Colosseo /

E gli antichi Romani dalle loro tombe /

Si alzeranno per vederli / Pretori e Censori torneranno / Affrettandosi per il Foro / Lo spettrale Senato aggiornerà la seduta / Per mancanza del quorum).

L’udienza del papa

Il 3 marzo Cody e la sua troupe furono ricevuti in Vaticano da papa LEONE XIII, che celebrava con un Te Deum il dodicesimo anniversario dell’incoronazione a pontefi ce. La visita era stata organizzata da monsignor O’CONNELL dell’università americana di Roma, che aveva avuto un ruolo importante nella conversione di molti nativi americani al cattolicesimo. Quando la delegazione americana con corteo a cavallo lasciò l’accampamento per recarsi in Vaticano, fu seguita per tutto il tragitto, piuttosto breve peraltro, da una numerosa folla di curiosi che rischiò di creare incidenti per la ressa. Lo stesso accadde per il ritorno dopo la fi ne della visita. Il papa, seduto sulla sedia gestatoria e indossando la tiara, si diresse, insieme al cardinale MARIANO RAMPOLLA DEL TINDARO, segretario di Stato, alla Cappella Sistina, e passando per la Sala Ducale benedisse la troupe di Cody, tutta schierata sui due lati. Sembra che il pontefi ce abbia manifestato forte curiosità per i nativi americani, i loro variopinti costumi e la maniera calorosa in cui lo salutarono. I pellerossa recarono in dono collanine formate da minuscole conchiglie da loro intrecciate (ROMANO), mentre Cody donò un mazzo e un cuscino con lo stemma pontifi cio disegnato coi fi ori. Il papa fece distribuire rosari e medaglie e altri oggetti di devozione.

La sfi da

Durante i suoi spettacoli in giro per il mondo Buffalo Bill lanciava spesso sfi de di abilità coi cavallerizzi locali, con annessa scommessa, sia con cavalli del posto, sia con i suoi broncos, defi nizione usata per i cavalli di diverse razze che hanno l’attitudine a sgroppare, molto apprezzati nei rodei. Varie persone si proposero al quotidiano romano IL MESSAGGERO per cavalcare i puledri americani, ma non furono accettati da Cody, pur avendo insistito per diversi giorni presso la direzione del Wild West Show. Invece GUGLIELMO BEDINI, 23enne milanese, caporale del 13o Cavalleria Monferrato e primo cavallerizzo della Compagnia Mariani, che si esibiva in quei giorni a Roma col Circo Reale, entrò in pista e chiese in inglese a Buffalo Bill di montare uno dei cavalli americani; gli fu concesso e al secondo tentativo riuscì a cavalcare, ma non ottenne il premio in quanto il cavallo che aveva domato era già sellato.

Il giorno seguente Bedini si presentò nelle prime fi le della tribuna e quando uno dei soci di Buffalo Bill gli propose di replicare la prova si rifi utò, a meno che l’organizzazione non devolvesse metà dell’incasso ai poveri. Proposta che fu, prevedibilmente, rifi utata.

Durante un invito a pranzo nel Palazzo Caetani in via Botteghe Oscure, a Roma, dalla DUCHESSA DI SERMONETA, grande proprietaria terriera nel sud del Lazio, la padrona di casa disse a Buffalo Bill di aver visto lo spettacolo e di non esserne rimasta molto impressionata perché i suoi butteri erano altrettanto bravi dei cowboy. Ne nacque un’accesa

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