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Pesca Lanzarote, storie di pesca e pescatori canari Massimiliano Rella

Lanzarote, storie di pesca e pescatori canari

di Massimiliano Rella

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Lanzarote è tra le più incantevoli

delle Canarie, l’arcipelago spagnolo al largo delle coste del Marocco, nell’oceano Atlantico. Isola vulcanica, terra di vino, è anche e soprattutto un luogo di pesca grossa: tonni, cernie, blue marlin, solo per citare i big size della fruttuosa attività ittica locale che non disdegna taglie “minori” come polpi, jurel (sugarello mediterraneo), salpe (saleme), saraghi, meri (sottofamiglia delle Epinephelinae), ecc… Tra le bontà del mare anche il “gambero soldato” e i lapas, una specie autoctona di patella.

Poco tempo fa, proprio sulle quote del tonno i pescatori canari hanno promosso una protesta ricordata per mesi nei porticcioli con teli e cartelli contro Bruxelles, sui quali campeggiava la parola d’ordine “Un Hombre Un Anzuelo” (Un Uomo Un Amo), per portare all’attenzione della politica comunitaria la specifi cità della pesca al tonno alle Canarie. «A noi abbassano le quote, ad altri le alzano, ma qui il tonno si pesca a canna», puntualizza il cuoco-pescatore DAVID GARCÍA della Cofradía La Tiñosa.

Le Cofradías sono confraternite di pescatori dislocate nei villaggi dotati di un porticciolo, che a volte gestiscono un proprio ristorante per assicurarsi integrazione di reddito

e vendere tutto il pescato. Sono una tipica forma di cooperazione economica e solidale diffusa nelle isole Canarie.

Ad esempio il ristorante della Cofradía La Tiñosa aggrega 40 pescherecci, è situato sul molo di Puerto del Carmen, ha un bar caffetteria e tavolini all’aperto con vista sulle imbarcazioni. Il cuoco-pescatore David García lo dirige da anni per conto della confraternita, proponenA sinistra: il porticciolo di Puerto del Carmen. A destra, in alto: Cristobal Olivero, pescatore del villaggio di La Santa. In basso: cartelli di protesta dei pescatori canari sulle quote di pesca del tonno.

In alto: il cuoco-pescatore David García. In basso: sugarelli dell’Atlantico al ristorante della Cofradía La Tiñosa a Puerto del Carmen.

Il sancocho canario è uno dei piatti simbolo della gastronomia delle Canarie. A base di pesce essiccato, il più delle volte cernia o vieja, patate e patate dolci, si accompagna ai mojos rosso e verde e spesso alla pella de gofi o.

do ogni giorno pescato freschissimo e piatti onesti — merluzzi, cernie, barracuda, pagro (bocinegro), grandi sugarelli, corvine, ecc… — da abbinare ad una carta dei vini ridotta, ma spagnola, e con focus sulle etichette della vulcanica Lanzarote, in particolare sui bianchi. Questi piatti unici di pesce — un pasto completo accompagnato da un contorno d’insalata e patate “rugose” locali —, oscillano dai 14 a 19 euro. Un aiuto importante per i pescatori canari.

«Lanzarote è caratterizzata dalla presenza di una piattaforma di scogli che in poca distanza sprofonda dai 500 ai 1.000 metri di profondità — ci spiega David García — così a seconda delle zone si pescano pesci diversi. A nord, dove la piattaforma è più lunga prevale la pesca della cernia, che insieme alla corvina e alla vieja (pesce pappagallo) è usata per il sancocho, un piatto tipico canario nato all’epoca delle dominazioni spagnole sulle zone del Sahara e del Nord Africa.

All’epoca i pescatori usavano salare questi grandi pesci per necessità di conservazione durante i viaggi. Ancora oggi sono essiccati sotto strati di sale e messi al sole durante il giorno per accelerare il processo di asciugatura, ma fi no a qualche

anno fa venivano essiccati all’aperto lungo i porticcioli — ricorda García — poi la pratica è stata vietata da norme comunitarie per questioni igieniche; eppure così è stato fatto per secoli…».

Un esempio di essiccatoio naturale è quello che il giovane SANTI RAMIREZ gestisce vicino al porticciolo di Órzola, da dove partono i traghetti per il vicino isolotto di La Graciosa (appena 600 abitanti, quasi tutti pescatori e/o impegnati nel turismo). Incontriamo Ramirez mentre sta lavorando sulle viejas. «Le mettiamo minimo 3 ore sotto uno strato di sale marino, poi le sciacquiamo e lasciamo essiccare al sole per 3/4 giorni, a seconda della pezzatura. I pesci più grandi sono pressati con una pietra. La sera li rovesciamo per non esporre all’umidità il lato interno carnoso, con la parte della pelle rivolta invece verso il cielo. Possono durare un paio d’anni — continua — si mangiano “crudi” con i mojos, alla griglia oppure con la nostra ricetta del sancocho canario».

Prima di consumare il sancocho il pesce viene ammollato in acqua corrente per 2/3 giorni, come si fa col baccalà. In cucina normalmente è stufato con patate rugose e batata, una patata dolce tipo americana e gofi o, una farina di cereali misti tostati, il tutto accompagnato dai mojos, le tipiche salse canarie: verde con olio evo, prezzemolo e coriandolo, rossa con paprica.

Un’altra storia interessante è quella di CRISTOBAL OLIVERO, pescatore da quando era bambino. Oggi tutti i pescherecci del porticciolo di La Santa appartengono alla famiglia, che vende pesce fresco all’ingrosso e alla ristorazione locale. «Questo è uno dei mari migliori per il merluzzo, per la vieja, il mero, la cabrilla, la sama, lo jurel, la salema, il sarago, ma anche per i piccoli gamberetti della Santa e quello che chiamiamo carabinero, un gambero rosso grande e molto prelibato. Fino al ‘95 ad Arrecife, la capitale dell’isola, c’erano varie aziende di trasformazione del pesce, poi hanno chiuso. Oggi per la pesca è sempre più dura, ma noi resistiamo».

Massimiliano Rella

In alto: Santi Ramirez. In basso: le Viejas, i pesci pappagallo. Essiccati la sera, vengono girati per non esporre all’umidità il lato interno carnoso.

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