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La pagina scientifi ca L’acquaponica: tra opportunità e criticità M. V. Tignani et al
L’acquaponica: tra opportunità e criticità
di Maria Vittoria Tignani, Leonardo Bruni, Giuliana Parisi
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Come scrive RACHEL L. CARSON nella sua opera Primavera silenziosa (1962), In nature, nothing exists alone (JUNGE et al., 2017). Infatti, sapevate che è possibile far crescere delle colture direttamente sull’acqua, senza bisogno di suolo? Come? Attraverso l’acquaponica! Questo nome deriva dalla crasi di due parole, ossia “acquacoltura” e “idroponica”: infatti, combina l’allevamento di organismi acquatici (acquacoltura) con la coltivazione su acqua di colture terrestri (idroponica) (PALM et al., 2018). Il suffi sso “ponica” deriva dall’antico greco πόνος (lavoro) e, poiché i prefi ssi “acqua-” e “idro-” hanno signifi cato simile, spesso possono essere confuse e tradotte in maniera interscambiabile, senza rendere giustizia alla vera natura strutturale e funzionale dell’acquaponica.
A scanso di equivoci si precisa che il concetto di acquacoltura è individuabile nell’allevamento di organismi acquatici vegetali ed animali, in ambienti di acque dolci, salmastre, marine (CATAUDELLA e BRONZI, 2001) o saline interne (FAO, 2020), mentre idroponica signifi ca produrre colture senza suolo coltivando piante su soluzioni ricche di nutrienti che contengono una quantità adeguata di ossigeno disciolto (ABU-SHAHBA et al., 2021).
Concettualmente, dunque, l’acquaponica consiste in un processo di crescita simbiotica di organismi acquatici e piante, in cui gli effl uenti dell’acquacoltura subiscono trasformazioni da parte della fl ora microbica per essere utilizzati come fonte di nutrienti per la crescita delle piante, mentre, al contempo, l’assorbimento di nutrienti da parte delle piante bonifi ca l’acqua per l’allevamento degli organismi acquatici (YEP & ZHENG, 2019). Solitamente si parla di “acquaponica” quando almeno il 50% delle sostanze nutritive che
Figura 1– Numero di pubblicazioni scientifi che prodotte nel periodo 19782014 su idroponica, acquacoltura e acquaponica (JUNGE et al., 2020).
Figura 2– Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere entro il 2030 (unric.org/it/agenda-2030, consultato il 12 marzo 2022).
contribuiscono al fabbisogno ottimale delle piante deriva da scarti che hanno origine dall’allevamento di organismi acquatici (PALM et al., 2018). In sostanza, le deiezioni originate dai pesci fertilizzano l’acqua usata per irrigare le piante, e le piante al contempo puliscono l’acqua per i pesci che vi vengono ospitati. Dunque, in acquaponica, l’acqua assolve una duplice funzione: 1. da una parte, ospita i pesci e sostiene le colture; 2. dall’altra, permette di ottenere due prodotti alimentari in una volta sola.
Questa situazione è “win-win”, ossia “favorevole per tutti”, perché ci guadagniamo tutti (dalla pagina Instagram della FAO, www.instagram.com/p/CZI6hpmo0w3/?utm_ medium=copy_link). In questo articolo, verranno approfonditi i seguenti temi: • la storia dell’acquaponica e il suo contesto di sviluppo; • il suo funzionamento, in breve; • le componenti protagoniste di un sistema acquaponico; • i punti di forza e di debolezza, nonché le opportunità e le minacce di questo settore; • il futuro dell’acquaponica.
Cenni storici sull’acquaponica
Secondo molti studiosi, l’acquaponica affonderebbe le sue radici in tempi molto antichi. Infatti, il concetto di utilizzare escrementi dei pesci per fertilizzare le piante esiste da millenni, e sarebbe già stato applicato da civiltà molto antiche sia in Asia che in Sud America. Gli esempi più noti sono rappresentati dalle cosiddette “chinampa” azteche stabilite nei laghi poco profondi dell’America centrale (databili tra 1350-1150 a.C.) e il sistema integrato tra le risaie e l’allevamento acquicolo introdotto in Asia circa 1500 anni fa e tutt’oggi ancora utilizzato (JUNGE et al., 2020). Entrambi questi sistemi sono stati inseriti dalla Food and Agriculture Organization nella lista dei “Globally Important Agricultural Heritage Systems”.
Venendo al mondo “occidentale”, si può dire che i primi cenni di acquaponica in Europa sono identifi cabili nella messa a punto del sistema RAS, acronimo che sta per Recirculated Aquaculture System, alla fi ne degli anni Settanta del secolo scorso (JUNGE et al., 2020).
Negli stessi anni, l’acquaponica è approdata anche negli Stati Uniti d’America grazie agli studi di TODD, GOLDMAN e RYTHER sul riutilizzo di nutrienti dalle acque refl ue per la produzione vegetale e animale (JUNGE et al., 2020). Successivamente, grazie all’avanzamento tecnologico e all’acquisizione di nuove conoscenze sulla progettazione degli impianti, sulla biofi ltrazione e sugli ottimali rapporti piante/animali avvenuti nell’ultimo decennio dello scorso millennio, si è arrivati alla realizzazione di sistemi chiusi che consentono il riciclo dell’acqua e l’accumulo di nutrienti per la crescita delle piante (JUNGE et al., 2020).
Secondo JUNGE et al. (2020), tra gli studiosi pionieri che hanno promosso l’ascesa di questo settore si devono annoverare MARK
MCMURTRY, JAMES RAKOCY, WILSON LENNARD, NICK SAVIDOV. Tuttavia, la ricerca sull’acquaponica è davvero decollata solo dopo il 2010, come si può vedere in Figura 1, in cui si confronta il numero di pubblicazioni scientifi che su idroponica, acquacoltura e acquaponica nel periodo di tempo compreso tra il 1978 e il 2014. Permane, in ogni caso, una grande differenza tra ciò di cui il mondo sta “parlando” e ciò che è attualmente oggetto di ricerca (JUNGE et al., 2020).
Figura 3 – Diagramma di funzionamento di un sistema acquaponico con annesso il ciclo dell’azoto (Wei et al., 2019).
Il contesto
Lo sviluppo dell’acquaponica è contestualizzabile in uno scenario sociale, economico e ambientale estremamente delicato. In primis, la capacità portante del nostro pianeta sta venendo messa a dura prova. La crescita demografi ca ha un ritmo, ad oggi, pressoché iperbolico e si prevede che possa raggiungere, entro il 2050, la strabiliante cifra di 10 miliardi (GODDEK et al., 2019). In questo senso sembra che, nello stesso arco di tempo, il 66% della popolazione mondiale si stabilirà a vivere nelle città, con una crescita elevatissima del tasso di urbanizzazione a discapito delle aree rurali (GODDEK et al., 2019).
Dati questi elementi, ne risulta che anche le produzioni a scopo alimentare dovranno intensifi carsi per poter far fronte a un’insistente domanda da parte di una popolazione mondiale sempre più numerosa e sempre più affamata. Tuttavia, è ben noto che le produzioni alimentari si basano sulla disponibilità di risorse naturali (come la terra, l’acqua e l’energia fossile), ma il contemporaneo consumo (e la degradazione) di queste risorse sta eccedendo il loro tasso di rigenerazione globale (GODDEK et al., 2019). Dunque, molti stressors — tra cui il riscaldamento globale, l’inquinamento, l’urbanizzazione e la correlata perdita di biodiversità — stanno compromettendo la disponibilità di acqua e suolo fertile, rendendo la produzione alimentare sempre più diffi cile e imprevedibile in molte regioni del mondo (GODDEK et al., 2019).
Queste condizioni richiedono l’adozione di rapidi progressi tecnologici, di nuovi metodi di produzione e di fi liere alimentari più effi cienti e sostenibili, dato che circa un miliardo di persone è già cronicamente malnutrito, mentre gli attuali sistemi agricoli continuano a degradare terra, acqua e biodiversità su scala globale (GODDEK et al., 2019).
Secondo gli economisti ambientali, devono essere riconosciuti dei “limiti” (i cosiddetti planetary boundaries) entro cui l’umanità può agire in maniera sicura nei confronti della scarsità delle risorse. Pertanto, una grande sfi da globale è spostare il modello economico basato sulla crescita verso un paradigma più ecologicamente equilibrato che sostituisca la crescita infi nita con lo sviluppo sostenibile.
In tal senso, per “sviluppo sostenibile” si intende — secondo l’ONU — quell’approccio che soddisfa i bisogni delle attuali generazioni senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie necessità. La FAO, più specifi catamente, lo defi nisce come «the management and conservation of the natural resource base, and the orientation of technological and institutional change in such a manner as to ensure the attainment and continued satisfaction of human needs for present and future generations. Such sustainable development (in the agriculture, forestry, and fi sheries sectors) conserves land, water, plant and animal genetic resources, is environmentally nondegrading, technologically appropriate, economically viable and socially acceptable» (FAO Council, 1989, www.fao.org/3/z5278en/ z5278en.pdf).
La presenza degli animali è al centro del sistema produttivo di un sistema di acquaponica (photo © PentairAES via Twitter).
Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), conosciuti anche con l’acronimo inglese SDGs, ossia Sustainable Development Goals, sono un insieme universale di obiettivi e traguardi concordati da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite per guidare le loro politiche e iniziative di sviluppo nei prossimi dieci anni e si applicano sulla base del riconoscimento e della tutela fondamentale dei diritti umani, della dignità e dell’equità.
L’Agenda 2030, un programma d’azione adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 che delinea a livello mondiale le direttrici delle attività da intraprendere fi no ai 15 anni successivi, enfatizza le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e la collaborazione (SUBASINGHE, 2015). Con i suoi 17 obiettivi principali (che fanno seguito agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, OSM, ossia Millennium Development Goals, MDGs), essa si concentra soprattutto sull’eliminazione della fame, sulla riduzione della povertà e delle disuguaglianze in tutte le loro forme. Riconosce la necessità non solo di innovazione e di sviluppo economico, ma anche di protezione sociale.
Non da ultimo, l’Agenda 2030 si impegna a sostenere l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, promuovendo e facilitando l’effi cienza energetica e l’energia pulita e cercando di ridurre la pressione dell’attività economica umana sull’ambiente naturale, attraverso la protezione degli habitat e degli ecosistemi e una maggiore effi cienza nell’uso delle risorse, con metodi di produzione e consumo sostenibili. Essa mira ad aumentare la resilienza alla volatilità del mercato e all’instabilità politica (HAMBREY, 2017) e a costruire società pacifi che, giuste e inclusive.
Secondo SUBASINGHE (2015), è nel settore primario e nella fornitura alimentare che si trova il collegamento fondamentale tra le persone e il pianeta e il percorso verso una crescita inclusiva e sostenibile, ed anche la FAO ha sottolineato il fatto che l’alimentazione e l’agricoltura sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi proposti dall’Agenda 2030 (SUBASINGHE, 2015).
Al fi ne di mantenere un paradigma equilibrato, sono necessari sistemi di produzione innovativi ed ecologicamente più sani, in modo tale che i compromessi tra i bisogni umani immediati possano essere bilanciati, pur mantenendo la capacità della biosfera di fornire i beni e i servizi richiesti. L’acquaponica fornisce in maniera promettente parte della soluzione, alleviando e talvolta eliminando gli impatti ambientali negativi tipicamente associati all’acquacoltura e all’agricoltura intensive (MAUCIERI et al., 2018).
Il funzionamento di un sistema acquaponico… in breve
Ribadiamo la defi nizione di acquaponica per poter capire in maniera approfondita gli aspetti principali che ne caratterizzano il corretto funzionamento. Nella defi nizione di BAGANZ et al. (2021) viene evidenziato come l’acquaponica sia un sistema emergente di produzione alimentare sostenibile, che combina l’allevamento ittico con la coltivazione fuori suolo in sistemi multitrofi ci integrati in cui animali, piante e microrganismi sono in simbiosi. In questo senso, è deducibile che un classico sistema acquaponico sia costituito da almeno tre unità principali: 1. l’unità di acquacoltura, comprendente le vasche contenenti pesci (PALM et al., 2018); 2. un sistema di fi ltrazione, comprendente ad esempio dispositivi di rimozione dei fanghi e di biofi ltrazione (PALM et al., 2018); 3. una componente idroponica per la coltivazione di piante. Tra queste, si annoverano la coltura in acque profonde (DWC), la tecnica del fi lm nutritivo (NFT), le tavole di fl usso e rifl usso, i sistemi di gocciolamento, i sistemi aeroponici e altro ancora (PALM et al., 2018).
Introdotti i componenti principali di un sistema acquaponico, possiamo passare più nel dettaglio al funzionamento del sistema stesso. Partendo dal presupposto che i sistemi convenzionali di acquacoltura sono basati su elevate densità, alti tassi di somministrazione alimentare e, conseguentemente, dal ricambio dell’acqua (dunque, allevamenti intensivi o iper-intensivi), ne deriva che l’azoto, il fosforo e tutte le sostanze contenute nei mangimi somministrati vengono convertite in particolato e in sostanze nocive per gli animali acquatici, quali azoto ammoniacale, nitriti, acido solfi drico e altre componenti (WEI et al., 2019). Tali
molecole possono causare, a seconda della loro natura, effetti immediati ed effetti di accumulo, raggiungendo livelli tali da inibire la respirazione, l’alimentazione e la crescita dei pesci, fi no persino a comprometterne la capacità di sopravvivenza (WEI et al., 2019).
Grazie al funzionamento di un impianto acquaponico, gli escrementi degli organismi acquatici, assieme ai residui alimentari non ingeriti dagli stessi, possono essere utilizzati per decomporre in nitriti da parte dei microrganismi l’azoto ammoniacale presente nell’acqua (WEI et al., 2019). Successivamente, i batteri nitrifi canti trasformano a loro volta il nitrito in nitrato, facilmente assimilabile come sostanza nutritiva dalle piante coltivate nel sistema (WEI et al., 2019).
Per capire come l’acquaponica rappresenti un modello produttivo ecologico e un ciclo “virtuoso” approfondiamo l’aspetto dell’azoto (WEI et al., 2019), schematizzato in Figura 3. I vegetali che vengono coltivati nel sistema legano l’azoto alle componenti organiche (WEI et al., 2019). In conclusione, il ciclo dell’azoto ha luogo coinvolgendo sia pesci che piante senza danneggiare nessuno dei due; anzi: il risultato che si ottiene da questa simbiosi si concretizza nell’effetto ecologico del riciclo dei nutrienti, che permette a sua volta un notevole risparmio nei costi della purifi cazione dell’acqua e garantisce l’ottenimento di prodotti di origine sia animale che vegetale, “pollution-free” (WEI et al., 2019). Pertanto, si può dire che l’ambiente acquatico di allevamento e coltivazione viene di per sé migliorato in maniera estremamente effi ciente. Ancora, dopo che l’acqua è stata purifi cata dall’azoto ammoniacale, questa può essere nuovamente riutilizzata attraverso il sistema idrico di ricircolazione, la cui presenza e il cui funzionamento permettono un approccio sostenibile che sia resource-saving, out-of-waste e antieutrofi zzante.
Approfondendo molto brevemente il criterio di gestione del ciclo dell’acqua, possiamo avere sistemi a circolo aperto (open-loop) e disac-
Impianti acquaponici, high-tech o rudimentali che siano possono avere un ruolo importante nella didattica, oltre che nella ricerca.
coppiati oppure a circolo chiuso e, dunque, accoppiati (closed-loop). Nel primo caso è permesso un controllo indipendente su ogni unità di sistema, principalmente imputabile alle ovviamente diverse esigenze ambientali di pesci e piante (BAGANZ et al., 2021).
Fondamentalmente, i sistemi acquaponici disaccoppiati sono costituiti da un RAS collegato all’unità idroponica (con serbatoio aggiuntivo) tramite una valvola unidirezionale. L’acqua viene fatta ricircolare separatamente all’interno di ciascun sistema e fornita dal RAS su richiesta dell’unità idroponica, ma non rifl uisce. Invece, nel secondo caso, i sistemi acquaponici possono essere costruiti e gestiti come a circuito di ricircolo, con il fl usso d’acqua che si muove dalla vasca dei pesci all’unità idroponica e fa ritorno alla vasca dei pesci (BAGANZ et al., 2021).
In relazione al criterio di gestione, i sistemi possono essere distinti in estensivi (con l’utilizzo integrato degli escrementi dei pesci) ed intensivi (con la separazione degli effl uenti). La produzione estensiva indirizza i cosiddetti “fanghi” direttamente all’interno del comparto idroponico, utilizzando substrati che forniscono il supporto appropriato per la crescita del biofi lm microbico, come ghiaia, sabbia e argilla espansa. La produzione intensiva utilizza un sistema di separazione dei fanghi e un biofi ltro separato (PALM et al., 2018).
I protagonisti di un impianto acquaponico
Come già introdotto, esistono diverse defi nizioni ed interpretazioni di “acquaponica”, dato che questo termine è già stato usato da numerosi autori in contesti diversi; ciononostante, tutte le defi nizioni racchiudono il concetto di coltivazione di piante combinata con l’allevamento di pesci. La presenza degli animali è al centro del sistema produttivo. A questo proposito, secondo BAGANZ et al. (2021), la densità di allevamento del pesce è un fattore chiave per il bilanciamento degli ecosistemi acquaponici, poiché infl uisce direttamente sulla qualità dell’acqua in termini di nutrienti, gas e sottoprodotti di scarto, infl uenzando di conseguenza la crescita delle piante così come la salute e la crescita dei pesci.
Secondo molti autori, le caratteristiche principali di una specie ittica per essere allevata in acquaponica riguardano il suo grado di tolleranza a un’elevata densità di capi in vasca e ad un’alta concentrazione di solidi totali sospesi, azoto, fosforo e potassio. In quest’ottica, per quanto riguarda le specie ittiche più allevate in un sistema acquaponico, è interessante citare uno studio internazionale condotto da LOVE et al. (2015): su 257 impianti acquaponici analizzati, il 69% di questi allevava tilapia (Oreochromis niloticus), il 43% pesci ornamentali e il 25% siluriformi (Siluriformes), ad esempio il pesce gatto (Clarias gariepinus).
Tuttavia, la ricerca è andata avanti ed altre specie ittiche il cui allevamento è stato oggetto di interesse per la combinazione con coltivazione di ortofrutticole fuori suolo sono state, a livello mondiale, la trota (Oncorhynchus mykiss), la carpa comune (Cyprinus carpio), il barramundi (Lates calcarifer), il persico trota (Micropterus salmoides), il pacu (Piaractus mesopotamicus), specie del genere Pomoxis e il merluzzo di Murray (Maccullochella peelii) (LOVE et al., 2015). Inoltre, nuove entrate in questo ambito possono essere raffi gurate da alcuni organismi acquatici appartenenti alla Famiglia Acipenseridae (come gli storioni) e il salmerino alpino (Salvelinus alpinus), che sono stati suggeriti come animali effi cienti nei sistemi acquaponici, ma non sono stati riportati in pubblicazioni scientifi che (LOVE et al., 2015). Infi ne, ad oggi, si sta cercando di allevare anche pesci eurialini, quali spigola (Dicentrarchus labrax) e orate (Sparus aurata), con la non indifferente diffi coltà di dover gestire acqua salata in relazione alla coltura vegetale abbinata.
Spostandoci dall’altro lato della simbiosi, è stato visto che, in generale, è preferibile la coltivazione di ortaggi “a foglia”, dato che crescono bene in acque con alte concentrazioni di azoto, hanno un periodo di accrescimento veloce e breve, non hanno fabbisogni nutritivi elevati e sono molto richiesti dal mercato (LOVE et al., 2015). Al contrario, le colture fl oricole, nonostante il valore economico più elevato rispetto a quello delle specie vegetali precedenti, mostrano delle performance di accrescimento peggiori se coltivate in acquaponica, a causa degli esigenti fabbisogni nutritivi di fosforo e potassio, la loro maggiore suscettibilità a parassiti e malattie e i loro cicli biologici-produttivi decisa mente più lunghi (LOVE et al., 2015). Questo
potrebbe spiegare perché la coltivazione in acquaponica delle erbacee e di orticole non frut ticole viene preferita. Sempre LOVE et al. (2015) hanno individuato nel basilico (Ocimum basilicum) e in altre offi cinali aromatiche, nelle insalate verdi, nel pomodoro (Solanum lycopersicum), nella lattuga (Lactuca sativa), nel cavolo (cappuccio) (Brassica oleracea), nella bietola (Beta vulgaris ssp. cicla) e negli spinaci (Spinacia oleracea), nel pak choi (Brassica rapa), nel peperone (Capsicum annuum) e nel cetriolo (Cucumis sativus) le colture più adattabili e, dunque, redditizie in un sistema acquaponico.
Inoltre, incredibile ma vero, si possono coltivare certe tipologie di piante anche in un sistema acquaponico salato o salmastro (come nel caso di quelli che includono orata o spigola): una di queste specie vegetali è senz’altro rappresentata da Salicornia persica.
Pluralità dell’acquaponica
È stato segnalato che una debolezza dell’acquaponica, non suffi cientemente affrontata dal mondo scientifi co, risiede nella non ovvia sostenibilità economica dei sistemi acquaponici a confronto con gli analoghi sistemi produttivi solo idroponici o solo RAS. È probabile che questa lacuna sia anche dovuta al fatto che l’acquaponica ha un ampio range di applicazioni e fi nalità (PALM et al., 2018). Effettivamente, giacché la tecnologia risulta da una fusione di due tecnologie preesistenti, ovvero la coltivazione in idroponica e l’acquacoltura a ricircolo, molteplici sono le nomenclature esistenti che descrivono l’ampio ventaglio degli impianti acquaponici. Gli impianti possono essere catalogati secondo la loro ampiezza, il tipo di acqua (dolce, salmastra o salata), la tipologia del comparto idroponico, la modalità operativa del comparto ittico (intensivo o estensivo), l’utilizzo dello spazio (orizzontale o verticale), la gestione dell’acqua (sistema accoppiato o disaccoppiato), il management e la modalità operativa dell’impianto e, infi ne, secondo la fi nalità operativa e lo stakeholder principale (MAUCIERI et al., 2018).
Spia di una tecnologia ancora giovane, questa catalogazione così varia può confondere, tuttavia lascia aperte enormi potenzialità. Le molteplici opzioni si rifl ettono in una altrettanto ampia adattabilità, permettendo di individuare il tipo di tecnologia, di gestione e di fi nalità che più si confà al territorio in cui si opera e alla fi nalità a cui si punta. Prendiamo come esempio tre diverse fi nalità operative: 1. produzione commerciale; 2. fabbisogno domestico e hobbistica; 3. didattica.
Avvalendosi di tecnologie hightech e degli insegnamenti dall’industria 4.0 (come gestione di big data, internet delle cose, robotica, cloud computing, intelligenza artifi ciale, ecc…; ABBASI et al., 2021), con un’importante spesa iniziale e una gestione e manutenzione effettuate da personale altamente specializzato, è possibile costruire un impianto produttivo all’avanguardia. I luoghi geografi ci dove questo è possibile sono da ritrovarsi in alcune zone vocate alla produzione primaria high-tech. All’opposto, impianti acquaponici non professionali che hanno la fi nalità di supplire al fabbisogno domestico o all’hobbistica possono essere costruiti con materiali più rudimentali o recuperati da altre attività. Non è necessario affi dare la loro gestione e manutenzione a personale specializzato in virtù della semplicità dell’impianto, che avrà costi capitali e operativi relativamente bassi pur rimanendo un’unità produttiva integrata virtuosa, con un basso impiego di acqua e di fonti nutritive e quindi con un basso impatto ambientale (JUNGE et al., 2017).
Impianti acquaponici, high-tech o rudimentali che siano, possono avere un ruolo importante nella didattica, oltre che nella ricerca (MAUCIERI et al., 2018). A tal proposito, si sta discutendo se nel futuro dell’acquaponica prevarranno gli impianti disaccoppiati piuttosto che gli accoppiati. Negli impianti disaccoppiati l’acqua proveniente dalla zona di allevamento, ricca di sostanze di scarto dei pesci ovvero di nutrimento per le piante, una volta fl uita attraverso la parte idroponica e quindi “pulita” non viene reimmessa nel circolo.
Rendendo meno dipendenti le due componenti produttive è possibile gestire più oculatamente le due singole produzioni, aggirando il limite degli impianti accoppiati, limite che è imposto dal dover mantenere l’acqua con valori che sono un compromesso tra le condizioni ottimali per le piante e le condizioni ottimali per i pesci (GODDEK & KÖRNER, 2019).
Negli impianti disaccoppiati l’acqua proviene dalla zona di allevamento ed è ricca di sostanze di scarto dei pesci ovvero di nutrimento per le piante.
Conclusioni: concisa analisi SWOT di settore
A ogni buon conto, la produzione in acquaponica presenta sia punti di forza che punti di debolezza, sia benefi ci che svantaggi. Tra gli innumerevoli punti di forza vale sicuramente la pena menzionare l’effi ciente utilizzo o il riciclo delle risorse d’acqua e di nutrienti (derivati dal mangime), primo per importanza il fosforo; l’affrancamento da erbicidi e pesticidi chimici (YEP & ZHENG, 2019) e lo scarso utilizzo di quelli di origine biologica; minor ricorso ad antibiotici (YEP & ZHENG, 2019); un alto livello di biosicurezza; costi operativi potenzialmente ridotti se l’acquaponica viene posta a confronto con le analoghe produzioni idroponiche e d’acquacoltura prese separatamente; possibilità di installazione su superfi cie non destinata all’agricoltura; materiali di costruzione e informazioni ampiamente disponibili per la costruzione di impianti rudimentali ma ugualmente produttivi; adattabilità a tutte le varietà di climi, contesti (rurale o urbano) e fi nalità (hobbistica, didattica, ricerca, fabbisogno domestico, reddito); sfruttamento del volume a disposizione e conseguente incremento della produttività per unità di superfi cie; produzione di cibo a km 0. Tra le debolezze ricordiamo invece: una dispendiosa fase di startup; una necessaria approfondita conoscenza degli organismi (pesci, piante e… batteri!); differenti requisiti per quanto riguarda i valori ambientali, specialmente dell’acqua, da parte di pesci e piante; un’elevata richiesta di energia per l’attrezzatura elettrica e per il bilancio termico; problematiche legislative in Europa, in cui lo status legale è ancora poco chiaro per quanto riguarda l’attività imprenditoriale (JUNGE et al., 2020).
Nel presente articolo sono stati approfonditi solo due dei numerosi aspetti che nel 2017 hanno portato un gruppo di esperti sull’acquaponica dell’azione COST FA1305 “The EU Aquaponics Hub” a defi nire “immatura” questa tecnologia (JUNGE et al., 2017). A distanza di 5 anni, è possibile affermare che il mondo scientifi co ha sentito il bisogno di dare una risposta alle numerose problematiche di combinare la produzione idroponica con l’acquacoltura, come mostra il rapido aumento di studi in letteratura. Rimangono numerose le questioni irrisolte e altrettanto numerosi gli orizzonti di sviluppo.
Maria Vittoria Tignani Leonardo Bruni Giuliana Parisi
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali-Sezione di Scienze Animali Università degli Studi di Firenze
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