Il Pesce 4-2019

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 4/2019



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N. 4 Anno XXXVI Agosto 2019

IL PESCE «Da’un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti Dr. Lucia Liddo – Dr. Francesco Paesanti – Prof. Remigio Rossi – Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli

Segreteria di redazione Gaia Borghi

Collaboratori scientifici Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Dr. Antonio Trincanato

Prestampa Marco Credi

Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele)

Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi

ANNUARIO del PESCE e della PESCA

2019/2020 N. 30

Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi

Annuario del Pesce e della Pesca

La banca dati internazionale del mercato ittico sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore acquacoltura, lavorazione, commercio e distribuzione. Edizione 2019 Copia cartacea: € 60,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

IL PESCE, 4/19

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

IL PESCE DAL

1984

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20 anni e ancora

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L’amore per il mare è la passione che ci accompagna da vent’anni. Grazie a tutti quelli che hanno collaborato con noi.

Piazzale Caduti del Lavoro, 1 - 43052 Colorno, (PR) - Italy - Tel. +39 0521 313375 - Tel. +39 0521 310527 - www.ittigel.it - ittigel@ittigel.it


N. 4 Anno XXXVI Agosto 2019

IL PESCE

In questo numero:

Immagini

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Tendenze

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Attualità

Nuova direttiva per un mondo più pulito

Guido Guidi

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Il pesce in rete

Social fish

Elena Benedetti

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Aziende

Antonio Verrini & Figli: potenziamento della sede di Viareggio

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NIREUS è la prima società di acquacoltura in Europa certificata da ASC

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Un concetto rivoluzionario per la prossima generazione di mangimi…

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Info alle imprese

Contributi a fondo perduto

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Acquacoltura

Acquacoltura: in tre mesi consumata l’intera produzione ittica…

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Trasporto su gomma e welfare dei pesci Egitto, acquacoltura in crescita

Pierluigi Monticini 33 38

A pagina 46.

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Acquaponica

Ogni goccia conta

Ambiente

Le acque internazionali

Maricoltura

Progetto AdriAquaNet

Venericoltura

Venericoltura, un’eccellenza nazionale ed europea a rischio per la carenza di seme

Indagini

La moda del sushi sfonda anche al supermercato Dal campo alla discarica

Consumi

Tonno in scatola, passe-partout per l’estate

Specie ittiche

Schede di specie ittiche da pesca nazionale

Il pesce in tavola

Alla scoperta degli scampi irlandesi

40 Giulia Mauri

46 54

Edoardo Turolla Luciano Boffo et al.

58

66 Guido Guidi

68 72

Elena Orban et al.

74 84

Gaia Borghi

88

La solitaria cernia, simbolo delle aree protette del nostro mare

Nunzia Manicardi

94

Un pesce per l’estate

Maurizio Dell’Agnello 98

Sapore di mare

Le due anime di Valbruna

Gian Omar Bison

Tradizioni

La Bigolada di Castel d’Ario

Josette Baverez Blanco 106

Salumi di pesce, quando il salame lascia la cantina e se ne va al mare

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A pagina 84.

IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

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In copertina: il salmone è una fonte di vitamine, proteine, sali minerali e acidi grassi Ω 3 (photo © weyo – stock.adobe.com).

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Quanto ne sa il vostro software di pesce? Il nostro davvero tanto. 3URFHVVL VSHFLÀFL GL VHWWRUH LQWHJUD]LRQH 9(1,7( $ 7529$5&, GL PDFFKLQH H LPSLDQWL PRQLWRUDJJLR 3DG 3DG H UHSRUWLQJ ULQWUDFFLDELOLWj JHVWLRQH 6WDQG % ² & 6WDQG 0 TXDOLWj H PROWR DOWUR &6% 6\VWHP q LO VRIWZDUH D]LHQGDOH SHU LO VHWWRUH 3HVFH /D VROX]LRQH FRPSOHWD FRPSUHQGH (53 6LHWH FXULRVL GL VDSHUH HVDWWDPHQWH )$&725< (53 H 0(6 H LQFOXGH JLj OH SHUFKq L OHDGHU GHO VHWWRUH VL Dà©•GDQR DO %HVW 3UDFWLFH D]LHQGDOL &6% 6\VWHP"

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Eventi

‘nnumari, il Mar Mediterraneo che si unisce

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Fiere

I consumatori amano i prodotti che vengono dal freddo L’Italia protagonista di Alimentaria 2020

Sicurezza alimentare

110 Elena Benedetti

112 118

Focus sul ghiaccio alimentare L’allerta a tavola

Sebastiano Corona

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Presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti Tecnologie

Blockchain: il cibo senza più segreti

Sebastiano Corona

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Storia e cultura

Marano Lagunare e la sua cucina

Giuliano Orel et al.

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A pagina 88.

A pagina 98.

A pagina 118.

www.ilpesce-online.com

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IMMAGINI

In Italia il mercato del tonno in scatola vale 1,3 miliardi di euro. L’ANCIT, Associazione nazionale dei conservieri ittici e delle tonnare, stima che i consumatori totali di tonno in scatola siano il 94% della popolazione italiana: quasi un Italiano su due (43%) lo mangia ogni settimana. Un approfondimento a pagina 72.

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TENDENZE Ismea, consumi alimentari in ripresa nel 2019. Stabili gli acquisti di prodotti ittici

Nel primo trimestre 2019 la spesa alimentare ha ricominciato a crescere dopo l’andamento piatto del 2018. I dati sui consumi delle famiglie del Panel ISMEA NIELSEN evidenziano, infatti, un incremento di poco sotto l’1% sullo stesso trimestre 2018. Aumentano in particolare gli acquisti di prodotti confezionati e, tra questi, soprattutto le bevande, che mettono a segno una progressione della spesa del 4,8%, con punte del 6,5% per l’insieme dei vini e degli spumanti. Le referenze sfuse, al contrario, subiscono un’ulteriore riduzione dell’1,7%, dopo la perdita di oltre tre punti percentuali dello scorso anno. Tra le sorprese di questo avvio del 2019 si segnala la netta ripresa degli acquisti nel Mezzogiorno (+2,8% i confezionati e +0,9% gli sfusi), che nel 2018 aveva mostrato più che altrove i segni della crisi. Relativamente alle bevande, i segni più del vino (+4,4%), degli spumanti (+18,3%) e della birra (+5,1%), offrono una chiara indicazione su come il cosiddetto “lusso accessibile” sia entrato stabilmente nelle abitudini di consumo di molti Italiani. Tra i generi alimentari, spicca invece il dato degli ortaggi, con un +4,6% della spesa, anche questa volta grazie al contributo della IV gamma (+6,6%). Stabili gli acquisti dei prodotti ittici e di pasta, riso e farine, mentre per le carni fresche (+0,8%) e i salumi (+1,8%) prosegue la tendenza al recupero osservata a partire dallo scorso anno (fonte: ISMEA; photo © svetlana_cherruty – stock.adobe.com).

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ATTUALITÀ

Nuova direttiva per un mondo più pulito Posate, piatti, cannucce, miscelatori, involucri di plastica: sono tutti oggetti necessari per contenere o degustare cibi e bevande che l’Unione Europea ha messo al bando. È l’inizio di una nuova era per i prodotti monouso per alimenti di Guido Guidi

Balene senza vita che approdano sulla riva trasportate dalle correnti; tartarughe marine che cercano di nuotare con un sacchetto infilato in testa; una vera e propria marea di bottiglie, bicchieri, oggetti vari, che ricoprono la superficie dei nostri mari. Quante immagini abbiamo visto di recente sul web a testimoniare che l’invasione della plastica, soprattutto di quella monouso, sta diventando insostenibile per il nostro pianeta? Ci sono ecosistemi,

non solo marini, messi duramente a repentaglio da un uso smodato di certi oggetti, il cui smaltimento non avviene nella maniera corretta. Nel mondo, le materie plastiche rappresentano oggi l’85% dei rifiuti in mare. Ma sotto forma di microplastica sono presenti anche nell’aria, nell’acqua e nel cibo e raggiungono con facilità i nostri polmoni e le nostre tavole, con effetti nefasti sulla salute umana e animale. A causa della sua lenta de-

composizione, la plastica si accumula nei terreni quanto nei mari e nelle coste. Per questo motivo i residui si trovano sempre più frequentemente in diverse specie animali e nella catena alimentare dell’uomo. La plastica ci sta sommergendo Ogni anno negli oceani se ne riversano otto milioni, con conseguenze funeste per tutto il pianeta. Sono soprattutto quelle monouso, impiegate in ambito alimentare, e gli articoli

Nel testo adottato dalla Direttiva UE si propone che il divieto di utilizzo, a partire dal 2021, dei prodotti per i quali esistono alternative — oltre a posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini — sia esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile ed ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso (photo © sherlesi — stock.adobe.com). 16

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Dal mare più puro, il pesce più fresco. • Branzini, orate e ombrine boccadoro allevati in mare aperto, nelle acque limpide del Mar Adriatico • Freschezza assoluta grazie alla pesca e alla consegna quotidiana • Ricco di acidi grassi omega-3 • Qualità certificata a livello internazionale

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della pesca abbandonati a generare danni seri. Eppure, di recente, una nuova coscienza collettiva sembra farsi avanti, nella consapevolezza che non è più possibile continuare con questi ritmi. Il Parlamento europeo ha infatti approvato a marzo, e con larghissimo consenso, una direttiva che mette al bando la plastica monouso e che entrerà in vigore nell’aprile del 2021. La norma è complessa e si snoda in diversi articoli che prevedono — tra le altre cose — il divieto di commercializzazione di determinati prodotti; l’obiettivo di riduzione del consumo di quelli per i quali non ci sono valide alternative; prescrizioni specifiche in etichetta sullo smaltimento del bene; obblighi per i produttori; obiettivi di raccolta e misure di sensibilizzazione. Il provvedimento impone agli Stati Membri di vietare la vendita di articoli in plastica monouso, come posate, bastoncini cotonati, piatti, bicchieri, cannucce, miscelatori per bevande, bastoncini per

palloncini, sacchetti in plastica leggera e i contenitori per fast food in polistirolo espanso. I recipienti monouso in plastica per bevande potranno invece essere immessi sul mercato solo con tappi o coperchi che restano attaccati alla bottiglia, in modo che non si possano disperdere separatamente nell’ambiente. Il consumo degli articoli per i quali non esistono al momento alternative dovrà essere ridotto del 25% entro il 2025 ed altro materiale plastico, come le bottiglie per bevande, dovrà essere raccolto separatamente e riciclato al 90% entro il 2025. Gli Stati Membri, nel contempo, dovranno elaborare ed attuare piani nazionali al fine di incoraggiare il riciclo e l’uso di articoli adatti ad essere utilizzati più e più volte. Chi inquina paga Ma nel mirino dell’Unione Europea non c’è solo la plastica monouso. Il Parlamento ha individuato anche nei rifiuti da tabacco, e in particolare nei filtri per sigarette, un altro ambito

in cui intervenire. Un mozzicone — di cui le nostre spiagge sono piene — può inquinare tra i 500 e i 1.000 litri d’acqua e, se gettato in strada, può richiedere fino a dodici anni per deteriorarsi completamente. Qui l’obiettivo è che la loro mole si riduca del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030. Sui produttori di tabacco si scaricheranno i costi di raccolta rifiuti di tali prodotti, compresi il trasporto, il trattamento e la raccolta. Attrezzi da pesca nel mirino I fari sono puntati anche sugli attrezzi da pesca, moltissimi dei quali vengono smarriti o volutamente abbandonati in mare. In questo caso gli Stati Membri dovrebbero garantire che almeno il 50% venga raccolto ogni anno, con un obiettivo di riciclaggio del 15% entro il 2025. Gli attrezzi da pesca rappresentano, infatti, ben il 27% dei rifiuti che si trovano sugli arenili europei. E come previsto per i produttori di sigarette, anche le imprese che realizzano attrezzi da pesca contenenti plastica, si


dovranno far carico dei costi per la raccolta e per il relativo riciclaggio. Per il principio che “chi inquina paga”, non sono solo i produttori di tabacco e di attrezzi per la pesca a dover contribuire a coprire i costi di raccolta e trasporto, ma anche le imprese che realizzano contenitori, pacchetti e involucri per alimenti e per bevande, salviette umidificate, palloncini e sacchetti di plastica leggera. Agli stessi soggetti saranno addebitati i costi relativi alle misure di sensibilizzazione sull’uso e il corretto smaltimento. Ma, di contro, saranno previsti incentivi al settore industriale per lo sviluppo di alternative meno inquinanti. Saranno gli Stati Membri a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze nefaste di un inquinamento smodato, sulla dispersione nell’ambiente di oggetti in plastica e sulla necessità di un corretto riciclo. Tutti gli articoli dovranno comunque avere evidenza in etichetta delle esatte modalità di smaltimento. Non è detto, dunque, che a certa tipologia di prodotti dovremo rinunciare. Al

contrario, verranno banditi solo quelli per i quali esiste un’alternativa valida e meno impattante per l’ambiente. Ma i benefici della direttiva, sul medio e lungo termine, saranno diversi e di natura ambientale quanto economica. Ci sarà un risparmio di 3,4 milioni di tonnellate di CO2 oggi immesse nell’atmosfera e di danni ambientali quantificabili fino al 2030 in 22 miliardi di euro. Un obiettivo ambizioso Con questa norma di grande attualità nella salvaguardia dell’ambiente a livello mondiale, l’Europa non solo anticipa i tempi e fa da apripista per il resto delle potenze industriali del pianeta, ma costringe anche ad uno sforzo generale nella prototipazione di una nuova generazione di oggetti rispettosi degli ecosistemi. Nel contempo, si pone un obiettivo per la raccolta delle plastiche che concorrerà anche a generare i volumi necessari a far prosperare il settore del riciclaggio, con tutti i benefici economici ed occupazionali che ne deriveranno.

Tutto è pronto per attuare una norma destinata a modificare radicalmente l’uso e lo smaltimento di oggetti che fanno parte della nostra quotidianità. Il Governo sta lavorando alle modalità di attuazione e intanto molti sindaci, soprattutto quelli delle località costiere, hanno emesso ordinanze che vietano il fumo e l’uso dei prodotti incriminati nelle spiagge. Di contro, arriva un segnale anche dalla Grande Distribuzione Organizzata, dove alcune insegne hanno iniziato a bandire i prodotti di plastica monouso dai propri scaffali. C’è dunque un’attenzione sempre maggiore per il tema e a tutti i livelli. Ciò che richiederà più impegno è la creazione di una nuova coscienza collettiva nei confronti dell’ambiente, perché venga trasmessa con successo l’idea che anche i comportamenti del singolo, nel proprio piccolo, concorrono in maniera determinante a salvare il pianeta. Per questo ci vorrà certamente più tempo. Guido Guidi


IL PESCE IN RETE

Social di Elena

2. Nuovo sito e magazine on-line per Nieddittas

1. Baccaleria a Roma Il re del baccalà e dello stoccafisso (redelbaccala.it) è una bella bottega della Capitale specializzata da oltre 50 anni nella lavorazione del merluzzo. Gestita con passione dalla famiglia MICHELANGELI, ecco una realtà che porta avanti un lavoro straordinario nella tradizione e nella vendita del merluzzo salato ed essiccato. Noi li seguiamo anche su instagram.com/ilredelbaccalaedellostocco (photo © instagram.com/ilredelbaccalaedellostocco).

“Tutte le cozze sono nere, ma solo le migliori diventano Nieddittas”: è questa la presentazione sintetica ma efficace, ben visibile nella home page del nuovo sito web del marchio che controlla l’intera filiera della mitilicoltura nel golfo di Oristano. Qui sono allevati i molluschi che NIEDDITTAS seleziona e distribuisce in Italia e all’estero. All’interno del portale, una sezione è dedicata al nuovo magazine on-line “Noi siamo il mare”, nome che riprende lo slogan lanciato dall’azienda nel 2017 (photo © instagram.com/nieddittas).

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fish Benedetti

4. Paolo Cevoli, Romagna DOP 3. A zonzo per mercati del pesce La vacanza è per definizione svago e riposo ma ciò non toglie che non possa essere anche uno stimolo per andare alla scoperta di situazioni e luoghi curiosi. Noi, per esempio, vorremmo andare a visitare il mercato del pesce a Essaouira, sulla costa atlantica del Marocco, con i travel agent onlyadayaway.com. Info e photo ©: onlyadayaway. com/essaouira-seafood-market-review

Il pesce dell’Adriatico insieme alla piadina, ai passatelli e alle tagliatelle, senza scordare un calice di Sangiovese: è questo il cibo tipico delle tradizioni romagnole a tavola, protagonista della 9a puntata di Romagnoli DOP, la web serie di PAOLO CEVOLI on-line ogni giovedì sui canali social dell’artista (in foto, sardine appena pescate a Ravenna; photo © claudiozacc – stock.adobe.com).

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AZIENDE

Antonio Verrini & Figli: potenziamento della sede di Viareggio Continua il rafforzamento dell’azienda ligure leader nell’ittico. Completamente rinnovata, la sede toscana serve il segmento Ho.re.ca. con circa 200 clienti distribuiti in Toscana su tutta la Versilia, Lucca e Firenze È terminata in queste settimane un’importante operazione di potenziamento della sede di Viareggio della ANTONIO VERRINI & FIGLI, storica azienda genovese di distribuzione di prodotti ittici freschi, conservati e surgelati. Si tratta di uno dei sei HUB distributivi che produce circa il 20% del fatturato globale societario, punto nevralgico di servizio

di circa 200 clienti del segmento HO.RE.CA., distribuiti in Toscana su tutta la Versilia, Lucca e Firenze. La filiale di Viareggio, nata 11 anni fa, si estende ora su circa 1.000 m2 di superficie, con un imponente ampliamento dell’area magazzino e stoccaggio delle merci, rinnovo delle celle frigorifere e un sensibile potenziamento delle risorse umane

impiegate che passano da 15 a 25. I lavori di ristrutturazione hanno comportato un investimento di circa € 600.000. Situata in zona Darsena, vicino al centro città, dopo la ristrutturazione ha una capacità di stoccaggio di 50 t di prodotti congelati, un potenziale di rotazione giornaliera di 5 t di prodotti freschi, conta 10 automezzi per la distribuzione ed

Fondata nel 1950 per la commercializzazione di pesce fresco locale e nazionale, oggi la Antonio Verrini & Figli è un gruppo leader nella distribuzione di prodotti ittici provenienti da ogni parte del mondo, al servizio di GDO, punti vendita al dettaglio e Ho.re.ca. Il potenziamento della sede di Viareggio conferma la solidità dell’azienda ligure.

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è pronta ad affrontare la stagione turistica estiva caratterizzata da una maggiore domanda di ittico fresco. Oltre alle strutture di stoccaggio, lavorazione, distribuzione e uffici, ospita un’area di vendita al dettaglio, rinnovata anch’essa, in via Paolo Savi 188. Il target distributivo della sede è il sistema ristorativo (HO.RE.CA.) con il 60% di ittici freschi e il 40% di congelati, compresi prodotti semilavorati e confezionati a seconda della domanda specifica del cliente, oltre a specialità ittiche che l’azienda commercializza. ANTONIO VERRINI & FIGLI opera con passione da circa 70 anni nel mercato della distribuzione di prodotti ittici freschi, conservati e surgelati. Con sede a Genova e 6 filiali tra Liguria, Toscana e un presidio in Emilia-Romagna, uno stabilimento dedicato alla lavorazione per lo stoccafisso e il baccalà, opera tutti i giorni dell’anno, H24, grazie a oltre 100 addetti diretti e una flotta di 50 mezzi refrigerati, con un fatturato che, nel 2018, ha raggiunto circa 51 milioni di euro. L’azienda è attiva nel canale di vendita diretta al pubblico attraverso KYO FISH (due punti vendita con degustazione a Rapallo e Sanremo) e con la catena di negozi di pesce surgelato GIOPESCAL, acquisita nel 2018 e formata da 9 store a Genova e provincia. Con l’ingresso di Chef First Class Seafood, oggi il Gruppo Verrini potenzia la sua presenza in EmiliaRomagna con particolare attenzione ai clienti nella ristorazione di alto livello, GDO, grossisti e pescherie sulla riviera tra Senigallia e Ravenna. Grazie alla qualificata rete di fornitori (locali, italiani, internazionali) l’azienda garantisce ai clienti il presidio della filiera, l’assoluta integrità dei prodotti, grazie all’applicazione rigorosa della catena del freddo, e la velocità di consegna.

>> Link: www.verrini.com

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NIREUS è la prima società di acquacoltura in Europa certificata da ASC

NIREUS è diventata la prima società di acquacoltura mediterranea in Europa i cui allevamenti di orata e branzino sono ora certificati dall’Aquaculture Stewardship Council (ASC), ente di certificazione internazionale indipendente che promuove buone pratiche che riducono al minimo l’impatto ambientale e sociale del settore dell’acquacoltura. Questa certificazione, che è stata rilasciata dalla società di revisione indipendente Lloyd’s, è il risultato dell’impegno costante che NIREUS ha avviato dal 2013 in collaborazione con AB VASSILOPOULOS (Gruppo AHOLD DELHAIZE) e WWF Hellas. Ora gli impianti di acquacoltura di orata e branzino di Aliveri e Fokida sono i primi ad essere certificati in base agli standard dell’Aquaculture Stewardship Council. Qualche parola su NIREUS Dal 1988, NIREUS è all’avanguardia nel settore ed offre prodotti ad alto valore nutrizionale ponendo come principale obiettivo la soddisfazio-

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Questa certificazione dimostra l’impegno di NIREUS ad operare responsabilmente nello sviluppo sostenibile, nel rispetto di consumatori, ambiente e comunità locali ne dei propri clienti. Azienda di produzione integrata verticalmente, controlla l’intero ciclo in ogni fase della produzione, in linea con le migliori pratiche del settore. L’orata, il branzino, l’ombrina bocca d’oro e il pagro di NIREUS sono stati premiati con il Superior Taste Award per il loro eccellente gusto e la qualità distintiva. Inoltre, NIREUS è attiva nella produzione di avannotti, mangimi per pesci e attrezzature di acquacoltura, sia per uso proprio che per la commercializzazione a clienti in Grecia e all’estero. Attraverso una rete di distribuzione completa, NIREUS trasporta 1,5 milioni di pesci ogni settimana in più di 30 paesi. NIREUS è una delle più grandi aziende di acquacoltura,

con 1.180 dipendenti in tutta la Grecia, e contribuisce alla sostenibilità economica e sociale di molte comunità locali. NIREUS basa le sue attività sui principi fondamentali di responsabilità sociale e sostenibilità ed è certificata ISO 9001:2015, ISO 14001:2015, ISO 22000:2005, BRC e Global GAP.

>> Link: www.nireus.com sales-italy@nireus.com

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Un concetto rivoluzionario per la prossima generazione di mangimi in acquacoltura

Con il rivoluzionario Concetto P 3.0 per la formulazione del mangime, BioMar aumenta i propri sforzi per apportare più valore all’attività degli allevatori. Nelle ultime due decadi BioMar è stata all’avanguardia nella formulazione di mangimi per acquacoltura con i suoi concetti innovativi, come l’alimentazione BioRhythmic ed il Concetto di Performance. Questi concetti hanno portato come risultato importanti novità per l’industria di acquacoltura, come ad esempio ridurre la dipendenza da singole materie prime o consentire la miglior performance economica totale agli allevatori o, ancora, l’uso più sostenibile delle scarse materie prime marine senza compromettere l’alta qualità costante del mangime. Adattarsi alle situazioni di mercato, individuare gli obiettivi da raggiungere nei prodotti finali I mangimi formulati con il Concetto P 3.0 danno agli allevatori la possibilità di adattare meglio i propri obiettivi aziendali alla variabilità delle situazioni di mercato, che sia il minimizzare i costi di produzione 26

quando i prezzi del pesce sono al di sotto delle aspettative o massimizzare la biomassa nel momento di mercato in cui i prezzi del pesce risalgono. Inoltre, poiché la ricerca che è alla base dello sviluppo è in grado di documentare l’effetto del mangime nella resa dopo l’eviscerazione e la filettatura, così come nella qualità, il Concetto P 3.0 rende possibile ottimizzare i mangimi prendendo in considerazione i prodotti finali (pesce intero, filettato o eviscerato). Il Concetto P 3.0 è una versione avanzata del Concetto di Performance di BioMar. «Il lancio del Concetto di Performance alla fine degli anni ‘90 è stata una novità assoluta nel mercato dell’acquacol-

tura. Ha reso possibile massimizzare la resa del mangime con una minore dipendenza dalle variazioni nelle materie prime. Col Concetto P 3.0 ora presentiamo un nuovo approccio per modellare la performance del mangime, offrendo ai nostri clienti mangimi più mirati, in modo che possano adattarsi alle mutevoli situazioni di mercato e massimizzare il potenziale economico dei propri pesci» spiega IANNIS KARACOSTAS, product manager per le specie marine in BioMar EMEA. «Per assicurare una corretta procedura commerciale, gli allevatori possono aspettarsi che i primi mangimi nell’ambito del Concetto P 3.0 siano mirati soprattutto alle situazioni di mercato variabili,

La Divisione EMEA di BioMar lancia il Concetto P 3.0, che sposta la formulazione mangimistica un passo avanti. Ciò significa fornire agli allevatori mangimi che si adattano alla variabilità delle situazioni di mercato e dei prodotti finali, per massimizzare la loro economia aziendale IL PESCE, 4/19


BioMar è leader mondiale in alimenti ad alte prestazioni per oltre 45 diverse specie di pesci e gamberi in oltre 80 Paesi. Fondata nel 1962 da un gruppo di allevatori ittici danesi, il patrimonio di BioMar è un impegno a lungo termine allo sviluppo del settore dell’acquacoltura in modo responsabile e sostenibile.“Siamo estremamente attenti ad aiutare i nostri clienti a produrre pesce sano e gustoso. Per ottenerlo, realizziamo innovativi mangimi efficienti,sicuri e nutrienti per l’acquacoltura,con il minimo impatto ambientale.La nostra presenza mondiale,agilità locale e attenzione all’esecuzione ci garantiscono di poter rispondere alle esigenze specifiche di ogni cliente, sempre partendo da risultati comprovati e con un’attenzione scrupolosa alla sicurezza alimentare”. >> Link: www.biomar.com

come i prezzi del pesce altalenanti. I mangimi ottimizzati per prodotti finali differenti sono previsti per il lancio in uno stadio successivo».

È un privilegio essere partner credibili «Per noi di BioMar è un privilegio vedere che i nostri clienti hanno sempre dimostrato fiducia nelle performance dei nostri mangimi e nei nostri consigli su come massimizzare il potenziale di un determinato mangime. Loro stessi sanno quanti sforzi mettiamo nell’innovazione, nella ricerca e nello sviluppo, migliorando costantemente i nostri prodotti e servizi» spiega Iannis Karacostas, che continua: «Questa fiducia è molto apprezzata in BioMar e ci impegniamo per essere all’altezza delle aspettative dei nostri clienti. Non vediamo l’ora di includere le nostre nuove gamme di prodotto all’interno del Concetto P 3.0 e di apportare ancora più valore aggiunto ai nostri clienti».

LB Comunicazione

Possibilità di espansione a numerose specie ittiche Il Concetto P 3.0 si basa su una vasta ricerca e getta le fondamenta su cui

BioMar potrà ottimizzare concetti nutrizionali ad alta performance e leader di mercato. Per molti anni è stato impiegato per la formulazione di mangimi per il Salmone atlantico. Recenti ricerche mostrano risultati eccellenti in specie ittiche marine come la spigola e l’orata. «Abbiamo ancora ricerche in corso sulla trota

iridea e auspichiamo di essere in grado in futuro di ottimizzare i nostri mangimi per altre specie seguendo il Concetto P 3.0» afferma CHRISTINA FRISK, Product Manager per le specie di acqua dolce in BioMar EMEA.

La qualità non ha bisogno di parole

Produzione | Lavorazione| Commercializzazione

Trote della Valnerina

ITTICA TRANQUILLI srl Società Agricola Loc. Corone | 06047 - Preci (PG) | Tel. 0743.939002 | Fax 0743.939004 info@itticatranquilli.com | www.itticatranquilli.com


INFO ALLE IMPRESE

Contributi a fondo perduto

Regione Marche Finanziamenti a fondo perduto del 50% settore ittico Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca (FEAMP) 2014–2020 Bando Misura 5.69 Trasformazione e commercializzazione prodotti ittici È operativo il bando per richiedere un contributo a fondo perduto del 50% per gli investimenti già realizzati dal 19/04/2017 e da realizzarsi nel 2019/2020: 1. acquisto, costruzione e ristrutturazione di fabbricati legati al progetto;

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2. acquisto di terreni legati all’iniziativa per un costo non superiore al 10% dell’investimento; 3. acquisto di impianti e macchinari di lavorazione, confezionamento, refrigerazione ecc…; 4. investimenti diretti al miglioramento dell’efficienza energetica ed ambientale, all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile prodotta e reimpiegata in azienda; 5. spese per il miglioramento delle condizioni d’igiene e sanitarie e dei sistemi di produzione; 6. acquisto di contenitori coibentati posti su camion con assemblato l’impianto frigorifero e autoveicoli “VAN” dotati di coibenta-

zione e gruppo frigorifero non amovibile dalla motrice; 7. acquisto di hardware e software dedicati ai processi produttivi; 8. costi di formazione connessi all’apprendimento permanente; 9. spese generali, spese tecniche, spese di progettazione, ecc…

Per informazioni FABO S.I. Srl Telefono: 0545 84488 Fax: 0545 84555 E-mail: info@fabosi.it Web: www.fabosi.it

IL PESCE, 4/19



ACQUACOLTURA

L’allarme dell’Associazione Piscicoltori Italiani

Acquacoltura: in tre mesi consumata l’intera produzione ittica annuale nazionale «L’acquacoltura nazionale ha grandi potenzialità di sviluppo, fornisce prodotti ottimi e di elevata qualità garantendo la sicurezza alimentare. Se in poco più di tre mesi, con l’arrivo della bella stagione, abbiamo consumato l’equivalente dell’intera produzione ittica annuale, ciò significa che il consumatore ha capito l’importanza di aumentare il consumo di pesce nella propria dieta. Ma se non vogliamo essere

massicciamente invasi da prodotti extra UE, dobbiamo correre ai ripari puntando sullo sviluppo del settore in Italia e in Europa». Lo sottolinea PIER ANTONIO SALVADOR, presidente di API – Associazione Piscicoltori Italiani (CONFAGRICOLTURA). L’acquacoltura italiana, ricorda API, vale più di 300 milioni di euro e produce quasi 63.000 tonnellate di pesce, ma importiamo più dell’82% dei prodotti ittici che consumiamo.

L’Unione Europea utilizza 5,5 milioni di tonnellate di pesce ogni anno, ma ne produce appena 1,2 milioni. «C’è qualcosa che non quadra» rileva Salvador. «È quantomeno singolare che con quasi 7.500 chilometri di coste la piscicoltura italiana sconti ancora una burocrazia asfissiante e procedure lunghissime per ottenere licenze. L’Italia ha tutto il necessario per fare acquacoltura ovunque. Au-

L’acquacoltura italiana, ricorda API, vale più di 300 milioni di euro e produce quasi 63.000 tonnellate di pesce: abbiamo tutte le carte in regola per crescere ancora, dichiara in proposito Pier Antonio Salvador (in alto, allevamento nel Delta del Po; photo © 2018 Søren Ditlevsen).

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Tabella 1 – Produzione dell’acquacoltura italiana (t) e corrispettivo valore per il 2018 (000.€) Specie

Impianti a terra e a mare (tonnellate)

Impianti vallivi e salmastri (tonnellate)

Totale (tonnellate)

Valore PLV (migliaia di euro)

Spigola

6.900

400

7.300

59.000

Orata

9.300

400

9.700

75.000

Ombrina

100

100

750

Anguilla

600

250

850

9.400

Cefalo

2.500

2.500

9.450

37.500

37.500

120.000

Salmerino di fonte

800

800

3.600

Pesce gatto

450

450

2.700

Carpa

600

600

2.600

Storione (*)

1.000

1.000

7.000

Altri pesci (**)

1.500

1.500

11.200

58.750

3.550

62.300

300.700

Trota

Totale piscicoltura

(*) escluso il valore prodotto dal caviale. (**) saraghi, persico spigola, persico trota, salmerino alpino, tinca, temolo, luccio, ecc… Elaborazione dati: Associazione Piscicoltori Italiani – API 2019

Tabella 2 – Produzione italiana degli avannotti e uova embrionate (numero in milioni) e corrispettivo valore per il 2018 (000. €) Produzione (numero in milioni)

Specie

Valore (migliaia di euro)

Avannotti di spigola

30

3.300

Avannotti di orata

70

7.700

210

2.550

35

525

Uova embrionate di trota iridea Uova embrionate di altri salmonidi Elaborazione dati: Associazione Piscicoltori Italiani – API 2019

Tabella 3 – Produzione italiana di caviale e di uova di trota per consumo umano per il 2018 (t) Specie

Produzione (t)

Caviale

52

Uova di trota per consumo umano

10

Elaborazione dati: Associazione Piscicoltori Italiani – API 2019 menta la domanda, siamo già leader europei nella produzione di caviale e abbiamo tutte le carte in regola per crescere ancora». Il settore dell’acquacoltura è estremamente diversificato in termini di specie e tipologie produttive in acqua dolce, salmastra e marina. «Pochi Paesi — conclude il direttore

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API, ANDREA FABRIS — possono competere con la severità delle nostre leggi e con la serietà dei controlli, che rendono il prodotto allevato in Italia sempre tracciato dall’uovo al piatto. Per questo occorre fare attenzione all’etichetta: informazioni chiare e complete devono essere garantite per un più sicuro e sereno

approccio del consumatore ai prodotti dell’acquacoltura sui banchi delle pescherie, dei supermercati, ma anche in mensa, al ristorante e nella ristorazione collettiva in genere». Per informare i consumatori API ha ideato e realizzato cinque filmati animati, visibili su YouTube, che spiegano in parole semplici cos’è l’acquacoltura italiana.

>> Link: www.api-online.it

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Pubblicato il Manuale per la gestione del controllo del benessere dei pesci durante il trasporto su strada

Trasporto su gomma e welfare dei pesci di Pierluigi Monticini

È stato pubblicato il Manuale per la gestione del controllo del benessere dei pesci durante il trasporto su strada, il quale dovrebbe fornire delle linee guida per la corretta gestione dei pesci durante il loro spostamento. Il documento si è reso necessario in quanto l’aumentata rilevanza del commercio delle risorse ittiche e una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori relativamente al benessere degli animali hanno focalizzato la loro attenzione lungo

tutto la supply chain. Infatti, almeno una volta durante il loro ciclo vitale, stock ittici vivi vengono spostati. Di conseguenza, anche per il legislatore è risultato di primaria importanza determinare i punti sensibili e di rischio, e quindi i fattori di benessere, durante tutte le fasi del trasporto. Il manuale risulta specifico nell’applicare misure atte a mitigare l’insorgenza di fattori di stress durante il trasporto per le differenti specie ittiche e nel prevenire anche

la diffusione di talune patologie infettive ittiche. Il framework legislativo preso a riferimento comprende la Direttiva 98/58/CE del Consiglio e il Reg. (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto e successive modifiche. Sono state inoltre considerate una serie di normative europee e nazionali relative alla salvaguardia degli animali negli allevamenti ed eventuali disposizioni sanzionatorie e successive disposizioni di polizia sanitaria, nonché

L’acquacoltura è un settore in forte crescita: in un anno sono stati trasportati e introdotti in Italia oltre 72 milioni di chilogrammi di pesce vivo (le stime dicono che nel 2030, a livello mondiale, il 60% del pesce consumato sarà di allevamento). La maggior parte delle specie ittiche allevate viene spostata almeno una volta durante il suo ciclo produttivo, mentre alcuni animali vengono movimentati più volte. IL PESCE, 4/19

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È rilevante che gli operatori e il personale addetto siano formati e preparati per garantire ai pesci un trasporto senza stress. A tal proposito, il Manuale sottolinea “l’importanza fondamentale della figura del veterinario, il quale rappresenta oggi la sola figura professionale e con competenze scientifiche a cui la legge attribuisce il compitodovere di verifica e di controllo delle condizioni degli animali e dei loro prodotti, ivi compresi i provvedimenti a tutela della protezione del benessere dell’animale durante il trasporto”. normative sulla prevenzione della diffusione di talune malattie infettive degli organismi acquatici. Di notevole rilevanza le Linee guida internazionali a cui si fa riferimento, in materia di benessere dei pesci (Welfare of farmed fish during transport – OIE Aquatic Animal Health Code, Chapter 7.2 10-062016). Il manuale è stato suddiviso in diverse sezioni; la prima parte, di carattere più generale, affronta i concetti di base del benessere. PARTE I: La protezione e il benessere dei pesci durante il trasporto attraverso la sanità animale Questa prima parte è organizzata in modo da mettere in risalto gli

aspetti legislativi dentro cui si muove la protezione — e quindi le misure nell’impedire la diffusione di talune patologie ittiche —, di cui il DLgs n. 148 del 4 agosto 2008, che attua la Direttiva 2006/88/CE in ambito di polizia sanitaria. Da considerare, come descritto, che le norme di polizia sanitaria si applicano come misure preventive minime e come misure minime di lotta. Viene inoltre fatto un richiamo alla nuova legislazione comunitaria che entrerà in vigore a partire dal 21 aprile 2021 (Animal Health Law). Interessante la parte dell’art. 4, lettera b, che riporta: “la biosicurezza, che consiste nell’insieme delle misure gestionali e fisiche finalizzate a ridurre il rischio di

Il trasporto dei pesci è considerato il più difficile e delicato rispetto alle altre specie di vertebrati: un piccolissimo errore nelle varie fasi ne può compromettere il benessere e comportare una perdita economica per il settore

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introduzione, sviluppo e diffusione delle malattie, ricomprende anche i mezzi di trasporto”. Altro punto di notevole importanza è il certificato sanitario, che deve accompagnare gli animali di acquacoltura durante gli spostamenti. PARTE II: La capacità di sofferenza dei pesci Questa parte risulta di notevole rilevanza in quanto misurare il livello di sofferenza dei pesci non è facile, viste anche la notevole differenziazione delle specie ittiche e la loro differente adattabilità dal punto di vista ambientale. “È sicuro che i pesci subiscono lo stress al quale rispondono mediante la secrezione di adrenalina e cortisolo” (pag. 14): le condizioni ambientali, la presenza di predatori, errate operazioni di allevamento o elevata densità sono tutti fattori che possono far incrementare il livello di stress nei pesci. Perciò, anche la fase precedente a quella di trasporto e la successiva, quella di acclimatamento, sono sicuramente punti sensibili e di rischio

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relativamente al welfare dei pesci. Se definiamo il concetto di benessere animale non soltanto come il completo soddisfacimento dei bisogni primari ma anche come raggiungimento di un equilibrio di carattere mentale, di libertà dai disagi ambientali, non è agevole determinare se i bisogni siano completamente soddisfatti o meno e se i pesci siano quindi in grado di esprimere i propri comportamenti naturali. Inoltre, se consideriamo che specie ittiche differenti hanno necessità diverse, possiamo capire quanto sia complesso determinare il livello ottimale di benessere per quella determinata specie. Molti sono i parametri ambientali da tenere in considerazione; valori fisico-chimici dell’acqua, quali valore pH, temperatura, ossigeno, sono fattori spesso limitanti al raggiungimento del benessere. Valori non adeguati sono predisponenti all’insorgenza di patologie ittiche. Come riportato da EDWARD J. BRANSON in Fish Welfare (2008, John Wiley & Sons, pp. 1920), il concetto di Fish Welfare è molto complesso: viene usato in modi differenti, da persone dal differente background e in differenti contesti. Possiamo riassumerlo in tre topics che riportiamo in lingua originale: • The animal can adapt to its environment and is in good health, with all its biological systems working appropriately; • The animals are able to lead a natural life, expressing the same kinds of behaviour as it would in the wild, and are able to meet what are often called their behavioural needs; • The animal is free of negative experience such as pain fear and hunger and has access to positive experience such as social companionship. Inoltre, MELLOR e STAFFORD (2001) definiscono un differente approccio al benessere conosciuto come five freedoms: • libertà dalla sete e dalla malnutrizione, fornendo un accesso all’acqua e al cibo; • libertà dal disagio e dall’esposizione, fornendo un ambiente; • libertà dal dolore e dalle malattie, prevenendo una diagnosi

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appropriata e un eventuale trattamento; • libertà dalla paura e dalla sofferenza, fornendo condizioni che evitino la sofferenza psicologica; • libertà di esprimere un comportamento normale, mettendo a disposizione spazio sufficiente, strutture adeguate e compagnia della stessa specie animale. PARTE III: Il benessere dei pesci durante il trasporto – Linee guida Nei successivi capitoli sono state affrontate le Linee guida di maggior rilevanza nell’ambito del trasporto dei pesci. CAPITOLO I: Campo di applicazione e definizioni Questa parte fa espresso riferimento al Reg. 1/2005 relativamente al benessere, non riportando gli eventuali indicatori, in particolare l’art. 2 dove vengono indicate tutte le definizioni. Interessanti le lettere d (posto di ispezione frontaliero: posto di ispezione designato e riconosciuto conformemente all’articolo 6 della Direttiva 91/496/CEE per espletare controlli veterinari sugli animali provenienti da Paesi Terzi alle frontiere del territorio della Comunità) e g (contenitore: qualsiasi cassa, box, alloggiamento o altra struttura rigida usati per il trasporto di animali che non sia un mezzo di trasporto). In questa sezione viene inoltre puntualizzato il tipo di pesce trasportato, ribadendo che le uova embrionate e gli organismi commercializzati per fini ornamentali non sono contemplati nel manuale. CAPITOLO II: Idoneità al trasporto dei pesci In questo capitolo viene puntualizzato che lo stato di salute dei pesci durante il trasporto rappresenta l’indicatore di maggior rilevanza rispetto allo scopo del presente manuale. Lo stato sanitario del pesce trasportato è un criterio fondamentale, in quanto “il pesce deve essere trasportato in buona salute”; ancora: “Non può essere trasportato nessun animale che non sia idoneo al viaggio previsto… che il trasporto degli animali d’acquacoltura


n. 1/2005. Viene indicato inoltre un facsimile di registro di rilevamento per viaggi superiori alle 4 ore, con luogo di carico e scarico, ora e data del trasporto, lavaggio e disinfezioni, cambi acqua e monitoraggio del parametro ossigeno; infine viene presa nota del conteggio della mortalità. In un’altra tabella vengono riportati i dettagli del monitoraggio e il controllo dei principali parametri quali temperatura dell’acqua, concentrazione dell’ossigeno rilevate ogni 4 ore, a partire dalla quarta ora fino a 24 ore, con la firma del doppio conducente.

Gli animali di acquacoltura possono essere spostati solo se accompagnati da un certificato sanitario rilasciato dall’autorità competente dello Stato membro di origine. avvenga in condizioni tali da non alterare il loro stato sanitario…”. Le indicazioni si riferiscono anche a patologie non riportate in allegato IV, parte II e alle specie di riferimento. CAPITOLO III: La responsabilità degli operatori Questa parte ha come base di riferimento l’art. 6 del Reg. 1/2005 riportando sia le responsabilità che i compiti degli allevatori e dei trasportatori. Vengono puntualizzati i parametri a cui far riferimento per quanto riguarda il trasporto e le eventuali responsabilità di cui sopra: acqua e densità degli animali in rapporto alla specie ittica trasportata, durata del viaggio (art 6, punto 7, Reg. 1/2005), preparazione e formazione dei conducenti. CAPITOLO IV: La gestione del trasporto dei pesci Interessante la sicurezza con cui devono viaggiare i pesci, in particolare per quanto riguarda la riserva aggiuntiva di ossigeno pari al 50%, la predisposizione di un piano di emergenza per la gestione del rischio in caso di inconvenienti. Viene inoltre indicata una tabella che riporta le specie ittiche di maggiore rilevanza a livello nazionale, con i parametri principali per specie, quali la temperatura, la saturazione di ossigeno

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e la concentrazione di ossigeno. Altri due key points sono rappresentati dal fasting nelle ore immediatamente precedenti al trasporto per almeno 24-48 ore, con fattori di variabilità imputabili alle condizioni climatiche e alle diverse specie trasportate; viene inoltre fatta menzione al fattore illuminazione durante il trasporto. Deve essere concesso al conducente di verificare in modo agevole lo stato di salute dei pesci attraverso un sistema di controllo della concentrazione dell’ossigeno e del valore della temperatura. Un’altra tabella riporta la densità di carico in chilogrammi di peso vivo su m3, per differente specie ittica e per taglia. Viene inoltre riportata una tabella FAO di riferimento rispetto ad esemplari trasportati del peso standard di 1 kg, per un periodo di 5-20 ore, con un adeguato apporto di ossigeno, per specie, a differente temperatura. CAPITOLO V: Documenti e tracciabilità I riferimenti normativi di questo capitolo sono quelli riportati nel DLgs n. 148/2008: il Regolamento n. 852/2004, per quanto riguarda le misure igienico-sanitarie, e la nota del Ministero della Salute 4245 del 1203-2008, che chiarisce quali sono le autorizzazioni previste dal Reg. CE

CAPITOLO VI: Autorità competenti e controlli ufficiali Riguarda le autorità competenti preposte ai controlli ufficiali con i vari riferimenti normativi e le varie definizioni. Si ribadisce la rilevanza dei PIF rimandando le conformità al Reg. CE n. 1/2005; in particolare, in caso di non conformità e susseguente blocco ufficiale con conseguente periodo di quarantena. Per quanto riguarda le definizioni riguardanti le autorità competente e i controlli, si fa espresso riferimento al Reg. 625/2017. CAPITOLO VII: Piano di emergenza Come previsto dal Reg. CE n. 1/2005, si fa riferimento ad un eventuale piano di emergenza riassunto nella tabella composta dalle seguenti sezioni: • tipo evento, • misure da adottare, documentazioni e responsabilità. Sono considerate le operazioni da intraprendere in casi di emergenza, attraverso la consultazione di una potenziale casistica, e le procedure di abbattimento. Nota finale rispetto al commercio di organismi acquatici a fini ornamentali Viene riportata nel presente manuale la seguente dicitura: “Si esclude nel presente manuale il trasporto di uova embrionate, di pesci ornamentali e di crostacei e molluschi in quanto, questi ultimi, invertebrati, non sono ad oggi contemplati dalla legislazione”. A tal proposito si ritiene di fare le seguenti osservazioni:

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• la legislazione di riferimento, relativamente al trasporto di organismi acquatici a fini ornamentali, è quella del Reg. (CE) n. 1/2005 e la presente dicitura è sempre riportata nei box di spedizione; • comunque il certificato sanitario è di accompagnamento alla spedizione; • anche la OFI – Ornamental Fish International, nella sua guida International Transport of Live Fish in the Ornamental Aquatic Industry, fa espresso riferimento alle stesse normative internazionali comprese quelle relative alla parte sanitaria, riportando chiaramente le raccomandazioni dell’OIE relativamente alle malattie infettive; • talune patologie sono riscontrate anche in organismi acquatici ornamentali, quali il virus erpetico (KHV) della carpa koi (Cyprinus carpio); • comunque il mercato europeo del settore ornamentale per buona parte viaggia su gomma;

• tra i maggiori stakeholder del mercato vi sono numerose aziende che esportano in tutta l’Unione Europea, in particolare aziende della Repubblica Ceca che trasportano pesci ornamentali su gomma. Possiamo auspicare che il presente manuale sia preso a riferimento dagli operatori del settore, sia per salvaguardare il benessere dei pesci, sia per mitigare la possibile diffusione di patologie ittiche nelle acque comunitarie. In definitiva, sembra che il manuale sia fortemente funzionale per allevatori e trasportatori, che possono consultarlo in merito alla numerosa normativa vigente sia nazionale che comunitaria. È agevole nella comprensione e nell’interpretazione, riassume in modo efficace le operazioni chiave del benessere dei pesci durante il trasporto, è un manuale specifico che chiarisce eventuali dubbi sul Reg. (CE) n. 1/2005. Risulta specifico e dettagliato nelle parti relative all’adozione delle misure di polizia sanitaria nel

Temperature Adapted FeedsTM

prevenire la diffusione di talune malattie infettive come già riportate nel manuale OIE. Dott. Pierluigi Monticini Bibliografia • BRANSON E.J. (2008), Fish Welfare, Blackwell Publishing. • www.compassionsettorealimentare.it/media/7349023/cos-e-ilbenessere-animale_sintesi.pdf • OIE, Aquatic Animal Health Code, Chapter 7.2, 10-06-2016. • OIE, Aquatic Animal Health Code, 2008, Section 1.5, pp. 47-60. • PLOEG A., FOSSA S., BASSLEER G.M.O., C HUAN L.L. (2007), International transport of live fish in the ornamental aquatic industry, The Netherlands, OFI. • Reg. (CE) n. 1/2005 del 22 dicembre 2004 del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto. • Ministero della Salute (2019), Manuale per la gestione del controllo del benessere dei pesci durante il trasporto su strada.

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Egitto, acquacoltura in crescita In uno tra i più antichi Paesi produttori di risorse ittiche, oggi ottavo produttore mondiale di acquacoltura, l’azienda leader nella mangimistica Aller Aqua ha un proprio stabilimento dal 2011. Focus sui prodotti per la tilapia L’interesse per l’acquacoltura come fonte di proteine animali veloci, sostenibili ed economiche sta aumentando in tutto il mondo. La piscicoltura ha fatto grandi progressi negli ultimi anni e ciò si riflette nella produzione, con l’aumento dei 55,7 milioni di tonnellate del 2009 agli 80 milioni di tonnellate nel 20161. L’Egitto è uno tra i più antichi Paesi produttori di risorse ittiche nel mondo. Le pratiche di allevamento ittico sono iniziate nell’antico Egitto e oggi il Paese è l’ottavo produttore mondiale di acquacoltura2 e il terzo nell’allevamento di tilapia3. Nonostante i progressi e i continui miglioramenti registrati dall’industria ittica, il settore ha affrontato numerose problematiche come la diffusione di malattie, i cambiamenti

climatici e altri problemi che hanno fortemente condizionato lo sviluppo, la crescita e il miglioramento del settore. La produzione di mangimi per l’acquacoltura Una delle maggiori aziende nel settore della produzione di mangimi per pesci è Aller Aqua. La società conta sette stabilimenti, uno dei quali ha sede proprio in Egitto. Qui l’azienda danese utilizza capacità e risorse interne per sviluppare prodotti dedicati ai mangimi specializzati, impiegati dalla fase degli avannotti fino ai riproduttori. L’alimentazione Aller Aqua è sviluppata dal punto di vista nutrizionale e fisico aggiungendo nutrienti essenziali calibrati per il pesce

d’allevamento. I mangimi correttamente formulati sono impiegati per migliorare la crescita e rafforzare la salute dei pesci. Aller Aqua è anche in grado di produrre mangimi fluttuanti e ad affondamento lento che imitano il movimento del cibo vivo (fitoplancton e zooplancton). Nell’ampia gamma di prodotti Aller Aqua ci sono anche i mangimi funzionali, che rafforzano il sistema immunitario delle risorse ittiche, aiutandole a fronteggiare meglio le malattie e a ridurre lo stress causato da rapidi cambiamenti delle condizioni ambientali, come ad esempio un rapido incremento della temperatura. Ciò contribuisce ad aumentare la redditività degli allevamenti favorendo la crescita e riducendo la mortalità.

L’acquacoltura è l’unica strada percorribile per colmare il “deficit di pesci” di diversi Paesi, tra i quali anche l’Egitto, dove la produzione acquicola è in crescita.

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Figura 1 – Produzione totale da acquacoltura in Egitto (t)

Fonte: FAO FishStat. La crescita dell’acquacoltura egiziana Il continuo aumento della produzione acquicola in Egitto è ben visibile nel grafico prodotto dalla FAO Fishstat4. Poiché l’acquacoltura in Egitto è vista come l’unica opzione per aumentare la produzione di pesce nel paese, essa sembra destinata ad una continua espansione. Aller Aqua sostiene questo aumento fornendo mangimi di alta qualità a prezzi accessibili destinati a specifiche specie ittiche. La gamma Til-Pro di Aller Aqua è formulata per la tilapia e per le sue condizioni di allevamento ed è disponibile in tutto il continente africano. «Til-Pro è un mangime molto efficiente per l’allevamento della tilapia. Questo pesce è estremamente importante in Egitto e garantisce un apporto nutritivo in termini di proteine molto importante per la popolazione. È possibile produrre tilapia con mangimi standard, ma per ottimizzare la salute del pesce e aumentare la produzione, è necessario un feed specializzato come TilPro» ha dichiarato il dott. KHATTABY, responsabile del supporto tecnico di Aller Aqua Egypt. Aller Aqua ha acquisito lo stabilimento egiziano nel 2011 e da allora ne ha raddoppiato l’estensione della superficie per far fronte alle crescenti richieste del mercato. «È bello far parte di un settore in grande crescita,

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La tilapia veniva allevata in Egitto già nell’antichità. ma allo stesso tempo non possiamo riposare sugli allori» ha sottolineato HUSSIEN MANSOUR, CEO di Aller Aqua Egypt, aggiungendo che «l’espansione del mercato che stiamo vedendo in Egitto ci impone di continuare a lavorare per migliorare i nostri prodotti». Note 1. www.fao.org/state-of-fisheriesaquaculture 2. data.worldbank.org/indicator/ ER.FSH.AQUA.MT?most_recent_value_desc=true

3. www.fao.org/fi/static-media/ MeetingDocuments/WorkshopAMR17/presentations/28.pdf 4. www.fao.org/fishery/countrysector/naso_egypt/en

>> Link: www.aller-aqua.com alleraquaegypt.com

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ACQUAPONICA

Ogni goccia conta In che modo l’acquaponica e le fattorie integrate di acquacoltura stanno facendo un uso intelligente dell’acqua

L’acquaponica è diventata di moda. La combinazione di acquacoltura, pratica della pescicoltura, e idroponica, coltivazione di piante in acqua senza suolo, detta acquaponica è un esempio di sistemi a ricircolo, generalmente chiamato Integrated Aquaculture Agriculture (IAA). Alcune aziende agricole integrate possono ridurre il consumo di acqua

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del 90% rispetto all’agricoltura tradizionale. E questa è un’ottima notizia per il settore agricolo, che a livello mondiale utilizza circa il 70% delle acque dolci disponibili. Nelle regioni del mondo in cui le già scarse riserve di acqua stanno diventando ancora più scarse, i modi innovativi di coltivare il cibo sono fondamentali. Conosciuto per

il caldo e i deserti, non è del tutto sorprendente che il vicino Oriente e il Nord Africa (NENA) siano una di queste regioni. La regione NENA ha alcuni dei più bassi livelli di risorse di acqua dolce al mondo e questi stock principalmente sotterranei e non rinnovabili si stanno esaurendo. La quantità di acqua dolce disponibile è diminuita del 60‰ negli ultimi 40

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L’acquaponica è la pratica della pescicoltura combinata con la coltivazione di piante in acqua senza suolo. Alcune aziende agricole integrate di acquacoltura che utilizzano la tecnologia acquaponica possono ridurre il consumo di acqua del 90% rispetto alle fattorie agricole tradizionali. anni e si prevede che diminuisca di un ulteriore 50‰ entro il 2050. In questa regione, l’agricoltura rappresenta l’85% di questo uso e probabilmente subirà il colpo più grave in termini di carenza. Le conseguenze sui mezzi di sostentamento rurale, sulle economie e sulla sicurezza alimentare potrebbero essere gravi. In questa situazione, il risparmio dell’acqua non è solo una buona pratica, potrebbe presto essere l’unica pratica. Per fortuna esistono metodi innovativi per ridurre il consumo di acqua. Le aziende agricole IAA combinano nuove tecnologie e buone pratiche per ridurre la waterprint dell’agricoltura e utilizzare in modo

intelligente ed efficiente le risorse naturali. Nell’acquaponica, l’acqua ha un duplice scopo: ospitare pesci e coltivare colture, generando due prodot ti contemporaneamente. Questo non è l’unico vantaggio; i rifiuti del pesce fecondano l’acqua usata per irrigare le piante e le piante puliscono l’acqua per i pesci. È una situazione vantaggiosa per tutti. Produrre più cibo con meno risorse: questo fa parte del futuro dell’agricoltura. In Algeria, Egitto e Oman, come in altri paesi di questa regione, l’acqua non è l’unica sfida; ci sono anche carenze di terreno di buona qualità. Della superficie totale della regione adatta all’agricoltura, il 45%

Nell’acquaponica, l’acqua ha un duplice scopo: ospitare pesci e coltivare colture, generando due prodotti contemporaneamente. Altri vantaggi? I rifiuti del pesce fecondano l’acqua usata per irrigare le piante e le piante puliscono l’acqua per i pesci. Produrre più cibo con meno risorse: questo fa parte del futuro dell’agricoltura

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è esposto ad alta salinità, sostanze nutritive esaurite e problemi di erosione. IAA è una soluzione per la produzione di verdure, frutta e altri alimenti in terre inospitali o non utilizzabili. È un ottimo modo per fornire alla popolazione della regione alimenti prodotti localmente che forniscono loro proteine e minerali di cui hanno bisogno, ma senza un uso così intensivo dell’acqua. Tuttavia, l’espansione di questi tipi di fattorie richiede ripensamenti e conoscenze tecniche che non tutti gli agricoltori hanno. È qui che l’esperienza della FAO è così preziosa. «La FAO è stata una delle prime agenzie delle Nazioni Unite a guardare all’acquacoltura nelle terre desertiche e aride e ad indagare le soluzioni più adatte alla carenza idrica, al degrado del suolo e alla sicurezza alimentare (ad esempio IAA e acquaponica). È un privilegio per la FAO essere visti come chi possiede le competenze per questi tipi di interventi», ha detto VALERIO CRESPI, responsabile della pesca e dell’acquacoltura della FAO. Attraverso viaggi di studio organizzati dalla FAO, gli agricoltori algerini, egiziani e dell’Oman hanno

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Viaggi di studio e cooperazione sud-sud tra Algeria, Egitto e Oman sono stati accolti e lodati dagli agricoltori, che hanno potuto discutere esperienze di prima mano e nuove idee, condividendo le sfide comuni che devono affrontare (photo © FAO/Khaled Desouki). visitato 15 aziende agricole integrate di acquacoltura, imparando nuovi suggerimenti e tecniche. Questa particolare triade di paesi (Algeria, Egitto e Oman) è un buon esempio di cooperazione sud-sud, poiché ognuno di essi ha un diverso livello di sofisticazione ed esperienza con questi sistemi. L’Oman ha appena iniziato a lavorare su IAA, mentre l’Egitto è considerato uno dei principali paesi della regione nella produzione di acquacoltura e nella gestione delle risorse idriche. L’Algeria, d’altra parte, ha nuove esperienze da con-

dividere sui sistemi di produzione della IAA, come la produzione di gamberetti con tecnologia che ha avuto successo nelle aree rurali remote e scarsamente idriche. Alcune fattorie IAA stanno facendo miracoli. «Vedere i gamberi prodotti in mezzo ai deserti in Algeria è come trovarsi nello spazio», ha affermato PAULA ANTON, responsabile della pesca della FAO. Durante queste visite di studio, i partecipanti hanno potuto osservare i diversi sistemi utilizzati in ciascuna azienda agricola e riflettere sulle migliori pratiche con i proprietari

In regioni come il vicino Oriente e il Nord Africa, la scarsità d’acqua è un problema urgente. Le aziende agricole integrate di acquacoltura aiutano a coltivare cibo e forniscono proteine fondamentali in aree in cui la terra non è arabile o comunque inospitale

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delle fattorie. Hanno scambiato conoscenze su sementi e mangimi sostenibili, diversificazione delle specie, salute dei pesci, biosicurezza, gestione delle aziende agricole, commercializzazione dei prodotti finiti e sviluppo delle cooperative. Gli agricoltori hanno avuto la possibilità di discutere le lezioni apprese, esperienze di prima mano e dibattere nuove idee, oltre a condividere le sfide che devono affrontare. «I sistemi e i materiali utilizzati differiscono da una fattoria all’altra e quindi questi viaggi ci permettono di essere esposti a idee diverse. Prenderò questa conoscenza, la implementerò nella mia fattoria e seguirò le stesse procedure che abbiamo visto in entrambi i paesi», spiega RABAB HASHIM, agricoltore agricolo di acquacoltura dell’Oman. «I contadini di Algeria, Egitto e Oman non hanno solo imparato da questi esempi, ma hanno anche avviato un importante dialogo su come possiamo aumentare queste pratiche in tutta la regione»,

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Quali sono i Paesi NENA? NENA è l’acronimo di Near East and North Africa (NENA) e comprende i seguenti Paesi: Algeria, Bahrain, Egitto, Iran (Repubblica Islamica), Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Sudan, Repubblica Araba Siriana, Tunisia, Emirati Arabi e Yemen.

afferma PASQUALE STEDUTO, leader della FAO’s Water Scarcity Regional Initiative di NENA. Le aziende agricole IAA stanno offrendo prodotti, come la tilapia in Egitto e Oman e il pesce gatto dell’Africa settentrionale in Algeria, alle popolazioni locali, incoraggiando il consumo di una fonte di proteine non tradizionalmente nota nelle loro diete. Questa fonte di proteine è più economica da ottenere e, grazie all’acquaponica, è più efficiente nell’uso delle risorse naturali, specialmente dell’acqua. Combattere la scarsità d’acqua e fare un uso efficiente delle risorse naturali sono argomenti importanti in molte parti del mondo. Nell’ana-

lizzare i successi e le sfide di questo particolare programma, la FAO intende lanciare iniziative simili in altre regioni del mondo, sostenendo la cooperazione tra agricoltori. (Fonte: FAO – Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura sostenibile delle Nazioni Unite www.fao.org/sustainable-development-goals/goals/goal-6/en) Per saperne di più • Produzione alimentare aquaponica su piccola scala (www.fao. org/3/a-i4021e.pdf). • 7 regole del pollice da seguire in acquaponica (www.fao.org/zhc/ detail-events/en/c/320156/).

• Aquaponics: una soluzione intelligente basata sul pesce per la crescita di cibo utilizzando risorse limitate e poca acqua (www.fao.org/3/a-br812e.pdf). • Implementazione dell’acquaponica nella Striscia di Gaza (www. fao.org/3/a-i5620e.pdf). • Blue Growth Blog: Farmer - Visita di scambio degli agricoltori sotto Water Scarcity Initiative (Algeria, Egitto, Oman) (www. fao.org/blogs/bluegrowth-blog/ sharing-innovative-water-saving-agri-aquacultureexperiences-across-the-near-east-andnorth-africa/en/). • Iniziativa sulla carenza idrica del vicino Oriente e dell’Africa del Nord della FAO (www.fao. org/neareast/perspectives/waterscarcity/en/). • Album fotografico di Flickr (www.flickr.com/photos/faooftheun/sets/72157692104663632). Nota A pagina 40, photo © Alex_Tr.


AMBIENTE

Le acque internazionali Comprendono gran parte delle acque profonde e sono indispensabili per l’equilibrio marino e planetario. Ma sono ancora terra di nessuno. Una proposta di Greenpeace mira a costituire una rete di aree protette per salvaguardare il nostro domani di Giulia Mauri

Nell’aprile 2019 GREENPEACE ha pubblicato una proposta di discussione studiata in collaborazione con università britanniche per proteggere efficacemente la biodiversità delle acque profonde dei mari e permettere agli oceani di mantenersi vitali ed efficaci nel fornire all’uomo risorse alimentari e stabilità climatica. Anche se diversi Paesi stanno cercando di regolamentare la pesca

e lo sfruttamento delle ricchezze marine, le acque sotto il controllo dei singoli Stati non sono che una minima parte dell’acqua degli oceani. Il 61% dell’area degli oceani invece è costituito dalle acque profonde: a queste si ascrive il 73% del loro volume. Da un punto di vista legale sono soprattutto acque internazionali ed è dunque a livello sovranazionale che bisogna trovare accordi per tutelarle.

Tutela e controllo globali e sovranazionali Sfuggendo al possesso e al controllo delle singole nazioni, le acque profonde finiscono per essere ancora oggi “acque di nessuno”. Per questo il rischio principale di fallire la loro tutela è costituito della cosiddetta “tragedia del bene comune” tipica delle situazioni in cui molti fruitori traggono profitto da una risorsa

Nel documento “30x30 A Blueprint For Ocean Protection” gli autori evidenziano come le acque profonde e i fondali marini siano un luogo con leggi deboli e scarso controllo: chi lo desidera può operare senza alcuna supervisione.

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comune. Come spiega l’antropologo JARED DIAMOND nel suo libro Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere (2005, Giulio Einaudi editore), la corretta gestione di un bene comune è particolarmente difficile perché il rispetto delle regole — per quanto anche condivise in linea teorica — si scontra con l’idea che “se non lo faccio io lo farà qualcun altro, dunque è inutile che io mi trattenga e mi ponga limiti. Perché tanto, anche se io rispetto le norme e non pesco pesci di taglia piccola oppure non getto le reti al di là dei miei prefissati limiti, sicuramente qualcun altro lo farà al mio posto approfittando del mio comportamento ligio. E dunque, tanto vale che lo faccia io. Se rispetto le norme di buona gestione, sto solo regalando le risorse a chi non rispetterà le regole”. Questo ragionamento viene applicato molto spesso a beni comuni di cui il controllo è davvero difficile o a situazioni in cui non si hanno leggi internazionali di riferimento. Sono situazioni di cui si conosce il problema (il sovrasfruttamento della pesca e delle risorse marine mondiali), ma si compie una scelta — sebbene non lungimirante e per di più moralmente riprovevole — basata sulla sfiducia e sul calcolo utilitaristico: “i miei interessi di adesso vengono prima di quelli degli altri, dei quali fra l’altro neppure mi fido”. Il tempo a disposizione per invertire la rotta e trovare soluzioni che tutelino tutta l’umanità, comprese le generazioni future, è molto limitato. Nel 2018 l’ONU ha avviato la Conferenza Intergovernativa sulla Protezione della Biodiversità sotto la Giurisdizione Nazionale (ICPBBNJ) con lo scopo di sviluppare uno strumento vincolante legale per consentire la protezione degli habitat e della vita marina nelle acque al di fuori delle giurisdizioni nazionali. La Conferenza è articolata in una serie di appuntamenti di discussione e si concluderà nel 2020. In occasione dell’incontro di aprile 2019 e del successivo di agosto 2019, Greenpeace, in collaborazione con l’Università di Oxford e l’Università di York, sotto la supervisione del professor CALLUM ROBERTS, ha

reso pubblico il testo 30x30 A Blueprint For Ocean Protection – Come possiamo proteggere il 30% dei nostri oceani entro il 2030. Nel documento gli autori evidenziano come le acque profonde e i fondali marini siano ancora oggi un luogo con leggi deboli e scarso controllo, in cui chi lo desidera può continuare a operare senza alcuna supervisione. “Una manciata di ricche nazioni sfrutta la vita marina per profitto, nella libertà garantitagli dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare (UNCLOS) che risale al lontano 1982. La stessa Convenzione elenca obblighi che fino ad oggi sono stati largamente disattesi, come la conservazione delle risorse viventi marine e la protezione e preservazione dell’ambiente, inclusi habitat ed ecosistemi rari o fragili”. Il testo cita il caso del tonno pinna blu del Pacifico, che ormai ha una popolazione ridotta al 3% rispetto ai dati storici, ma ancora oggi è sottoposto a pesca. “Risorse che appartengono all’intero pianeta vengono sperperate”. E ancora: “la governance frammentata e inefficace sulle acque profonde” ci ha portato al punto in cui siamo, quello in cui siamo obbligati a cogliere un’opportunità che non ricapiterà mai più, ma che se colta ci permetterà di preservare la vita nelle acque internazionali. Con un approccio nazionale o frammentario non è possibile proteggere le acque profonde dalla pesca scriteriata — che è il maggior pericolo — come anche dal riscaldamento climatico, dall’acidificazione degli oceani, dalla deossigenazione, dal traffico navale, dal rumore, dall’inquinamento da plastica o da prodotti chimici e infine dalle trivellazioni dei fondali marini. La Conferenza Intergovernativa (ICPBBNJ) mira appunto a raggiungere una protezione delle acque profonde efficace attraverso una valutazione dell’impatto sull’ambiente delle attività umane in queste realtà, una loro gestione e conservazione, una condivisione internazionale dei benefici delle risorse genetiche marine, un utilizzo delle varie aree marine (come ad esempio le aree protette) definito in base agli obiettivi condivisi.

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È indispensabile tutelare efficacemente il 35-40% delle acque profonde. Per questo vengono proposti due modelli alternativi: il primo prevede la protezione del 30%, il secondo quella del 50% delle acque profonde. Con entrambe le soluzioni si creano corridoi per i grandi migratori degli oceani, si ha un efficace bilanciamento per le aree sottoposte a sfruttamento da parte dell’uomo e si raggiungono i diversi obiettivi prefissati di tutela dell’ambiente e delle popolazioni umane (photo © Christian Åslund / Greenpeace). Poiché la Conferenza Intergovernativa ha come obiettivo lo sviluppo di meccanismi che rendano il mondo in grado di accettare gli obblighi riportati nell’UNCLOS di proteggere effettivamente la vita marina nelle acque profonde e nelle profondità dei mari, la negoziazione della Conferenza deve anche comprendere la creazione di un meccanismo che ponga rimedio a una grave falla del sistema di protezione della natura. Stiamo parlando della Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite (UN CBD), risalente a metà degli anni ‘90: questa ha come obiettivo la protezione della vita selvatica, ma si applica solo su territorio nazionale e su navi battenti bandiera delle nazioni che hanno sottoscritto l’accordo; in questo modo, al momento, il CBD lascia scoperta quasi la metà della superficie terrestre, che così risulta non protetta. Proprio le acque profonde sono per la maggior parte acque internazionali, e sono

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queste che bisogna cominciare a proteggere efficacemente. La protezione del 30% degli oceani entro il 2030 L’obiettivo 14 della Dichiarazione dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile (UN Sustainable Development Goal 14), relativo alla vita subacquea e alla riduzione delle plastiche nei mari, e l’Obiettivo Aichi 11 (2011), che fanno parte del Piano Strategico per la Biodiversità del CBD 2011-2020, prevedono che si riconosca il valore delle riserve marine (i cosiddetti “santuari oceanici”) come elemento chiave della protezione degli habitat e delle specie, la ricostituzione della biodiversità oceanica, l’aiuto agli ecosistemi e il mantenimento dei prodotti degli ecosistemi vitali. Gli scienziati ritengono che questi obiettivi si possano raggiungere attraverso la protezione completa del 30% degli oceani entro il 2030. Ed è qui che entrano in gioco Greenpeace

con l’Università di Oxford, di York e i dati raccolti da Atlas of Marine Protection, Global Fishing Watch, Birdlife International and L. Watling. Il documento di Greenpeace propone di istituire una rete di aree protette nelle acque profonde, nazionali e internazionali, in grado di permettere all’intero sistema degli oceani di mantenersi vitale, recuperare biodiversità e salute e restituire all’uomo grandi benefici economici, sociali e climatici. Queste aree marine d’altura protette devono presentare determinate caratteristiche. Per salvaguardare l’intero spettro della vita marina, le aree marine protette devono essere stabilite in modo da essere connesse fra loro, costituendo una rete, e da tutelare tutti gli habitat e tutte le specie viventi in una determinata regione marina. Le singole aree protette possono essere stabilite sulla base delle sole informazioni raccolte a livello locale

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(quindi decise a livello nazionale), ma per costituire questa rete di collegamento in acque profonde pianificandola con sistematicità e ottenendone la maggiore efficacia possibile è indispensabile ricorrere a un’elaborazione elettronica dei dati utilizzando un programma specifico chiamato Marxan. Il programma di elaborazione dei dati Con Marxan è stato possibile individuare numerosi elementi che permettono di definire l’estensione spaziale dell’area da preservare, minimizzando al tempo stesso la dimensione della rete di aree protette e i costi socioeconomici. I dati utilizzati sono stati di natura biologica, oceanografica, biogeografica e socioeconomici. Le acque profonde sono state suddivise in quasi 25.000 aree di 10.000 km2 l’una. Le aree già protette sono state mantenute tali e quelle in cui è prevista la trivellazione dei fondali sono state escluse da alcuni parametri. Le aree intensamente sfruttate dalle flotte che praticano pesca d’altura sono state escluse dalla possibilità di trasformarsi in santuari marini, per evitare il rischio di danneggiare l’attività della pesca. Il programma Marxan, infatti, aiuta a identificare quelle aree che in modo più efficiente riescono a soddisfare più obiettivi contemporaneamente, tenendo anche conto delle esigenze degli stakeholders.

Il programma è stato fatto “girare” per circa 200 volte, inserendo combinazioni differenti di dati di partenza da analizzare. In questo modo sono state evidenziate aree che, sotto diversi aspetti (socioeconomico, biologico, fisico come la temperatura delle superficie, ecc…), risultano essere rilevanti ai fini della protezione degli ecosistemi presenti negli oceani. Il risultato — ci tiene a precisare Greenpeace — non è una mappa definitiva delle aree da porre sotto tutela, ma una proposta fra le numerose possibili, che però è sostenuta da una valutazione solida e scientifica. Il risultato dell’elaborazione di Marxan è una ben distribuita rete di aree protette, che si estende da un polo all’altro attraverso tutti gli oceani e incorpora la completa varietà di habitat, specie e condizioni ambientali. Nell’obiettivo 14 dello Sviluppo sostenibile ONU e nel CBD (20112020) viene stabilito che il 10% dei mari deve essere protetto entro il 2020. Il Congresso per la Conservazione del Mondo dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN World Conservation Congress, vi partecipano governi, associazioni della società civile per favorire lo sviluppo umano ed economico e la tutela della natura) però ha pubblicato nel 2016 la risoluzione che prevede che almeno il 30% di tutti gli habitat marini siano inclusi nella protezione legale. Ma secondo

lo studio di Greenpeace è impossibile raggiungere questo obiettivo proteggendo solo il 30% delle acque profonde. È indispensabile tutelare efficacemente il 35-40% delle acque profonde. Per questo vengono proposti due modelli alternativi: il primo prevede la protezione del 30%, il secondo quella del 50% delle acque profonde. Con entrambe le soluzioni si creano corridoi per i grandi migratori degli oceani; si ha un efficace bilanciamento per le aree sottoposte a sfruttamento da parte dell’uomo; si raggiungono i diversi obiettivi prefissati di tutela dell’ambiente e delle popolazioni umane. Effetti socioeconomici Lo studio proposto da Greenpeace ha dato molta importanza alle ricadute socioeconomiche della costituzione delle aree di altura protette. Sebbene la loro costituzione garantisca benefici indiscussi nel futuro, non è possibile non considerare le ricadute sul presente, soprattutto per quella parte di popolazione mondiale povera che ricava dal pescato le necessarie fonti proteiche. Secondo le analisi, la pesca di alto mare è responsabile appena del 4,2% del pescato annuale del mondo e solo i Paesi più ricchi e le industrie multinazionali sfruttano davvero le acque profonde. Tuttavia, alcuni tipi di pesca in alto mare — come quella del tonno pelagico — hanno

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un elevato impatto. La costituzione della rete di santuari marini non avrà gravi conseguenze economiche sulla pesca d’altura, perché questa tipologia di pesca già oggi viene praticata a grandi distanze dal porto; quindi dover rinunciare ad alcune aree e spostarsi in altre non dovrebbe comportare costi elevati legati né al trasporto, né al prolungato stazionamento in mare del personale. Diverso potrebbe essere l’effetto sulla pesca costiera. Per ridurre i possibili effetti socioeconomici negativi della protezione delle acque profonde è stato valutato l’impatto della costituzione della rete di aree protette sulla pesca tramite i dati di globalfishingwatch.org: i risultati rivelano che il 20-30% dell’attuale attività della pesca dovrebbe muoversi verso aree diverse da quelle in cui di consueto opera. Un valore comunque ben inferiore a quanto aspettato. Questi dati sono molto importanti perché dimostrano che è possibile

costituire una rete di protezione della biodiversità con un limitato impatto economico e in più molti svantaggi immediati verrebbero riequilibrati dagli effetti benefici dell’istituzione delle aree protette, come ad esempio la ricostituzione degli stock ittici e lo sviluppo della salute degli ecosistemi. Quanto alle trivellazioni dei fondali marini, Greenpeace propone una moratoria internazionale ad interim finché non verrà costituita la rete di aree protette marine e sottomarine. L’effetto delle trivellazioni sugli ecosistemi marini, infatti, è ancora parzialmente sconosciuto, anche perché sono gli ecosistemi stessi a non essere ancora stati adeguatamente studiati, soprattutto quelli di grande profondità. Una scelta politica In conclusione, una pianificazione della conservazione sistematica, come quella elaborata con il programma Marxan dall’équipe guidata dal professor Callum Roberts con

l’Università di Oxford, l’Università di York e Greenpeace, permette di valutare le decisioni da prendere con trasparenza e alla luce di costi-benefici aderenti alla complessità della realtà. Resta però in mano ai governi e alle istituzioni sovranazionali la responsabilità collettiva di istituire i santuari oceanici e mettere in atto le misure concrete di realizzazione e protezione. La soluzione proposta da Greenpeace e dalle Università di York e Oxford permette di ottimizzare la soluzione sotto numerosissimi punti di vista, grazie all’elaborazione di moltissimi dati di diversa natura contemporaneamente. Le scelte locali, guidate da un approccio globale e da una norma internazionale, permetteranno di proteggere efficacemente le acque profonde internazionali e il nostro futuro. Giulia Mauri Nota Per approfondimenti: www.greenpeace.org/30x30

Mostra finale del progetto ML-Repair nelle scuole Per fortuna in Adriatico non esistono isole di plastica simili a quella dell’Oceano Pacifico, la Great Pacific Garbage Patch, in cui si stima si siano accumulate 79.000 tonnellate per una superficie di 1,6 km2, cioè tre volte più estesa dell’isola della Giudecca di Venezia. Ma il problema comunque esiste, con riferimento sia alle macroplastiche che alle microplastiche, invisibili ma altrettanto, se non più, pericolose per l’uomo e tutti gli altri animali. Un problema di cui da qualche anno si parla ad ogni livello e che è stato approcciato con azioni concrete, in termini di riduzione dell’uso delle plastiche, principalmente “usa e getta”, di raccolta e di educazione ambientale, soprattutto verso le nuove generazioni. A quest’ultimo aspetto è dedicata una parte importante del progetto ML-REPAIR (Interreg Italia-Croazia, programma di cooperazione transfrontaliera cofinanziato dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale FESR) articolato in diverse zone costiere dell’Adriatico, che in Romagna ha visto all’opera ricercatori della cooperativa M.A.R.E., insegnanti e alunni dell’Istituto Comprensivo Statale di Cattolica. A conclusione delle attività di educazione ambientale, che hanno visto coinvolti 300 alunni e una quindicina di insegnanti, lo scorso giugno, presso il Palazzo del Turismo di Cattolica, alla presenza del sindaco MARIANO GENNARI e dell’assessore alla Cultura, Scuola e Politiche educative VALERIA ANTONIOLI, si è svolta la mostra degli elaborati dei ragazzi. Le 20 opere sono state realizzate con grande entusiasmo, competenza e fantasia dagli alunni che hanno concretizzato il lavoro scientifico svolto in classe. Durante i giorni di apertura della mostra sono stati approfonditi i temi riguardanti i problemi e le possibili soluzioni all’inquinamento marino da plastiche, con la partecipazione dei biologi della cooperativa M.A.R.E. che hanno accompagnato i visitatori alla scoperta delle microplastiche, grazie all’utilizzo di microscopi. Una bella occasione per bambini e ragazzi per conoscere meglio l’Adriatico, anche nei suoi straordinari aspetti naturalistici (fonte: M.A.R.E. Soc. Coop. a r.l., www.coopmare.com).

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Tonno, arriva la guida per la pesca sostenibile. Pubblicata dalla International Seafood Sustainability È stata pubblicata congiuntamente da International Seafood Sustainability Foundation (ente che ha tra i fondatori anche Rio Mare) e dalla International Pole & Line Foundation (IPNLF) una nuova guida che illustra le migliori pratiche scientifiche per massimizzare il valore delle catture ed minimizzare gli impatti ambientali della pesca del tonno. La guida è stata redatta da pescatori, scienziati ed esperti del settore. Destinata ai pescatori ed alle parti interessate della pesca, la guida offre consigli pratici sulla conduzione di queste operazioni di pesca del tonno, dalla cattura alla manipolazione ed ai metodi di stoccaggio. Come evidenziato nel documento, la pesca pole-and-line ha attirato l’attenzione come metodo responsabile per la raccolta del tonno. Con la crescente consapevolezza dei consumatori sulla sostenibilità delle risorse ittiche, questa guida è in grado di fornire una risorsa per i pescatori a livello globale per ottimizzare l’efficienza delle loro operazioni, massimizzare la qualità delle catture e riconoscere ed affrontare gli impatti ambientali delle loro attività al fine di raggiungere aumento della domanda dei prodotti. I capitoli comprendono una serie completa di esempi e raccomandazioni per aiutare i pescatori a comprendere ed attuare le migliori pratiche di orientamento (fonte: EFA News – European Food Agency Srl; photo © IPNLF, Monika Flueckiger). >> Link: www.ipnlf.org

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Le emissioni di gas serra nell’industria ittica sono cresciute del 28% in 11 anni In un studio uscito su NATURE CLIMATE CHANGE si legge che la “produzione alimentare è responsabile di un quarto delle emissioni di gas serra antropogeniche (GHG) a livello globale”. I crostacei non aiutano l’ambiente: la loro pesca è particolarmente gravosa in termini di CO2 immessa in atmosfera, non quanto la carne rossa, ma poco ci manca. Le attività di pesca marina sono tipicamente escluse dalle valutazioni globali dei gas a effetto serra o sono generalizzate sulla base di un numero limitato di studi di casi. Qui quantifichiamo gli input di carburante e le emissioni di gas serra per la flotta da pesca globale dal 1990-2011 e confrontiamo le emissioni della pesca con quelle provenienti dall’agricoltura e dalla produzione di bestiame. È stato stimato che la pesca abbia consumato 40 miliardi di litri di carburante nel 2011 e generato un totale di 179 milioni di tonnellate di CO2GHG equivalenti (4% della produzione alimentare globale). Le emissioni dell’industria ittica mondiale sono cresciute del 28% tra il 1990 e il 2011, con un lieve aumento della produzione coincidente (le emissioni medie per tonnellata sbarcata sono aumentate del 21%). La crescita delle emissioni è stata determinata principalmente dall’aumento dei raccolti dalla pesca a base di crostacei ad alta intensità di carburante. Il beneficio ambientale della pesca a basse emissioni di carbonio potrebbe essere ulteriormente realizzato se una percentuale maggiore di sbarchi fosse destinata al consumo umano piuttosto che ad usi industriali. (Fonte: www.alimenti-salute.it)

Installato a Cervia (RA) il dispositivo Seabin di LifeGate PlasticLess® Ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica vanno a finire negli oceani, nel Mediterraneo ogni giorno ce ne vanno 731, di cui 90 solo nei mari italiani; nel 18% dei pesci ad alto valore commerciale pescati nel Mediterraneo, tra cui pesce spada e tonno, ci sono frammenti di microplastiche (studio ISPRA, svolto su 121 campioni di specie ad alto valore commerciale). Per contribuire a salvaguardare il nostro mare, WINNI’S NATUREL, linea ecologica di prodotti per la cura della casa e della persona, ha deciso di appoggiare il progetto LifeGate PlasticLess® per installare nel Porto Turistico di Cervia (RA) il dispositivo Seabin, un cestino di raccolta dei rifiuti galleggianti in grado di catturare circa 1,5 kg di detriti al giorno, ovvero oltre 500 kg di rifiuti all’anno (a seconda del meteo e dei volumi dei detriti), comprese le microplastiche da 5 a 2 mm di diametro e le microfibre da 0,3 mm. Seabin, inoltre, può catturare anche molti rifiuti comuni che finiscono nei mari, come i mozziconi di sigaretta. Il dispositivo viene immerso nell’acqua con la parte superiore al livello della superficie. Grazie all’azione spontanea del vento, delle correnti e alla posizione strategica del Seabin, i detriti vengono convogliati direttamente all’interno del dispositivo. La pompa ad acqua, collegata alla base dell’unità, è capace di trattare 25.000 litri di acqua marina all’ora. I rifiuti vengono quindi catturati nella borsa interna, mentre l’acqua scorre attraverso la pompa e torna in mare. Può funzionare 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, e quindi è in grado di rimuovere molto più spazzatura di una persona dotata di una rete per la raccolta. Sebbene il dispositivo non possa essere utilizzato in mare aperto, perché richiede il collegamento elettrico, risulta straordinariamente efficace in aree come i porti poiché sono “punti di accumulo”, in cui convergono la maggior parte dei rifiuti in mare. Attualmente sono già in funzione dei Seabin in altre regioni italiane, tra le quali Liguria, Lombardia, Veneto, Marche, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna (fonte: ufficio stampa Winni’s).

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MARICOLTURA

Progetto AdriAquaNet La maricoltura adriatica fornisce prodotti ittici molto apprezzati sia dai mercati locali che da quelli più lontani. Questo settore può svilupparsi ulteriormente grazie alle nuove tecnologie e ad un potenziamento dell’informazione verso i consumatori, offrendo opportunità di lavoro altamente qualificate e di promozione dell’economia locale. Queste sono le premesse, oltre che le sfide, che si pone il progetto AdriAquaNet, finanziato dal Programma UE Interreg V Italia-Croazia 2014-2020 e guidato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Udine. Esso mette in rete altri 6 enti di ricerca, tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, l’Associazione dei piscicoltori della Croazia e quattro aziende operanti in Italia e Croazia. Questa comunità, che conta circa 100 esperti, lavorerà per due anni e mezzo nella prima iniziativa mai realizzata di cooperazione tecnicoscientifica, avente l’obiettivo di trasferire conoscenze avanzate e nuove tecnologie su tutta la filiera dell’acquacoltura, dalla gestione degli impianti di produzione fino al mercato dei prodotti lavorati. Il progetto è stato presentato alle autorità di governo e alle aziende croate lo scorso 31 maggio a Spalato mentre la cerimonia inaugurale ha avuto luogo anche a Udine lo scorso 24 giugno, nell’intento di favorire

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Per il rafforzamento e la sostenibilità dell’acquacoltura nel Mar Adriatico è stato aperto un dialogo Italia-Croazia tra ricerca, imprese e governo del territorio. L’obiettivo? Portare l’acquacoltura del Mare Adriatico all’eccellenza a livello tecnologico e di mercato il coinvolgimento delle comunità di lavoro legate all’acquacoltura e delle autorità preposte alla gestione territoriale su entrambe le sponde del Mare Adriatico. Il progetto parte dalla ricognizione delle esigenze d’innovazione e sviluppo espresse dalle aziende e dalle conoscenze e tecnologie disponibili negli enti di ricerca. Ogni ente di ricerca avrà il compito di favorire le applicazioni tecnologiche nelle aziende, che sperimenteranno le innovazioni. Dopo la prima fase pilota, seguirà quella della formazione tecnico-scientifica degli addetti del settore, sia in Italia che in Croazia. I risultati attesi La maricoltura in Italia e in Croazia fornisce un’eccellente offerta di pesce e opportunità di lavoro dalle grandi prospettive. Per la prima volta, le imprese e gli istituti di ricerca e innovazione dell’Adriatico opereranno congiuntamente con

azioni innovative per mantenere e consolidare un’alimentazione sana in acqua pulita, terapie naturali per un pesce sano e cibi salutari per tutti i gusti. I tre macrotemi del progetto 1) The fish farm – I partner lavoreranno per trasferire maggiore sostenibilità e qualità all’allevamento ittico con soluzioni innovative nell’alimentazione del pesce allevato e nel risparmio energetico negli impianti produttivi. 2) The fish doctor – Per migliorare la gestione degli aspetti sanitari attraverso la preparazione di nuovi vaccini e la messa a punto di terapie a base di prodotti naturali. Verrà predisposto anche un metodo per monitorare il benessere del pesce allevato, applicabile direttamente da parte degli allevatori. 3) The fish market – Verrà migliorata la qualità sensoriale e

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Tra gli obiettivi del progetto AdriAquaNet, finanziato dal Programma UE InterregV Italia-Croazia 2014-2020 e guidato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Udine, c’è la creazione di una rete coordinata di partner sia in Italia che in Croazia in costante condivisione di personale, strumentazione e protocolli per la ricerca e l’innovazione in acquacoltura (photo © Orada Adriatic Srl).

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igienico-sanitaria del pesce fresco e si studieranno nuovi prodotti trasformati, anche valutando il gradimento dei consumatori. Queste innovazioni sono essenziali per una sempre maggiore integrazione tra ambiente e attività di acquacoltura, rendendo gli allevamenti ittici compatibili con il paesaggio e il turismo, per fornire il mercato di pesce sano, controllato e in preparazioni appetitose dall’elevato potere nutrizionale, e per la sostenibilità sociale ed economica della filiera. L’acquacoltura può offrire, infatti, prospettive di lavoro specializzato e redditizio. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), rappresentato dal dott. AMEDEO MANFRIN e dal suo staff di esperti, sarà coinvolto in protocolli di vaccinazione per testare vaccini stabulogeni contro specifici batteri patogeni (Vibrio harveyi e Tenacibaculum maritimum) che colpiscono il branzino e l’orata. La vaccinazione verrà eseguita negli allevamenti di alcuni partner del

progetto. Inoltre l’IZSVe svilupperà anche uno strumento per valutare il benessere dei pesci (Indicatori Operativi di Benessere), che potrà essere concretamente utilizzato dagli allevatori attraverso parametri comportamentali e ambientali. Il gruppo di lavoro Nell’ambito del progetto AdriAquaNet operano 4 industrie, 1 consorzio e 7 laboratori di ricerca provenienti dall’Italia e dalla Croazia che collaborano per lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie nell’itticoltura e nella relativa commercializzazione. Trattasi della prima iniziativa di cooperazione dai due lati del Mare Adriatico per migliorare la qualità dell’acquacoltura e la commercializzazione dei prodotti alimentari relativi. I partner italiani • Università di Udine, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari, Ambientali e Animali (coordinatore); • Università di Trieste, Diparti-

mento di Scienze della Vita; • Istituto Sperimentale Zooprofilattico delle Venezie, Padova. • Consiglio Nazionale della Ricerca, Dipartimento di Scienze Chimiche e Tecnologia dei Materiali, Padova; • Ittica Caldoli Società Agricola a rl, Poggio Imperiale (FG); • Friultrota di Pighin Srl, San Daniele (UD). I partner croati • Istituto Veterinario Croato, Zagabria. • Istituto di Oceanografia e Pesca, Spalato. • Università di Rijeka/Fiume, Facoltà di gestione del turismo e dell’ospitalità. • Klaster Marikultura, associazione degli allevatori croati di acquacoltura, Spalato. • Friskina d.o.o., Spalato. • Orada Adriatic d.o.o., Cherso. >> Link: www.italy-croatia.eu/web/ adriaquanet

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Venericoltura, un’eccellenza nazionale ed europea a rischio per la carenza di seme di Edoardo Turolla, Luciano Boffo e Emanuele Rossetti

L’Italia è il primo produttore europeo di vongole veraci e il secondo su scala globale dopo la Cina. Il raggiungimento di tale traguardo è stato possibile grazie all’introduzione intenzionale, nel 1983, della vongola verace filippina (Ruditapes philippinarum) nella laguna di Venezia (PELLIZZATO, 1990), come conseguenza del collasso delle popolazioni selvatiche di vongola verace

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europea (Ruditapes decussatus, TUROLLA, 2008). Visti i buoni risultati, in pochi anni esperienze analoghe sono state ripetute in varie parti della penisola, anche se solo nelle lagune costiere dell’alto Adriatico (Marano-Grado, Venezia e delta del Po) si sono sviluppate e consolidate produzioni significative. Quasi da subito questa nuova attività ha avuto una crescita di tipo

esponenziale raggiungendo il picco di produzione (64.000 t) alla fine degli anni Novanta (TUROLLA et al., 2008). Gli anni seguenti sono stati contraddistinti da un andamento altalenante fino a stabilizzarsi in quelli più recenti su valori attorno alle 30.000 t/ anno. Se si considerano le produzioni annuali dei singoli comparti, la flessione è imputabile principalmente al declino della laguna di Venezia in cui

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attualmente si raccolgono non più di 2.500-3.000 t/anno. Va considerato che le rilevanti produzioni registrate in laguna di Venezia tra il 1995 e il 2000 (circa 30.000 t/anno) provenivano da banchi naturali, talvolta collocati in zone sanitariamente non conformi, che sono stati sfruttati in maniera indiscriminata. Nel 2018 la produzione nazionale è stata di 28.850 t, che rappresenta il valore più basso negli ultimi vent’anni. Questo calo, sebbene ancora contenuto, sembra dipendere dalla significativa riduzione della disponibilità di novellame selvatico in tutti i comparti. Tale fenomeno, che si protrae ormai da 3-4 anni e suscita le giustificate preoccupazioni degli allevatori, è l’argomento di questo lavoro con cui cercheremo di fornire utili approfondimenti e orientamenti migliorativi.

In basso: aree di preingrasso nella laguna di Scardovari.

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Aree nursery nella laguna di Venezia. Recupero del seme Come per ogni altro tipo di zoocoltura, anche la venericoltura richiede per la partenza ingenti quantità di esemplari allo stadio giovanile, il seme o novellame. Questo può essere ottenuto in varie maniere: recuperato da aree nursery, reclutato mediante appositi collettori oppure con l’applicazione di tecniche avanzate di riproduzione controllata in laboratori specializzati detti schiuditoi. Delle tre possibilità la prima è la più conveniente sotto diversi punti di vista. Del resto tutte le più importanti produzioni di bivalvi da allevamento su scala globale si basano su questa fonte di approvvigionamento. L’uso di collettori in ambiente naturale per favorire l’insediamento e lo sviluppo delle larve, tecnica sperimentata anche in Italia (BRESSAN et al., 2002a; 2002b), è comunque più adatto per le specie sessili, come ostriche e mitili, ma poco efficiente e pratico per i fossori come i veneridi e non viene al momento praticato. Il ricorso allo schiuditoio rappresenta la scelta obbligata quando la disponibilità di seme selvatico non è sufficiente a garantire il fabbisogno degli allevatori. La scelta dell’una o dell’altra o di entrambe (selvatico e schiuditoio) le forme di approvvigionamento del novellame dipende dalla strategia dell’allevatore. Va precisato che in genere vengono seminati a fondale senza protezione esemplari della lunghezza di almeno 12-15 mm, che

rappresenta la taglia minima (sizerefuge) meno esposta alla pressione predatoria, soprattutto da parte dei granchi. La densità di semina è molto variabile (da 200 a oltre 1500 esemplari/m2) in funzione della capacità portante specifica del sito. Seme selvatico L’avvio della venericoltura in Italia è avvenuto mediante l’introduzione di novellame riprodotto in condizioni controllate presso schiuditoi esteri. Questa pratica si è protratta per alcuni anni fino alla comparsa lungo la costa di siti aventi caratteristiche in grado di favorire l’insediamento e lo sviluppo di stadi giovanili di vongola verace filippina, le cosiddette aree nursery. Grazie a queste zone gli allevatori si sono resi gradualmente indipendenti per la fornitura di novellame dagli schiuditoi. Fino a qualche anno fa l’intera produzione nazionale, infatti, era sostenuta completamente dal recupero di novellame selvatico, le cui quantità dipendevano dalle fluttuazioni stagionali di insediamento. Delle varie possibilità che ha un allevatore per rifornirsi di novellame, quella di prelevarlo in ambiente naturale, quindi dalle zone nursery, è di gran lunga la più conveniente sotto diversi punti di vista. Il novellame che offre maggiori possibilità di successo, soprattutto in termini di sopravvivenza, è quello reclutato naturalmente nei fondali del vivaio.

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Fase di preingrasso. Poiché questo seme non necessita di adattarsi all’ambiente, il rischio di perdite dovute al superamento di questa fase diventa praticamente nullo. Secondo questo principio anche il seme proveniente da aree vicine all’allevamento può essere considerato di buona qualità. In effetti, in questo contesto il concetto di distanza fra il luogo di provenienza del seme e il sito in cui dovrà essere seminato è da porsi non tanto in termini spaziali, ma in riferimento alle eventuali diversità ambientali dei due siti. In altre parole: riuscirà il seme ad adattarsi alle nuove condizioni, oppure queste saranno così diverse da generare fenomeni di mortalità? L’impiego di novellame selvatico “autoctono” presuppone inoltre anche i seguenti vantaggi: a) minori costi di produzione; b) limitazione della possibilità di introdurre specie aliene indesiderate; c) riduzione del rischio di trasmissione di malattie e/o parassiti; d) perfezionamento della tracciabilità del prodotto.

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Seme da schiuditoio Gli schiuditoi per bivalvi sono laboratori specializzati nello svolgimento della riproduzione in condizioni controllate di questi organismi e sono operativi in molti paesi con l’obiettivo principale di fornire novellame da destinare agli allevamenti. In mezzo secolo di esperienze questi laboratori hanno raggiunto livelli tecnologicamente affidabili per molte specie di interesse commerciale, compresa la vongola filippina. L’allestimento e la gestione di queste strutture sono tuttavia economicamente molto onerosi poiché richiedono l’uso di impianti ed attrezzature sofisticate, l’impiego di personale altamente specializzato, nonché un rilevante consumo di energia. Per queste ragioni il seme di schiuditoio viene offerto a prezzi quasi mai competitivi rispetto a quelli del prodotto selvatico. Gli schiuditoi inoltre realizzano partite di novellame di taglia relativamente piccola (pochi mm). Per questo motivo è sconsigliato seminare tali esemplari direttamente a fondale senza alcuna protezione, dal momento che sarebbero oggetto

di pesanti perdite a causa della predazione. Questo implica la necessità, da parte dell’allevatore, di attuare una fase intermedia di allevamento detta preingrasso. Le tecniche che si possono applicare per lo svolgimento di questa fase sono molteplici e vanno dalla copertura del seme posto a fondale con reti protettive all’inserimento del seme all’interno di sacchi o tasche provviste o meno di distanziatori, all’impiego di sistemi in sospensione di varie forme e dimensioni. In alternativa, disponendo di un sito idoneo, è possibile effettuare il preingrasso mediante l’impiego di un’apposita struttura, il flupsy (Floating Upweller System). Indipendentemente dalla tecnica scelta, il preingrasso rappresenta comunque un costo aggiuntivo, nonché un ulteriore fonte di rischio per l’allevatore, che dovrà mettere in conto perdite più o meno consistenti prima che il seme raggiunga una taglia da essere avviato alla fase terminale di allevamento. Va inoltre considerato che il preingrasso richiede una certa disponibilità di spazio, che spesso viene ricavata sacrificando aree

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Non bisogna far violenza alla Natura ma persuaderla. Epicuro Filosofo greco | Samo, 341 a.C. - Atene, 271 a.C.

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Preingrasso in lanterna. di fondale adibite normalmente all’ingrasso. La situazione Il successo della venericoltura italiana è dovuto, oltre che alla presenza di siti vocati a tale pratica, anche alla disponibilità di novellame selvatico, che rappresenta indubbiamente il principale punto di forza e allo stesso tempo un fattore limitante per le produzioni. In assenza di aree nursery lo sviluppo del comparto non avrebbe mai raggiunto le attuali dimensioni diventando un’eccellenza dell’acquacoltura nazionale. In ragione di queste considerazioni alcune amministrazioni hanno attuato, sebbene in ritardo, azioni finalizzate alla protezione e gestione delle aree nursery, il più delle volte situate

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in zone in regime di libero accesso. Nella laguna di Venezia, per esempio, campagne annuali di raccolta di novellame sono organizzate dal GRAL (ora San Servolo Srl). Queste sono svolte in quattro aree nursery la cui estensione complessiva (< 100 ettari) è ancora alquanto modesta, se raffrontata con la superficie lagunare adibita a venericoltura (1.285 ettari). Nelle ultime due annualità da queste nursery sono state tuttavia raccolte 219 t (2017) e 201 t (2018) di seme ripartite tra gli allevatori in proporzione alle dimensioni delle concessioni. Per quanto riguarda il delta del Po polesano, sono state identificate e censite 12 aree nursery la cui estensione complessiva è di circa 90 ettari, come risulta dalla “Car-

ta Ittica 2009” della provincia di Rovigo. Gran parte di queste aree ricadono nei tratti terminali dei fiumi Po e Adige, dove purtroppo attualmente non esiste alcuna attività di programmazione e pianificazione. L’assenza di governance in queste aree ha contribuito all’instaurarsi di episodi sempre più frequenti di pesca abusiva con compromissione, dal punto di vista ambientale, dei siti. Nel comparto polesano, nell’ultimo biennio, si è registrato un significativo calo della disponibilità di novellame di circa il 40%. Più virtuosa è stata invece la regione Emilia-Romagna che ha promosso e finanziato uno studio per la mappatura geo-referenziata delle aree di nursery associate alla sacca di Goro. I risultati di tale studio (TUROLLA, 2006) hanno consentito prima di delimitare materialmente le aree identificate come nursery, quindi di imporne il rispetto e la gestione. L’affidamento delle aree in regime di autogestione direttamente agli allevatori ha consentito di organizzare oltre 30 campagne di raccolta coordinate, a partire dal 2007, che hanno dato risultati innegabilmente positivi in termini di prelievo e distribuzione del seme. Questo ha giustificato la promozione di ulteriori studi finalizzati all’ampliamento delle nursery esistenti e all’istituzione di nuove, che ad oggi hanno un’estensione complessiva di 1.000 ettari. Nel 2013, in una singola campagna della durata di 20 giorni sono stati raccolti oltre 8 miliardi di esemplari di vongola verace, corrispondenti a 1,5 volte il fabbisogno annuo degli allevatori locali. L’istituzione e la gestione delle aree nursery emiliano-romagnole come A.T.B. (Aree di Tutela Biologica), che hanno beneficiato l’intero comparto della venericoltura (CONGI, 2010), sono state riconosciute come esempio di buone pratiche di molluschicoltura nel Piano Strategico per l’Acquacoltura in Italia (MIPAAF, 2014). Nell’ultimo trentennio i venericoltori alto-adriatici hanno utilizzato in gran parte le aree nursery come fonte di approvvigionamento e solo una quota minima (< 1%) è ricorsa agli schiuditoi. La disponibilità di

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Preingrasso nella laguna di Scardovari. novellame selvatico è tuttavia estremamente variabile e soggetta a svariati fattori, alcuni dei quali ancora poco conosciuti. Non sono mancati, infatti, periodi di carenza, anche se la durata di questi è stata al massimo di uno o due stagioni consecutive e il più delle volte ha interessato una o poche aree contemporaneamente. Gli ultimi 3-4 anni sono stati invece caratterizzati da una bassissima disponibilità di seme praticamente in tutti i comparti produttivi per ragioni ancora sconosciute. Si ipotizzano le cause più disparate, come cambiamenti climatici, riduzione della trofia delle acque, perdita di fecondità, inquinamento, parassiti e altro, ma senza fondamenti scientifici attendibili. Il prolungarsi di questa situazione, il cui effetto principale sarà un calo delle produzioni, ha spinto gli allevatori allarmati a rifornirsi presso schiuditoi più che altro esteri; nonché a prendere in considerazione soluzioni quali la realizzazione di impianti di preingrasso o schiuditoi. Risulta difficile fare una stima delle importazioni di materiale seminale in quanto la registrazione dei dati da parte degli uffici competenti (Aziende ULSS, UVAC, Ministero della Salute) risulta piuttosto lacunosa, disomogenea e non sempre disponibile; in particolare non vengono sempre registrati il numero e le dimensioni degli esemplari importati. Possiamo

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tuttavia stimare che nell’ultimo triennio l’incremento delle importazioni di seme di vongola verace sia stato dell’ordine di 10-20 volte. Considerazioni Considerando perdite ordinarie e mortalità naturali, per mantenere un target produttivo di 30.000 t/anno la venericoltura italiana necessita di almeno 7-8 miliardi di giovani vongole della lunghezza di almeno 12-15 mm. Questo fabbisogno aumenta sensibilmente se il processo colturale viene avviato con seme proveniente da schiuditoio, anziché con seme selvatico. Il computo si aggrava ulteriormente se si considerano anche le perdite dovute a eventi straordinari, come mareggiate e morie per crisi distrofiche. A fronte di questi scenari, il fabbisogno può superare abbondantemente i 10 miliardi di esemplari che, in assenza del reclutamento naturale, non sarebbero reperibili presso gli schiuditoi neppure disponendo di capitali illimitati. I venericoltori italiani, negli ultimi anni, hanno preso d’assalto, con richieste di seme sempre più ingenti, gli schiuditoi esteri, soprattutto quelli francesi, che si sono trovati impreparati dal momento che producono più che altro ostriche. A fronte della crescente domanda, gli stessi hanno incrementato la produzione di seme di vongola verace senza tuttavia

neppure avvicinarsi a soddisfare le richieste. Importazioni di novellame avvengono inoltre dagli Stati Uniti, dove gli schiuditoi delle coste del Pacifico producono correntemente seme di vongola filippina, ma anche in questo caso l’offerta non può soddisfare la domanda. Bisogna ricordare che il traffico di novellame è identificato come una delle principali cause dell’introduzione di specie aliene indesiderate e non ci sarà da meravigliarsi se nei prossimi anni troveremo qualche sorpresa nelle nostre lagune. Non si devono dimenticare i danni arrecati agli allevamenti e all’ambiente, per esempio, dal mitilide alieno Arcuatula senhousia, introdotto in Adriatico nel 1993 (LAZZARI & RINALDI, 1994) proprio attraverso importazioni di partite di seme di vongola verace. Il ricorso massivo al seme da schiuditoio da parte degli allevatori italiani non stupisce più di tanto e trova una giustificazione, dal momento che sembra sempre più difficoltoso reperire seme in quantità sufficienti a garantire le produzioni. Sorprende invece come le amministrazioni non abbiano ancora preso in considerazione il problema e attivato tavoli di confronto per comprenderne le dimensioni e per suggerire eventuali soluzioni. D’altronde, nonostante la venericoltura si sia sviluppata in Italia da oltre un trentennio, pochi

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sono stati gli sforzi rivolti allo studio delle dinamiche e dei modelli di insediamento della vongola verace in ambiente naturale. In un momento come questo le importazioni e/o l’acquisto di novellame, sia esso da schiuditoio o meno, contribuiscono certamente a mitigare, sia pure in maniera contenuta, la crisi del reperimento del seme. È irrazionale tuttavia accettare questa realtà senza provare a comprendere cosa abbia inceppato il meccanismo e cercare di porvi rimedio, visto che per tanti anni ha funzionato. Quindi: 1) bisognerebbe rivolgere maggiore attenzione al reclutamento naturale attuando piani di ricerca finalizzati a stabilire quali fattori incidono sul fenomeno e quali possono essere manipolabili per amplificarne il risultato; 2) andrebbero discusse e condivise su base interregionale le esperienze di gestione delle aree nursery in un’ottica di miglioramento della governance di questi importanti siti; 3) sarebbe da valutare l’opportunità di estendere le attuali aree nursery e/o di istituire quelle al momento non riconosciute e sottoporle ad una razionale gestione con il coinvolgimento diretto dei produttori; 4) si dovrebbe considerare l’idea di realizzare, mediante il rimodellamento territoriale, nursery artificiali, comunque nel rispetto

della sostenibilità ambientale; 5) andrebbe inoltre rivista e migliorata la normativa nazionale in materia (taglia minima, modalità di accesso e sfruttamento della risorsa, ecc…), obsoleta e poco funzionale; 6) bisognerebbe infine contribuire a migliorare le conoscenze di base degli operatori, dal momento che il mestiere del venericoltore ha forti implicazioni ambientali, igienico-sanitarie, nonché socioeconomiche. Edoardo Turolla Istituto Delta Ecologia Applicata Srl Luciano Boffo Medico Veterinario Consulente Sicurezza Alimentare – Chioggia Emanuele Rossetti Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine O.P. Scarl Bibliografia • B RESSAN M., B ARICHELLO B., GATTO T., PELLIZZATO M. (2002a), Utilizzo di substrati artificiali per lo studio dell’insediamento larvale di molluschi bivalvi in laguna di Venezia, Lavori – Soc. Ven. Sci. Nat., 27: 33-46. • B RESSAN M., B ARICHELLO B., GATTO T., STELLATO M., ZAMPIERI S., PELLIZZATO M. (2002b), Insediamento larvale di molluschi bivalvi di interesse commerciale in laguna di Venezia, Biol. Mar. Medit., 9 (1): 244-246.

• CONGI A. (2010), Aree marine di tutela istituite dalla regione Emilia-Romagna, Ed. La Mandragora, 125 pp. • LAZZARI G., RINALDI E. (1994), Alcune considerazioni sulla presenza di specie extra-mediterranee nelle lagune salmastre di Ravenna, Boll. Malacol., 30: 195-202. • MIPAAF (2014), Piano strategico per l’acquacoltura in Italia, 282 pp. • PELLIZZATO M. (1990), Acclimazione della specie Tapes philippinarum e primi allevamenti in Italia, in: “Tapes philippinarum, biologia e sperimentazione”, E.S.A.V.: 157-170. • PROVINCIA DI ROVIGO (2010), Carta ittica provinciale delle aree lagunari e vallive (zona C), 2009: (a cura di) MISTRI M., 157 pp. • TUROLLA E. (2006), Mappatura delle aree nursery e studi sulla dinamica di insediamento di Tapes philippinarum in sacca di Goro, Technical Report, Regione Emilia-Romagna, Relazione finale, 36 pp. • TUROLLA E. (2008), L’allevamento della vongola verace nel delta del Po, Grafiche Adriatica, 111 pp. • TUROLLA E., ROSSETTI E., PELLIZZATO M., ZENTILIN A. (2008), La venericoltura in Italia a 25 anni dal suo esordio, IL PESCE n. 3/08, 31-40 pp.


INDAGINI

La moda del sushi sfonda anche al supermercato Per Nielsen, quella giapponese è una delle cucine etniche più amate dagli Italiani e ora spopola anche nei supermercati con il “sushi corner” A Milano, in occasione di un recente seminario dedicato al salmone norvegese, è stata presentata la ricerca NIELSEN “Vendita del pesce al dettaglio in Italia: i trend e il comportamento dei consumatori di salmone e di sushi”. Da qualche anno oramai il sushi sta riscuotendo un enorme successo, tanto che la cucina giapponese è oggi fra le cucine “etniche” più amate dagli Italiani. Le ragioni di questo successo sono dovute in parte al fascino che la cultura giapponese esercita, in parte all’affermazione di una cucina sana, leggera e genuina, dove sushi e sashimi sono le preparazioni più richieste. Importato dai Norvegesi negli anni ‘80, il salmone è il protagonista indiscusso di questa cucina: il 51% degli intervistati in-

fatti ordina di preferenza sushi con salmone. La crescita del mercato è pari a +7,7%, le vendite si attestano sui 362 milioni di euro circa. La Norvegia si attesta leader indiscusso con un 66% di valore delle vendite di salmone fresco nel mondo (+13% circa rispetto allo scorso anno) e il salmone ha la quota maggiore tra tutte le specie esportate in termini sia di volume sia di valore. Nel 2018, la Norvegia ha esportato 1,1 milioni di tonnellate di salmone del valore di 67,8 miliardi di NOK. Si tratta di un aumento del volume del 5% e di un aumento del valore di 3,2 miliardi di NOK, pari al 5%, rispetto al 2017. L’aumento della domanda di salmone sul mercato della UE ha contribuito alla crescita delle espor-

Il sushi-corner è l’angolo del sushi realizzato vicino alla gastronomia o alla pescheria all’interno della GDO dove un paio di addetti preparano sushi fresco in diretta con formati e gusti a richiesta. Oppure vengono predisposte varie tipologie in appositi contenitori, corredati da wasabi e zenzero sottaceto, insieme ai classici bastoncini. Un modo pratico e innovativo per gustare del sushi senza andare al ristorante, ma usufruendo di un funzionale take away.

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tazioni pari al 73%, rispetto al 71% del 2017. L’Italia, nel 2018, è stata il mercato più in crescita: dal 2010 al 2018 l’esportazione di salmone norvegese è aumentata del 324% in valore. «Il salmone norvegese — ha dichiarato TRYM EIDEM GUNDERSEN, direttore Italia del Norwegian Seafood Council — è diventato il prodotto ittico principale nel mercato italiano; mercato che, nel 2018, ha fatto registrare un’importazione dalla Norvegia da record, con 62.000 tonnellate (che raggiungono oltre 100.000 tonnellate se si considerano tutti i canali di importazione di salmone norvegese) e un incremento del 18% rispetto all’anno precedente». L’ultima tendenza è il sushicorner, ovvero l’angolo dedicato alla preparazione del sushi all’interno delle principali catene della GDO. Uno spazio realizzato nei pressi del reparto gastronomia o pescheria, dove alcuni addetti preparano live sushi in diversi formati e gusti o su specifica richiesta dei clienti. Questa soluzione è molto gradita, visto che il 43% dei consumatori ha acquistato sushi presso i corner della GDO negli ultimi tre mesi, in particolare come soluzione per la pausa pranzo. «In Italia, la GDO, nei primi mesi del 2019, ha registrato un incremento notevole riguardo il segmento seafood a seguito anche del grande successo dei sushi-corner, che hanno fatto registrare un giro d’affari pari a 113,2 milioni di euro, con un tasso di crescita del 5,4%, e presenta ancora ampi margini di crescita» ha ribadito ANDREA SUCCI, sales leader analytics NIELSEN ITALIA. (Fonte: EFA News European Food Agency)

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Dal campo alla discarica In un mondo che non ha ancora del tutto sconfitto la fame, buttare il cibo, una prassi consolidata nella vita moderna di tanti Paesi occidentali, è un vero e proprio sacrilegio. Non è solo una questione etica e di giustizia sociale, ma anche di ordine pratico e ambientale di Guido Guidi

Sembrerà strano, ma non esistendo una definizione univoca di spreco alimentare, darne un’esatta descrizione non è facile. In linea di massima si intende, con questo termine, quella parte di prodotto che viene acquistata e non consumata, per poi finire nella spazzatura. C’è però dell’altro. Il cibo che vede lo smaltimento come sua destinazione ultima non è solo quello che passa

nelle mani del consumatore. Anzi, certe volte non ci arriva nemmeno, venendo eliminato in fasi precedenti della filiera e ben più a monte del contesto domestico. La cucina di casa è, secondo il Ministero dell’Agricoltura, l’altare sacrificale solo del 50% degli alimenti che vedono la pattumiera al posto del piatto. Il resto è opera delle imprese e della distribuzione, talvolta a partire

dai campi. Secondo il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, che ha elaborato una serie di dati ufficiali di più soggetti, invece, nel 2017 lo spreco in Italia avrebbe raggiunto lo 0,88% del PIL, per un totale di oltre 15 miliardi di euro, di cui quasi 12 miliardi da ricondurre alle famiglie. Poco più di 830 milioni si disperdono ancora in campo, un miliardo nell’industria di trasfor-

La cucina di casa è, secondo il nostro Ministero dell’Agricoltura, l’altare sacrificale del 50% degli alimenti che vedono la pattumiera al posto del piatto. Il resto è opera delle imprese e della distribuzione, talvolta a partire dai campi (photo © Daisy Daisy – stock.adobe.com).

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“To Good To Go” è la app attiva in ambito europeo che permette alle imprese di vendere a prezzo ribassato l’invenduto. Vi aderiscono nomi della GDO, ristoranti, bar e laboratori artigianali (photo © www.ristorazioneitalianamagazine.it). mazione e quasi 1,3 miliardi nella distribuzione. I dati sono quindi discordanti, perché oggettivamente la misurazione di quanto viene gettato quotidianamente, soprattutto negli ambienti domestici, è un’attività molto complessa. È altresì difficile individuare la quantità media buttata da ognuno. La tesi più realistica, dopo anni di ipotesi e risultati di ricerche parziali, sembra l’ipotesi dell’Osservatorio nazionale sulle eccedenze del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, che indica in 370 grammi alla settimana la quantità di cibo sprecato dalle famiglie italiane. Si tratta, infatti, di poco più di 20 grammi al giorno a persona e di un dato, quindi, che collocherebbe gli Italiani nella media dei valori di altri Paesi europei, che vedrebbero altresì l’Olanda con 365 g a famiglia a settimana, la Spagna con 534 g, Germania e Ungheria con 420 g. Sarebbero le bevande analcoliche, i legumi, la frutta e la verdura, la pasta fresca e il pane a raggiungere più spesso la pattumiera, secondo la Waste Watcher. Tra le principali cause dello spreco in ambito domestico ci sono le cattive abitudini di spesa; l’inosservanza delle più elementari

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modalità di conservazione degli alimenti; le date di scadenza troppo rigide e rispettate pedissequamente, anche laddove il termine di riferimento è solo indicativo; la tendenza a servire e servirsi porzioni eccessive; le promozioni della distribuzione che spingono ad acquistare cibo più del necessario. Dal rapporto CREA emerge inoltre una curiosa contraddizione: le quantità assolute di spreco domestico si incrementano all’aumentare dei membri della famiglia, ma paradossalmente la cattiva abitudine risulta più marcata nelle famiglie monocomponenti. Inoltre, c’è meno attenzione laddove l’età media si abbassa e dove c’è maggiore disponibilità economica. Uno studio della FAO non proprio recente — risalente al 2011 — stabiliva che ogni anno, nel mondo, venissero destinati alla discarica circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, di cui l’80% ancora consumabile, e per oltre 222 milioni ad opera dei principali Paesi industrializzati. Una quantità enorme, che da sola potrebbe sfamare interi Stati dove la fame è ancora un problema diffuso. È bizzarro il fatto che, in tempi di crisi finanziaria in cui è spesso difficile far quadrare i conti, finiscano

al macero intere derrate di alimenti nei vari anelli della filiera. E quali che siano le cifre, è inaccettabile che, a tutt’oggi, ci siano popolazioni dove ancora centinaia di migliaia di persone muoiono per le carestie ed altre dove il cibo viene invece buttato. Si tratta di un’iniquità intollerabile. Aspetti etici a parte, le considerazioni d’obbligo sono molte, non ultime quelle relative al fatto che un prodotto alimentare che deve essere smaltito genera ulteriori oneri per la collettività e comporta problemi ambientali. Ci sono inoltre aspetti prettamente economici, perché i costi dell’approvvigionamento prima, e dello smaltimento poi, non aiutano i bilanci delle imprese e delle famiglie. Fortunatamente, sul tema dello spreco si sta generando una sensibilità comune che investe i singoli quanto l’opinione pubblica e il mondo imprenditoriale. Anche i governi dei Paesi industrializzati hanno avviato un dibattito che, in diversi casi, ha portato all’introduzione di norme tese a limitare il fenomeno. Il succitato rapporto CREA sottolinea che gli Italiani, seppur poco attenti a non sprecare, hanno però una considerazione fortemente negativa dell’atto di buttare cibo nella spazzatura, tanto più che sono consapevoli dei risvolti in termini ambientali, sebbene ciò che li condiziona siano sempre “le tasche”. In Italia, da oltre due anni, vige la Legge 166/2016 che si pone l’obiettivo ambizioso di contribuire ad attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione dei consumatori, soprattutto di quelli più giovani, e non solo in riferimento ai prodotti alimentari. Il tam-tam attorno a questo tema, una nuova coscienza collettiva, esigenze di risparmio vero e proprio, stanno dando i loro risultati: fioccano le app, le reti e i sistemi di privati e imprese perché il cibo in eccesso non finisca in discarica. Sono molte le forme di collaborazione — complice la tecnologia moderna — che permettono di trasformare lo spreco alimentare in valore condiviso. Facendo così un’ottima azione per sé stessi e

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per gli altri. Uno dei progetti che merita menzione è quello di Last Minute Market, nato 20 anni fa come espressione dell’Università di Bologna e poi trasformatosi in impresa sociale. Questo ente, grazie ad una ragguardevole rete che raggruppa 350 punti vendita e oltre 400 soggetti del terzo settore, è in grado di recuperare annualmente 55.000 pasti cotti, prodotti alimentari per un valore di 5,5 milioni di euro e farmaci per un milione. C’è una app, che prende il nome di Too Good To Go, attiva in ambito europeo, che, contando ben otto milioni di utenti, permette alle imprese di proporre a costi modesti l’invenduto che sarebbe davvero un peccato buttare. Vi aderiscono nomi importanti della GDO, oltre che ristoranti, bar, laboratori artigianali. Ma gli esempi sono ormai tantissimi e coprono territori sempre più ampi. Gli accorgimenti raccomandati dalle istituzioni, che sempre più spesso conducono campagne di sensibilizzazione in merito, possono sembrare banali, ma evidentemente non lo sono: • dare priorità, nel consumo, agli alimenti con una data di scadenza ravvicinata; • sistemare il cibo nel giusto ripiano del frigorifero, in modo che la corretta temperatura conservi al meglio il prodotto; • fare una puntuale lista della spe-

Per “doggy bag” si intende l’apposita vaschetta in cellulosa, sacchetto o borsina che contiene gli avanzi del cibo, messo a disposizione dai ristoranti per i clienti. Una prassi che ha conquistato anche l’Europa; ad esempio in Francia, nel 2016, è diventato d’obbligo, per i ristoratori con più di 180 coperti al giorno, mettere a disposizione dei clienti la doggy bag. A Berlino esistono, in due quartieri, frigoriferi pubblici dove lasciare gli avanzi per chi ne ha bisogno e in Spagna sono sorte iniziative per sensibilizzare i cittadini a richiedere le doggy bag (photo © ANP). sa, prima di andare al supermercato, e osservarla religiosamente; • imparare l’arte della cucina degli avanzi, per poterli recuperare, e non servire a tavola porzioni smisurate. Infine: la doggy bag, quel sacchetto che si porta via dal ristorante con gli avanzi, che tanto imbarazzo genera, dovrebbe invece diventare la

regola, quando non si è consumato gran parte del cibo richiesto, vino compreso. È un segnale importante: rende onore a chi lo ha prodotto e a chi lo ha cucinato. Sottolinea la sacralità del lavoro che ne sta alla base, santifica la terra che lo ha concepito ed è un gesto importante di rispetto verso chi non ne ha. Guido Guidi

SEDE CENTRALE Via Milano, 162 M 16126 Genova Tel. +39 010 8599200 Fax +39 010 8599299 Web: www.verrini.com E-mail: verrini@verrini.com


CONSUMI

Dieci cose che forse non sapevate sulla vostra conserva ittica preferita

Tonno in scatola, passe-partout per l’estate Estate, è il momento dei piatti freddi, come quelli a base di tonno in scatola. Chi non ne ha in dispensa almeno una scatola? In Italia è la conserva ittica preferita, presente nel 94% delle case e portata in tavola ogni settimana da quasi 1 Italiano su 2. Il tonno piace soprattutto perché è un alimento pratico, versatile, gustoso ed economico (fonte: Ricerca Doxa/ ANCIT – Associazione Nazionale Conservieri Ittici). E i suoi effetti salutari sono molti. 10 cose da sapere Quella del tonno in scatola è una passione che raggiunge il suo apice di gradimento durante il periodo estivo, anche perché gli Italiani associano a questo alimento immagini e sensazioni piacevoli come le vacanze, il mare, la spiaggia, le gite fuori porta e i pranzi all’aperto. Ecco i consigli per portarlo in cucina, realizzati da ANCIT con l’aiuto del PROF. PIETRO MIGLIACCIO, nutrizionista e presidente emerito della S.I.S.A.-Società Italiana Scienze dell’Alimentazione. 1. Non serve cuocere il tonno in scatola Che sia al naturale o sottolio, il tonno in scatola è già stato sottoposto alla cottura mediante uno specifico processo termico di sterilizzazione che avviene durante il confezionamento. Pertanto, va utilizzato a temperatura ambiente, nei panini da mettere nello zaino, come ingrediente di insalate o preparazioni fredde. E nei piatti caldi, come nelle spaghettate last minute delle serate estive, andrebbe aggiunto solo all’ultimo momento e fuori dal fuoco.

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2. Va conservato lontano da fonti dirette di luce e calore Il tonno in scatola va conservato in dispensa perché, grazie all’utilizzo di due ingredienti come sale e olio o acqua (per il tonno al naturale) e al processo termico di sterilizzazione, non è necessario nessun tipo di agente conservante e garantisce comunque una lunga shelf-life. Ma si consiglia di tenere le confezioni al riparo da fonti dirette di luce del sole e di calore. E vale anche al parco, al mare o all’aperto: meglio poi aprire la scatoletta all’ultimo momento prima di mangiare il tonno.

3. Una volta aperto va consumato in pochi giorni Il tonno in scatola è un prodotto salutare e totalmente naturale. Una volta aperto il prodotto, se non consumato interamente, va conservato in frigorifero ad una temperatura compresa tra +0° e +4° e consumato nell’arco di pochi giorni per evitare che deperisca presto. Inoltre, si consiglia di coprirlo con dell’olio d’oliva per mantenere un livello igienico adeguato ed evitare che il prodotto si secchi, generando una proliferazione microbica.

Il tonno in scatola è un alimento “internazionale”, privo cioè di limiti o interdizioni religiose e culturali.

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4. La quantità ideale per un pasto estivo è di 50 grammi È un valido compagno per ogni alimento a base di carboidrati e, in questo senso, la pasta con il tonno rappresenta l’abbinamento perfetto: un connubio sano e nutriente di carboidrati e proteine. Ma anche un piatto composto da tonno, fagioli, pomodori e cipolle è un’ottima alternativa grazie al mix tra proteine animali e vegetali. La quantità ideale per un pasto è attorno ai 50 grammi, che equivale al peso sgocciolato di una scatoletta piccola. 5. L’olio che contiene può essere usato come condimento Per il tonno in scatola sottolio viene utilizzato olio d’oliva. Pertanto, può essere utilizzato come condimento per dare sapore alle preparazioni, o direttamente nel piatto in caso di insalata o ricette fredde. Secondo una ricerca Doxa/ANCIT, il 34% degli Italiani riutilizza l’olio d’oliva per ridurre gli sprechi. 6. La scatoletta va riciclata Il tonno in scatola presenta ottime prerogative di sostenibilità. Gli involucri cartonati sono totalmente riciclabili così come la scatoletta di banda stagnata, che si può riciclare all’infinito senza perdere le proprie qualità, comportando enormi risparmi: produrre alluminio con materiale riciclato riduce del 95% il consumo di energia rispetto all’utilizzo della materia prima grezza. 7. È adatto a tutta la famiglia Il tonno in scatola costituisce un’opzione importante in un regime dietetico ispirato alla dieta mediterranea. È costituito principalmente da proteine nobili, di alto valore biologico e con un tenore abbastanza importante intorno ai 22-25 grammi ogni 100 di prodotto. Il suo potere calorico non è altissimo, circa 100 Kcal per una confezione di tonno al naturale e circa 190 per il tonno sottolio. Di grassi il tonno ne contiene veramente

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pochi e quelli che ha sono buoni. Inoltre, è un’ottima fonte di sali minerali. 8. È un salvapasto anche in situazioni “estreme” È perfetto per tante occasioni di consumo anche “fuori casa”, ed interpreta tutti i valori della contemporaneità: praticità, salubrità e leggerezza, convenienza e anti-spreco, gusto e versatilità. Ed è un problem solver perché risolve il pasto in contesti diversi, nelle cene last minute ma anche in situazioni estreme (montagna, campeggio, barca a vela). Ed è un alimento buono e salutare. 9. Non ha limiti culturali o di religione Ogni forma di religione possiede una propria identità, un proprio patrimonio culturale regolato da tutta una serie di usi, costumi e consuetudini che si riflette nella sfera gastronomica, propria di ogni tradizione. Il tonno in scatola è un alimento internazionale, privo di limiti religiosi e culturali. Questo vuol dire che è consumato anche nella cucina musulmana (Halal), ebraica (Kosher) e parte di quella induista (Sikh). 10. Amico della linea Riscuote sempre più successo anche tra gli sportivi, entrando di diritto nella top 5 degli alimenti irrinunciabili. I motivi? L’elevato contenuto di proteine nobili — ben 25 g ogni 100 g di prodotto — che contribuiscono a migliorare il tono e l’efficienza delle masse muscolari. Inoltre, le proteine sono fondamentali per la sintesi di ormoni e neurotrasmettitori, indispensabili per il lavoro muscolare. Infine, rispetto ad altri alimenti proteici, il tonno in scatola è tra i più ricchi di lisina, un amminoacido che favorisce la sintesi proteica e ha un ruolo importante nella produzione di carnitina, quindi di energia durante l’attività sportiva. (Fonte: ANCIT-Associazione Nazionale Conservieri Ittici)


SPECIE ITTICHE

Schede di specie ittiche da pesca nazionale Composizione e valore nutrizionale delle più importanti specie ittiche (pesci, molluschi e crostacei) da attività di pesca nazionale a cura di Elena Orban e Gabriella Di Lena, Teresina Nevigato, Maurizio Masci, Irene Casini, Roberto Caproni

Boga (Boops boops)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza pesce analizzato: Parte del pesce analizzata:

demersale e semipelagico; vive in ogni tipo di fondale (sabbioso, fangoso, roccioso) 35 cm pesca in Tirreno e Adriatico filetti interamente omogeneizzati

Tabella 1 – Biometrie pesci analizzati Min

Max

Peso (g)

27,00

62,00

Lunghezza (cm)

15,00

19,00

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di boga di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

4,07

Max

61,50

70,41

84 / 344

115 / 484

94 / 403

Umidità

77,96

2,15

74,76

80,00

Proteine

19,36

1,16

17,98

20,86

1,80

1,00

0,80

3,62

160,83

32,24

125,00

187,50

1,49

0,13

1,33

1,66

Sale (Nax2,5) mg Ceneri

13 / 65

Min

kcal / kJ

Lipidi totali

74

65,45

Dev.std

IL PESCE, 4/19


Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di boga di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

56,88

8,37

44,45

69,36

Squalene

0,57

0,10

0,43

0,73

α-tocoferolo (vit. E)

0,62

0,18

0,42

0,95

δ-tocoferolo

0,07

0,03

0,04

0,11

Colesterolo

Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in boga di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

Acidi grassi saturi

0,52

0,42

0,25

1,32

Acidi grassi monoinsaturi

0,32

0,33

0,07

0,96

Acidi grassi polinsaturi

0,47

0,18

0,29

0,80

Acidi grassi Omega-3

0,39

0,14

0,26

0,64

Acidi grassi Omega-6

0,08

0,05

0,03

0,10

EPA

0,09

0,06

0,02

0,20

DHA

0,25

0,07

0,15

0,33

EPA+DHA

0,34

0,11

0,24

0,53

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in boga di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min

Max

Cu (μg)

20,00

27,00

Fe (mg)

0,40

1,20

Se (μg)

26,00

28,00

Zn (mg)

0,44

0,60

Na (mg)

68,00

75,00

K (mg)

348,00

400,00

Stagione riproduttiva e pesca La boga si riproduce in primavera-estate e viene catturata principalmente con reti a strascico e volanti, ma anche con reti da posta. Valore nutrizionale La boga appartiene alla famiglia degli Sparidi ed è considerata una cattura accessoria della pesca commerciale di scarso valore economico. Nonostante il modesto valore commerciale, le quantità sbarcate in Italia sono importanti, intorno a qualche migliaio di tonnellate annue. Contrariamente al loro scarso apprezzamento, le carni di boga sono di buona qualità in termini di contenuto in nutrienti, in particolare buon contenuto in proteine, basso tenore in grassi e colesterolo ed elevata proporzione di acidi grassi Omega-3. Questi elementi positivi dal punto di vista nutrizionale rendono questa specie sottoutilizzata paragonabile a molte specie di pesce considerate di maggior pregio. Note La boga ha carni discrete, ma poco apprezzate; il loro gusto dipende fortemente dal tipo di alimentazione. Una volta acquistata, va subito eviscerata in quanto l’intestino può andare in putrefazione conferendole un cattivo odore.

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Orata (Sparus aurata)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza pesce analizzato: Parte del pesce analizzata:

bentopelagico; l’orata, specie eurialina, riesce a vivere in acque con un ampio range di salinità (marine, lagune e stagni costieri) 70 cm pesca in Tirreno, Adriatico, lagune e laghi costieri filetti interamente omogeneizzati

Tabella 1 – Biometrie pesci analizzati Peso (g) Lunghezza (cm)

Min

Max

200,00

670,00

22,00

34,00

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di orata di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

65,55

Dev.std 5,08

Max

56,26

66,18

94 / 389

210 / 877

kcal / kJ

136 / 570

Umidità

72,47

3,38

66,51

76,50

Proteine

20,45

0,73

19,24

21,40

6,09

4,13

1,66

14,55

130,11

37,42

90,00

193,00

1,32

0,18

1,20

1,50

Lipidi totali Sale (Nax2,5) mg Ceneri

36 / 151

Min

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di orata di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

64,67

10,66

47,00

81,96

Squalene

0,78

0,32

0,35

1,47

α-tocoferolo (vit. E)

0,89

0,50

0,43

1,50

11,93

1,91

10,40

15,60

Colesterolo

All-trans retinolo (μg)

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IL PESCE, 4/19


Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in orata di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

Acidi grassi saturi

1,96

1,43

0,45

4,58

Acidi grassi monoinsaturi

2,17

1,67

0,32

5,49

Acidi grassi polinsaturi

0,98

0,55

0,44

2,07

Acidi grassi Omega-3

0,68

0,37

0,22

1,37

Acidi grassi Omega-6

0,30

0,19

0,08

0,71

EPA

0,24

0,16

0,05

0,56

DHA

0,24

0,10

0,08

0,41

EPA+DHA

0,48

0,25

0,14

0,92

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in orata di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min

Max

Cu (μg)

20,00

50,00

Fe (mg)

0,28

0,70

Se (μg)

20,00

77,00

Zn (mg)

0,44

2,30

Na (mg)

36,00

77,00

K (mg)

382,00

450,00

Stagione riproduttiva, pesca e allevamento La riproduzione dell’orata avviene tra ottobre e dicembre.Viene pescata con reti da posta, a strascico e nelle lagune mediante lavorieri. L’orata è una delle principali specie ittiche allevate. Attualmente l’acquacoltura italiana produce 9.500 tonnellate di orate da impianti a terra, a mare, da valli e lagune. Valore nutrizionale L’orata è una specie di primario interesse sui nostri mercati ove compare regolarmente grazie allo sviluppo degli allevamenti in vasca a terra o in gabbia in mare. Le sue carni, molto delicate e pregiatissime, ne fanno uno dei pesci più apprezzati dal punto di vista gastronomico. Viene commercializzata fresca, congelata, surgelata, sia intera che in filetti (anche in monoporzione, cotta al vapore come semiconserva), oppure affumicata. Le orate selvatiche in commercio provengono da ambienti lagunari (Orbetello, Lesina, valli venete, ecc…) o dal mare. L’orata ha un valore nutrizionale elevato, ha un contenuto proteico equiparabile a quello degli animali terrestri, ma un contenuto in grassi variabile, poco elevato (1,2-2,8 g in 100 g di parte edibile), soprattutto nelle femmine, pescate in mare nel periodo riproduttivo (novembre-dicembre). Nelle orate di provenienza lagunare il tenore lipidico è quasi sempre più elevato (4-14 g in 100 g), di conseguenza variano parallelamente il contenuto in colesterolo, le vitamine A ed E e gli Omega-3. Basso il contenuto in sodio, buono il tenore in potassio e selenio. L’orata da acquacoltura, come emerge dai nostri studi, può avere un profilo in acidi grassi un po’ differente rispetto a quella selvatica perché influenzato dalla composizione dei mangimi. Non è significativa invece, nella maggior parte dei casi, la differenza nel contenuto in grassi totali, soprattutto nel prodotto proveniente da lagune. Note Le orate, presenti tutto l’anno sui mercati, provengono prevalentemente da acquacoltura. Negli anni c’è stata una grande evoluzione delle tecnologie di allevamento. Nella maggior parte dei casi i pesci sono ingrassati in gabbie galleggianti in mare affinché i pesci abbiano condizioni ambientali simili a quelle dei selvatici. Negli impianti di acquacoltura l’intera filiera produttiva viene controllata, a partire dalla qualità dell’acqua e dei mangimi, fino alla salute del pesce. Questa specie è ermafrodita proterandrica (da giovani sono maschi di 20-30 cm, poi verso i 2-3 anni di età diventano femmine di 33-40 cm).

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Mormora (Lithognathus mormyrus)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza pesce analizzato: Parte del pesce analizzata:

demersale; abita fondali sabbiosi e può migrare in stagni e lagune salmastri 55 cm pesca in Tirreno e Adriatico filetti interamente omogeneizzati

Tabella 1 – Biometrie pesci analizzati Peso (g) Lunghezza (cm)

Min

Max

120,00

285,00

20,00

26,30

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di mormora di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

61,55

Dev.std 1,80

Max

60,30

63,60

86 / 358

115 / 483

kcal / kJ

103 / 431

Umidità

75,71

2,03

74,41

78,05

Proteine

19,70

0,71

19,16

20,50

2,68

1,66

0,90

4,20

150,25

46,95

100,00

213,00

1,42

0,01

1,41

1,44

Lipidi totali Sale (Nax2,5) mg Ceneri

15 / 65

Min

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di mormora di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

57,91

1,64

56,10

59,30

Squalene

0,63

0,22

0,38

0,78

α-tocoferolo (vit. E)

0,80

0,37

0,36

1,03

δ-tocoferolo

0,06

0,03

0,03

0,07

Colesterolo

78

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Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in mormora di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

Acidi grassi saturi

0,85

0,54

0,27

1,34

Acidi grassi monoinsaturi

0,75

0,58

0,12

1,27

Acidi grassi polinsaturi

0,67

0,31

0,35

0,97

Acidi grassi Omega-3

0,53

0,31

0,20

0,82

Acidi grassi Omega-6

0,08

0,04

0,04

0,12

EPA

0,16

0,11

0,05

0,27

DHA

0,28

0,12

0,14

0,37

EPA+DHA

0,44

0,23

0,19

0,64

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in mormora di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min

Max

Cu (μg)

22,00

40,00

Fe (mg)

0,32

2,29

Se (μg)

26,00

28,00

Zn (mg)

0,56

2,16

Na (mg)

40,00

85,00

K (mg)

400,00

450,00

Stagione riproduttiva e pesca La riproduzione della mormora avviene tra giugno e luglio; la pesca viene effettuata con reti a strascico, a volante, da posta. Valore nutrizionale La mormora, come l’orata, appartiene alla famiglia degli Sparidi; è facilmente riconoscibile per la colorazione argentea con il dorso segnato da strisce verticali bruno-grigiastre; coda e pinne hanno una tonalità tendente al giallo. La mormora ha carni gustose ma un po’ spinose, caratterizzate da un contenuto in grassi e colesterolo poco elevato, con variazioni di minore entità rispetto all’orata. Elevato è invece il contenuto in proteine, buono è l’apporto medio in Omega-3, di poco differente da quello dell’orata. Buono è anche l’apporto in elementi minerali. La composizione nutrizionale rende questo pesce adatto ad essere consumato anche nei regimi ipocalorici, con il suo gusto saporito e la consistenza morbida. Note È un pesce ermafrodita proterandrico, come l’orata (nasce prevalentemente maschio, per poi subire l’inversione sessuale e divenire quindi femmina di 33-40 cm verso i 2-3 anni di età). La mormora è un pesce grufolatore, ossia si nutre rovistando nei fondali, per cui la sua qualità dipende, oltre che dalla natura dei fondali, anche dalla loro qualità ambientale.

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Pagello fragolino (Pagellus erythrinus)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza pesce analizzato: Parte del pesce analizzata:

bentopelagico; predilige fondali sabbiosi, rocciosi fino a 200 m di profondità 60 cm pesca in Tirreno e Adriatico filetti interamente omogeneizzati

Tabella 1 – Biometrie pesci analizzati Min

Max

Peso (g)

70,00

520,00

Lunghezza (cm)

18,00

32,00

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di pagello fragolino di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

59,53

Dev.std 1,80

Max

58,10

61,87

102 / 426

131 / 547

kcal / kJ

111 / 466

Umidità

75,44

1,58

73,08

76,43

Proteine

20,33

0,45

20,00

20,97

3,27

1,36

2,03

5,19

139,38

42,74

100,00

195,00

1,40

0,09

1,33

1,53

Lipidi totali Sale (Nax2,5) mg Ceneri

13 / 55

Min

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di pagello fragolino di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

68,94

14,83

52,80

83,00

Squalene

0,38

0,03

0,34

0,41

α-tocoferolo (vit. E)

0,99

0,35

0,51

1,35

δ-tocoferolo

0,05

0,02

0,02

0,07

Colesterolo

80

IL PESCE, 4/19


Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in pagello fragolino di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

Acidi grassi saturi

1,08

0,70

0,51

2,08

Acidi grassi monoinsaturi

0,88

0,51

0,44

1,58

Acidi grassi polinsaturi

0,62

0,18

0,40

0,77

Acidi grassi Omega-3

0,47

0,15

0,28

0,59

Acidi grassi Omega-6

0,13

0,03

0,09

0,16

EPA

0,14

0,07

0,08

0,23

DHA

0,24

0,09

0,13

0,36

EPA+DHA

0,38

0,13

0,21

0,50

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in pagello fragolino di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min

Max

Cu (μg)

28,00

30,00

Fe (mg)

0,25

0,34

Se (μg)

26,10

29,00

Zn (mg)

0,36

0,73

Na (mg)

45,00

78,00

K (mg)

388,00

460,00

Stagione riproduttiva e pesca La riproduzione del pagello avviene in primavera-inizio estate. La pesca viene effettuata principalmente con reti a strascico, da traino pelagico (volanti), da circuizione e da posta. Valore nutrizionale I pagelli sono pesci appartenenti alla famiglia degli Sparidi. Le specie riconosciute stanziali nelle acque italiane sono tre: il pagello fragolino, l’occhione (conosciuto anche come pezzogna) e il pagello bastardo. Il pagello fragolino è l’unico ad essere colorato interamente di rosa con puntini azzurri lungo il corpo. Rientra tra le specie non grasse e ad alta digeribilità. Ha carne pregiata dal sapore delicato, ricca in proteine di elevato valore biologico, con discreto apporto di acidi grassi polinsaturi, in particolare Omega-3. Come per gli altri Sparidi, ha un basso contenuto in sodio, ma buon tenore in rame e selenio. Note Anche il fragolino, come molti altri Sparidi, presenta un ermafroditismo di tipo proterogino; cioè la maggior parte degli esemplari nasce femmina e diventa maschio durante la crescita.

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Sarago maggiore (Diplodus sargus)

Habitat: Lunghezza massima: Provenienza pesce analizzato: Parte del pesce analizzata:

bentopelagico; vive su fondi rocciosi o sabbiosi 45 cm pesca in Tirreno e Adriatico filetti interamente omogeneizzati

Tabella 1 – Biometrie pesci analizzati Peso (g) Lunghezza (cm)

Min

Max

215,00

360,00

21,75

25,87

Tabella 2 – Composizione nutrizionale di sarago maggiore di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media Parte edibile (% peso)

64,48

Dev.std 4,68

Max

59,23

68,22

92 / 385

106 / 443

kcal / kJ

98 / 412

Umidità

76,60

1,38

75,12

77,86

Proteine

20,41

0,37

20,04

20,77

1,86

0,61

1,31

2,52

143,33

37,94

102,50

177,50

1,36

0,09

1,26

1,43

Lipidi totali Sale (Nax2,5) mg Ceneri

7 / 29

Min

Tabella 3 – Composizione della frazione lipidica insaponificabile di sarago maggiore di differenti taglie (mg/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

62,36

1,79

60,35

63,78

Squalene

0,28

0,08

0,22

0,37

α-tocoferolo (vit. E)

0,53

0,31

0,26

0,87

δ-tocoferolo

0,03

0,01

0,03

0,04

Colesterolo

82

IL PESCE, 4/19


Tabella 4 – Contenuto di acidi grassi in sarago maggiore di differenti taglie (g/100 g parte edibile) Media

ds

Min

Max

Acidi grassi saturi

0,48

0,16

0,35

0,66

Acidi grassi monoinsaturi

0,34

0,14

0,25

0,50

Acidi grassi polinsaturi

0,42

0,13

0,27

0,51

Acidi grassi Omega-3

0,32

0,09

0,22

0,38

Acidi grassi Omega-6

0,10

0,06

0,05

0,16

EPA

0,08

0,03

0,05

0,10

DHA

0,16

0,10

0,07

0,26

EPA+DHA

0,23

0,09

0,17

0,34

Tabella 5 – Concentrazione di microelementi in sarago maggiore di differenti taglie (in 100 g di parte edibile) Min

Max

Cu (μg)

21,00

35,00

Fe (mg)

0,24

0,38

Se (μg)

33,00

35,00

Zn (mg)

0,48

1,60

Na (mg)

41,00

71,00

K (mg)

283,00

390,00

Stagione riproduttiva e pesca Il periodo riproduttivo per il sarago, in Mediterraneo, è primavera-inizio estate (marzo-giugno). La pesca viene effettuata con reti a strascico, a circuizione e da posta. Valore nutrizionale Nelle acque italiane esistono almeno cinque specie appartenenti al genere Diplodus individuate genericamente come “saraghi”. Il sarago maggiore è considerato il più pregiato dal punto di vista commerciale per la qualità delle sue carni, bianche, compatte e molto delicate. Anche il sarago appartiene alla famiglia degli Sparidi. Dal punto di vista nutrizionale, a differenza dell’orata, le carni di sarago presentano un contenuto in grassi meno elevato e con minore variabilità; di conseguenza, anche il contenuto in polinsaturi ed Omega-3 è inferiore rispetto all’orata. Il tenore in proteine è di eguale entità. Poco elevato il sodio. Note Il sarago maggiore ha sessi separati ed è ermafrodita proterandrico, cioè i giovani sono generalmente maschi e gli individui maturi femmine, ma spesso si trovano maschi che non cambiano sesso per tutta la vita e femmine che sono già tali dalla nascita. * Questa e le schede prima riportate fanno parte di una serie di 56 schede che mostrano i risultati di un progetto di ricerca, svolto con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Al progetto hanno collaborato le Cooperative: Mare di Cattolica e AGEI (Agricoltura-Gestione Ittica) di Roma.

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IL PESCE IN TAVOLA

Scegliere gli scampi irlandesi significa consumare un prodotto che rispetta l’ambiente e che tutela il benessere e la salute dei consumatori

Alla scoperta degli scampi irlandesi

Lo scorso anno è stata rilevata una forte crescita in termini di esportazioni per tutti i prodotti ittici irlandesi sui principali mercati mondiali, ma l’estate è senza dubbio la stagione di riferimento per gli scampi. Gli scampi sono infatti tra i prodotti maggiormente consumati durante i mesi più caldi: sono leggeri, gustosi, ricchi di vitamine e molto versatili in cucina. Gli Italiani amano in modo particolare questo prodotto e lo scorso anno nel nostro Paese le importazioni di scampi irlandesi sono aumentate del 46%1. Gli scampi, e i crostacei più in generale, hanno ottime proprietà nutrizionali: sono fonte di proteine con una quantità di grassi molto bassa,

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presentano acidi grassi essenziali che aiutano a salvaguardare il sistema cardiovascolare. Nei crostacei sono poi presenti vitamine del gruppo B, minerali come selenio, iodio, zinco, fosforo e magnesio. Dato il loro contenuto di sodio, durante la cottura non è necessario aggiungere il sale. Gli scampi irlandesi sono particolarmente apprezzati anche dai consumatori più esigenti per diverse ragioni: grazie alla gestione responsabile delle risorse marine e la tutela dell’ambiente, questi crostacei sono caratterizzati da un’ottima consistenza e freschezza, che viene mantenuta grazie ai processi di lavorazione e il surgelamento immediato. Principi che sono in linea con le

tendenze dei consumatori europei, che sono sempre più orientati verso prodotti ecosostenibili, che tutelino la biodiversità e che rispettino i più elevati standard di qualità e di sicurezza alimentare. Sotto questo aspetto, l’Irlanda è uno dei paesi leader al mondo, in quanto il suo approccio alla produzione sostenibile dell’acquacoltura prevede il soddisfacimento di diversi principi, quali: • salute e sostenibilità degli ecosistemi acquatici; • salute e selezione naturale degli stock ittici; • densità degli stock ittici controllate; • regolamentazioni rigorose sull’impiego di mangimi;

IL PESCE, 4/19


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Grazie alla gestione responsabile delle risorse marine e alla tutela ambientale, gli scampi irlandesi sono caratterizzati da ottima consistenza e freschezza, mantenuta da immediato surgelamento. Principi in linea con i trend dei consumatori UE sempre più orientati verso prodotti ecosostenibili, sicuri e che tutelino la biodiversità

• utilizzo di prodotti e processi naturali; • impegno nell’utilizzo di energie rinnovabili; • attenzione verso le pratiche di riciclo, riutilizzo e recupero. I consigli della chef Sara Conforti Per conoscere meglio le proprietà, le caratteristiche e il modo giusto di cucinare questo alimento, abbiamo intervistato SARA CONFORTI, consulting chef che, dal 2007, è entrata a far parte dello Chefs’ Irish Beef Club (CIBC): iniziativa gestita da BORD BIA, l’ente governativo che promuove l’industria del food & beverage irlandese, di cui fanno parte altri prestigiosi chef riconosciuti a livello internazionale. Sara è una chef toscana che è stata per oltre vent’anni chef patron dell’Osteria del Vicario a Certaldo (FI); un locale che, grazie alla sua guida, ha ottenuto nel 2003

la stella Michelin, riconoscimento che ha mantenuto per otto anni. Il suo percorso professionale vanta molteplici collaborazioni, italiane e internazionali: da ambasciatrice della cucina toscana nel mondo, alle collaborazioni con rinomati ristoranti, fino alle apparizioni televisive. Dopo 22 anni di attività, nel 2017 ha ceduto il ristorante per dedicarsi a consulenze e prestazioni private da chef. Grazie alla sua familiarità e passione per i prodotti irlandesi, Sara ci ha dato alcuni suggerimenti per l’acquisto e il consumo degli scampi. Primo fra tutti che questi crostacei, per essere qualitativamente alti, non devono avere la testa nera, una volta sgusciati la polpa deve essere compatta e non deve avere un odore di ammoniaca, purtroppo sempre più utilizzata per farli sembrare freschi. Di seguito alcuni ulteriori consigli.

Sono protagonisti di piatti estivi leggeri e salutari che mettono d’accordo gusto e rispetto per l’ambiente. Sono gli scampi irlandesi, gettonatissimi sulle tavole italiane, tanto che lo scorso anno hanno registrato importazioni in aumento del 46% (photo © Bord Bia).

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IL PESCE, 4/19


Per friggerli, meglio olio evo o di semi? «Olio evo sempre! L’olio di semi (meglio se di arachidi) lo utilizzo solo per fare la maionese». Per gustare al massimo il sapore degli scampi come conviene mangiarli? Crudi, al vapore o cotti? «Sicuramente mangiandoli crudi si sente di più il sapore ma, se non si ama il crudo, meglio al vapore magari conditi con un filo d’olio». Come si puliscono gli scampi? «Bisogna innanzitutto togliere il guscio e incidere il dorso per rimuovere l’intestino, mentre la testa e la coda si lasciano intatti. Per cucinarli alla griglia, invece, conviene aprirli a metà, compresa la testa». In quale caso comprare pesce congelato è meglio rispetto a quello fresco? E per mangiare a casa gli scampi crudi, quanto tempo devono rimanere in freezer per l’abbattimento? «I crostacei è sempre meglio comprarli congelati, mentre il pesce a lisca è meglio fresco. Per abbatterli e mangiarli crudi a casa, una volta comprati freschi, devono stare per almeno 48 ore nel freezer. Dopodiché per scongelarli basta metterli sotto l’acqua corrente fredda per evitare contaminazioni batteriche». Bisogna rompere le chele? «Non è necessario. Non è un astice quindi va bene lasciarle intere, a meno che non siano particolarmente grandi». La tua ricetta preferita per cucinare gli scampi? «La mia ricetta preferita sono gli Scampi alla carne: si crea una battuta al coltello di scampi, carne irlandese e frutta di stagione (in estate le fragole sono l’ideale). Un’altra idea potrebbero essere gli scampi appena scottati e saltati con lo scalogno, abbinati sempre a frutta di stagione (fragola o pesca). L’abbinamento del pesce con la frutta è perfetto». I must per un ottimo risotto con gli scampi?

IL PESCE, 4/19

Sara Conforti, Chefs’ Irish Beef Club, consulting chef. «La mia ricetta preferita è questa. Per il brodo: pulire gli scampi (togliendo teste e code), creare un battuto grossolano di sedano, carote e cipolle al quale poi aggiungere le teste (leggermente schiacciate) e sfumare con il brandy (per un sapore più dolce) o cognac (per un sapore più amaro). Una volta rosolati bene, aggiungere acqua e lasciar cuocere per 5 minuti. Per il risotto: tostare il riso in un sauté di scalogno e sfumarlo man mano col brodo agli scampi preparato in precedenza. Una volta terminata la cottura, aggiungere le code pulite. Cuocere per altri 3 minuti mantecando con una noce di burro e spegnere il fuoco. Prima di

servirlo, coprire la padella con un panno per un paio di minuti». Una ricetta estiva facile e leggera per un antipasto a base di scampi? «Le code di scampo aperte, pulite e cotte al vapore, sistemate su insalata di misticanza e accompagnate da una maionese aromatizzata all’arancia». Nota 1. Export Performance & Prospects 2018-2019, Irish Food, Drink & Horticulture made by Bord Bia. * A pagina 84, un tratto di costa irlandese (photo © Bord Bia).

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Contaminazioni ittiche in salumeria

Salumi di pesce, quando il salame lascia la cantina e se ne va al mare di Gaia Borghi

Pastrami di salmone, bresaola di spada, ‘nduja di tonno: leggendo qua e là sul web, pare che la Seacuterie sia stata una delle tendenze mangerecce — e più fotografate e postate sui social vista la brillantezza dei colori e l’originalità che la caratterizza — dell’estate 2018. Sono già alcuni anni però che questa nuova modalità di proporre l’ittico ha fatto breccia nella ristorazione, da quella

più alta dei locali stellati o dei grandi alberghi internazionali alle fasce più accessibili sul mercato, piccole gastronomie comprese. In lingua inglese il neologismo nasce dall’unione dei due termini Sea = mare (o Seafood = pesce, frutti di mare) e Charcuterie = salumeria e/o salumi e affettati in genere. La “salumeria ittica” comprende infatti prodotti stagionati, carpacci e insaccati rea-

lizzati non con le classiche carni di mammiferi terrestri (suini, bovini, ovicaprini, cacciagione…) ma con il pesce e altri abitanti del mare. Al PB Catch Seafood and Raw Bar di Palm Beach, Florida, ad esempio, lo chef AARON BLACK propone tra gli antipasti un ricco tagliere di salumi di mare accompagnati da salse e verdure tra i quali spicca una mortadella di capesante servita con capperi,

I “Salumi di mare” del canadese Buca Osteria & Bar (photo © Buca Yorkville, @bucayorkville).

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IL PESCE, 4/19


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cipolla rossa, pistacchi e mostarda di pesche (www.pbcatch.com). Alla Buca Osteria & Bar, Italian restaurant di Yorkville, Toronto (Canada, www.buca.ca), lo chef ROB GENTILE serve i suoi “Salumi di mare” (in italiano sul menu) insieme a gnocco fritto e conserve di stagione. Tra gli altri, uno storione- prosciutto cotto style, la soppressata di polipo e persino un Opah o pesce re stagionato con pepe nero!

La Seacuterie del PB Catch di Palm Beach, Florida: la proposta di degustazione comprende Cured White Tuna, Octopus Torchon e Salmon Pastrami, ovvero stagionato di tonno, soppressa di polpo e pastrami di salmone.

Originale ma non troppo Specie tropicali a parte, la salumeria a base di pesce non è poi così innovativa come si potrebbe pensare in un primo momento: è noto infatti che nella parte meridionale della Sardegna o nella Sicilia occidentale, zone tradizionalmente e

Salumi di lago e panini con affettati di mare Il mio primo incontro con la “salumeria ittica” risale al 2012 e il mare, quella volta, non c’entrava affatto. Complice la partecipazione al congresso milanese di alta cucina Identità Golose di uno “chef di lago” come LEANDRO LUPPI, proprietario del ristorante Vecchia Malcesine (www.vecchiamalcesine.com), una stella Michelin dal 2004. Grande conoscitore della materia prima del “suo” Garda, Luppi si presentò a Milano con una divertente “norcineria di lago”, che fino a qualche tempo fa si poteva ancora trovare — e quindi degustare — nel menu del suo locale di Malcesine. Sul tagliere lacustre erano presenti un assaggio di trottadella, ovvero mortadella di trota con pane e cipolla, il lardo di lago, preparazione a base di luccio servita nel classico abbinamento con la polenta, e un salame di gamberi piccante; il tutto, da accompagnare con un buon bicchiere di Bardolino, vino DOC della provincia di Verona. Restando in tema di cucina stellata, MORENO CEDRONI a Senigallia (AN) ha riaperto proprio la scorsa estate Anikò, definita nel sito dello chef come “la prima salumeria ittica del mondo” (www.morenocedroni.it/aniko/il-locale). Il delizioso chioschetto in legno e acciaio, che si affaccia dal 2003 sulla piazzetta Saffi al centro della cittadina marchigiana, è una “marittima pizzicheria” che offre, tra le altre cose, anche diversi affettati di mare con cui si farciscono toast, panini, focacce e stuzzichini vari per un aperitivo o una cena informale durante la settimana e, solo nel week-end, anche un pranzo all’aperto. Spostandoci di una quarantina di chilometri verso la provincia di Macerata, a Civitanova Marche, troviamo un’altra“salumeria ittica”. Si chiama Salumare (www.salumare.eu) e propone diversi affettati e carpacci di mare da poter degustare in loco, a pranzo o in orario aperitivo, insieme a salse e crostini (ma anche sulla pizza gourmet, in foto a lato, nei panini e nei sandwich), o da portare a casa: sul menu del locale, infatti, compaiono anche i prezzi da asporto all’etto, proprio come avviene in una classica salumeria. Il tagliere dei salumi di Salumare è davvero molto vario e comprende bresaola di tonno e speck e bresaola di pesce spada, stagionati oltre 5 mesi, prosciutto San Daniele di tonno, con una stagionatura di oltre 10 mesi, tonno in porchetta e una scenografica soppressata di seppia al nero.

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In alto: la gamma dei prodotti ittici Offishina. In basso: friselline con Pizzicata. storicamente vocate alla pesca e alla lavorazione del tonno, quest’ultimo sia considerato da sempre il “maiale” del mare, in quanto, esattamente come avviene per quello di terra, di lui “non si butta via niente”. E allora vai con il prosciutto di tonno (mosciame o tunnina o tarantello), specialità della gastronomia siciliana ma diffuso anche in Puglia, Liguria e Sardegna, il salame di tonno (ficazza), tipico del Trapanese e dell’isola di Favignana, e la salsiccia di tonno (budello). Preparati soprattutto in Sicilia e solo all’aperto a causa dell’odore molto forte, i budelli si lasciano in salamoia per 10-15 giorni poi si mettono ad asciugare per altri 10, quindi si arrostiscono

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e si consumano in insalata. Infine, la bottarga di tonno, uova salate ed essiccate, e il lattume, ovvero la sacca del liquido seminale del pesce, entrambi ottimi per condire un buon piatto di spaghetti. Offishina, l’insaccato salentino che non ti aspetti OFFICINA ITTICA-SALUMERIA ITTICA DI PUGLIA (www.offishina.it) è il nome di una giovane e brillante start-up di Matino, un piccolo paese in provincia di Lecce, specializzata nella produzione di insaccati di pesce che sul mercato si distinguono attraverso il brand Offishina, gioco di parole che nasce dall’unione della parola italiana “officina” e “fish”, pesce in

lingua inglese. Pizzicata, Pescatorini, Spadino, Thunnus sono i nomi dei prodotti a marchio Offishina: il primo è uno spalmabile a base di pesce stagionato arricchito con pomodoro secco e peperoncino piccante che ricorda nell’aspetto la ‘nduja calabrese; i Pescatorini sono piccoli e pratici salamini realizzati nelle due versioni dolce e piccante con le carni di tonno, pesce spada (gli “scarti” rimanenti dalla lavorazione del filetto) e pesce azzurro di piccola taglia dello Ionio, simili per forma, dimensioni e praticità ai classici cacciatorini italiani; infine, Spadino e Thunnus, filetti stagionati rispettivamente di pesce spada, dalla forma allungata tipo speck, e tonno. Quando è come è nato questo progetto lo chiediamo al suo fondatore, DANILO ROMANO, una lunga esperienza nel settore della ristorazione — che prosegue tuttora nel suo Danilo Osteria Creativa (daniloosteriacreativa.it), situato sempre a Matino —, e la voglia di creare qualcosa di nuovo a partire da uno degli ingredienti mediterranei per eccellenza, il pesce azzurro. «Ho iniziato la mia attività di ristoratore 17 anni fa, ma negli ultimi dieci ho dedicato buona parte del mio tempo alla creazione di questi particolari insaccati di pesce.

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La nascita dell’azienda, che gestisco insieme alla mia famiglia, e la registrazione del relativo bollo CE, risalgono infatti solo al 2015, ma il percorso per arrivare a questo traguardo è stato, per così dire, decisamente intenso, fatto di studio e ricerche continue, prove su prove, analisi, tra muffe, lieviti e fermentazioni, controllo delle temperature… Il tutto coadiuvato dal CNR dell’Università del Salento. Diciamo, insomma, che gli ho dedicato un bel pezzo della mia vita». I prodotti creati da Danilo per Offishina si differenziano da quelli che comunemente sul mercato sono proposti e commercializzati all’interno della cosiddetta “salumeria di pesce”: si tratta infatti di “prodotti fermentati della pesca ottenuti per mezzo dell’insacco”. «Volevo realizzare un prodotto completamente nuovo, contemporaneo, pronto all’uso, da affettare e mangiare così, senza aggiungere altro» specifica Danilo. «Il Salento ha un clima piuttosto ostile all’allevamento, escludendo quello di capre e pecore, il cui latte prezioso viene utilizzato per la produzione di ottimi formaggi. Ma di salumi nemmeno l’ombra… La mia idea, quindi, era quella di creare un insaccato tipico salentino usando quella incredibile materia prima che il nostro meraviglioso mare, conosciuto ovunque per la sua bellezza, ci offre». La tecnica di produzione si rifà alle preparazioni salumiere tradizionali carnee per cui il pesce viene insaccato e stagionato e le tempistiche di lavorazione sono molto lunghe. «Mi sono avvicinato alla conservazione del pesce con un nuovo stile che unisse tecniche antiche alla moderna

Danilo Romano e i suoi collaboratori all’interno del laboratorio a Matino (LE). tecnologia. Ho iniziato le mie prove usando sgombro, sugarelli, cefali…, pesce azzurro di piccola taglia che difficilmente trova mercato così com’è. Nelle operazioni di pulizia ho cercato di recuperare quanta più polpa possibile, cosa non semplice viste le dimensioni del pesce. Soprattutto per quanto riguarda i “salamini”, non usando alcun tipo di collante, è stato difficile trovare il modo di tenere insieme quelle che sono praticamente solo parti magre. A seguire sono iniziati i tentativi per arrivare ad un risultato che mi soddisfacesse al palato, a livello di gusto, sapidità, e che oggi come oggi mi rende molto orgoglioso». Dopo la pulizia manuale e la macinatura della carne del pesce crudo, la tecnica di trasformazione prosegue con la salagione/marinatura con sale di miniera extra puro e spezie naturali mediterranee, l’insacco in budello vegetale (una gelatina non

Offishina – Laboratorio ittico di Puglia nasce da un lungo e prezioso lavoro di ricerca e sperimentazione dello chef e ristoratore Danilo Romano, dalla sua creatività e dall’amore per la sua terra, il Salento. Dal freschissimo pesce locale nascono così insaccati ittici speciali, unici, ricchi di sapore e di vitamine, sali minerali, Ω-3 e Ω-6

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edibile), la maturazione in macchina e, infine, l’asciugatura. Al termine dell’affinamento i prodotti vengono venduti, sottovuoto, con scadenza in etichetta di un anno. «Eppure la shelf-life effettiva è di almeno due anni e anche oltre» prosegue Danilo. «I prodotti Offishina migliorano con la stagionatura! Il nostro metodo permette inoltre di conservare tutti i principi nutritivi del pesce grazie alle tecniche utilizzate, che nascono dall’antica arte della fermentazione, e ai conservanti naturali, sale e mosto cotto d’uva. Non usiamo l’affumicatura perché ucciderebbe i batteri probiotici naturalmente presenti negli insaccati Offishina: batteri che fanno bene a loro e a chi quegli insaccati li mangia. Non a caso vengono venduti anche in alcune farmacie della zona perché favoriscono il benessere della flora batterica». Se non siete nelle vicinanze di Lecce, i prodotto Offishina li potete acquistare sul sito shop.laterradipuglia.it o mandando un’e-mail in azienda (offishina@gmail.com). E per chi, in occasione di matrimoni, feste ed eventi di vario genere, volesse creare un corner di insaccati di pesce, Offishina offre il servizio di un fish butcher specializzato a guidare le degustazioni di questi salumi unici, gustosi e profumati di mare, come il Salento. Gaia Borghi

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Tra abissi e scogliere

La solitaria cernia, simbolo delle aree protette del nostro mare Maestosa, sfuggente e mimetica, si nasconde nelle profondità del Mediterraneo per la delizia degli appassionati subacquei e il terrore dei polpi, cui dà la caccia con ferocia e determinazione. Può raggiungere anche il metro di lunghezza e il quintale di peso e vivere più di 20 anni di Nunzia Manicardi

Ne esistono ben 12 sottospecie. La più diffusa in Italia è la cernia comune con manto grigio e maculato. Le altre possono avere il manto bruno, nero, rosso, dorato o bianco. Colori che, a seconda dell’habitat, le permettono di mimetizzarsi alla perfezione assumendo tonalità verdi se il fondale dove abita ha molte alghe, oppure quasi nero se frequenta grandi antri, o addirittura bianco se si trova sulla sabbia. La richiesta delle sue carni

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è tale che ultimamente si è iniziato ad allevarla. Anche perché stanarla non è facile, là in fondo dove vive tra almeno i 10 e gli oltre 400 metri di profondità, protetta non soltanto dall’ambiente ma anche da divieti di pesca sempre più numerosi per garantirne la sopravvivenza. La cernia viene pescata sia dalla barca con traina, soprattutto in Sicilia e in Calabria, che con tecniche di pesca subacquea e proprio per

le caratteristiche, di cui abbiamo appena parlato, è uno dei pesci più ambiti dagli sportivi. Di solito la pesca è in tana ed è molto difficile a causa delle grandi profondità da raggiungere per cercare gli esemplari più grandi. Come esche si usano seppie o calamari morti, tra i suoi cibi preferiti. Ma anche nelle aree protette gli appassionati subacquei si immergono ogni anno in grandissimo numero, soltanto

IL PESCE, 4/19


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Filetto di cernia. La cernia è un pesce molto pregiato, con carni compatte e ben digeribili, dal tenore lipidico moderato (photo © fusolino – stock.adobe.com). per ammirarle. Al riparo, o almeno così si spera, dai predatori umani, le cernie possono raggiungere perfino il quintale di peso per un metro di lunghezza e, a differenza del solito, lasciarsi avvistare anche in acque più superficiali. Nelle pescherie si trovano invece per lo più cernie di piccole-medie dimensioni (3-10 kg). È un pesce molto costoso perché è considerata, insieme con il tonno, una delle specie più pregiate del Mediterraneo. Al mercato del pesce un esemplare di 15 chili può valere circa 450 euro. Le sue carni sono molto magre, ideali nelle diete ipocaloriche e ipocolesterolemiche.

Siccome è piuttosto digeribile, può essere inserita anche nella nutrizione clinica. Fornisce un buon apporto di fosforo, iodio e calcio, di amminoacidi, di vitamine dei gruppi A, B e C e di acidi grassi Omega-3. Il miglior modo per gustarla è al forno, oppure in umido, o scottata in padella, o usata come condimento per la pasta. C’è chi la predilige cruda, ma in tal caso bisogna tagliarla piuttosto sottilmente perché le sue fibre sono molto compatte. Le sue lische sono indicate per fare un brodetto o un fumetto di pesce. Sarebbe meglio, prima di eliminare la testa, prelevare la carne delle guance

La cernia è definita la regina delle scogliere. Promontori, terrazze degradanti, isolette, frane sommerse… È là che ama infrattarsi e inabissarsi, alla ricerca di pace e silenzio. È considerata, insieme con il tonno, una delle specie più pregiate del Mediterraneo. Ha carni molto magre, ideali nelle diete ipocaloriche e ipocolesterolemiche

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perché è particolarmente pregiata essendo molto morbida. A conti fatti, però, una cernia vale molto di più da viva che da morta. È stato calcolato (fonte: www.wwf.it) che lo stesso animale in 20 anni, se lasciato in libertà, grazie alle attività di diving (immersione) può garantire un introito di almeno € 300.000. Applicato a tutte le aree del Mediterraneo dove la specie è protetta, questo modello di eco-business potrebbe generare da 14 milioni a oltre 25 milioni di euro all’anno, considerando le spese per viaggi, trasporti, imbarchi e pernottamenti dei turisti. La cernia è stata definita la regina delle scogliere. Promontori, terrazze degradanti, isolette, frane sommerse… È là soprattutto che ama infrattarsi e inabissarsi, alla ricerca di quella pace e di quel silenzio che altrove, oggi più che mai, è impossibile trovare. Ama la solitudine, vivere da sola in acque tranquille. Se la zona in cui abita è molto abbondante di cibo, potrà anche arrivare a condividerla con altri tre o quattro esemplari, e potrebbe anche condividere la tana. Ma all’interno starà sempre per

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conto proprio, senza socializzare in alcun modo con gli altri. Nel suo angolo, sempre quello. Fugge lontano dai rumori, dalle onde, dalla luce e cerca tane, tane dappertutto, dove vivere e dove nascondersi ancora meglio. Le cerca nel Mediterraneo, il suo regno incontrastato; raramente nell’Atlantico orientale e mai più a nord del golfo di Biscaglia. D’inverno non la si vede mai, e si suppone che possa scendere addirittura fino alle placche continentali. D’estate, nonostante tutta la sua ritrosia, sente anch’essa il richiamo di una vita più pulsante e così sale un po’ più verso l’alto, dove si riproduce, ma sempre mantenendosi a quote di notevole profondità che mediamente sono sui 40-50 metri. Per lei la tana è veramente una casa, sempre la stessa, di tutta una vita. Sta al centro della zona di caccia che si è scelta ed è lì che fa sempre ritorno, sia che si inabissi durante l’inverno, sia che si avvicini alla superficie. E se, malauguratamente per lei, viene catturata, ecco che subito dopo un

altro esemplare va ad occuparla. Una tana, quindi, non resta mai vuota, come ben sanno i pescatori più esperti. Le tane che la cernia utilizza sono in realtà due: la prima, quella in cui abita, è profonda e quasi sempre si dirama in diversi corridoi che sfociano di frequente in una sala comune; la seconda, quella di caccia, è una grotta di accesso abbastanza agevole con due o più aperture e si affaccia di solito su di una scogliera dove può aspettare il passaggio dei pesci di cui si nutre. Viene cacciata, come abbiamo visto, utilizzando certe astuzie, ma anche lei, a sua volta, è una cacciatrice astuta. Per procurarsi i molluschi, i crostacei e i pesci che costituiscono il suo nutrimento adotta una strategia davvero singolare: poiché la sua mole la ostacolerebbe nell’inseguire il fulmineo guizzare di pesci più piccoli e agili, si nasconde al buio dentro la sua tana di caccia d’elezione, oppure in un buco occasionale o in prossimità di rocce frastagliate, e attende il pas-

saggio della “minutaglia”. Quando il bocconcino di turno le è a tiro, aspira l’acqua a bocca spalancata inghiottendo il malcapitato in un sol boccone. Fa così anche il polpo, il suo cibo prediletto. La caccia stavolta è però più difficile e la cernia ci si dedica non più soltanto con astuzia, ma soprattutto con ferocia da autentico predatore. Insegue il polpo senza lasciargli tregua e lo morsica togliendogli i tentacoli uno ad uno. Una volta ridotto a un corpo senza più possibilità di aggrapparsi alle rocce, la cernia lo inghiotte in un sol boccone. Lei invece non corre rischi: grande e grossa com’è, e così abile ad occultarsi e inabissarsi, non teme nessun pesce, neanche lo squalo. L’unico animale che può farle del male è l’uomo. Nunzia Manicardi Nota A pagina 94, cernia del Mediterraneo (photo © marcodeepsub – stock. adobe.com).

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Elogio del mitico pesce stocco

Un pesce per l’estate di Maurizio Dell’Agnello

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Pietro Quercini fece naufragio sulle Lofoten nel 1431. Fu salvato dai vichinghi dell’isola di Røst, dai quali carpì la tecnica di seccare i merluzzi rendendoli duri come pezzi di legno, gli stockfish (stoccafissi).

Se mi trovassi in qualità di giudice a votare il piatto di pesce per l’estate, la mia scelta ricadrebbe senza dubbio sullo stoccafisso, con buona pace di pescatori ed allevatori italiani che pescano e producono un ottimo prodotto, talvolta di grande qualità, ma che difficilmente, a mio gusto, può competere con il mitico pesce stocco. Eppure di storie di pesca, di lavorazioni speciali, di uomini

che traggono dal mare quanto di meglio ci possa dare e riescono ad ottenere qualcosa di sopraffino, è piena la letteratura, la pubblicistica e l’aneddotica, ma mai si raggiunge quanto si è detto e fatto a proposito di questo pesce che viene dai lontani mari del nord e che ne costituisce la principale preziosa risorsa. L’origine oramai è nota anche ai più distratti: si tratta del merluzzo,

Le Lofoten sono un arcipelago di isole che si estende al di sopra del Circolo Polare Artico e si trova nel nord est della Norvegia, tra le contee di Nordland e Troms. Nelle sette isole principali vivono circa 24.000 persone e, grazie alla Corrente del Golfo, il clima è più mite di quanto si creda. Famose per essere uno dei luoghi più suggestivi al mondo in cui ammirare l’aurora boreale e il sole di mezzanotte. La pesca è stata ed è tuttora il motivo principale per cui la gente ha vissuto qui e la regione è conosciuta per i suoi numerosi piccoli villaggi. Nel villaggio di Å, il paese col nome più corto del mondo, capolinea della lunga E10, la strada che dalla Svezia attraversa gli arcipelaghi Vesterålen e Lofoten con ponti e tunnel fra un’isola e l’altra, c’è il museo del merluzzo, simbolo indiscusso della gastronomia e dell’economia locale. I merluzzi arrivano alle Lofoten migrando dal mare di Barents e diventano parte integrante del paesaggio quando durante il lungo inverno vengono appesi a essiccare all’aria aperta, disposti in coppie su alti tralicci di legno alle spalle delle rorbuer, le colorate casette di legno dei pescatori, oggi in buona parte ristrutturate e trasformate in moderni alloggi per i turisti.

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Stoccafissi nel museo del merluzzo nel villaggio norvegese di Å. un pesce generoso ed abbondante come la Tabaccaia di Fellini, fonte da sempre di cibo e lavoro per i popoli dell’emisfero settentrionale e non solo, pescato ma, soprattutto, lavorato con tecniche antiche che hanno saputo fare delle difficili condizioni atmosferiche di vento e freddo di quei luoghi, un proficuo ingrediente indispensabile alla produzione di questa specialità. Una lavorazione

Stoccafisso con pomodorini.

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scoperta per caso da PIETRO QUERINI nel 1400, grazie al suo naufragio su un’isola norvegese, e un alimento che, portato a Venezia, conquistò prima i veneti per diffondersi poi in tutta Europa, facendo conoscere un nuovo gusto e tutte le potenzialità di un prodotto che furono apprezzate a sfruttate nei secoli successivi, contribuendo perfino alle vaste conquiste dell’esercito napoleonico.

Ma lasciamo da parte i meandri della storia, perché ci porterebbe troppo lontano, e torniamo allo stoccafisso in quanto tale. Intanto, è inutile ricordare che la differenza con il “cugino” baccalà consiste solamente nella lavorazione: essiccazione per il primo e salagione, di portoghese ideazione, per il secondo. Sono due prodotti ottenuti dallo stesso pesce, il merluzzo, ma con un coinvolgimento sensoriale profondamente diverso. In effetti vista, tatto, olfatto e gusto per lo stoccafisso parlano da soli. Per l’udito, basta soffermarsi sul movimento mandibolare dei commensali o, per chi non ha limiti di fantasia, ascoltare il lento sibilo del vento delle Isole Lofoten che ha tanto merito nella produzione di questo particolare alimento. Cominciamo allora dalla vista per dire come la presentazione dello stoccafisso, pur nelle mille ricette, si presenti come qualcosa che unisce preziosi compagni di pentola e di piatto, a cominciare dalle patate, che generalmente lo accompagnano e con lui si mescolano, amalgamate mirabilmente dall’olio e dal latte nella variate vicentina. Poi ci sono

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le altre solanacee, come pomodori & co., che ci possono o non possono essere, ma che una volta aggiunte fanno certamente la loro buona figura e non solo. Un piatto che unisce ingredienti di origine forestiera mettendo insieme due emisferi e che trovano la loro splendida unione di gusti e profumi proprio nel nostro Mediterraneo ed in modo particolare in Italia, dove esistono numerose scuole legate allo stoccafisso, da quella campana a quella ligure, per passare dalla marchigiana, dalla veneta e dalla toscana, con tante altre regioni, ciascuna fortemente legata al suo stoccafisso, gelosa del metodo di preparazione e cottura. Fondamentali sono le operazioni di preparazione del pesce stocco che, disidratato, può dormire tranquillamente per 18 mesi ed oltre. Ma il suo risveglio deve essere speciale e, per farlo tornare in vita come si deve, si devono seguire particolari indicazioni, a meno che non ci si affidi a prodotti già rianimati che chiaramente si trovano sul mercato. Se si dispone di un prodotto tradizionale secco, si deve invece seguire particolari operazioni a partire dal togliere la vescica natatoria del pesce, il budello come qualcuno la chiama, per evitare che porti con se cattivi odori, e dalla battitura per sfibrarlo a dovere e favorire le fasi successiva di idratazione e cottura. L’idratazione è un’operazione semplice, ma lunga, non meno di tre giorni, cambiando l’acqua di ammollo ogni 6 ore ed utilizzando acqua fredda. Un’operazione che può essere comodamente condotta lasciando il pesce riposare in frigo per tutto il periodo. Una volta idratato, il pesce è pronto per la cottura e qui l’autonomia regionale si sbizzarrisce in una miriade di ricette, alcune delle quali giungono perfino a tutelare la tipicità del piatto, in un singolare paradosso che ci vede “paladini” di una pietanza che è fatta con un pesce che non è del nostro Mediterraneo. Ma questo poco importa, anzi, per rispettare la tradizione e la “girandola” regionale, e per carpire qualche segreto della preparazione, ho fatto due

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Maria Grazia Puca. chiacchiere con MARIA GRAZIA PUCA, che da anni prepara la sua ricetta di stoccafisso sulla costa del Tirreno. Signora Puca, come è entrata in contatto con lo stoccafisso? «In Val di Cornia, dove abito, è un piatto tradizionale, soprattutto in estate. Lo conosco da sempre, fin da quando i miei nonni lo preparavano per la trebbiatura del grano. Allora era considerato un piatto povero che i contadini mangiavano sulle aie dei poderi, nei momenti di pausa dal lavoro di battitura, accompagnato volentieri da un fiasco di vino buono. Oggi invece è diventato un “piatto ricco” perché, se mangiato fuori casa, può raggiungere prezzi abbastanza alti, a causa della maggiore difficoltà a reperire il prodotto e dei lunghi tempi di preparazione, che poco si adattano alla vita moderna».

prezzemolo ed aglio in abbondante olio, al quale aggiungo lo stoccafisso sfibrato a pezzi. Durante la cottura aggiungo i pomodori freschi e un po’ di brodo di dado. Faccio cuocere per un paio d’ore e, negli ultimi venti minuti, aggiungo le patate a pezzi». Ci sono dei diktat da rispettare? «Come dicevo, lo stoccafisso ha bisogno del suo tempo: la cottura deve essere lenta e a fuoco basso».

Quali consigli ci dà per preparare un Signor stoccafisso? «Innanzitutto la pazienza. Oggi siamo portati a fare tutto di fretta, cucina compresa, ma per lo stoccafisso ci dobbiamo prendere tutto il tempo che necessita. Si cerca il prodotto secco che va pulito con cura, battuto e bagnato. Dopo qualche giorno, quando le carni si saranno reidratate, si passa alla cottura».

Bianco o rosso? Una cottura tranquilla, quindi, per consentire di estrarre tutti gli odori ed i sapori che fanno dello stoccafisso il re della cucina estiva e non solo, facendo sprigionare tutte quelle sostanze che si sono lentamente concentrate al vento delle lontane terre nordiche. Con quale vino si può accompagnare? Per le carni saporite e consistenti, consiglierei un vino bianco fresco di medio corpo, ma dato che la “componente rossa” del pomodoro può essere più o meno significativamente rappresentata, va bene anche un buon rosso, ammorbidito magari con la presenza di Merlot e Cabernet Sauvignon. L’importante è che sia poco tannico, per non coprire troppo il sapore del pesce. E poi, naturalmente, buon appetito! Maurizio Dell’Agnello

Come consiglia di cucinarlo? «Io lo preparo con le patate. Prima faccio un trito di cipolla, carota,

Nota Si ringrazia Roberto Fiordiponti per la collaborazione.

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SAPORE DI MARE

C’è del talento in quel di Limena (PD)

Le due anime di Valbruna di Gian Omar Bison

Prendi dei giovani, dotati solisti, liberane le attitudini, esaltane le vocazioni e assemblali come un buon drink da chiamare Valbruna. Il risultato non potrà che essere intrigante, fusion come il menù presentato recentemente alla stampa specializzata. Mixology è la parola d’ordine di questo nuovo locale, aperto da pochi mesi, che ELISA VIANELLO ha voluto fresco, vibrante. Flessibile quanto basta per accogliere aspettative diverse. Consumi diversi. Bistrot e Ristorante, easy e gourmet, tradizione, tecnica e innovazione. Glocal: cucina internazionale e ingredienti, nei limiti del possibile, territoriali. Dalle mani del giovane ma navigato

Abalone, ostriche, cannolicchi, murena, ricci, polpo… Sono molti gli elementi marini che lo chef Davide Tangari, grande appassionato di pesca in alto mare, apnea e subacquea, ha voluto riportare nei nuovi piatti del locale chef DAVIDE TANGARI escono piatti ricercati e di grande livello così come dall’esperienza internazionale della sommelier trentatreenne ALESSANDRA DINATO la carta dei vini acquista un respiro internazionale: 170 etichette, parecchie straniere. Si sa, i solidi e i liquidi si possono abbinare in tanti

modi. La tendenza del Valbruna è spaziare e sperimentare dai cocktail ai distillati che passano tra le mani del ventitreenne vicentino ANDREA CAMPARMÒ. Nessuna paura sotto l’attenta regia di CHRISTIAN LORENZATO, inappuntabile direttore di sala e d’orchestra, vero trait d’union con

La squadra di Valbruna. Al centro lo chef Davide Tangari (photo © Lido Vannucchi).

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cucina e bar. Luogo diverso ma unica la filosofia ai fornelli. Nel bistrot si parla di cucina del mondo mentre il ristorante è espressione della cucina di Davide. «Credo che entrambi esprimano la mia filosofia. Per formazione e mentalità sono più incline alla cucina ricercata, gourmet; allo studio e all’approfondimento sugli ingredienti, sugli abbinamenti. Ma devo riconoscere che nel bistrot mi diverto molto. Ho viaggiato tanto e ho sempre cercato di assaporare i luoghi e le cucine tradizionali nelle mie mete e imprimerle nella memoria gustativa per poi riproporli, magari reinterpretati. Qui il cliente, questa è l’ambizione, trova qualcosa di diverso e di originale dove sono racchiusi in un unico concept piatti che spaziano da un continenti all’altro, facendo provare l’emozione o il ricordo di un piatto degustato in giro per il mondo. Più di una persona mi ha raccontato che il piatto assaggiato gli ha fatto venire in mente un posto o un sapore incontrato altrove. È sulla memoria di quanto ho visto e mangiato io che parto per preparare un progetto e una proposta culinaria». Esperienza, vissuto e famiglia, perché gli insegnamenti appresi e le radici culturali hanno un peso che Davide riconosce ed esalta. «Le origini pugliesi mi hanno portato all’adorazione del mare e del pesce di cui sono appassionato in tutte le sue declinazione: dall’acquario alla pesca, anche subacquea, all’apnea che pratico regolarmente. Uno dei miei piatti preferiti, ad esempio, legato alle mie radici pugliesi, è “riso patate e cozze”: lo mangiavo da piccolo con i nonni e ho voluto reinterpretarlo col mio finto riso, dove la tecnica del taglio a coltello finissimo delle patate è finalizzata esclusivamente alla riuscita del piatto, non all’estetica». Veramente notevole. Classe 1990, Tangari ha deciso di fare il cuoco da grande. «A casa mia cucinare e mangiare è sempre stato un rituale importante e conviviale. Sin da piccolo ho sentito in me la spinta verso questa professione, nonostante i miei genitori mi volessero avvocato. Solo dopo il diploma scientifico mi hanno dato la possibilità di studiare per diventare cuoco». Formatosi

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In alto: finto riso (di patate e cozze). Al centro: crudo in guscio ovvero tartufo di mare con aria di gin, ostrica rosa del Delta del Po con granita di Guinness e whisky, abalone e vongola della Nuova Zelanda al naturale, cannolicchio con mandorle tostate e olio al prezzemolo, canestrello e finocchietto, fasolare con timo e Kumquat e capesante della Francia con zuppetta di lime. In basso: murena (photo © Lido Vannucchi).

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Le due sale di Valbruna interpretano due stili di cucina differenti accomunati da convivialità e comfort: informale e easy per il bistrot, rilassato e gourmet per il ristorante (photo © Lido Vannucchi). all’ALMA di Parma, la sua cucina è il risultato delle esperienze presso ristoranti pluripremiati, lavorando accanto a chef del calibro di ANTONINO CANNAVACCIUOLO, ENRICO CEREA, OLIVER PIRAS o ancora a l’Oseleta di Cavaion Veronese (VR), a Milano presso Il Marchesino. «Di ognuna di queste esperienze ho fatto tesoro, cogliendone l’essenza, per le tecniche innovative (Aga), l’organizzazione (Da Vittorio), il gusto del classico (Il Marchesino) il rigore e la pasticceria (Villa Crespi)». Sfiziosa l’ouverture della serata col Crudo in guscio: tartufo di mare con aria di gin, ostrica rosa del delta del Po con granita di Guinness e whisky, abalone e vongola della Nuova Zelanda al naturale, cannolicchio con mandorle tostate e olio al prezzemolo, canestrello e finocchietto, fasolare con timo e Kumquat e capesante della Francia con zuppetta di lime. «Cerco di non essere schiavo delle mode — puntualizza Davide — e credo che non si possono avere limiti in cucina. Bisogna conoscere il classico e le basi ma non si può nemmeno avere i paraocchi». Dopo

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il Finto riso, avanti con Murena, cuore di vitello alla brace con bisque e gamberoni nocciole e alloro; poi I bottoni di daikon con verdure e il suo fondo, «un piatto vegetariano che piace moltissimo a tutti perché di grande equilibrio»; infine, il piccione… l’esaltazione della cottura. «Il nostro è un lavoro di squadra e mentre Davide pensa al prossimo piatto da realizzare, io studio e ricerco ingredienti e combinazioni per il cocktail da abbinare» spiega Christian Lorenzato, affiancato da Andrea Camparmò. «I nostri drinks fondono tecniche di cucina e mixology. Per creare una sinergia tra piatto e drink e rendere questi ultimi maggiormente versatili per i nostri clienti moderiamo il tenore alcolico, introducendo l’utilizzo di “spezie liquide”, estratti e infusi plasmati sulla composizione del piatto, per la perfetta riuscita dell’esperienza gustativa. In tutto questo il bistrot è importante per avvicinare la gente in maniera diversa, rilassata. Un primo step per aprirci ai clienti vogliosi di fare gradualmente un saltino in avanti con le esperienze gastronomiche».

Tornando al locale, già nel nome si è scelto di non nasconderne le origini “produttive” in quanto identifica un edificio storico di Limena, le Distillerie Valbruna, uno dei primi opifici sorti nel dopoguerra, prima della nascita del suo polo industriale. «La scelta compositiva di partenza — sottolinea Elisa Vianello — è stata quella di mantenere in vista e mettere in risalto (nero su soffitto bianco) tutte le adduzioni tecnologiche, ovvero le arterie vitali come le tubazioni, le macchine per il clima e l’illuminazione». Vetrate come pareti, cocktail bar scenografico, cucina a vista (cuore pulsante del locale e non casualmente suo baricentro) e un ampio spazio strutturato in due sale, bistrot e ristorante, per uno spazio totale di 350 m2, sono le caratteristiche distintive del locale. Gli interni sono focalizzati su arredi in legno multistrato, luci diffuse, tonalità calde e rilassanti, che ne declinano una partitura estetica decisamente non banale. Gian Omar Bison >> Link: www.valbrunalimena.com

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Aroma: Fish, Wine and More. A Brescia un nuovo ristorante con crudità di mare e Champagne protagonisti Aroma è un nuovo ristorante ospitato all’interno di un palazzo cinquecentesco nel cuore di Brescia. La proposta culinaria del giovane chef e patron ROBERTO GIANNONI vede il pesce come assoluto protagonista: piatti sfiziosi e nuovi sapori uniti a quelli del territorio. Dalle crudité di mare alla dimensione fusion ispirata al mondo orientale, il menù è aggiornato stagionalmente per sfruttare al meglio ciò che offre il mercato e include i classici della tradizione bresciana. Gli spazi di Aroma sono stati pensati per venire incontro a tutte le esigenze: il piano terra è interamente dedicato all’aperitivo, mentre il primo piano è riservato a chi vuole degustare un pranzo o una cena. Il portico, infine, regala la possibilità di gustare le portate con una splendida vista sul centro storico. Fiore all’occhiello di Aroma è la ricerca e selezione di vini e champagne, quelli conosciuti ma anche di nicchia: l’enoteca è infatti ricca di proposte del territorio ma il tocco in più è dato dall’attenzione ai produttori emergenti. Degustazioni periodiche di vini e champagne ed eleganti blind tasting guidati da esperti sommelier completano l’offerta del locale insieme al Club dello Champagne, una formula ideata e voluta da Giannoni, un club per veri intenditori che condividono l’amore per lo champagne e, allo stesso tempo, una soluzione che offre agli appassionati vantaggi di consumo e di acquisto dello champagne. >> Link: www.aromabrescia.it

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TRADIZIONI

Una festa popolare nata come ribellione agli austriaci che si celebra dal 1848

La Bigolada di Castel d’Ario di Josette Baverez Blanco

“Quando è tempo di Quaresima e finito il Carnevale c’è un rito a Casteldario ch’è seguito e ancora vale. È la grande ‘Bigolada’ che accomuna tanta gente e fa liberi i pensieri senza prenderti la mente. Una vera tradizione che ha radici nel passato che aiuta a digerire un peccato mai purgato” (da: Poesie e canzoni dedicate alla Bigolada da Wainer Mazza e “Ciarina”)

È purtroppo già passata, ma è da mettere in calendario per l’anno prossimo, se abitate non troppo distante da Castel D’Ario, nel Mantovano. Interessante per la sua storia, divertente nel suo svolgimento, la 170a edizione della Bigolada ha avuto un enorme successo e notevoli riconoscimenti. La festa popolare si è svolta in piazza il mercoledì delle Ceneri, primo giorno di Quaresima, il 6 marzo scorso, dal mattino presto, con l’inaugurazione ufficiale del sindaco, al tramonto, dopo una splendida giornata di sole anche se fredda. Il suo nome e la tipologia del cibo a cui è dedicata risalgono agli anni Venti, ma di fatto questa manifestazione è nata l’8 marzo 1848, alla vigilia della prima guerra d’indipendenza, come protesta anticlericale e antiaustriaca. Si servirono allora, gratuitamente, al popolo, “polenta, aringhe, cospettoni e vino piccolo”. Fu poi caratterizzata come Baccanale, sempre con una forte componente di protesta sociale. Sospesa per la guerra, riprese finalmente con uno spirito festaiolo divenendo la Festa

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dei bigoli, cotti in una decina di grandi paioli di rame su fuochi a legna. I bigoli sono una pasta lunga simile a grossi spaghetti, di origine veneta, a base di grano tenero, acqua e sale. La loro principale caratteristica è la ruvidità, che consente alla pasta di trattenere bene i diversi condimenti. In questo caso, il sugo si prepara con alcune grosse sardelle (sarde) salate, cipolla e olio extravergine di oliva. Bigoi, divertimento e solidarietà Dal 1969 la festa è gestita dalla Pro Loco, impegnata a controllare che la ricetta tipica venga rigorosamente rispettata e ad organizzare in ogni dettaglio la manifestazione che si svolge in piazza Garibaldi e nelle vie adiacenti. Oltre ad offrire gratuitamente quintali di pasta, i bigoi e sardèle, bibite e vino locale, molto apprezzato dato il cibo saporito, la Pro Loco mette a disposizione circa 150 bancarelle che propongono regolarmente decine e decine di prodotti tipici regionali come porchetta, selvaggina, salumi, formaggi, patate fritte. È presente anche il mercato settimanale straordinario. Il clou della manifestazione è la gara di chi mangia la maggior quantità di bigoli più velocemente e senza l’aiuto delle mani. Vengono allora coronati il Re Bigolo e la Regina Sardèla. Non mancano le mostre, la sfilata delle maschere, i giochi in piazza, la visita gratuita del castello (maniero scaligero) e il luna park nel suo vallo, il tutto accompagnato da numerosi intrattenimenti musicali. Altro evento particolarmente interessante è il lancio dei palloncini con cartoline dei bambini delle scuole materna ed elementare che sono stati invitati a disegnare la loro visione della Bigolada. Tra chi ritrova la

letterina e prende poi contatto con la Pro Loco, vengono estratti buoni di degustazione per la successiva Festa del Riso. La Bigolada è anche solidarietà nei confronti degli anziani ospitati nelle case di riposo e dei ragazzi disabili di varie cooperative. Infatti il Centro sociale casteldariese-Auser ospita assieme anziani e giovani con accompagnatori per un pranzo comunitario da condividere nel bel mezzo di una giornata di svago. Il successo di questa manifestazione storica è sempre crescente. Purtroppo si svolge in un giorno lavorativo, ma merita prendere un giorno di ferie (se potete) per vivere il suo clima di festa assaggiando il piatto “forte”. A lato: 1) 1957, da un articolo della Gazzetta di Mantova, corredato da una vignetta di Walter Mattioli, apprendiamo che, su di un robusto pennone piantato nel centro dell’area destinata alla cottura degli spaghetti, sventola la bandiera italiana: è il segnale preciso che il mercoledì delle Ceneri ci sarà la Bigolada. 2) 1979, oltre alla classica terrina, per mangiare i bigoli si utilizza il vaso da notte. 3) 1985, compaiono i primi sponsor, in questo caso Barilla. 4) Seconda metà degli anni ‘70, un paiolo viene portato in stazione per distribuire terrine a passeggeri e macchinisti. 5) Si scolano gli spaghetti, il vapore denso si sprigiona dai paioli. 6) 1998, uno dei cuochi “anziani”, Martino Fontana, alza al cielo il largo coperchio di latta che copre i paioli e vi batte contro il forchettone di legno seguendo il ritmo del “Vincerò” pucciniano. La gente in fila applaude (photo © Archivio Correzzola).

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EVENTI

‘nnumari, il Mar Mediterraneo che si unisce Dal 2 al 4 ottobre a Licata (AG), sulle coste meridionali della Sicilia, si svolgerà ‘nnumari, l’evento ideato dallo chef Pino Cuttaia dedicato alla sostenibilità della filiera del Mediterraneo. «Siamo parte del Mediterraneo e viviamo tutti in terre unite dal mare; abbiamo tutti problemi in comune e abbiamo il dovere di trovare soluzioni, insieme» Sul litorale di Agrigento, nella località di Licata, circondata da mare pulito e sapori mediterranei, si è riusciti a creare, nonostante le difficoltà, un modello di sostenibilità che ha dato sviluppo al territorio e lavoro alla filiera. Ed è qui che nasce ‘nnumari (termine siciliano

che vuol dire “nel mare”), l’evento ideato dallo chef bistellato PINO CUTTAIA che dal 2 al 4 ottobre prossimi intende chiamare a raccolta cuochi, giornalisti, economisti, pescatori, allevatori, agricoltori, produttori, artigiani, pescatori, imprenditori, artisti e comunicatori. Si tratta di

giornate di riflessioni sulla sostenibilità della filiera nel Mediterraneo, con l’obiettivo di costruire modelli di sviluppo sociali e ambientali replicabili e condivisi. «Durante il percorso della mia carriera ho capito come la Sicilia, il mio territorio, sia il frutto delle contaminazioni dei popoli che

Lo chef bistellato del ristorante La Madia, promotore della “cucina della memoria”, convoca a Licata cuochi, giornalisti, economisti, pescatori, allevatori, agricoltori, produttori, artigiani, pescatori, imprenditori, artisti e comunicatori per costruire assieme modelli di sviluppo sociali e ambientali replicabili e condivisi.

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vi hanno vissuto. L’arte culinaria del mio territorio non è altro che il frutto di queste diverse esperienze», spiega Cuttaia. «Mi sono accorto che i miei gesti sono simili ai gesti di altri cuochi e i miei viaggi mi hanno portato a capire che il territorio sul quale insisto ogni giorno è simile in tutti i Paesi del Mediterraneo, con la sola differenza del microclima, della stagionalità, degli usi e dei costumi di ognuno di essi. E così ho capito che è arrivato il momento di realizzare un convivio che ho voluto intitolare ‘nnumari, nel mare, in cui alla stessa tavola ci si confronta su come ogni cuoco di ogni Paese del Mediterraneo lavora la stessa materia prima, come lo stesso cuoco riscontri problematiche simili e come abbia già analizzato quel problema e trovato una soluzione, coinvolgendo tutta la filiera. E non solo: verranno coinvolti altri interlocutori, per far diventare quel convivio un pensatoio aperto ad artisti, comunicatori, economi, imprenditori. Siamo parte

del Mediterraneo e viviamo tutti in terre unite dal mare; abbiamo tutti problemi in comune e abbiamo il dovere di trovare soluzioni, insieme con l’unico scopo di studiare modelli comuni di sviluppo economici, sociali, ambientali sostenibili». Un appuntamento da non perdere, unico nel suo genere e che per la prima volta permette a tutti di discutere su argomenti che stanno a cuore a tutta la comunità del Mediterraneo. Il programma è attualmente in via di definizione.

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PINO CUTTAIA, 51 anni, tre figli, ha aperto La Madia a Licata insieme alla moglie LOREDANA, nel 2000. Qui ha ottenuto la prima stella Michelin nel 2006 e la seconda nel 2009. Ha vissuto a Torino, dove ha studiato e lavorato in fabbrica. In quegli anni si dilettava in cucina, poi l’hobby diventò lavoro. Dopo lunghi soggiorni nelle cucine di noti ristoranti tra cui Il Sorriso a Soriso (Novara) e Il Patio a Pollone (Biella), Cuttaia tornò in Sicilia. La precisione nel lavoro, appresa al Nord, il calore, la passione, gli ingredienti e le ricette della sua infanzia ritrovati al Sud gli hanno consentito di reinventare e di cucinare ricordando momenti passati: stagioni e simboli della storia gastronomica della sua gente. Una cucina della memoria che ha riscosso successi unanimi di critica e di pubblico. Tra gli ultimi riconoscimenti ricevuti da Cuttaia spiccano: il Premio Pommery Piatto dell’anno con la nuvola di mozzarella per la Guida Ristoranti de L’Espresso nel 2013; Cuoco dell’anno per il Golosario e il suo uovo di seppia, piatto-simbolo dell’edizione 2014 di Identità Golose.

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FIERE

Anuga Frozen Food punta i riflettori sugli alimenti surgelati

I consumatori amano i prodotti che vengono dal freddo

Lo sapevate che, tra tutte le giornate dedicate ad un prodotto o una ricorrenza, ne esiste una che è dedicata ai surgelati? Ha cadenza ogni 6 marzo ed è una curiosa “festività culinaria” introdotta nel 1984 dal presidente americano RONALD REAGAN con il nome di Frozen Food Day per celebrare appunto i successi dell’industria dei surgelati negli USA.

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Ogni due anni Anuga Frozen Food presenta le maggiori novità del settore in seno ad Anuga, il salone più grande al mondo per il food & beverage in programma dal 5 al 9 ottobre prossimi a Colonia, Germania. Il segmento dei surgelati è e sarà uno dei principali driver di innovazione sia per la distribuzione che per il mercato del fuori casa.

Prodotti surgelati col segno +++ Un confronto del consumo pro capite in Germania ha decretato la marcia trionfale dei prodotti surgelati. Trentacinque anni fa questo dato si attestava a soli 17,2 kg, mentre nel 2018 aveva già raggiunto i 47 kg per ogni cittadino tedesco, con una tendenza in aumento. Con una quota di fatturato del 12% l’industria dei

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Anuga è la più grande fiera al mondo dedicata al food & beverage. Con dieci sotto-fiere, un importante programma di eventi collaterali e la più grande partecipazione di espositori mai registrata, dal 5 al 9 ottobre prossimi non potrà che confermarsi nuovamente evento imperdibile per gli operatori di questo settore (photo © Koelnmesse GmbH, Harald Fleissner e Sven Otte). ultimi trend verso una maggiore convenience alimentare.

surgelati è uno dei cinque maggiori segmenti dell’industria alimentare tedesca (fonte: DTI Deutsches Tiefkühlinstitut e.V.). Oggigiorno la conquista in campo tecnologico nella conservazione degli alimenti solo grazie alle basse temperature, senza l’aggiunta di conservanti, è ormai irrinunciabile ed è ulteriormente sostenuta dagli

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Anuga Frozen Food Nello spazio di Anuga Frozen Food, all’interno della prossima edizione di Anuga, oltre 500 espositori di provenienza internazionale presenteranno una vasta gamma di prodotti, applicazioni e servizi. L’offerta spazia da pesce e carne a frutta e verdura, passando per piatti pronti in porzioni di varie dimensioni. Il salone coniuga il settore dei surgelati alla distribuzione e al mercato dell’out of home, in quanto il segmento surgelati è uno dei principali trendsetter in materia. In quasi nessun segmento le aziende riescono a sviluppare con pari successo nuovi prodotti e soluzioni migliori e sempre più semplici per i consumatori. Ad Anuga l’industria internazionale propone regolarmente le ultime novità per entrambi i canali della distribuzione dei prodotti alimentari e del mercato dell’out of home. Anche l’Istituto tedesco per gli alimenti surgelati (DTI Deut-

sches Tiefkühlinstitut), partner esclusivo di Anuga Frozen Food dal 2013, sarà come sempre a disposizione in fiera con informazioni, dati e cifre interessanti sul mercato dei surgelati. Koelnmesse: global competence in food and foodtec Koelnmesse è leader internazionale nell’organizzazione di fiere del food e manifestazioni sulla lavorazione di bevande e prodotti alimentari. Fiere come Anuga, ISM e Anuga FoodTec sono eventi mondiali consolidati. Koelnmesse organizza fiere del food non solo a Colonia, ma anche in molti altri mercati emergenti di tutto il mondo, come ad esempio in Brasile, Cina, Colombia, Giappone, India, Italia, Tailandia, Stati Uniti e negli Emirati Arabi Uniti, dedicate a varie tematiche e contenuti. Con queste attività a livello globale Koelnmesse offre ai propri clienti eventi su misura in diversi mercati, a garanzia di un business sostenibile e di carattere internazionale. >> Link: www.anuga.com

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L’Italia protagonista di Alimentaria 2020 Alimentaria 2020 punta a confermare l’elevato numero di visitatori ed espositori dell’ultima edizione, mettendo il Belpaese, le proteine animali e i nuovi trend di prodotto e consumo al centro della manifestazione fieristica di Elena Benedetti

Appuntiamoci qualche nu mero nell’agenda del prossimo anno: da lunedì 20 a giovedì 23 aprile 2020 a Barcellona, con la presenza di 4.500 espositori su di un’area di 100.000 m2. Questo e molto altro sarà Alimentaria, l’evento biennale che torna ad occupare la Gran Via del quartiere fieristico della capitale catalana. Abbiamo incontrato il suo CEO, J. ANTONIO VALLS, nel corso di una trasferta lampo a Milano per la presentazione della fiera ai media specializzati. Gli scambi commerciali tra Italia e Spagna sono sempre stati numerosi, vuoi per la prossimità geografica, vuoi anche per quella cultura enogastronomica che ci accomuna favorendo investimenti e business. Stando ai dati della Federación Española de Industrias de Alimentación y Bebidas (FIAB), l’Italia è il secondo partner commerciale per l’industria alimentare spagnola. Nel corso del 2018, il 12% delle esportazioni spa112

gnole ha avuto come destinazione proprio l’Italia, raggiungendo un valore di 3,6 milioni di euro. I prodotti spagnoli più richiesti sono stati l’olio d’oliva, il pesce, crostacei e molluschi lavorati e le carni lavorate e conservate, per un valore, rispettivamente, di 895, 631 e 505 milioni di euro. Secondo i dati del Ministerio de Industria, Comercio y Turismo de España, l’Italia è oggi il quarto maggior importatore di prodotti alimentari e bevande in valore, con un volume di 1,5 milioni di euro nel 2017 (+5,1% rispetto all’anno precedente), che rappresenta il 4,3% del valore totale delle importazioni in Spagna. Se non ricordo male, nella scorsa edizione l’Italia è stato il paese più presente ad Alimentaria 2018. «Confermo! La Camera di Commercio e Industria Italiana per la Spagna e l’Istituto nazionale per

il Commercio Estero (ICE), insieme a più di 120 aziende italiane, ebbero il compito di presentare un bel campionamento di patrimonio agroalimentare all’interno della cornice di Alimentaria 2018. L’insieme delle aziende italiane occupò uno spazio espositivo di oltre 1.800 m2, cresciuto costantemente nelle ultime tre edizioni. Queste cifre hanno fatto sì che l’Italia fosse il Paese con la più grande area espositiva e col maggior numero di istituzioni e aziende partecipanti. L’Italia è inoltre al primo posto nella classifica dei Paesi con il maggior numero di visitatori, seguita da Francia e Portogallo. La fiera è stata visitata da importanti brand di distributori italiani come UNIONTRADE, PENNY MARKET, ICP, CEDI GROSS, DISTAL, GRUPO BALLETTA e CONTECO FOOD, nonché da importatori gourmet con un fatturato di oltre 2 milioni di euro. Inoltre, attraverso il programma Hosted Buyers, AlimenIL PESCE, 4/19


taria ha invitato a partecipare alla fiera alcune delle principali catene di supermercati italiani, come COOP CENTRO ITALIA, IPER MONTEBELLO e MAGAZZINI GABRIELLI, oltre a grandi aziende del settore della distribuzione come MGM, BUZZI, MARR e OPTIMUM BUYING». Quali saranno le novità per l’edizione 2020? «Alimentaria 2020 includerà il salone Alimentaria Trends, che si estenderà su una superficie di oltre 4.500 m2, all’interno della quale saranno presentate le nuove tendenze nella produzione e nel consumo di alimenti, come i prodotti di gastronomia (Fine Foods), alimenti biologici (Organic Foods), alimenti senza allergeni (Free From), alimenti halal (Halal Foods) e gli alimenti funzionali (Functional Foods). Questa fiera andrà ad aggiungersi a quelle già esistenti nei settori strategici dell’agroalimentare, come l’industria della carne (Intercarn), l’industria lattiero-casearia (Interlact), conserviera (Expoconser), dei dolci (Snacks, Biscuits & Confectionery); della Dieta Mediterranea e dei prodotti freschi, oli di oliva e

oli vegetali (Mediterranean Foods), e, non ultimo, del food service (Restaurama). Per quanto riguarda gli International Pavilions, riuniranno l’intera offerta internazionale, mentre Lands of Spain farà lo stesso con la produzione delle diverse regioni spagnole. Sempre nel 2020, il settore vitivinicolo inaugurerà un nuovo percorso con un progetto dedicato: il sotto salone Intervin di Alimentaria si trasformerà in Barcelona Wine Week. La nuova fiera proporrà un tour unico lungo la mappa dei vini spagnoli, e si svolgerà dal 3 al 5 febbraio 2020 presso la Fira de Barcelona. È invece confermata la sinergia a doppia mandata tra Alimentaria e Hostelco, il salone internazionale delle attrezzature per la ristorazione, l’ospitalità e la collettività, che ancora una volta uniranno le forze per offrire sia alla distribuzione che al canale HO.RE. CA. la più completa e trasversale offerta per l’industria alimentare, gastronomica e delle attrezzature per la ristorazione. Inoltre, organizzeremo congiuntamente una serie di attività di grande valore aggiunto

come The Experience Live Gastronomy, uno spazio in cui si avranno workshop, aule gastronomiche e showcooking». Come definirebbe in poche parole Alimentaria e perché è così strategica per l’Italia? «Alimentaria è una fiera trasversale, al cui interno i sotto-saloni sono altamente specialistici e verticali, utili per visite mirate sul prodotto. L’Italia e la Spagna sono legate da un rapporto commerciale molto forte e il fatto che per l’edizione del prossimo anno il Belpaese sia il primo in termini di espositori e di visitatori è un dato di fatto. Non dimentichiamo poi che gli operatori commerciali in visita all’Alimentaria usano la fiera come leva commerciale per agganciare opportunità di business con il Sud e Centro America, primi fra tutti Messico, Argentina, Cile e Colombia». Qualche novità interessante? «Non c’è alcun dubbio: Alimentaria Trends! Le tendenze alimentari rappresenteranno una nuova area all’interno di Ali mentaria 2020 con le ultime novità in materia di

J. Antonio Valls, CEO di Alimentaria. IL PESCE, 4/19

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Alimentaria, che si svolgerà dal 20 al 23 aprile 2020, mira a dare continuità ad oltre 12.500 incontri di lavoro che hanno avuto luogo ad Alimentaria e Hostelco 2018, tra i 1.400 principali buyer, importatori e distributori in Europa, Asia, America Latina e Stati Uniti alimenti biologici, free from, halal e funzionali. Alimentaria si appresta a consolidare il ruolo di grande piattaforma internazionale con una forte vocazione ad attrarre business, espositori e visitatori». Elena Benedetti

Alimentaria 2020 sarà suddivisa come sempre in diverse aree tematiche ognuna dedicata alle differenti categorie alimentari, dalla carne, al pesce, ai surgelati, al comparto dolciario. L’edizione del 2018 ha visto la partecipazione di oltre 4.500 aziende espositrici, nazionali ed internazionali, con un’affluenza di pubblico pari a circa 150.000 visitatori provenienti da 156 paesi (in foto, una conserva ittica esposta a Expoconser; photo © hadrian – ifeelstock).

Alimentaria 20-23 giugno 2020 Recinto Gran Via, Barcellona (Spagna) #Alimentaria2020 www.alimentaria.com facebook.com/AlimentariaBCN instagram.com/alimentariabcn

L’uovo dell’edizione 2020 L’immagine uovo, classica di Alimentaria 2020, è ispirata al Cloud Gate di Chicago, progettato dall’artista britannico-indiano ANISH KAPOOR. L’uovo è da sempre un simbolo che rimanda alla vita nuova e alla metafora di rinascita dei corpi e della natura (fonte: taccuinigastrosofici.it). E in questo senso il nuovo logo riflette perfettamente l’etica di Alimentaria: «un corpo vivente che interagisce con tutti i settori e si relaziona con ciò che lo circonda. Uno specchio attivo che proietta e guida l’innovazione, un motore per il cambiamento e una continua fonte di ispirazione», come ci ha spiegato il CEO di Alimentaria, J. ANTONIO VALLS, nel corso dell’intervista.

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Refrigera Forum Mediterraneo, 5 marzo 2020 Caserta: la migliore refrigerazione al servizio della filiera agroalimentare del Sud Italia e del Mediterraneo

Dopo il successo di Refrigera 2019, la fiera dedicata alla refrigerazione industriale,commerciale e logistica svoltasi a Piacenza Expo a febbraio (a lato,alcune immagini dell’edizione 2019), una nuova formula, snella, efficace e di valore contraddistinguerà l’evento fortemente richiesto dal mercato Refrigera Forum Mediterraneo in programma per il 5 marzo 2020 presso il Golden Tulip Plaza di Caserta. Numerosi i temi che verranno trattati nei convegni e nei workshop previsti durante la giornata di lavori, dedicati a conservazione, logistica e retail agroalimentare per gli operatori del Sud Italia che lavorano tutti i giorni con la refrigerazione e la catena del freddo e necessitano di un confronto sulle tematiche più utili ed innovative del settore. L’evento sarà anche occasione per incontri BtoB con gli operatori del settore nell’area espositiva attigua alle sale conferenze. Come per Refrigera 2019, anche Refrigera Forum Mediterraneo 2020 si avvale del supporto e della collaborazione di Assofrigoristi,ATF, Centro Studi Galileo, OITA e numerose altre associazioni, oltre alla stampa di settore. Una sede prestigiosa a Caserta, nel cuore di una delle aree a più alto valore produttivo e logistico per tutto il settore agroalimentare, caratterizzata da una importante copertura di aziende dedicate alla refrigerazione e alla cold chain. Grande spazio verrà riservato anche alle attività trasversali di networking tra operatori del settore, committenti, associazioni ed istituzioni in occasione della cena di gala nella cornice della Reggia di Caserta, che si terrà il giorno prima dell’evento. •

Refrigera Forum Mediterraneo è l’evento 2020 dedicato a chi ogni giorno con passione e impegno aggiunge valore alla filiera della refrigerazione e cold chain!

>> Link: refrigera.show

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SICUREZZA ALIMENTARE

Ancora alto il rischio di contaminazione. Da INGA i consigli per un ghiaccio sicuro a casa e fuori casa

Focus sul ghiaccio alimentare

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Un operatore su quattro non produce correttamente il ghiaccio alimentare, ha affermato Carlo Stucchi, presidente INGA, Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare. Occorre prevenire situazioni ad alto rischio di contaminazione attraverso un’educazione consapevole alla produzione e all’utilizzo del ghiaccio, che tuttora stenta ad essere considerato un alimento Scarsa igiene, mancanza di sanificazione dei macchinari, manipolazione impropria: sono diverse e numerose le cause della contaminazione del ghiaccio che finisce nei nostri bicchieri, a casa e fuori casa. Si tratta di un problema su cui, con l’arrivo dell’estate, diventa sempre più urgente intervenire, per prevenire ogni possibile ricaduta negativa sulla salute, soprattutto quella dei soggetti più deboli, come bambini e anziani. È un tema che è stato evidenziato recentemente anche su alcuni media nazionali, dove l’Istituto Nazionale per il Ghiaccio Alimentare (INGA), l’associazione che raccoglie le più importanti aziende nazionali produttrici di ghiaccio alimentare e che lavora per studiare, promuovere e diffondere una corretta informazione sul ghiaccio alimentare, ha sottolineato l’importanza di attenersi a quelle poche e basilari regole per tutti coloro che producono o auto-

producono ghiaccio alimentare che viene a diretto contatto con altri alimenti o con lo stesso consumatore. Da una ricerca condotta da INGA, in collaborazione con l’assessorato alla Salute e le ASP della regione Sicilia, è infatti emerso che circa un locale su quattro produce e utilizza ghiaccio non conforme alle normative, risultando contaminato per una mancanza di attenzione igienica nella fase della produzione, della conservazione e della manipolazione. Un dato che ha incoraggiato INGA, ormai un vero e proprio riferimento in Italia e in Europa per la tutela della sicurezza dei consumatori, a rendere ancora più incisivo e capillare il suo intervento al fianco delle aziende, degli operatori di settore e dei gestori dei locali. A partire dalla Sicilia, territorio tradizionalmente legato alla produzione di ghiaccio, che al momento è l’unica regione ad essersi occupata

INGA – Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare è un ente no profit, con sede in Roma, che si pone l’obiettivo primario dello studio, della promozione e della diffusione di una corretta informazione sul ghiaccio alimentare. L’Associazione si propone inoltre le seguenti finalità a carattere: • operativo: attraverso la diffusione di una corretta informazione sul tema del ghiaccio alimentare presso l’opinione pubblica e la sensibilizzazione delle autorità centrali, regionali e locali in merito alle politiche da attuare ai fini dello sviluppo del relativo mercato; • diplomatico: attraverso l’instaurazione e il mantenimento di rapporti di tipo istituzionale con enti caratterizzati da finalità analoghe e/o complementari aventi sede in Italia o in altre nazioni, con particolare riferimento all’Europa e agli Stati Uniti; • filantropico: attraverso la promozione e valorizzazione delle risorse intellettuali e materiali inespresse, relative al settore specifico del ghiaccio alimentare, presenti su tutto il territorio italiano.

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Non tutti sono consapevoli del fatto che il ghiaccio alimentare, che sia utilizzato come refrigerante (ad esempio nelle preparazioni culinarie) o come ingrediente, va considerato a tutti gli effetti un alimento, e quindi trattato prestando la massima attenzione a come viene prodotto, manipolato e conservato (photo © weyo – stock.adobe.com). della questione, elaborando un piano regionale estremamente utile per intervenire sulla problematica, più diffusa di quanto si pensi. Già nel 2015 INGA pubblicava il Manuale di corretta prassi igienica per la produzione di ghiaccio alimentare, approvato dal Ministero della Salute, vademecum tuttora unico nel suo genere in Europa dedicato all’approfondimento degli aspetti igienici e di sicurezza alimentare legati alla produzione industriale di ghiaccio confezionato e alla produzione per autoconsumo (nei locali e a casa) di ghiaccio alimentare. Sono seguite pubblicazioni di materiali informativi per aziende, operatori di settore e semplici consumatori, e di strumenti pratici, come la check-list per l’autovalutazione da parte degli stessi operatori della

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propria produzione di ghiaccio, fino alle collaborazioni con le autorità e le associazioni di settore, con l’obiettivo primario di fare informazione, affinché il ghiaccio alimentare resti privo di contaminanti fisici, chimici, ma soprattutto biologici, e sia quindi sicuro per il consumatore. In particolare, per supportare al meglio gli esercenti che autoproducono ghiaccio, INGA ha attivato, con la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), una stretta collaborazione di fondamentale importanza per assicurare la salubrità e l’igiene del ghiaccio alimentare. «Sebbene la situazione sia migliorata rispetto al passato, c’è ancora molta strada da fare. Un operatore su quattro non produce correttamente il ghiaccio alimentare», ha affermato CARLO STUCCHI, presidente INGA. «Il passo

fondamentale è prevenire situazioni ad alto rischio di contaminazione attraverso un’educazione consapevole alla produzione e all’utilizzo del ghiaccio, che tuttora stenta ad essere considerato un alimento». Non tutti, infatti, sono consapevoli del fatto che il ghiaccio alimentare, che sia utilizzato come refrigerante (ad esempio nelle preparazioni culinarie) o come ingrediente, va considerato a tutti gli effetti un alimento, e quindi trattato prestando la massima attenzione a come viene prodotto, manipolato e conservato, con il risultato che la tendenza generale è quella di sottovalutare il rispetto di norme e prassi igieniche. Il ghiaccio può essere contaminato da diverse specie di batteri e agenti chimici a causa dell’utilizzo di acqua non pura e/o di carenze igieniche in fase di stoccaggio, manipolazione e utilizzo, con conseguenze per i consumatori che vanno da piccoli disturbi, che possono colpire un individuo sano, a effetti ben più gravi, se a consumare ghiaccio contaminato sono bambini, persone anziane o malate. Anche quest’anno sono stati molteplici gli episodi che hanno interessato piccole e medie imprese che non hanno superato i necessari controlli per la sicurezza alimentare. Ma il rischio si rivela alto anche per le produzioni casalinghe, a cui sempre più famiglie ricorrono nei caldi mesi estivi. Per questo INGA ha ideato un utile e pratico decalogo delle regole da rispettare per fare il ghiaccio in casa in tutta sicurezza: dalla corretta pulizia del freezer e delle vaschette per il ghiaccio alle temperature e ai tempi di conservazione, fino alla manipolazione dei cubetti. Per ovviare al rischio contaminazione, tanto a casa quanto nei locali, il consiglio è quello di affidarsi ad aziende certificate che producono ghiaccio alimentare confezionato: la strada giusta per tutelare al meglio il mercato, ma soprattutto la salute del consumatore. >> Link: www.ghiaccioalimentare.it Nota A pagina 118, photo © lilechka75 – stock.adobe.com

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L’allerta a tavola La gestione operativa di ritiri e richiami, tra timori delle imprese, il rischio di eccessivi allarmismi e la necessità di tutelare il consumatore. La trasparenza viene prima di tutto, ma sul piano normativo e operativo c’è ancora molto da fare di Sebastiano Corona

L’ultima in ordine temporale — e di particolare gravità — è quella di un formaggio francese contaminato da Escherichia coli. L’allerta è stata diramata in quasi trenta Paesi, Unione Europea e Stati Uniti compresi. Poiché il microrganismo interessato può generare problemi serissimi, con conseguenze drammatiche, oltre alla segnalazione nel sistema di allerta europeo RASFF, il prodotto è stato ritirato dagli scaffali. La materia delle segnalazioni dei prodotti a rischio è una questione molto complessa,

frutto di una normativa ampia, che ancora non viene applicata in maniera uniforme e secondo lo spirito che ha animato il legislatore. Il meccanismo di segnalazione è disciplinato in Europa dal Regolamento CE 178/2002. È l’art. 19 a stabilire che, nel caso in cui l’operatore ritenga che un alimento entrato nella sua disponibilità perché da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito, ma che non sia più sotto il suo controllo immediato, non sia conforme ai requisiti

di sicurezza, deve immediatamente avviare le procedure per il suo ritiro e informare le autorità competenti. Se il prodotto non conforme può essere già nelle mani del consumatore, lo stesso operatore che ha avviato le procedure di allerta ha l’ulteriore obbligo di informare il mercato e richiamare il prodotto. I capisaldi della normativa sono tre: il ritiro, il richiamo e l’avviso di sicurezza. Il primo ha luogo quando i lotti non conformi non sono stati ancora esposti al pubblico. Il

La materia delle segnalazioni dei prodotti a rischio è una questione molto complessa, frutto di una normativa ampia, che ancora non viene applicata in maniera uniforme e secondo lo spirito che ha animato il legislatore. Il meccanismo di segnalazione è disciplinato in Europa dal Regolamento CE 178/2002.

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secondo quando un alimento che può rappresentare un pericolo per la salute si trova già sugli scaffali del punto vendita o è stato in parte acquistato. L’avviso di sicurezza è invece una forma di comunicazione introdotta dal Ministero della Salute, che lo stesso dicastero utilizza per riferire via web, in merito a rapporti o informazioni provenienti da fonti ufficiali preposte al controllo. Il produttore, quando dà notizia del ritiro, deve riportare nella comunicazione elementi che facilitino l’identificazione esatta del prodotto, quali la denominazione di vendita, il suo marchio, il nome o la ragione sociale dell’azienda, il lotto incriminato, la sede dello stabilimento, la data di scadenza o TMC, il peso e il motivo del richiamo, con la descrizione precisa del problema sorto. Sono altresì necessarie le fotografie del prodotto, le istruzioni sulle modalità di consegna e quelle per contattare l’assistenza clienti. I punti vendita, nel ricevere la nota del produttore, sono a loro volta tenuti a informare i clienti cercando di dare la massima visibilità alla notizia attraverso avvisi da esporre in loco, nel sito o nelle pagine dei social network. In capo agli OSA esiste un obbligo di ritiro o richiamo e di pari passo l’obbligo di informare le autorità competenti, che a loro volta — senza creare inutili situazioni di panico — adotteranno i provvedimenti opportuni per informare i consumatori, qualora ci siano rischi per la salute umana e/o animale. Semplice? Non proprio… Apparentemente il sistema sembra lineare e di semplice applicazione, ma nella realtà non è così e lo è ancor meno in un Paese come l’Italia dove l’approccio culturale al cibo è davvero cosa singolare. Il richiamo di un prodotto non conforme, per qualunque motivo, in un settore diverso da quello agroalimentare, è infatti da tempo prassi consolidata e di cui — giustamente — nessuno si scandalizza. Anzi, è universalmente visto come un segnale di attenzione e cura verso il cliente. Le imprese dell’industria automobilistica o della meccanica, solo per fare un esempio,

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L’opinione pubblica ha spesso difficoltà a distinguere un prodotto non nocivo, che ha semplicemente un problema di natura formale, da quello che invece rappresenta un pericolo vero e proprio. In tutti questi casi, molto spesso segnalare con enfasi il richiamo può essere un’arma in grado di produrre effetti nefasti e sproporzionati. Per questo la comunicazione in quest’ambito è cosa delicatissima, da fare con la massima attenzione! acquistano pagine di quotidiani per comunicare un ritiro o anche solo per far sapere che è necessario effettuare un intervento. Non c’è nulla di disdicevole in tutto questo. Ma quando si tratta di cibo, la faccenda è vista diversamente e la prima reazione del mercato è quella di prendere le distanze dall’azienda e dalla tipologia di prodotto interessata. Eppure è risaputo tra addetti ai lavori e imprese — e certamente anche da buona parte dei consumatori — che il processo produttivo e quello di distribuzione di un cibo sono fasi estremamente delicate, a cui concorrono innumerevoli fattori. Sebbene si adottino tutti gli accorgimenti del caso per evitare incidenti, contaminazioni o problemi di altra natura, non si può mai garantire sicurezza assoluta. Richiamo non significa, dunque, che non siano state intraprese tutte le procedure di prevenzione necessarie. Di questo concetto, che dovrebbe diventare scontato anche per l’opinione pubblica, non sembrano però pienamente convinte né le imprese, né lo stesso Ministero, che di fronte alla necessità di comunicare un’allerta intraprendono talvolta comportamenti incoerenti. Lo evi-

denzia anche IL FATTO ALIMENTARE, primo sito di segnalazione di allerte nel nostro Paese, che ha altresì il merito di aver redatto, grazie all’impegno di ROBERTO LA PIRA, un volume completamente dedicato al tema, che porta il nome di Scaffali in allerta. Il primo problema che La Pira denuncia è la mancanza di stime attendibili sul numero di prodotti che ogni anno vengono ritirati in Italia, ma che, secondo IL FATTO ALIMENTARE, sarebbero un migliaio circa, di cui il 20% rappresentato da casi che possono nuocere alla salute dei consumatori. L’assenza di una cabina di regia unica, in grado di gestire efficacemente e celermente i vari casi, il timore di conseguenze nefaste in termini di immagine, le difficoltà oggettive a gestire l’allerta, una normativa lacunosa e per certi aspetti poco chiara, disorientano gli operatori e comportano confusione sul da farsi, impedendo un flusso di informazioni fluido. Infine, a fronte di innumerevoli casi segnalati, sono decine quelli di richiami che si sgonfiano in poco tempo o che si concludono con la revoca del provvedimento o con un ridimensionamento del problema, non prima che si sia compromessa

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Nel delicato ambito delle segnalazioni dei prodotti a rischio, deve essere la tutela del consumatore il faro che segna la strada della normativa, da rendere meno punitiva e più premiante verso chi intende usare trasparenza e dialogo con il mercato la reputazione di un’azienda, si siano depauperati interi lotti di cibo e che si sia avviata una macchina legale a suon di migliaia e migliaia di euro. Sempre che nel frattempo non sia intervenuta certa stampa che, in assenza di notizie migliori, abbia deciso di prendersi a cuore il problema, paventando inesistenti pandemie. Creando così il panico, magari senza motivo alcuno. La letteratura recente è ricca di eccessivi allarmismi che hanno messo in ginocchio un intero comparto produttivo. E, viceversa, annovera anche casi seri e non segnalati, con il risultato che il problema si è perpetuato per mesi, talvolta per anni, continuando a mietere vittime. C’è poi un’ulteriore questione: l’opinione pubblica ha spesso difficoltà a distinguere un prodotto non nocivo, che ha semplicemente un problema di natura formale, da quello che invece rappresenta un pericolo vero e proprio. In tutti questi casi, molto spesso segnalare con enfasi il richiamo può essere un’arma in grado di produrre effetti nefasti e sproporzionati. Per questo la comunicazione in quest’ambito è cosa delicatissima, da fare con la massima attenzione. Ogni volta che un’impresa ha necessità di aprire un procedimento di allerta deve contattare i clienti affinché ritirino le confezioni dagli scaffali ed espongano cartelli di avviso nei punti vendita. Ma questa procedura, non codificata dal Regolamento europeo, è descritta

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in Linee guida ministeriali non completamente esaustive. Si assiste pertanto a prese di posizione differenti da territorio a territorio o ad interpretazioni soggettive. I risultati sono i più disparati: annunci di ritiro nel sito dell’insegna della GDO ma non in quello del produttore o viceversa. E ancora: la presenza dell’avviso nel sito del Ministero ma non in quello della distribuzione o dell’azienda; supermercati che segnalano l’allerta in maniera evidente, magari negli spazi normalmente dedicati a quel prodotto, oppure con un semplice avviso, che nessuno legge, in prossimità delle casse; altri che fanno una segnalazione sul sito internet, ma con una tempistica inadeguata. Molto raramente, in Italia, vengono acquistati spazi sulla stampa per comunicare un richiamo. C’è poi il caso della vendita nei negozi tradizionali o da parte di ambulanti particolarmente attivi nell’ortofrutta: in una rete simile, dove la presenza degli intermediari è forte, raggiungere il penultimo anello della catena o il cliente finale è difficilissimo. Si tratta tuttavia di un campo minato, tanto più che l’aspetto discrezionale, in capo ad aziende, distributori e istituzioni, è ampio. Solo il Risk Communication Guidelines, pubblicato dall’EFSA nel 2012, detta alcuni criteri. Il primo è che la tipologia di messaggio e il mezzo di comunicazione impiegato devono essere correlati al livello di rischio. La nota va poi inviata in maniera quanto più celere possibile all'autorità sanitaria locale, alle insegne della distribuzione e/o ai dettaglianti che hanno ricevuto il prodotto. Sarà cura del soggetto che ha rapporti con il cliente finale mantenere la comunicazione per un tempo ragionevole, considerata la shelf life dei lotti interessati. Compito delle autorità sanitarie sarà invece di verificare che il richiamo sia portato avanti nel modo corretto. Ma quello che accade in realtà è che, soprattutto quando il prodotto è stato distribuito in centinaia di punti vendita, magari anche in più regioni o più Stati, quella del controllo diventa un’operazione

tutt’altro che semplice. Nel caso in cui l’OSA non abbia messo in piedi ogni azione necessaria a tutelare la salute pubblica e scongiurare un pericolo per il consumatore, la ASL può disporre un’attività sostitutiva — come per esempio il sequestro cautelativo — addebitando le spese all’OSA e procedendo all’irrogazione delle sanzioni e, se necessario, inviando un’informativa all’autorità giudiziaria. C’è poi una norma che più di qualunque altra disposizione genera timori e reticenze. Gli obblighi di informazione dei produttori sono disciplinati dal richiamato Regolamento CE 178/2002 all’articolo 19 e dalla Legge 283/1962, che prevede che la produzione, la commercializzazione e la somministrazione di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione o invasi da parassiti o potenzialmente in grado di provocare danni alla salute del consumatore siano un reato e quindi perseguibili penalmente. A questa norma si aggiunge il Codice di procedura penale, che all’articolo 331 stabilisce che gli incaricati di un pubblico servizio, che nell’esercizio delle loro funzioni hanno notizia di reato, devono farne denuncia. Pertanto, l’autorità di controllo che riceve un documento che accerta il cattivo stato di conservazione di un cibo o infrazioni similari deve — oltre che provvedere al richiamo — segnalare la notizia di reato alla Procura. Un obbligo, quest’ultimo, che anziché agevolare il passaggio di informazioni, genera problemi enormi ai produttori e li mette di fronte alla difficile scelta: tutelare i propri clienti o autodenunciarsi? Non c’è solo paura di ripercussioni in termini di immagine, di problemi legali e di perdita del prodotto. La nostra normativa è ricca di meandri che la rendono insidiosa e di difficile applicazione. Deve essere la tutela del consumatore il faro che segna la strada in questo delicato ambito, ma il sistema dovrebbe avere un’impronta meno punitiva e più premiante verso chi intende usare trasparenza e dialogo con il mercato. Sebastiano Corona

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Presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti Sintesi a cura del CeIRSA del documento “EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain – Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood” È stata pubblicata a giugno 2016, da parte del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA, una relazione sulla presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti, con particolare attenzione ai prodotti ittici. Il CONTAM ha provveduto ad effettuare un riesame della letteratura scientifica attualmente disponibile in materia e a valutare il rischio di esposizione

per l’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati. Cosa sono le microplastiche e le nanoplastiche? L’EFSA definisce come microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 micrometri (µm), che corrispondono a 5 millimetri, e come nanoplastiche le particelle di dimensioni da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri).

Possono presentarsi in forma di pellet, fiocchi, fibre, sferoidi e granelli. Rappresentano un problema emergente, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente marino. Le microplastiche possono essere distinte in primarie e secondarie. Le microplastiche primarie comprendono, ad esempio, le polveri di plastica utilizzate per lo stampaggio, le microsfere impiegate nelle formulazioni cosmetiche o le resine

Dal momento che, nella maggior parte dei casi, stomaco e intestino dei pesci vengono eliminati, il rischio di esposizione per l’uomo alle microplastiche è basso in seguito al consumo di pesce. Viceversa, può invece risultare maggiore per quanto riguarda i molluschi bivalvi, dal momento che vengono consumati interamente.

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industriali. Le microplastiche secondarie (la forma predominante) originano dalla frammentazione dei rifiuti in plastica presenti negli oceani, attraverso l’esposizione prolungata alla luce ultravioletta (UV) e l’abrasione fisica, oppure possono provenire dall’ambiente terrestre. In quest’ultimo caso derivano principalmente da prodotti per la cura della persona (come il dentifricio e i prodotti detergenti), o da fibre tessili (ad esempio, i vestiti attraverso il lavaggio), che entrano nell’ambiente marino attraverso i sistemi fognari che non sono in grado di operare da filtro. Le nanoplastiche possono originare dall’ulteriore frammentazione delle microplastiche, oppure derivare da composti di natura industriale. A livello marino, le microplastiche sono state rilevate in una grande varietà di organismi zooplanctonici e anche in livelli trofici più elevati, sia invertebrati che vertebrati, esposti direttamente o tramite i livelli trofici inferiori. È stato stimato che la quantità totale di emissione secondaria di microplastiche nell’ambiente marino sia pari a 68.500-275.000 tonnellate all’anno (UE, 2016). Esiste un rischio per il consumatore legato al consumo di tali alimenti? L’EFSA ha messo in evidenza uno stato attuale di elevata carenza di informazioni utili a una valutazione del rischio completa. I dati attualmente presenti su concentrazioni, tossicità e tossicocinetica sono estremamente ridotti e riguardano esclusivamente le microplastiche, mentre la comunità scientifica non dispone ancora di informazioni per quanto riguarda le nanoplastiche. Gli alimenti per i quali si hanno a disposizione informazioni sulle concentrazioni sono alcuni prodotti ittici, tra cui pesce, gamberetti e molluschi bivalvi, e altri alimenti quali miele, birra e salgemma. Un ulteriore elemento critico risiede nel fatto che i dati forniti dalla letteratura sulle concentrazioni fanno riferimento a unità di misura diverse e quindi spesso non comparabili. Nei prodotti ittici la più alta concentrazione di microplastiche si riscontra a livello

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A livello marino, le microplastiche sono state rilevate in una grande varietà di organismi zooplanctonici e anche in livelli trofici più elevati, sia invertebrati che vertebrati, esposti direttamente o tramite i livelli trofici inferiori. del tratto gastrointestinale. Nel pesce il numero medio di particelle rinvenute è compreso tra 1 e 7, nei gamberetti è stata riscontrata una media di 0,75 particelle/g, mentre nei molluschi bivalvi il numero medio di particelle è di 0,2-4/g. Il contenuto medio di microplastiche riportate per il miele è pari a 0,166 fibre/g e 0,009 frammenti/g. Nella birra sono state trovate fibre, frammenti e granuli in quantità di 0,025, 0,033 e 0,017 per ml, rispettivamente. Nel salgemma è stato trovato un contenuto di microplastiche pari a 0,007 e 0,68 particelle/g. Dal momento che nella maggior parte dei casi stomaco e intestino dei pesci vengono eliminati, il rischio di esposizione per l’uomo alle microplastiche è basso in seguito al consumo di pesce. Viceversa, può invece risultare maggiore per quanto riguarda i molluschi bivalvi, dal momento che vengono consumati interamente. È inoltre noto come solo microplastiche inferiori a 150 µm possano traslocare attraverso l’epitelio intestinale causando un’esposizione sistemica, anche se l’assorbimento risulta essere comunque limitato (≤ 0,3%). Un rischio rappresentato dalle microplastiche è legato inoltre alla capacità di questi composti di accumulare contaminanti, quali i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) o residui di

composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (BPA). Sono state rilevate concentrazioni fino a 2.750 ng/g di PCB e 24.000 ng/g di IPA all’interno di microplastiche depositate presso le spiagge. È stato inoltre documentato che i detriti di plastica possano fungere da substrato per lo sviluppo di diverse popolazioni microbiche. È stato calcolato che una porzione di mitili di 225 g potrebbe contenere, considerando i livelli massimi, 7 microgrammi di microplastica. In base alla stima di cui sopra e considerando lo scenario peggiore, la porzione di cozze aumenterebbe il livello di esposizione ai PCB e ai IPA meno dello 0,01% e al bisfenolo A di meno del 2%. In conclusione, l’EFSA raccomanda un’ulteriore implementazione e standardizzazione dei metodi analitici per il rilevamento delle micro e nanoplastiche, al fine di valutare la loro presenza e quantificarne i livelli di presenza negli alimenti. Si rendono, inoltre, necessari ulteriori studi volti ad approfondire la tossicocinetica e la tossicità di tali composti sia negli organismi marini che nell’uomo. (Fonte: CeIRSA Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/4501)

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TECNOLOGIE

Blockchain: il cibo senza piĂš segreti La tecnologia corre in aiuto del comparto agroalimentare affinchĂŠ ogni informazione relativa al prodotto sia fruibile in tempo reale dal consumatore. Dopo un periodo di sperimentazione, ecco affacciarsi nel mercato le varie app di Sebastiano Corona

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Sul suo sito, la torinese Reply offre una definizione illuminante di “blockchain”: si tratta di un «registro transnazionale sicuro, condiviso da tutte le parti che operano all’interno di una data rete distribuita di computer. Registra e archivia tutte le transazioni che avvengono all’interno della rete, eliminando in definitiva la necessità di terze parti “fidate”».

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È uno di quei termini ricorrenti e talvolta abusati, a cui ultimamente ci siamo abituati, essendo riferito a diversi settori. Nata in ambito finanziario, quella che in italiano, con una brutta traduzione, si potrebbe definire la “catena dei blocchi”, è la tecnologia che sta alla base del bitcoin e che in ambito alimentare viene utilizzata per tracciare in modo automatico e da ogni punto di vista tutta la filiera. Si tratta di un modello rivoluzionario perché riguarda la trasmissione di moltissime informazioni sul prodotto, in tempo reale e con costi modesti. In sostanza la blockchain aumenta la sicurezza, la velocità e la riservatezza delle informazioni e garantisce un risparmio importante nei costi di tracciabilità e in quelli di comunicazione al consumatore. Sempre di più chi acquista vuole sapere in che modo il cibo è stato trattato e trasformato, che ingredienti lo compongono, quale sia la loro provenienza, se contiene OGM, conservanti o altre sostanze e molto altro ancora. Ma non basta: parte del mercato è interessata anche agli aspetti etici, del lavoro e dei rapporti commerciali e professionali che stanno alla base di quella specifica produzione. La blockchain prevede che tutto questo diventi di pubblico accesso e in tempi rapidissimi. Chi siede al tavolo di un ristorante può quindi conoscere in qualche secondo, e grazie ad un SMS dal suo cellulare, tutto ciò che c’è da sapere del piatto che gli è stato appena servito. Sicurezza e trasparenza al 100%, dunque. Un mondo senza più segreti, destinato a trasformare in maniera radicale il settore del food e tutto ciò che ci ruota attorno, dal campo alla tavola, passando per la distribuzione e la trasformazione. Un mondo senza più segreti, ma anche un ambiente in cui “fiducia” diventa la parola d’ordine, perché la si costruisce grazie ad una trasmissione di informazioni che non è solo sulla qualità del cibo, ma anche sugli aspetti della legalità del contesto in cui viene realizzato, il rispetto dei diritti dei lavoratori, l’assenza di fenomeni criminali alla base, l’os-

servanza delle norme e delle regole nei rapporti tra operatori. Il sistema si basa su una piattaforma digital ledger accessibile a tutti, che garantisce attendibilità delle informazioni e celerità nell’accesso e che non necessita di appoggiarsi a “documenti cartacei” o a terze parti fisiche che certificano i vari passaggi. Un sistema insomma che, pur rappresentando un enorme valore aggiunto, è anche sostenibile economicamente. Parola d’ordine: ricostruire la fiducia del consumatore Il mercato è sempre più interessato a conoscere ogni aspetto del prodotto. Non a caso si sono nel tempo sviluppati una serie di strumenti che vanno soprattutto a tutela del consumatore, come le denominazioni d’origine, le certificazioni di processo e di prodotto o quelle relative ad una certa tipologia di coltivazione e allevamento. La fiducia del consumatore — molte volte minata da scandali alimentari più o meno gravi, alcuni dei quali non legati unicamente all’igiene o alla sicurezza del prodotto, ma anche ad eventi criminosi nell’ambito della filiera — necessita di essere ricostruita. Va ricreato un clima di fiducia attorno al cibo e al comparto, perché, al di là degli aspetti relativi alla provenienza e alle caratteristiche dell’alimento e della materia prima, ci sono elementi di cui il consumatore vuole essere a conoscenza e che si fanno tanto più pregnanti quando si tratta di un consumatore digitale che si muove in un mercato vasto come quello attuale. Questo dispositivo diventerà sempre più richiesto e se oggi rappresenta unicamente un valore aggiunto al prodotto, che permette all’azienda di presentarsi meglio, tra qualche tempo diverrà certamente un must. Un alleato del produttore Il produttore ha dunque una serie di ottimi motivi per impiegare uno strumento che, oltre a rappresentare un ottimo biglietto da visita per il cliente, è un eccellente alleato nei processi di e-commerce e in contesti

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La tecnologia del QR code consente al consumatore di risalire, col solo utilizzo del suo telefonino, alla filiera produttiva completa (photo © Ildar Abulkhanov – stock.adobe.com). di internazionalizzazione e di digitalizzazione. Si tratta di un sistema che permette di evitare il cartaceo — e tutti i fastidi che questo comporta — vede un ampio impiego di automatismi che a loro volta riducono o cancellano del tutto le intermediazioni. Ne derivano dunque dei costi ridotti e un processo, nel complesso, molto meno soggetto all’errore umano. La blockchain è inoltre una garanzia in sede di verifica da parte di organismi preposti al controllo, poiché dà garanzie ampie di immediata tracciabilità e trasparenza nella filiera alimentare, a maggior ragione nell’ipotesi di un richiamo o di un ritiro. Il sistema ha il vantaggio di garantire grande riservatezza nel trattamento dei dati. L’immissione e la gestione delle informazioni possono essere disciplinate per mezzo di smart contract, che consentono l’accesso controllato solo tramite operazioni ben codificate, quali la creazione di un documento di certificazione, l’integrazione di informazioni ad un determinato lotto, la notifica di ricezione di un bene o la modifica dell’ownership di un servizio, solo per fare alcuni esempi. In più, si può impiegare la cosiddetta blockchain permissioned, che prevede un accesso riservato solo ad attori selezionati, con l’impiego di registri autorizzati e una governance

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che impone regole di ingresso. In ogni caso la visibilità e l’utilizzo dei dati avviene nel perimetro del GDPR per ciò che riguarda la privacy. Un alleato del made in Italy Nella convinzione che questo sistema sia una grande occasione per i produttori e non solo per i consumatori, anche la CNA AGROALIMENTARE, unione che associa quasi 26.000 imprese di trasformazione in Italia, ha avviato, con Sixtema e Infocert, una sperimentazione di blockchain permissioned. L’applicativo, inizialmente testato con successo in un’impresa che produce conserve vegetali biologiche e che esporta in tutto il mondo, è ora a disposizione delle migliaia di aziende artigiane e industriali che fanno capo alla nota confederazione. La filiera è stata tracciata dalla produzione primaria delle materie prime fino alla fornitura dei prodotti negli scaffali dei distributori. Il produttore ha individuato le informazioni che intendeva far arrivare al consumatore attraverso un semplice lettore di QR code e utilizzando anche soluzioni di geolocalizzazione, garantendo così validità legale ai documenti forniti. La app consente in questo modo al consumatore di risalire, col solo utilizzo del suo telefonino, alla filiera produttiva completa.

La blockchain permette di valorizzare l’azienda e il prodotto, offrendo un’immagine nuova e di grande trasparenza all’impresa, valorizzando la qualità dei prodotti e dandole la visibilità che necessita perché diventi davvero un valore aggiunto da spendere nel mercato Questo strumento permette di valorizzare l’azienda e il prodotto, offrendo un’immagine nuova e di grande trasparenza all’impresa, valorizzando la qualità dei prodotti e dandole la visibilità che necessita perché diventi davvero un valore aggiunto da spendere nel mercato. Una soluzione ancor più preziosa per tutto il made in Italy che con questa tecnologia può avere una maggiore tutela contro frodi e contraffazioni. Un alleato del consumatore Un altro esempio è il Food Trust Blockchain Network, un programma targato IBM frutto di una ragguardevole sperimentazione in cui sono stati tracciati e monitorati milioni di prodotti. Il network è ora pronto ad operare con giganti mondiali della distribuzione organizzata come TOPCO ASSOCIATES LLC o WALMART. CARREFOUR utilizza la blockchain in Italia già da mesi. Dopo averla inaugurata col Pollo Filiera Qualità Carrefour Italia, sta ora estendendo il sistema ad un migliaio di altri prodotti. Leggendo con lo smartphone il QR Code applicato sull’etichetta, il consumatore ha la possibilità di verificare in tempo reale le informazioni sull’intera filiera, dall’origine al punto vendita. Sa quindi davvero tutto della carne che mette nel carrello. Sebastiano Corona

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STORIA E CULTURA

“Na teciada de cape”

Marano Lagunare e la sua cucina di Giuliano Orel, Michele Pellizzato e Aurelio Zentilin

Se oggi è largamente diffuso il consumo di bivalvi anche nel periodo estivo, si deve comunque ricordare che nella tradizione di Marano Lagunare (UD) e di molte altre comunità pescherecce dell’Adriatico era fortemente sconsigliato mangiare questi frutti di mare. Non molto tempo fa, diciamo una cinquantina di anni, nessuno a Marano Lagunare consumava bivalvi (cape) nel periodo estivo, perché il consumo di questi molluschi era percepito come molto rischioso, in quanto poteva provocare problemi alla salute anche gravi: dai semplici disturbi intestinali a vere e proprie malattie che, per le persone debilitate, potevano portare alla morte. Peoci (mitili), cape tonde (cuori di laguna) e ostriche (ostriche

piatte) erano fra le specie ritenute più pericolose da mangiare in estate, mentre le capelonghe (cannolicchi) non erano disponibili poiché la pesca di mestiere, ieri come oggi, veniva esercitata solo nel periodo da ottobre a marzo. Una volta le cape erano considerate il cibo dei poveri in quanto erano molto abbondanti, facili da raccogliere e disponibili sia in laguna che nel litorale con una buona varietà di specie; in cucina, poi, non richiedevano l’uso di grandi fuochi, ma erano facilmente deperibili e non adatte al trasporto per l’assenza di frigoriferi e ghiaccio. La cattiva nomea di cui godevano questi molluschi filtratori derivava da un insieme di caratteristiche peculiari e

all’impreciso stato delle conoscenze e dell’igiene che fino a qualche decennio fa prevaleva in larga parte del nostro Paese. Lo sversamento di acque spesso contaminate da batteri fecali nei fiumi, in laguna e in mare, la presenza dei banchi naturali in vicinanza degli scarichi, il libero accesso alla risorsa, la facilità con cui potevano essere raccolti e la scarsa conoscenza delle dinamiche di prevenzione sanitaria, permettevano scambi, contaminazioni frequenti e veloci fra gli organismi patogeni, l’alimento molluschi e le popolazioni rivierasche. Questo dualismo tra facile disponibilità di risorse a basso costo e la loro potenziale pericolosità è una caratteristica presente in tutte le

Trieste, secolo scorso. Mussolera, carretto per la degustazione dei mussoli.

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comunità costiere del pianeta. Oggi, con le aumentate conoscenze scientifiche, le cose sono molto migliorate: le normative e i controlli sono giustamente molto severi, a tutela della salute, e anche noi possiamo fare qualcosa quando acquistiamo i molluschi da preparare a casa senza incorrere nei rischi capitati ai nostri avi. Innanzitutto leggiamo le indicazioni contenute nell’etichetta, che ci dicono: a. quale specie stiamo acquistando, b. come viene prodotta: allevata o pescata, c. da dove viene, d. che il prodotto deve essere vivo e vitale al momento dell’acquisto, il che sta ad indicare che, se uno tocca con le dita un mollusco con le valve aperte, questo si deve chiudere, e. che il prodotto va tenuto ad una temperatura compresa tra 0 °C e +6 °C, f. che il prodotto va consumato cotto, poiché con la cottura vengono “uccisi” gli eventuali agenti patogeni, possibili cause di infezioni gastroenteriche. Si ricorda che i molluschi sono da considerarsi “cotti” quando, dalla loro apertura nel tegame, la cottura prosegue per altri 5 minuti. L’etichetta ricopre un ruolo fondamentale, tanto che la si può definire la “carta d’identità” del prodotto a cui è attaccata. Merita ricordare, inoltre, che è vietato dalle norme acquistare bivalvi direttamente dalle imbarcazioni. Se nelle pescherie questi molluschi sono immersi in recipienti con acqua o se vengono “bagnati”, le cape perdono le caratteristiche di garanzia con cui sono usciti dal Centro di Spedizione, e quindi non sono da acquistare. Prima delle etichette Ritornando alla nostra storia, diciamo che le specie di molluschi bivalvi utilizzate nell’ambito costiero del Nord Adriatico ai fini alimentari e anche come “cibo di strada” erano molto più varie di quelle impiegate oggi. I nostri vecchi conoscevano

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Marano Lagunare (UD). Associare Marano con la laguna e la pesca risulta immediato e logico. Ancora molte famiglie maranesi infatti traggono il sostentamento dall’attività della pesca, oggi meno in laguna e più in mare aperto, confidando nell’eccezionale capacità di rinnovamento della natura. perfettamente tutte le specie commestibili e le loro qualità organolettiche; di conseguenza usavano anche modi originali per prepararle. Ai nostri giorni, chi sa distinguere con sicurezza un’ostrica piatta nostrana (Ostrea edulis) da un’ostrica concava “portoghese” (Crassostrea gigas), ormai naturalizzata? Un longone (Tapes aureus) da un lupino (Chamelea gallina)? Una vongola verace autoctona (Tapes decussatus) da una vongola verace filippina (Ruditapes philippinarum), ora definitivamente adatta-

ta nelle lagune alto-adriatiche? Una capa de deo (Ensis minor) da una capa de fero (Solen marginatus) o dal cannolicchio oceanico (Ensis directus) proveniente dall’Olanda, oggi sempre più presente nei nostri ristoranti perché disponibile tutto l’anno? Chi sa distinguere una cozza pelosa o modiola (Modiolus barbatus), un mitilo o cozza atlantica (Mytilus edulis) e un mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis)? La capasanta atlantica (Pecten maximus) dalla quella adriatica (Pecten jacobaeus)?

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A sinistra: ormai rarissimi “caparossoli dal scorso fin”. Solo per intenditori. A destra: telline. Chi riconosce le tre specie di canestrello (bianco, rosso e nero)? Chi sa riconoscere le due specie principali di telline, le cape a forma di scure (Donax semistriatus e Donax trunculus) presenti da noi? Chi tra i giovani sa cos’è el caparossolo dal scorso fin (Scrobicularia plana), ormai quasi scomparso dalle lagune ma ancora presente nei ricordi dei nostri vecchi che lo declamano per gusto e delicatezza delle carni definendolo el re de le cape?

Memorie di cucina Tra i ricordi di cucina, tralasciando gli attuali spaghetti ai frutti di mare, la saltata o l’impepata di cape, oppure i “soliti” gratinati caldi, ci sovviene cosa invece ci raccontava ZIA LISETTA, di come i Maranesi, a fine della giornata di pesca, solevano riunirsi in osteria per gustare le cape tonde (Cerastoderma glaucum), semplicemente “scottate” in uno scolapasta dove veniva versata sopra dell’acqua bollente ma poi,

Mussolo (Arca noae, Linnaeus, 1758), mollusco bivalve appartenente alla famiglia Arcidae. Diffuso in tutto il Mediterraneo, è pescato soprattutto lungo le coste istriane e dalmate. Queste zone erano talmente ricche di mussoli che durante il periodo dell’autarchia, a Salvare e Umago, si pensò addirittura di produrre degli insaccati costituiti dal mollusco cotto e condito con spezie.

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per mangiarle, bisognava aprirle “sciavetandole, cul con cul”! (NdR: per riuscire a separare le due valve, si prendeva tra pollice e indice di ogni mano un cerastoderma, poi si ponevano in contatto le due parti imbonali incernierate e, premendole con forza una contro l’altra, si esercitava una rotazione fino a che le cerniere non cedevano, schiudendo le due valve). Infine, avete presente i mussoli (Arca noae) tuttora pescati in minime quantità sui fondi fangosi detritici della costa istriana, nel Quarnero, tra le isole dalmate e al largo di Lignano, tra le concrezioni dure (grebeni) conosciute un tempo come mussolera? Fino alla metà degli anni ‘70, in diversi rioni di Trieste (San Giovanni, San Giacomo, Cavana, ma anche a Muggia), generalmente in vicinanza di osterie, facevano bella mostra di sé i banchetti de mussoli. Si trattava di semplici carretti attrezzati con un fuoco e una larga padella su cui, in un unico strato coperto da uno straccio bagnato, venivano cotti i mussoli, ma non troppo, per evitare che le carni divenissero coriacee. Quello che nel tempo non è cambiato è accompagnare le nostre cape con i nostri vini: la Malvasia istriana e il Tocai, scusate il refuso: il Friulano! Giuliano Orel Michele Pellizzato Aurelio Zentilin

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