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La pesca col rezzaglio
di Josette Baverez Blanco
Andando al mare in Toscana, ad esempio, o sulla costa adriatica, capita di osservare, al mattino presto o al tramonto, due attività di “raccolta” piuttosto caratteristiche: la pesca delle arselle o telline, effettuata con uno specifico rastrello che termina con una sacca a maglia fine e che viene trainato per il manico mentre si procede all’indietro (ed
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Quella con il rezzaglio, detto anche sparviero o giacchio, è una tecnica di pesca conosciuta già dagli antichi Egizi che può essere svolta sia dalla spiaggia che dalle foce dei fiumi che persino dalla barca. La corretta manovra di lancio si impara dopo molto esercizio e pratica piscatoria è una attività, questa, rigidamente disciplinata da una normativa che regola la cattura dei molluschi bivalvi al fine di garantirne la sopravvivenza con uno stop durante la stagione di riproduzione e altre limitazioni riguardanti frequenza della pesca, dimensione del rastrello e caratteristiche della maglia, ecc…, NdR), e la cosiddetta pesca con il rezzaglio, anche detto sparviero o giacchio, gli appellativi cambiano a secondo delle regioni, uno dei più antichi strumenti da pesca ideato dall’uomo. Si tratta infatti di una tipo di pesca molto umile, che ha permesso alla popolazione rivierasca più povera di alimentarsi, ma che sta poco a poco scomparendo.
A testimoniare le sue origini antiche la troviamo raffigurata nella Camera del Cervo, lo studio privato di papa Clemente VI all’interno del Palazzo dei Papi di Avignone affrescato dal pittore viterbese MATTEO GIOVANNETTI tra il 1344 e il 1345 (immagine a lato). Ancora prima, il retiarius, letteralmente “l’uomo con la rete” o “il combattente con la rete”, era una delle classi gladiatorie dell’antica Roma che combatteva, insieme ad altre armi, con un equipaggiamento simile a quello utilizzato dai pescatori, ovvero proprio una rete munita di pesi per avvolgere e immobilizzare l’avversario.
Ritroviamo reti simili in America latina, Brasile e Messico, a Cuba e negli Stati Uniti, utilizzata dagli indiani
Navajo. In Italia ne esistono varianti diverse, tra le quali spicca quella usata alla foce del fiume Magra con una danza a spirale tipo lancio del martello e particolarmente grande.
Ma che cos’è il rezzaglio? È in effetti una rete fatta a campana, lanciata di solito con un particolare gesto e la torsione del busto, che ricordano i movimenti del seminatore, sul branco di pesci avvistati. Le zavorre sistemate ai suoi apici fanno sì che, una volta in acqua, la campana si chiuda, imprigionando i pesci. L’Italia ha numerose coste adatte a questa pratica che necessita di acque poco profonde, non superiore al ginocchio, con fondi sabbiosi o pietre levigate e tanta, tanta pazienza! Ci si ferma infatti col rezzaglio in spalla, tenendo bene aperti gli occhi. Si osserva la superficie del mare e, soprattutto, quello che si muove a fior d’acqua. Appena avvistato il branco di pesci, si prende l’apice della campana “indossata” e la si lancia con un largo gesto, facendola prima roteare in alto. Sembra facile, ma così non è! Come per tutto, infatti, ci vuole allenamento ed esperienza prima di ottenere un cospicuo bottino!
È necessario padroneggiare la tecnica tenendo conto di tante variabili, delle condizioni marine, del vento… Non è neanche evidente avvicinarsi ai pesci senza farli scappare o lavorare in acque agitate o melmose. Il pescatore si deve spostare sempre alla ricerca di nuove prede dato che spesso il pesce spaventato sfugge. La pesca può essere più abbondante e più facile alle foci dei fiumi dove circolano anche spigole, salpe, orate e muggini in entrata e in uscita.
Questa pesca è comunque troppo faticosa per essere utilizzata a fini commerciali. I pesci vivi così catturati sono spesso innescati per pescare il pesce serra e la leccia amia, pesce predatore d’acqua salata che può raggiungere 2 metri di lunghezza e pesare circa 70 kg.
La pesca col rezzaglio può essere effettuata anche dalla barca per pescatori provetti e tutta l’arte risiede proprio nel lancio (la rete va lanciata e non calata anche dalla barca, perché è proprio nel lancio la caratteristica distintiva di questo tipo di pesca, NdR), che apre la rete a modo di ombrello e che si deve stendere coprendo la massima superficie. Qualche anno fa abbiamo sentito dire però che al lago Trasimeno, giovani pescatori professionisti avrebbero dichiarato la funzionalità e l’infallibilità di questo strumento antico di almeno 2.000 anni.
L’arte nell’avvicinamento alla preda senza farsi percepire dalla vittima designata potrebbe far pensare alla caccia con l’arco. In Giappone, gli sciovinisti e i moderni samurai si allenano con queste reti sui prati utilizzandole come cultura zen ma anche organizzando competizioni di abilità.
Josette Baverez Blanco