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Mitilicoltura La rivincita di Taranto: la sua cozza è ora presidio Slow Food Chiara Papotti

La rivincita di Taranto: la sua cozza è ora presidio Slow Food

di Chiara Papotti

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La Cozza nera di Taranto oggi è un presidio Slow Food. Nel Tarantino l’ostricoltura era già fi orente in tarda epoca romana e nel Medioevo grazie alla bassa salinità in particolare del Mar Piccolo che favoriva il rapido accrescimento dei mitili. Nel XVI secolo i reggenti tarantini stabilirono nel Libro Rosso regole precise per evitare il sovrasfruttamento delle lagune costiere e i danni prodotti da alcuni attrezzi di pesca: un testo che sarà uno dei capisaldi della normativa sulla pesca del Regno d’Italia (photo © Marco Amatimaggio).

Tra un muro di seconde case e capannoni, interrotti a fatica da macchie verdi di agrumeti, si giunge a Taranto, annunciata dalla sue immense acciaierie. Nel dilemma tra riconversione industriale e sviluppo del turismo, il capoluogo pugliese vive da anni una malinconica decadenza.

Fortunatamente, Taranto non conosce declino per quanto riguarda i sapori della tradizione, legati all’incanto del mare, che sono rimasti quelli di un tempo. Oltre alle ostriche e alle alici, piccole e tenere, chiamate con poetica ghiottoneria “schiuma di mare”, sono le cozze a dominare le tavole cittadine.

Coltivate su fasciotti di lentisco immersi a pergolato nei cosiddetti “giardini” del Mar Piccolo, i cui fondali pullulanti di citri (sorgenti d’acqua dolce che sgorgano al mare) assicurano ai mitili succosità e sapore, le cozze tarantine sono da poco diventate presidio Slow Food. La mitilicoltura a Taranto ha origini

A 12-16 mesi dal fi ssaggio delle larve le cozze sono pronte per essere commercializzate (photo © Marco Amatimaggio).

antiche, i primi documenti risalgono al 1525, e il merito è senza dubbio delle condizioni ambientali uniche che caratterizzano il Mar Piccolo: «uno specchio d’acqua interno che è un ecosistema particolarissimo, caratterizzato dalla presenza di 34 sorgenti sotterranee di acqua dolce provenienti dalle Murge che vi confl uiscono» spiega LUCIANO CARRIERO, referente dei produttori del presidio.

Le cozze locali hanno trovato l’habitat ideale per svilupparsi e loro stesse fungono da “fi ltro” dell’acqua: «Se oggi scomparissero dal Mar Piccolo l’ecosistema cambierebbe radicalmente», racconta MARCO DADAMO, direttore della riserva naturale regionale Palude Vela di Taranto e membro dell’Advisory Board di Slow Fish, che ha collaborato allo sviluppo di tutela dei preziosi molluschi.

Mitili e olive

La vita dei mitili tarantini inizia nientemeno che dalle olive, altro prodotto tipicamente pugliese. Sono, infatti, i fi scoli, i dischi usati nella spremitura delle olive, il nutrimento principale delle larve. Si tratta, pertanto, di un fruttuoso riutilizzo che, altrimenti, sarebbe considerato rifi uto speciale. Fatti di canapa, vengono srotolati e trasformati in cime messe a pelo dell’acqua.

La pasta di olive del quale sono impregnati diventa cibo delle larve. Dopo un paio di mesi, avviene la fecondazione e le cozze vengono messe in pergolati di qualche metro di lunghezza, immersi nell’acqua.

La pratica di allevamento della cozza tarantina si basa, infatti, sull’uso di strutture portanti in legno o metallo, che vengono infi sse sul fondo del mare per sostenere funi di fi bra vegetale, a cui sono appese le cosiddette reste, calze di rete all’interno delle quali viene deposto il “novellame” (cozze di 1-2 cm di lunghezza).

La produzione dei mitili comincia nel mese di novembre con la preparazione dei letti, ovvero le griglie di corda. A marzo i letti vengono staccati e le cozze vengono ripulite dalla presenza di parassiti o altri microrganismi e lasciate fuori dall’acqua per non più di 24 ore. Vengono, dunque, rigettate in mare fi no al mese di aprile, quando verranno “sciorinate” (ossia stese al sole) e sottoposte al primo dei quattro innesti che garantiscono le produzioni successive.

A giugno la cozza diventa adulta ed è pronta per essere messa in commercio, dopo circa 15 mesi, durante i quali l’attacco dei parassiti, un surriscaldamento dell’acqua o una mareggiata improvvisa possono danneggiare i pergolati e far perdere molti molluschi.

La tutela dell’ambiente

La produzione coinvolge una ventina di mitilicoltori e si concentra nel se-

condo seno del Mar Piccolo, una vera e propria oasi che ha permesso alla città di Taranto di riscattarsi dopo i problemi ambientali che l’hanno vista al centro delle cronache nazionali. La cozza tarantina è l’unica in Italia a subire continui controlli qualità da parte delle AUSL, con circa trecento analisi all’anno. I bivalvi, infatti, assorbono tutto quello che si trova nell’acqua in cui crescono, dal plancton agli scarichi industriali. La purezza dell’acqua, quindi, è fondamentale per la salute dei molluschi e soltanto quelle pescate in acque di classe A possono essere mangiate senza bisogno di ulteriori depurazioni.

È grazie alle acque appositamente trattate e igienicamente controllate che le cozze di Taranto sono riuscite a distinguersi per

qualità e unicità.

Una scommessa sul futuro della città

Ma la conquista del presidio non è solo un investimento sulla salvaguardia della salute e dell’ambiente, ma anche un impegno nel contrastare i fenomeni dell’illecito e dell’abusivismo che vedono spesso per strada venditori ambulanti non autorizzati.

Il Centro Ittico di Taranto, partner Slow Food, riassume nella pratica i valori di merito che fanno di Taranto una città da prendere come esempio. I mitilicoltori taran-

tini sono stati tra i primi a sperimentare una rete per la pesca in materiale biodegradabile del tutto

compostabile.

Grazie alla collaborazione con partner scientifi ci, come il CNR, e tecnici, come Novamont, solo nell’ultimo anno, i produttori che aderiscono al presidio sono riusciti ad eliminare 5 tonnellate di plastica dagli allevamenti di cozze. Un risultato importante per l’ecosistema marino che fa dei pescatori un orgoglio per la città.

L’obiettivo, oltre a scongiurare il rischio di marine littering, cioè il rilascio di rifi uti in acqua, è quello di avviare un percorso di economia circolare per far sì che le reti, una volta esaurita la propria funzione, diventino compost utile per le aree verdi e quelle agricole del Tarantino.

Tra i produttori che aderiscono al presidio c’è anche FRANCESCO MARANGIONE. «Faccio il mitilicoltore per amore — racconta —: amore del mare, delle albe e dei tramonti, della libertà. Quando il mare ti entra nelle vene, è diffi cile che poi esca: a me è capitato da ragazzino, quando ho cominciato a dare una mano a mio padre. Slow Food? È uno spiraglio di luce e di speranza».

Le richieste di adesione da parte dei produttori continuano ad aumentare: segno della volontà di lasciarsi alle spalle l’immagine che per troppi anni ha accompagnato Taranto, riprendendosi quella vocazione storica legata al mare e alle sue eccellenze. «Questo è un presidio speciale, che va molto oltre il prodotto» conclude SERENA MILANO, direttrice di Slow Food Italia. «È una scommessa sul futuro di questa città».

Chiara Papotti

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