3 minute read
Il pesce in tavola I racconti della mormora Giorgia Fieni
I racconti della mormora
di Giorgia Fieni
Advertisement
Mormorare è sinonimo di sussurrare. Una parola dal suono così melodioso che spesso appare nelle canzoni. Dalla celebre e patriottica Il Piave a Claudio Villa, Gianni Morandi, Jovanotti… nei loro brani c’è sempre qualcuno che sussurra, sottovoce, ma in modo deciso. Mi piace quindi pensare al pesce mormora come a una specie che, in cucina, ha qualcosa da raccontare, anzi, un segreto da rivelare.
Anche se ha un aspetto innocuo —profi lo ovale, 35-45 cm di lunghezza, 300-400 g di peso, colore giallo o grigio, sfumature argento — può somigliare ad un sarago o a un dentice. Di particolare ha solo che nei fondali sabbiosi, dove vive, rimane da giovane in branco, mentre da adulto (fi no ai 12 anni) è un pesce molto solitario. Al massimo, in estate, si avvicina alla costa per cercare cibo (vermi, anellidi, alghe, molluschi) ed è proprio in quel momento che viene catturato.
Lo ammetto, magari la sua esistenza non è memorabile, ma una volta pescato e correttamente privato di lische e pelle (alcuni lo incidono, per favorire la cottura) forse qualche storia può narrarcela.
C’erano una volta una mormora e alcune patate che convivevano assieme al calduccio in un bel cartoccio. Qualche volta a loro si univano anche dei buoni funghi e si facevano compagnia aspettando di arrivare fumanti nel piatto.
C’era una volta una mormora che, dopo aver indossato un bel costumino di uova e pangrattato (o di bianca farina, magari aromatizzata con qualche spezia), amava saltellare nell’olio, diventando croccante e golosa.
C’era una volta una mormora la cui migliore amica si chiamava pasta. Le faceva compagnia giocando assieme in un sugo con gamberoni e scampi o zucchine e pomodorini.
C’era una volta una mormora a cui piaceva stare al fresco, senza cottura, in mezzo a sedano, fragole e basilico, dove ciascuno poteva essere scambiato con l’altro, visto che erano tutti tagliati uguali e conditi insieme con una dolce citronette.
C’era una volta una mormora pazzerella a cui piaceva nascondersi: in un panino coi lampascioni, fra le mele al forno e la mozzarella di bufala, sotto una crosta di riso nero, sotto
Photo © blog.giallozaff erano.it
Mormora al forno alla ligure con patate, pomodorini, olive e pinoli.
la pasta di un raviolo condito con salsa al prezzemolo, sotto una crosta di frolla all’aneto, mescolata a miele, curry e fi nocchi in una sorta di strudel di pesce, sotto una coltre di sale.
C’era una volta una mormora che amava nuotare: nell’acqua pazza (GIANFRANCO VISSANI l’accompagna con burro di paprica e crostoni tostati e tritati), nel brodetto, nel guazzetto, nella zuppa….
C’era una volta una mormora che si avvicinò troppo al fuoco: era stata farcita di senape, cipollotti e pomodori e cosparsa di brandy e, quando vide la fi amma, si accese… ma non si fece male, anzi, la sua morbida carne assunse un sapore molto gradito.
Sono tante le storie che potrei raccontarvi sulla mormora. Storie tramandate da pescatori, da ristoratori, da cuoche e da esperti. Le mie preferite però sono sempre state quelle inventate, in cui la realtà si mescola con la fantasia più sfrenata (non per niente adoro le fi abe alla GIANNI RODARI), quindi mettiamola così: combinate il sapore della mormora con gli ingredienti che più vi aggradano, anche se vi sembrano strani e inusuali, anche per caso, mettendoli in padella o al forno senza una ricetta e senza una dose precisa (ricordatevi che “a occhio” era una modalità di controllo degli ingredienti perfettamente valida presso le nostre nonne).
Lasciate che la mormora vi racconti chi è e si adatti al vostro palato. Lasciatela sussurrare.