Il Pesce 5-2017

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 5/2017







Anno XXXIV N. 5 • Ottobre 2017

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare ver­samento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pub­blicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Dr. Lucia Liddo Dr. Francesco Paesanti – Dr. Gino Ravagnan – Prof. Remigio Rossi Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli Dr. Antonio Trincanato Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e im­paginato con Adobe® InDesign® CC 2017. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2017.

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IL PESCE

Anno XXXIV N. 5 • Ottobre 2017

In questo numero: Il pesce nel mondo

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Agenda 14 Immagini

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Attualità

La Somalia si apre all’industria ittica internazionale

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Legislazione

Approvata alla Camera la proposta di legge sulla pesca

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Benessere animale

In frigo con le chele legate, la Cassazione condanna

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Il pesce in rete

Social fish

Elena Benedetti 26

Acquacoltura

A come Acquacoltura

28

API interviene a tutela degli acquacoltori italiani

32

I bioattivatori applicati con successo in un allevamento “estremo”

36

La Trota: dall’avannotteria al piatto il passo è breve

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Aziende

STEF prosegue la dinamica di crescita grazie all’aumento dei consumi alimentari in Europa

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Info alle imprese

Contributi a fondo perduto

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Speciale Irlanda

Il salmone bio made in Ireland

Elena Benedetti

48

Pesca

Esiti della pesca da riva e a bolentino nel Ponente ligure

Nicola Enrichens

54

Specie ittiche

Rombo sì ma… quattrocchi

Luca del Grammastro 58

Mercati

Il mercato dei gamberi nel 2016

Roberto Villa

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Il mercato dei bivalvi nel 2016

Roberto Villa

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Alghe: un ingrediente esotico sempre più vicino

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Riccardo Lagorio

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Indagini

Il pesce a scuola, un buon alleato

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Mangiare etnico in Italia

Giovanni Ballarini

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Locali di gusto

Aspettando FICO!

Massimiliano Rella

80

Il pesce in tavola

Le sarde a beccafico

Nunzia Manicardi

84

Sapore di mare

Pescaria, il pesce come fast food gourmet

Veronica Fumarola 88

Tunisia, profumo di mare e di casa

Riccardo Lagorio

La nuova vita del Vecio Fritolin

I piatti di pesce di Gregori Nalon

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Sapori dal mondo

Mangiare l’hákarl con Andrea Falaschi e Walter Mitty

Week-end

Oostduinkerke e l’antica arte della pesca dei gamberetti a cavallo

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Fiere

Alimentaria, un appuntamento da non mancare

110

La pagina scientifica

Confronto tra due modalità di stabulazione di astici americani…

Valentina De Moliner et al. 112

Un parametro da considerare nella validazione dei CDM:…

Luciano Boffo et al.

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Sicurezza alimentare

Pavimenti e sicurezza alimentare

Stefano Perris

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Storia e cultura

Memorie di pesca e pescatori nelle testimonianze di Vinicio Biagi Maurizio Dell’Agnello

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Libri

Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero

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Osterie d’Italia 2018, il racconto della nostra identità

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Gaia Borghi

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In copertina: il salmone è una fonte di proteine molto versatile in cucina (photo © kazanovskyiphoto – stock.adobe.com).

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IL PESCE NEL MONDO

L’Europa e l’acquacoltura bio Su base europea l’allevamento ittico in regime biologico ammonta al 4% della produzione totale. Il dato 2015 raccolto da EUFOMA (European Market Observatory for Fisheries and Aquaculture Products) parla all’incirca di 50.000 tonnellate di prodotto. Al primo posto troviamo l’Irlanda, con il 44% del totale prodotto a livello UE, seguita da Italia (17%), Regno Unito (7%) e Francia (6%). Tra le principali specie ittiche allevate troviamo il salmone, con oltre 16.000 tonnellate prodotte (pari al 9% della produzione di salmone UE) allevato in Irlanda e UK; le cozze, con 20.000 t/anno (4% della produzione UE) in Irlanda, Italia e Danimarca; le carpe con 6.000 t/anno, allevate (8% della produzione UE) in Ungheria, Romania e Lituania; le trote con almeno 6.000 t/anno (3% della produzione di trote nell’UE), provenienti principalmente da allevamenti francesi e danesi; branzini e orate con 3.400 t/anno (2% della produzione UE), allevati in Italia, Francia e Grecia. In ridotti volumi ci sono anche ostriche, storioni, lucci. Il comparto dell’acquacoltura biologica europea sta registrato una netta crescita, considerando che, tra il 2012 e il 2015, la produzione di organic fish ha registrato un +24% per il salmone, è raddoppiata per la trota iridea e addirittura triplicata per branzini e orate (fonte: EUFOMA; in basso un impianto di acquacoltura lungo le coste del Montenegro, photo © prescott09 – stock.adobe.com).

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Zambia Lo scorso 27 settembre Aller Aqua ha inaugurato il suo quinto stabilimento: Aller Aqua Zambia. Per il Gruppo danese si tratta del secondo impianto dedicato alla produzione di mangimi sul continente africano. «La crescita dell’Egitto e il successo commerciale che abbiamo registrato in Nigeria, Kenia e Ghana testimoniano che il mercato africano è pronto per prodotti di qualità più elevata» ha dichiarato Henrik Halken, vicepresidente di Aller Aqua Group. «Siamo presenti in Africa già da parecchio e con questo nuovo stabilimento ci rafforziamo». L’impianto, realizzato in joint venture con Oakfield Holdings Limited con un investimento di 10 milioni di US $, garantisce una capacità produttiva di 50.000 tonnellate annue di prodotto. Tutti i macro-indicatori stimano una crescita significativa del continente africano negli anni a venire. Le Nazioni Unite prevedono un incremento della popolazione con il raggiungimento di 2 miliardi di persone entro il 2050 e un conseguente aumento della domanda di prodotti alimentari sostenibili e conformi ad una corretta dieta alimentare. Sarà quindi strategica quindi l’attività di allevamento ittico locale per lo sviluppo dell’economia nazionale (fonte: Aller Aqua Group).

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Spagna La produzione di pesce d’allevamento in Spagna è stimata intorno alle 292.000 tonnellate (anno 2016), con un leggero incremento pari all’1% rispetto all’anno precedente. Le principali specie ittiche d’acquacoltura sono spigole (23.445 tonnellate, per un valore di 132,9 milioni di euro), trote (17.732 tonnellate, per un valore di 70,9 milioni di euro), orate (13.740 tonnellate, per un valore di 79,4 milioni di euro), rombi (7.396 tonnellate, per un valore di 63,4 milioni di euro), ombrine (1.798 tonnellate per un valore di 10,1 milioni di euro), sogliole (755 tonnellate per un valore di 7,5 milioni di euro) e anguille (315 tonnellate per un valore di 2,8 milioni di euro). L’allevamento di cozze è stimato approssimativamente intorno alle 227.000 tonnellate. Sul fronte del commercio, nei primi cinque mesi dell’anno in corso la Spagna ha esportato 83.172 tonnellate (pari a un valore di 3,78 miliardi di euro) di conserve ittiche (preparati e semi preparati), registrando un incremento del 13% (preparati) e del 21% (semi preparati), rispetto al medesimo periodo del 2016. Il tonno in scatola è il principale prodotto esportato dalla Spagna, con un volume di 49.000 tonnellate (pari ad un valore di 4,48 milioni di euro) registrato sempre tra gennaio e maggio 2017. I mercati di destinazione sono soprattutto Italia, Francia, Portogallo e Regno Unito (fonte: EUFOMA; photo © dulsita – stock.adobe.com).

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Ogni mare ha il suo pesce migliore Dall’Adriatico al Tirreno, dal Mediterraneo agli oceani, ognuno offre le sue particolarità ed i suoi prodotti migliori. Per questa ragione ci spingiamo fino ai mari più lontani per cercare sempre i prodotti migliori.

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AGENDA

Parenzo, Croazia Crofish, fiera della pesca, dell’acquacoltura e della pesca sportiva che si terrà a Parenzo (presso il palasport polivalente Žatika) dal 26 al 28 ottobre, è l’unica manifestazione del settore che si svolge sul territorio della Repubblica di Croazia. Un evento importante per la regione istriana, interessante per tutti i soggetti economici coinvolti, anche quelli provenienti dalle nazioni vicine, riuniti in un unico luogo, in un’atmosfera di collaborazione interregionale e internazionale che è un fattore determinante per lo sviluppo della pesca marittima e della maricoltura. L’organizzazione no profit degli artigiani di Parenzo, che in questo momento conta più di 100 associati, ha investito grandi risorse nell’aggiornamento, nella promozione e nello sviluppo dell’economia e dell’artigianato locali. Nel corso della fiera ci saranno incontri di formazione tra gli associati e i pescatori, oltre ad attività di avvicinamento dei prodotti della pesca al mercato turistico e all’incremento del consumo nelle scuole e negli asili. Obiettivo non ultimo di Crofish è infatti potenziare il consumo di pesce sul territorio e intensificare la produzione e l’export. www.crofish.eu

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Comacchio (FE) Dal 29 settembre al 15 ottobre, il simbolo della cultura gastronomica della città di Comacchio (FE) e del suo territorio sospeso tra terra e acqua, viene celebrato con la 19a edizione della Sagra dell’Anguilla. Un programma ricco di degustazioni, escursioni tra i canali e la natura rigogliosa di specchi d’acqua ed uccelli rari del Delta del Po, attività dimostrative di pesca dell’anguilla e tante gustose ricette attendono i buongustai per tre week-end d’autunno. Un mondo affascinante da scoprire, un’immersione tra riti marinari autentici, frutto della connivenza millenaria tra l’anguilla, il suo habitat naturale e l’originaria lavorazione artigianale. Per farlo, ci sono le esperienze e le proposte del consorzio Visit Ferrara, che unisce circa 90 operatori turistici di tutta la provincia. Tante sono infatti le iniziative per scoprire il territorio, dal percorso museale all’aperto tra gli antichi casoni delle valli alla Manifattura dei Marinati di Comacchio, dove la lavorazione dell’anguilla avviene ancora secondo un regolamento che risale al 1818. Oggi l’anguilla marinata è anche presidio Slow Food. Con l’offerta di Visit Ferrara una notte e 2 giorni — da 105 euro a persona — si vive al meglio la Sagra dell’Anguilla visitando anche le città di Comacchio e Ferrara (photo © Roberto Cavallari, Fotoclub Comacchio, per Comune Comacchio). www.visitferrara.eu

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IMMAGINI

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dell’industria ittica e dell’acquacoltura in Irlanda. In questo numero siamo andati nel Nord dell’isola a visitare un allevamento di salmone biologico del gruppo leader Marine Harvest. A pagina 48 un servizio di Elena Benedetti. 16

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Il mite clima oceanico dell’Irlanda fa da habitat naturale per le specie marine. Scopri la qualità dei nostri prodotti ittici.

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ATTUALITÀ

La Somalia si apre all’industria ittica internazionale Con una serie di incontri B2B alla recente edizione di Seafood Expo Bruxelles, il ministro della pesca del neo governo somalo ha preso una serie di contatti con imprenditori e autorità europee del mondo ittico, tra i quali il sottosegretario Giuseppe Castiglione. E, grazie al sostegno di Royal Fish Denmark, sono stati organizzati incontri mirati anche con i buyer italiani Lo scorso fine aprile, in occasione dell’edizione 2017 della nota fiera internazionale dell’ittico Seafood Expo che si svolge annualmente nel parco esposizioni di Bruxelles, tra le migliaia di visitatori professionali che ogni anno ne affollano i padiglioni ce n’è stato uno di particolare rilievo. Si tratta del ministro della pesca del neo-costituito governo somalo, il

dott. Abdirahman M. Hashi. Durante la fiera, presso lo stand allestito dallo stesso Ministero somalo, il dott. Hashi ha ricevuto imprenditori e visitatori, al fine di promuovere la crescita economica della Somalia, a cui sta contribuendo anche lo sviluppo del settore ittico. In particolare, grazie alla collaborazione della Royal Fish A/S, ha

avuto luogo un incontro tra il ministro somalo e Giuseppe Castiglione, sottosegretario di Stato del Ministero delle Politiche Agricole italiano, durante il quale il rappresentante africano ha illustrato le politiche che il suo Ministero intende avviare a sostegno dello sviluppo di una pesca ecosostenibile e di qualità, grazie anche al pieno sostegno del nuovo

Il ministro della pesca somalo, dott. Abdirahman M. Hashi, durante l’incontro con il sottosegretario del Ministero delle Politiche Agricole Giuseppe Castiglione e altri funzionari presso lo spazio della Royal Fish Denmark A/S, azienda leader dell’export ittico europeo. 20

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Presidente Mohamed Abdullahi Mohamed. Un grande sforzo, dunque, volto a far rivivere quel grande interesse di lunga data nelle relazioni politiche, economiche e culturali tra Italia e Somalia. Dopo una guerra civile durata 26 anni, lo scorso febbraio la Somalia ha finalmente eletto un presidente e un governo nazionale riconosciuti all’unanimità da tutte le 18 regioni che la compongono. Un risultato straordinario, che garantirà sicurezza oltre che riferimenti istituzionali certi, condizioni essenziali per lo sviluppo economico del Paese. Il nuovo governo, quale primo punto del suo programma, ha definito la necessità di avviare politiche di cooperazione tra i Paesi costituenti il Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia e Gibuti) e i mercati internazionali interessati alle sue potenzialità. Da qui il primo passo dichiarato ossia quello di voler realizzare la completa eradicazione dalla corruzione, dal terrorismo e dalla pesca illegale. La Somalia di oggi dimostra volontà di cambiamento e necessità di dimostrarsi un paese diverso da quello precedente, aperto agli investimenti oltre che allo sviluppo industriale e commerciale di tutti i settori. Tra le varie realtà che hanno esposto a Seafood Expo 2017, e che sono state visitate dal ministro somalo, si è particolarmente distinta quella di Royal Fish Denmark A/S, azienda leader dell’export

Il ministro Abdirahman M. Hashi con Armando Pasquali, sales manager di Royal Fish Denmark. ittico europeo, nota per il costante impegno nell’ecosostenibilità delle produzioni, nelle certificazioni di filiera e da sempre attenta ad offrire prodotti in linea con un elevato standard qualitativo. La società danese ha offerto massima collaborazione e impegno al fine di promuovere il settore pesca del paese africano, mettendo a disposizione il proprio spazio per organizzare incontri tra il ministro somalo e le maggiori catene di supermercati italiani. L’interesse mostrato da Royal Fish Denmark A/S e dalla propria clientela non è stato motivato solo dalle importanti opportunità offer-

te dal Paese africano, ma anche e soprattutto dalla volontà di sostenere lo sviluppo di uno dei paesi più poveri e, al momento, più isolati del mondo. Si auspica che questo primo passo si riveli un segnale forte e un esempio al quale molte altre aziende del settore possano ispirarsi, nella futura visione globale di un commercio più equo e solidale. La Royal Fish ringrazia i vari rappresentanti della GDO presenti al suo stand, nonché gli esponenti del governo italiano e della delegazione somala per la disponibilità e partecipazione.

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LEGISLAZIONE

Approvata alla Camera la proposta di legge sulla pesca Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha reso noto che, in data 21 settembre, è stata approvata alla Camera la proposta di legge sulla pesca, che ora passa all’esame del Senato. La proposta di legge ha l’obiettivo di dare una risposta organica e concreta al settore della pesca, strategico per l’economia di molte aree del nostro Paese, puntando su semplificazione, tutela del reddito e competitività. «Con questa approvazione — ha dichiarato il ministro Maurizio Martina — facciamo un altro passo in avanti nel percorso di semplificazione, tutela del reddito delle imprese e competitività per il settore della pesca. Ringrazio i deputati, e in particolare il capogruppo Nicodemo Oliverio, per il lavoro svolto in commissione e in aula e mi auguro che si possa arrivare presto all’approvazione definitiva. Si tratta di un intervento ampio che consentirà di dare risposte concrete a un comparto che ha grandi margini di crescita e promuovere modelli sostenibili e innovativi». «Finalmente un provvedimento unico,

ampiamente condiviso con i diversi attori del comparto» ha affermato il sottosegretario con delega alla pesca Giuseppe Castiglione. «Con questo disegno di legge, Governo e Parlamento mettono in campo misure strutturali concrete per accrescere lo sviluppo delle imprese ittiche nazionali e ridare competitività all’asset strategico della pesca, in un’ottica di benessere e sostenibilità. Sono molto soddisfatto anche per la riforma degli interventi compensativi a favore degli operatori ittici, con strumenti di welfare strutturati e maggiormente aderenti alle reali esigenze della pesca professionale. Il disegno prevede infatti forme di sostegno al reddito per tutti i casi di sospensione dell’attività di pesca stabiliti dall’autorità competente, favorendo la tutela dei livelli occupazionali e prevedendo forme alternative di impiego. Adesso confido in una rapida chiusura dell’iter parlamentare, con l’approvazione del testo nel più breve tempo possibile, per consentire l’esercizio delle deleghe e la piena operatività delle disposizioni attese dal settore».

Le principali misure previste • L’istituzione di un Fondo per lo sviluppo delle filiera ittica di 3 milioni di euro per il 2018, per la modernizzazione del settore e il sostegno alle imprese; • la delega al Governo per l’elaborazione di un testo unico per il riordino e la semplificazione della normativa di settore; • la delega del Governo per il riordino della normativa in materia di concessioni demaniali per la pesca e l’acquacoltura e le licenze di pesca; • la valorizzazione degli aspetti socio-culturali delle attività di ittiturismo e pesca turismo e l’intervento sui distretti ittici, istituiti per aree marine omogenee dal punto di vista ecosistemico, conciliando la sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale; • rimodulazione di alcune delle sanzioni per gli illeciti amministrativi introdotti per molte fattispecie legate alla pesca illegale. (Fonte: MIPAAF)

Pesca nella laguna di Orbetello con il martavello (photo © M. Cenni). 22

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BENESSERE ANIMALE

In frigo con le chele legate, la Cassazione condanna Il Tribunale di Firenze l’aveva già condannato nel 2014 e ora la Cassazione — con la sentenza depositata il 16 giugno scorso — conferma la condanna: ammenda di 5.000 euro e risarcimento alla parte civile LAV per avere violato il comma 2 dell’articolo 727 del Codice Penale. Infatti, “in attesa che venissero cucinati”, il direttore aveva “detenuto alcuni crostacei vivi in cella frigorifera e con le chele legate, pertanto in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”. Respinto il ricorso del ristoratore Il ricorso in Cassazione da parte del ristoratore è stato giudicato “manifestamente infondato” dalla Terza sezione penale della Corte. L’imputato ristoratore è stato condannato a rifondere le spese del giudizio e a risarcire per 3.000 euro la parte civile, LAV, in quanto “ente esponenziale che cura gli interessi degli animali”. La Cassazione si è richiamata a sentenze su casi di maltrattamento in animali d’affezione e “nonostante solo negli ultimi anni diverse ricerche abbiamo portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano esseri senzienti in grado di provare dolore”, e “pur in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in materia”, la sentenza del Tribunale di Firenze, per la Cassazione, resta “immune da censure”. Il giudice fiorentino, infatti, accertava che “l’imputato conservava i crostacei in frigorifero, a temperature prossime allo zero”. Al contrario, questi animali vivono in acque a temperature alte e vengono tenuti in acquari a temperatura ed ossigenati “non solo nei ristoranti più importanti ma anche nei supermercati della Grande Distribuzione”. Il Giudice di Firenze ha quindi osservato che “era già diffusa una certa sensibilità 24

Segnando un nuovo orientamento nella giurisprudenza, la Cassazione ha confermato la condanna per maltrattamento animale a carico del direttore di un ristorante. L’essere destinati alla pentola non ne modifica la tutela. nella comunità”, tale da indurre all’adozione di “accorgimenti più complessi ed economicamente più gravosi”, che però consentono di tenere i crostacei “in modo più consono alle loro caratteristiche naturali”. Il Tribunale fiorentino ha anche fatto riferimento alla letteratura scientifica prodotta dalla parte civile, sebbene abbia concluso che “anche il buon senso induceva a ritenere che i crostacei erano stati tenuti dal ristoratore in condizioni contrarie alle loro caratteristiche etologiche, incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”. Arrivano in Italia legati A sua discolpa, il ristoratore faceva valere la tesi che “i crostacei vengono consegnati in casse di polistirolo, adagiati sul ghiaccio con le chele legate e che il trasporto dall’America in tali condizioni non è in alcun modo sanzionato e proibito da alcun tipo di norma italiana, tanto è vero che i crostacei giungono presso i supermercati, i rivenditori e i ristoratori con il beneplacito di tutte le autorità

sanitarie e giudiziarie preposte ai controlli di legge”. Il ristoratore precisava inoltre di ricevere i crostacei nella stessa giornata in cui vengono cucinati e di non fare “altro che mantenerli nelle stesse condizioni in cui si trovano da giorni”. Argomentava anche che “non c’è prova che togliere il crostaceo dal ghiaccio per tuffarlo in acqua calda e poi, dopo poche ore, prelevarlo per tuffarlo in acqua bollente non soffra o soffra meno; è notorio, invece che l’animale, tenuto a basse temperature e destinato ad essere cucinato, viva le ultime sue ore in uno stato di torpore e anestesia che annulla la sensazione di dolore”. Crudeltà e indifferenza? Su esposto di un privato, il Comando di polizia informava i dipendenti del ristorante delle condizioni dei crostacei, che ciononostante ad un successivo controllo risultavano in frigorifero vivi (un astice e un granchio) e con le chele legate. Il ristoratore respingeva a suo carico, in quanto “incongrua” l’incolpazione di crudeltà e di indifferenza IL PESCE, 5/17


nei confronti di un crostaceo che entro poche ore “è destinato a finire in pentola”. La Cassazione non ha accolto l’obiezione. Cucinare i crostacei vivi Per la Cassazione, il Tribunale ha correttamente osservato che la consuetudine sociale di cucinare i crostacei quando siano ancora vivi “non esclude che le modalità di detenzione degli animali possano costituire maltrattamenti, perché mentre la particolarità del modo di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune, le sofferenze causate dalla detenzione degli animali in attesa di essere cucinati non possono essere parimenti giustificate”. Per la Corte, la non sofferenza degli animali “soccombe nel bilanciamento con altri interessi umani della più varia natura e legittimati dalla presenza di leggi”. Al contrario, “non può essere considerata come una consuetudine socialmente apprezzata quella di detenere siffatta specie di animali a temperature così rigide”. Gli opera-

tori economici, si legge in sentenza, “generalmente usano sistemi più costosi nella detenzione dei crostacei più rispettosi degli animali”. D’altra parte — è sempre la Cassazione a dirlo — il codice penale tutela “il sentimento per gli animali”, cioè salvaguarda “la diffusa sensibilità dell’uomo verso la sofferenza degli animali”. Animali d’affezione o crostacei che siano. I pareri scientifici Il ristoratore lamentava che il Tribunale di Firenze avrebbe compito una serie di “affermazioni apodittiche, giungendo alla pronuncia di responsabilità sulla base di pareri non meglio specificati di medici veterinari prodotti dalla parte civile”. La LAV sviluppava una serie di argomenti tratti da un parere del Centro nazionale di referenza sul benessere animale dell’IZS di Brescia, sostenendo che “il posizionamento degli animali sul ghiaccio, anche se avvolti in sacchetti a tenuta, sia assolutamente inappropriato tanto come metodo anestetico che come me-

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todo di stoccaggio, poiché il contatto diretto con il ghiaccio determina asimmetria della perfrigerazione, sbalzo improvviso di temperatura, shock iposmotico da acqua di scioglimento o da condensa, ipossia e stress anaerobico”. La massima della Cassazione Nessuna delle tesi del ricorrente è stata accolta dalla Cassazione che ha pronunciato la seguente massima: “Al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione, integra il reato ritenuto in sentenza la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, peraltro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse (umano) alla non sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato, in assenza di norme o di usi riconosciuti in senso diverso”. (Fonte: ANMVI, Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani)


IL PESCE IN RETE

Social di Elena

1. Nuovo portale per l’Accademia dei Georgofili L’Accademia Risponde (www.accademiageorgofili.it) è il nuovo contenitore web che l’Accademia dei Georgofili, da sempre autorevole fonte di divulgazione scientifica e tecnologica, ha da poco lanciato in linea con il continuo servizio di informazione rivolto agli operatori del settore agricolo, forestale e agroalimentare. In che cosa consiste esattamente? L’Accademia mette le proprie competenze a disposizione della comunità agricola e rurale e dei consumatori, rispondendo a precisi quesiti, posti dagli operatori del settore. Sono oltre 900 gli accademici che hanno dedicato e dedicano il proprio lavoro quotidiano alla ricerca, alla conoscenza e all’applicazione delle innovazioni.

2. Seafood from Norway su Instagram Bello l’account Instagram di Seafood from Norway (www.instagram.com/norwayseafood), con immagini cu­ rate e originali che catturano l’attenzione degli utenti del social. Paesaggi mozzafiato, imbarcazioni, pescatori al lavoro, piatti di pesce, le coste della Norvegia sono tutti protagonisti di una cultura e una tradizione ittica che sono insite nel DNA di questo Paese (photo © instagram. com/norwayseafood).

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fish Benedetti

4. La pesca responsabile in Islanda

3. Il magazine on-line di Pesca Pronta È ricco di notizie d’attualità il magazine on-line che Pesca Pronta ha realizzato all’interno del proprio portale, accessibile al link www.pescapronta.it/news. In questo spazio l’azienda, che è tra le più attive sul mercato italiano per la distribuzione di prodotti ittici freschi, entra in contatto con i consumatori riportando informazioni nutrizionali, consigli, tante ricette e curiosità dal mondo del mare.

Segnatevi questo indirizzo: www.responsiblefisheries.is. È il portale di Responsible Fisheries, un ente che certifica le catture di pesce realizzate in ottica di sostenibilità ambientale in Islanda. Realizzato anche in lingua inglese, tedesca, spagnola e francese, il sito riporta dati aggiornati sull’industria ittica del Paese, alla base dell’economia nazionale, tra protocolli di certificazione per la cattura delle principali specie ittiche (merluzzo, eglefino, scorfano), notizie di attualità e piani di comunicazione (photo © Promote Iceland).

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ACQUACOLTURA

A come Acquacoltura Il mondo della pesca raccoglie l’eredità di antichissime tradizioni marinare: in esso si fondono cultura culinaria, il senso di ospitalità proprio delle genti di mare e uno stretto legame con l’ambiente naturale. La pesca — quando responsabilmente condotta — rappresenta un esempio di interazione e di continua ricerca di equilibrio tra le risorse naturali ed il loro utilizzo da parte dell’uomo. Lo sforzo delle comunità di pescatori, teso alla razionalizzazione delle produzioni ittiche e ad una gestione più responsabile delle risorse marine, è un tentativo per consegnare alle generazioni future una natura quanto più possibile integra. Una scelta che porta con sé benefici di ordine economico e culturale. Pesca, oggi, in molti casi, significa conservazione, salvaguardia e valorizzazione di ambienti naturali costieri e delle specificità

che sono proprie di essi. In questo contesto si pone l’acquacoltura, che può rappresentare una evoluzione, in chiave strategica, della naturale sensibilità dei pescatori nei confronti dell’ambiente. Strategica perché coniuga, in maniera moderna, la salvaguardia delle risorse biologiche ed ambientali di una determinata area con uno sviluppo economico sostenibile. Non più quindi una protezione esclusivamente conservativa, ma dinamica, proiettata verso il futuro, a vantaggio anche delle nuove generazioni per le quali potrebbero porsi le condizioni per diversificate opportunità in termini occupazionali. La definizione Con il termine acquacoltura si definisce quell’insieme di attività umane, distinte dalla pesca, finalizzate alla

produzione controllata di organismi acquatici. In tal senso, con riferimento al prodotto che se ne trae, si parla, più specificatamente, di piscicoltura, molluschicoltura, crostaceicoltura e alghicoltura. L’attività acquicola e la gestione delle lagune costiere, dotate di controlli idraulici e apparati idonei alla cattura dei pesci, pur se finalizzate, com’è chiaro, all’incremento della produttività, costituiscono l’anello di congiunzione tra pesca in senso stretto e acquacoltura. Infatti, il passaggio dall’una all’altra si attua nel momento in cui l’intervento dell’uomo, non più limitato alla cattura o alla raccolta, si concretizza in una vera e propria attività di allevamento. Si distinguono una forma estensiva ed una intensiva. L’acquacoltura, in quanto attività innovativa, è una forma produt-

Allevamento di cozze a Olbia. 28

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Impianto di acquacoltura a mare (photo © CDELBERT). tiva in grande espansione. La possibilità di gestione di impianti in mare aperto teoricamente non pone limiti spaziali al suo sviluppo; anche il processo di modernizzazione dell’acquacoltura coincide con un processo di crescita scientifica e tecnologica che meglio permettono di controllare le varie fasi del ciclo vitale e di mettere a punto trattamenti di qualità, nonché di intensificare le produzioni. Lo sviluppo di un Sistema di Qualità Totale per l’acquacoltura rappresenta un obiettivo strategico. Per essere vincenti nella concorrenzialità e, soprattutto, per garantire i consumatori e fornire ad essi un prodotto ideale per caratteristiche igienico-sanitarie e nutrizionali. Il futuro L’acquacoltura del futuro non deve inquinare, deve produrre alimenti “verdi” e sani, rispettosi dell’ambiente e dei consumatore. Su questo si basano i piani di sviluppo che stanno impegnando produttori e ricercatori. Esistono precise indicazioni sugli elementi fondamentali da considerare: parametri fisici, IL PESCE, 5/17

chimici e biologici dell’ambiente del sito; formazione di tecnici ed operai; identificazione di eventuali strutture di servizio esistenti nell’area prescelta; studio degli aspetti commerciali e della possibilità di immettere sul mercato il prodotto a prezzi remunerativi; valutazione degli aspetti finanziari e creditizi al fine di assicurarsi la disponibilità di adeguato capitale fisso e di esercizio. In un prossimo futuro è facile immaginare che lo sviluppo dell’acquacoltura richieda la standardizzazione, qualificazione e innovazione del prodotto, la trasformazione e la tipizzazione dello stesso, il rafforzamento degli organismi associativi, la promozione di consorzi tra aziende, la creazione di marchi di commercializzazione. L’acquacoltura estensiva Esistono tuttora forme di acquacoltura interamente basate sull’uso delle risorse naturali. Si definisce allevamento estensivo quello in cui l’allevatore non somministra alimenti dall’esterno. Il primo intervento dell’acquacoltore è la “semina” degli

esemplari giovani provenienti da centri di riproduzione o raccolti in natura. L’allevatore interviene, poi, controllando il flusso delle acque, attraverso chiaviche e griglie, installate su porzioni lagunari o presso le foci a delta di grandi fiumi. Tale forma di allevamento consente di conservare ambienti acquatici naturali altrimenti destinati a bonifica. Di norma l’acquacoltura estensiva viene praticata nelle lagune costiere, le cosiddette “valli di pesca” da cui il termine vallicoltura. Gli impianti più importanti sono ubicati quasi tutti nel nord Italia, in particolare in Veneto, EmiliaRomagna e Friuli-Venezia Giulia. Nel resto dei nostro Paese l’acquacoltura estensiva prende il nome di stagnicoltura. In questo caso si tratta della gestione ai fini produttivi di lagune e di laghi costieri. Importanti esempi possono trovarsi in Toscana, nel Lazio e in Sardegna. Nell’uno e nell’altro caso l’acquacoltura estensiva costituisce senz’altro un esempio fondamentale di interazione tra attività umana e conservazione dell’ambiente. 29


Progetto di ostricoltura nella laguna di Varano, Foggia. Le zone lagunari, nel passato soggette a bonifica, sono oggi ambienti a rischio di degrado, soprattutto per i pericoli derivanti dell’ambiente circostante. Poiché l’acquacoltore ha comunque l’interesse a garantire l’equilibrio ecologico della valle o dello stagno, egli porrà in essere tutti gli accorgimenti necessari per la salvaguardia dell’ambiente, al fine di assicurare la sopravvivenza delle specie allevate e conseguentemente la redditività delle valli di pesca. L’acquacoltura estensiva, oltre a

costituire un modello di sviluppo valido dal punto di vista economico, ha consentito la conservazione delle caratteristiche ambientali anche in aree molto estese. Il limite dell’allevamento estensivo è costituito dalle rese piuttosto basse se rapportate all’alto immobilizzo fondiario. Soluzioni economicamente valide ed ecologicamente compatibili sono state realizzate in alcune aree dove, accanto all’acquacoltura, è consentita anche la pratica della caccia e la gestione di aziende ricettive di tipo agrituristico.

L’acquacoltura intensiva In Italia gran parte delle specie ittiche da allevamento, quali trote, anguille, spigole, orate, ma anche pesci gatto e storioni, provengono da impianti intensivi. Nell’allevamento intensivo è di fondamentale importanza l’apporto umano per la somministrazione di alimentazione di tipo artificiale, con formulazioni adatte alle specie allevate. Si attua per lo più sulla terra ferma in vasche di cemento o in terra. Negli ultimi anni sta sempre più diffondendosi quello praticato in mare utilizzando gabbie e recinti. Mentre nell’allevamento estensivo, grazie alla capacità di autodepurazione biologica delle lagune è restituita all’ambiente esterno un’acqua qualitativamente migliore di quella in entrata, nel caso dell’intensivo sono da tenere nel dovuto conto le immissioni nell’ambiente di acque cariche di sostanze, quali il cibo non consumato e le feci, con potenziali possibilità di alterazione dell’acqua marina anche dal solo punto di vista estetico. La presenza nei rifiuti di compo­ sti organici quali proteine, carboidra­ti, urea, vitamine può avere come ef­fet­to una crescita di alghe che potrebbe danneggiare, nel caso di allevamento in mare, le stesse specie allevate. Sono stati così gli stessi acquacoltori a prendere coscienza della necessità di ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti di tipo intensivo. Per gli impianti a terra

ITAQUA, Piattaforma Italiana Acquacoltura Lo scorso aprile, con Decreto n. 8004, è stata istituita la Piattaforma Italiana Acquacoltura (ITAQUA), con funzioni di supporto informativo, tecnico e consultivo della Direzione generale della Pesca marittima e dell’Acquacoltura. Gestita dalla Direzione generale della Pesca marittima e dell’Acquacoltura, con il supporto tecnico dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ITAQUA è organizzata in quattro Forum tematici, che sono in linea con i quattro macro-obiettivi del Piano Strategico per l’Acquacoltura in Italia 2014-2020, ovvero: • Forum 1 – Semplificazione amministrativa; • Forum 2 – Ambiente e salute; • Forum 3 – Ricerca e innovazione; • Forum 4 – Mercato e comunicazione. In ogni Forum sono istituiti degli specifici Tavoli di lavoro che operano sulle priorità individuate dalla Direzione generale della Pesca marittima e dell’Acquacoltura. La richiesta di partecipazione alla Piattaforma Italiana Acquacoltura (ITAQUA) è inoltrata dai soggetti interessati alla Direzione generale della Pesca marittima e dell’Acquacoltura esclusivamente a mezzo PEC, al seguente indirizzo: pemac.direzione@pec.politicheagricole.gov.it

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Lo sviluppo di un Sistema di Qualità Totale per l’acquacoltura rappresenta un obiettivo strategico. Per essere vincenti nella concorrenzialità e, soprattutto, per garantire i consumatori e fornire ad essi un prodotto ideale per caratteristiche igienicosanitarie e nutrizionali

si è cercato di riciclare le acque di scarico, essendo inattuabile, per motivi economici, un loro trattamento diretto. Nel caso delle acque dolci si è così proceduto al riutilizzo delle stesse per la fertirrigazione e per la produzione di alghe, mentre in caso di acqua salata, tramite il lagunaggio, si possono allevare specie minori e molluschi. Esistono forme integrate di acquacoltura in cui moduli intensivi possono essere collegati a bacini estensivi. In questo caso le acque reflue da allevamento intensivo, per esempio di spigole e orate, vengono convogliate in un bacino dove sono introdotte specie ittiche che vivono preferibilmente in ambienti ricchi di sostanze organiche. In tal modo, è possibile recuperare una parte dell’energia che l’allevamento intensivo ha dissipato restituendo simultaneamente acque più pulite. Per gli allevamenti con gabbie a mare, invece, oltre a disporre le stesse in siti in cui le correnti contribuiscono alla dispersione dei rifiuti, l’accorgimento può essere quello di spostarle in continuazione

in modo da permettere ai fondali di ripristinarsi. In alcuni casi si è attuata, congiuntamente alla piscicoltura, ad una distanza di sicurezza dalle gabbie, onde evitare reciproche contaminazioni, la molluschicoltura. Infatti, la capacità filtrante dei molluschi che utilizzano nutrienti provenienti dai residui dell’allevamento, ha sull’acqua un effetto depurante. Ciò implica ovviamente una limitazione nell’uso di prodotti chimici che rimarrebbero, altrimenti, negli apparati filtranti di mitili e ostriche. Un altro problema che si pone per l’allevamento intensivo è quello derivante dall’introduzione di specie non originarie della zona. Il rischio è quello di introdurre patologie o parassiti e impatti ambientali indesiderati sulla flora e la fauna locali. Nel primo caso è opportuno procedere con certificazioni e quarantene, nel secondo con studi preliminari dal punto di vista genetico ed ecologico. (Fonte: Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali www.politicheagricole.it)

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Etichettatura dei prodotti di acquacoltura

API interviene a tutela degli acquacoltori italiani L’Associazione Piscicoltori Italiani si è attivata presso tutte le sedi competenti a livello nazionale ed europeo segnalando ricorrenti casi di etichettatura non corretta o, quanto meno, incompleta di prodotti dell’acquacoltura. In molti paesi della UE i prodotti della pesca ed acquacoltura di provenienza extra UE vengono

trasformati (eventualmente dopo una prima lavorazione, es. sfilettatura) in stabilimenti della UE riportando in etichetta la sola identificazione dello stabilimento UE che ne ha curato la trasformazione finale. Un esempio ricorrente è l’etichettatura del caviale. In questo caso l’adempimento alle norme che regolano la movimentazione

e commercializzazione di specie e loro prodotti assoggettati al CITES (Reg. CE 338/97 e s.m.i.) prevede, nel caso del caviale, una specifica stringa identificativa da apporre nell’etichetta, che non permette al consumatore di ottenere una chiara e completa informazione circa la provenienza degli animali e/o del caviale. In molti casi compare in

Oggi grandi quantità di caviale prodotte da storioni allevati in Cina vengono immesse sul mercato europeo con etichette ingannevoli a discapito del comparto italiano. Anche per questo motivo l’europarlamentare Angelo Ciocca ha presentato una interrogazione scritta alla Commissione europea chiedendo di adottare le misure adeguate per arginare il fenomeno delle etichette ingannevoli a discapito del comparto dell’acquacoltura italiana. 32

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Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-004441/2017 alla Commissione europea Articolo 130 del Regolamento Oggetto: Etichettatura dei prodotti dell’acquacoltura Il Regolamento (UE) n. 1379/2013 relativo al settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura prevede di fornire informazioni in etichetta chiare e complete sull’origine e sul metodo di produzione dei prodotti. L’articolo 60 del Codice doganale comunitario permette tuttavia ai prodotti extra UE di essere etichettati come prodotti italiani in quanto proprio nella penisola avviene l’ultima trasformazione sostanziale. Un caso eclatante è quello relativo al caviale, fiore all’occhiello del made in Italy. L’Italia, con la Cina, è oggi il primo produttore al mondo di caviale con 50 tonnellate annue sulle 160 mondiali. Per questo prodotto è prevista una specifica stringa identificativa sulla provenienza degli animali e/o del caviale decifrabile solamente dagli addetti ai lavori e non dal consumatore. Le defezioni di etichettatura dei prodotti di cui sopra provocano grandi difficoltà agli allevatori e produttori italiani di caviale e dei prodotti dell’acquacoltura. Inoltre, grandi quantità di caviale prodotto da storioni allevati in Cina vengono immesse sul mercato europeo con etichette ingannevoli a discapito del comparto italiano. Alla luce di quanto sopra, può la Commissione riferire quali misure intende adottare al fine di arginare l’invasione di prodotti cinesi con etichettature legali ma incomprensibili?

maniera esplicita solo lo stabilimento che riconfeziona il caviale a partire dai contenitori primari provenienti dall’allevatore/produttore. Pertanto, la tracciabilità ai sensi della normativa CITES è assolta, ma la corretta informazione al consumatore è lacunosa. Quest’ultima problematica si fa sempre più stringente in considerazione della grande quantità di caviale prodotto da storioni allevati in Cina, riconfezionato in UE in stabilimenti europei e immesso sul mercato senza fornire chiare indicazioni al consumatore circa la sua reale provenienza. L’appello di API è stato accolto, tra gli altri, dall’europarlamentare on.le Angelo Ciocca, che ha presentato una interrogazione scritta alla Commissione europea chiedendo di adottare le misure adeguate per arginare il fenomeno delle etichette ingannevoli a discapito del comparto dell’acquacoltura italiana. (Fonte: API – Associazione Piscicoltori Italiani)

MIPAAF, approvato il decreto per l’obbligo di indicazione dello stabilimento in etichetta Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali rende noto che il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il Decreto Legislativo che reintroduce l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta. Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per lo smaltimento delle etichette già stampate e fino ad esaurimento dei prodotti etichettati prima dell’entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio. L’obbligo era già sancito dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare. L’Italia ha stabilito la sua reintroduzione al fine di garantire, oltre che una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute. La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l’applicazione delle eventuali sanzioni all’Ispettorato repressione frodi (ICQRF). «È un impegno mantenuto — ha commentato il ministro Martina (in foto a lato) — nei confronti dei consumatori e delle moltissime aziende che hanno chiesto di ripristinare l’obbligo di indicare lo stabilimento. In questi mesi, infatti, sono state tante le imprese che hanno continuato a dare ai cittadini questa importante informazione. Continuiamo il lavoro per rendere sempre più chiara e trasparente l’etichetta degli alimenti, perché crediamo sia una chiave fondamentale di competitività e sia utile per la migliore tutela dei consumatori. I recenti casi di allarme sanitario ci ricordano quanto sia cruciale proseguire questo percorso soprattutto a livello europeo. L’Italia si pone ancora una volta all’avanguardia». (Fonte: Ufficio Stampa MIPAAF)

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I bioattivatori applicati con successo in un allevamento “estremo” Come l’agricoltura, anche l’acquacoltura dovrà adattarsi ai periodi siccitosi? Molti pensano di sì e per questo si stanno facendo prove con parziali ricircoli nei tradizionali allevamenti a terra. Si tratta però di una tecnologia sostenibile e, soprattutto, è applicabile in allevamenti di grandi dimensioni? Un’azienda agricola a Caratta, nel Piacentino, ce lo dimostra I meteorologi, confortati dalle sta­­ tistiche, ci assicurano che le me­die annuali delle precipitazioni atmosferiche sono invariate, ma si manifestano concentrate in periodi ristretti. L’agricoltura tradizionale si sta at­ trezzando alle nuove con­dizioni: si

progettano e si costruiranno nuovi piccoli bacini di raccolta delle acque meteoriche nelle aree collinari e di pianura. Anche l’acquacoltura dovrà adattarsi ai periodi siccitosi con fiumi, laghi e torrenti a portata ridotta e le falde impoverite? Alcuni

pensano di sì e stanno già provando parziali ricircoli anche negli allevamenti a terra tradizionali. Si tratta di una tecnologia sostenibile? È applicabile anche in allevamenti di grandi dimensioni? Molti sono i dubbi e le domande che attendono risposte.

Lungacque, fitodepurazione. “L’acqua è un elemento fondamentale nella nostra azienda” si legge nella pagina di presentazione della società Lungacque. “Il nostro è un allevamento biologico semi-estensivo che utilizza il ricircolo dell’acqua tramite bio-fitodepurazione effettuata da piante acquatiche e alghe. Le piante, oltre alla depurazione, vengono utilizzate come cibo (lenticchie d’acqua e renkon) o materiale per cesteria (typha)”. 36

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Come può la sola fitodepurazione assicurare una qualità dell’acqua ideale per l’allevamento? Grazie alla tecnologia integrata con stadi successivi di depurazione biologica a masse ade­se alimentata dalla somministra­zione periodica di bioattivatori Eurovix

Lungacque, filtro biologico a masse adese. L’esempio di Lungacque Esiste una piccola realtà, forse unica nel suo genere, che sta tentando di dimostrare come la tecnologia RAS (Recirculating Aquaculture System) possa essere applicata anche ad allevamenti all’aperto in vasche tradizionali. Si chiama Lungacque (www.lungacque.it) ed è insediata in un’area ai piedi della collina piacentina dove l’acqua del bacino del torrente Trebbia scarseggia nel periodo estivo. È stata progettata e realizzata per funzionare a ricircolo completo attingendo acqua di falda o dai canali irrigui solo per il riempimento delle vasche e per il ripristino delle perdite: non vi sono scarichi, l’eventuale eccesso di acqua piovana viene immagazzinata per essere utilizzata 38

successivamente per l’irrigazione degli orti e delle colture vegetali o recuperata direttamente nell’allevamento. I cuore dell’impianto è il sistema di fitodepurazione integrato dove tutta l’acqua di scarico delle vasche è trattata, depurata e restituita alla produzione con tecnologia di distribuzione identica agli allevamenti tradizionali. Un’idea “folle” che sta funzionando da alcuni anni; al momento si utilizzano quattro vasche in terra da 350 m3, ma si sta per realizzare un nuovo blocco di altre quattro vasche e alla fine del progetto le vasche saranno 28 per un totale utile di acqua di 9.800 m3 più il volume degli stagni di depurazione. Come può la sola fitodepurazione assicurare una qualità dell’acqua

ideale per l’allevamento? Questo è possibile perché la tecnologia è sta­ ta integrata con stadi successivi di depurazione biologica a masse ade­se, alimentata dalla somministra­zione periodica di bioattivatori Eurovix, esattamente come avviene negli allevamenti a ricircolo indoor. L’attività microbica all’interno del sistema deve essere sempre al mas­simo dell’efficienza e i processi di nitrificazione dell’ammoniaca prodotta dall’attività metabolica dei pesci non può interrompersi o depri­ mersi perché questo causerebbe alti livelli di stress negli animali, con calo della crescita, e predisporrebbe all’insorgenza di malattie difficili da curare in ambiente chiuso. In fase progettuale i fattori limi­ tanti sono stati attentamente valutati e si è studiata la strategia più adeguata per eliminarli; in pratica si è prodotto un modello che prevede l’utilizzo della biotecnologia Eurovix per aumentare il rendimento della fitodepurazione anche quando vi sono interferenze da fattori esterni e ambientali. A Lungacque si allevano specie di acqua dolce tradizionali dell’area padana come pesce gatto (Ictalurus melas), tinca (Tinca tinca), alborella (Alburnus alburnus alborella), con un ottimo mercato finalizzato principalmente al consumo alimentare e alla ristorazione. È evidente come IL PESCE, 5/17


Lungacque, realtà produttiva del Piacentino di pesce d’acqua dolce pregiato, può diventare un laboratorio sperimentale in scala reale sulla potenzialità dei bioattivatori applicati all’acquacoltura e allo sviluppo di nuove biotecnologie per l’utilizzo razionale della risorsa idrica Lungacque, foto satellitare. in simili contesti si debba lavorare a basse densità di pesce (non si superano i 5 kg/m3) e che la gestione debba essere particolarmente attenta alla prevenzione delle malattie. Nel pesce gatto si sono manifesta­ te malattie batteriche (Aeromonas spp.) nel periodo primaverile, af­ fron­tate e superate senza l’uso di an­tibiotici, ma solamente con il mi­glioramento delle condizioni ambientali e quindi con il dosaggio di bioattivatori per ridurre i fattori di stress. La malattia, che ha causato una piccola mortalità, non si è diffusa alle altre specie nonostante l’acqua di tutte le vasche si misceli nei bacini di trattamento. Questo fa ipotizzare che un buon ecosistema microbico all’interno della fitodepurazione possa costituire una barriera efficiente alla diffusione delle patologie. Anche le parassitosi non si sono manifesta­te e non hanno creato problemi; da questo si partirà per uno studio scientifico finalizzato a misurare qua­le possa essere il contributo della biotecnologia Eurovix nel controllo delle malattie parassitarie negli alle­vamenti in condizioni ambientali “estreme”. L’allevamento ad oggi non è dotato di un sistema di ossigenazione artificiale, questo perché la biomassa non ha ancora raggiunto un livello critico, ma nel tempo si è registrata una progressiva diminuzione della IL PESCE, 5/17

disponibilità di ossigeno nella colonna d’acqua; ciò è dovuto sicuramente alla continua produzione di sostanza organica ed alla contemporanea diminuzione della capacità del fondo delle vasche, in argilla, di metabolizzarla naturalmente. A questo si potrà in parte porre rimedio con la somministrazione di bioattivatori direttamente in vasca nel sedimento, come già si sta facendo negli allevamenti tradizionali (concentrando l’azione soprattutto nelle vasche di sedimentazione) o negli ecosistemi acquatici anche di grandi dimensioni (canali e laghi).L’azione dei bioattivatori è stata concentrata soprattutto nell’area di trattamento dove l’acqua arriva con una canaletta aperta che raccoglie lo scarico delle vasche; dopo una prima sedimentazione si passa alle barriere di corpi plastici dove i microrganismi, somministrati periodicamente, formano il biofilm batterico per la fase di nitrificazione; successivamente l’acqua transita nella fitodepurazione vera e propria, dove le piante acquatiche galleggianti e radicate compiono l’ultimo passaggio di denitrificazione utilizzando l’azoto nitrico per la loro crescita. Nell’ultimo bacino è collocata la stazione pompante che solleva l’acqua nella canaletta di distribuzione e da qui, per gravità, si entra nuovamente nelle vasche di allevamento.

Nel periodo invernale le piante vanno in quiescenza, ma anche i pesci (la temperatura dell’acqua non può essere condizionata) riducono il loro metabolismo; i problemi si propongono quando la temperatura dell’acqua è tale da consentire ancora una buona alimentazione del pesce, ma non una sufficiente attività delle piante (anche a causa della ridotta illuminazione): in questo caso si interviene nuovamente con variazioni sul protocollo di somministrazione dei bioattivatori facendo sì che questi ultimi sopperiscano alla ridotta efficienza delle piante. Lungacque, ad oggi, è una realtà produttiva di pesce d’acqua dolce pregiato, ma può diventare un laboratorio sperimentale, in scala reale, sulla potenzialità dei bioattivatori applicati all’acquacoltura e sullo sviluppo di nuove biotecnologie per l’utilizzo razionale della risorsa idrica.

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A Palazzolo Acreide (SR), un luogo incantevole con allevamento e ristorazione

La Trota: dall’avannotteria al piatto il passo è breve di Riccardo Lagorio

Ha poco più di un anno d’età il Registro Identitario della Pesca del Mediterraneo e dei Borghi Marinari, un documento d’istituzione del Dipartimento della Pesca Mediterranea della Regione Sicilia redatto per salvaguardare l’identità del pescato siciliano a partire dal valore artigianale e quindi dall’uomo (Decreto 375 del 14 giugno 2016). Dalla raccolta dati sui metodi di cattura nel Mediterraneo alla documentazione relativa alle modalità di trasforma-

zione e conservazione del pescato, tutto parla dell’amore dei siciliani verso il prodotto ittico. Un’identità marinara che contraddistingue il paesaggio lungo i 7.500 m di costa siciliana e che impiega ancora oggi 7.500 addetti (benché fossero 20.000 solo vent’anni fa). Ma che diventa realtà anche nell’entroterra siracusano, dove l’arcaica bellezza del tavolato ibleo è ricco di corsi d’acqua carsici ben descritti anche dalla letteratura antica: l’Anapo, il Ciane, il Manghisi.

Un’oasi verde con annesso ristorante Proprio grazie alle acque del Manghisi è in parte attivo il vivaio di trote della famiglia Lamesa, nel quale ogni anno vengono allevate circa 50 tonnellate di trote iridee. Per il resto ci pensa una trivella che estrae acqua da decine di metri al di sotto della superficie terrestre. Una struttura che era stata pensata negli anni Settanta da Paolo Lamesa, ma realizzata nella sua completezza a cavallo tra

Le dieci vasche, più l’avannottiera, permettono di curare l’allevamento di trote iridee e salmonate, di storioni e di carpe, dalle uova al pesce adulto da pasto. 40

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Guardiamo al futuro dei nostri mari

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Laura Lamesa. Insieme al fratello Paolo è alla guida di questo allevamento che comprende anche un ristorante scavato nella roccia. Nel piatto filetto di trota e la trota affumicata sbriciolata. gli anni Ottanta e Novanta dal figlio Sebastiano, e che oggi vede i figli di questo, Laura e Paolo, alla guida della società. Una vera e propria oasi, dove il verde dei prati fa scordare l’ocra della terra riarsa tutta intorno e il gorgoglio dell’acqua che ossigena le dieci vasche compete con il canto delle cicale. Si tratta di un allevamento a ciclo pressoché completo, dall’avannotteria al piatto, una risorsa vivaistica che, nel rispetto dell’ecologia del luogo, offre un alimento pregiato, ma che è anche l’occasione per gare sportive organizzate dalle maggiori associazioni di pesca. Una delle offerte de La Trota è inoltre il ristorante, scavato nella roccia, dove vengono serviti ravioli di trota e pasta al ragù di trota e funghi. «Nel corso degli anni siamo riusciti a farci apprezzare anche dalla GDO e oggi le catene commerciali che hanno sedi a Catania acquistano da noi le trote. Specie quelle salmonate, poiché il consumatore le accosta spesso al salmone, anche per il sapore, del tutto simile al pesce nordico», racconta Paolo Lamesa, 34 anni e 42

già forte di esperienza. «Ma anche perché le diete suggeriscono il consumo di pesce d’acquacoltura, sicuro e genuino», continua. «La trota iridea acquisisce il caratteristico colore arancione fornendole del mangime a base di astaxantina, un carotenoide che si ottiene dai krill. Due anni fa abbiamo inoltre impiantato una nursery per gli storioni, di varietà Baerii e Gueldenstaedtii, che confidiamo possano adattarsi alla temperatura delle nostre acque». In prospettiva, la produzione del primo caviale siciliano. Ma la trota rimane pur sempre il pezzo forte. Da una moderna macchina filettatrice compaiono filetti di trota salmonata pronti per essere utilizzati in cucina, ovvero per essere precedentemente gratinati ed esposti nel centro di Palazzolo Acreide, cittadina Patrimonio dell’Umanità, «presso il punto vendita aziendale, dove si possono trovare anche hamburger, polpettine e arrosticini di trota. La trota salmonata viene spesso richiesta marinata. La nostra marinatura, leggera, prevede, oltre al sale e allo

zucchero, l’uso di alloro, ginepro e coriandolo», afferma Laura Lamesa. Ma le trote possono essere anche affumicate, intere. In questo caso il fumo viene prodotto con la combustione delle essenze locali: ulivo, arancio, quercia. Il consumo avviene con i filetti tali e quali, oppure insaporendoli con olio extravergine d’oliva dei Monti Iblei e limone. Assai complessa è la procedura per la preparazione della trota affumicata sbriciolata. Racconta Paolo Lamesa che le trote vengono eviscerate, poi marinate e affumicate a caldo per 8 ore a circa 90 °C. Infine si lasciano essiccare e si polverizzano. Si ottiene un prodotto ideale come condimento per la pasta, ma anche utile a creare antipasti, su crostini di pane o piccoli sandwich. Da provare come condimento per la pizza. Riccardo Lagorio La Trota Strada Maremonti S.S. 287 96010 Palazzolo Acreide (SR) Telefono: 0931 883433 Web: latrota.it IL PESCE, 5/17


Testo Unico su pesca e acquacoltura: per Coldiretti una boccata d’ossigeno “Il via libera al Testo Unico sulla pesca e acquacoltura rappresenta una boccata d’ossigeno per un settore che negli ultimi 30 anni ha visto scomparire un peschereccio su tre e ben 18.000 posti di lavoro”. Ad affermarlo è la Coldiretti Impresapesca in occasione della recente approvazione alla Camera della proposta di legge che contiene interventi per il settore ittico, oltre alle deleghe al Governo per il riordino normativo, per la semplificazione amministrativa normativa ed anche in materia di politiche sociali e servizi alle imprese nel settore della pesca professionale. La norma va a regolare molti aspetti del comparto ittico nazionale, con deleghe che lasciano al Governo ed al confronto con il sistema associativo spazi importanti di definizione della riforma. Completata inoltre la norma delle sanzioni, che accoglie in parte la rivisitazione richiesta dal comparto. Nei mari italiani si pescano all’anno circa 180.000 tonnellate di pesce con la flotta peschereccia italiana che conta circa 13.000 imbarcazioni, il 35% in meno rispetto agli anni ‘80, a causa della concorrenza sleale del prodotto proveniente dall’estero e spacciato per italiano soprattutto nella ristorazione ma anche a causa dell’eccessiva burocrazia, oltre che all’introduzione di regole eccessivamente penalizzanti per le imprese ittiche. Nel 2017 gli arrivi di pesce fresco e congelato dall’estero hanno raggiunto le 554.000 tonnellate, con un balzo in avanti del 10% rispetto allo stesso periodo del 2016 (elaborazione Coldiretti Impresapesca su dati Istat). Il risultato è che ben tre pesci su quattro venduti nel nostro Paese provengono dall’estero, pronti per essere serviti come tricolori nella ristorazione, dove non c’è l’obbligo dell’indicazione d’origine. Proprio per combattere questa situazione Coldiretti Impresapesca è impegnata per garantire la trasparenza dell’informazione ai consumatori dal mare alla tavola anche con progetti che riguardano la ristorazione, dove si sta diffondendo la “carta del pesce” per distinguere il prodotto made in Italy mentre enormi passi in avanti sono stati fatti sull’etichettatura nei banchi di vendita. Il consiglio di Coldiretti Impresapesca è di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (GSA). Le provenienze da preferire sono quelle dalle GSA 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Ionio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta). (Fonte: Coldiretti Impresapesca, impresapesca.it)

Centro di Depurazione e Spedizione

Società Agricola Moceniga Pesca s.s. di Alessandra Siviero & C. Via Dell’Artigianato 20/22 45010 Rosolina (RO) C.F. e Part. Iva IT 01082120294 tel. 0426-343252 0426-270034 fax. 0426-340265 virtual fax 0426047500 Centro Depurazione e Spedizione Molluschi IT X3W6T CE Web: www.moceniga.it

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AZIENDE

STEF prosegue la dinamica di crescita grazie all’aumento dei consumi alimentari in Europa Il Consiglio di amministrazione del Gruppo STEF, leader europeo nella logistica e nel trasporto refrigerato a temperatura controllata, riunitosi il 6 settembre scorso sotto la presidenza di Francis Lemor, ha approvato il bilancio del primo semestre dell’anno in corso. «STEF ha conseguito una crescita dinamica nel primo semestre 2017, beneficiando di consumi alimentari significativi, in particolare in Francia» ha dichiarato il direttore generale Jean-Pierre Sancier commentando i risultati ottenuti. «Lo sviluppo delle nostre attività di groupage, il successo delle integrazioni nei Paesi Bassi e l’acquisizione di Transports Badosa in Spagna sono stati i motori trainanti della nostra crescita». Risultati finanziari Il Gruppo ha chiuso il primo semestre 2017 raggiungendo gli obiettivi finanziari che si era prefissato. L’attività è stata caratterizzata da: • buoni risultati di Trasporto Francia, legati all’aumento dei volumi; • il calo delle prestazioni di Logistica Francia, dovuto all’apertura di due siti importanti e al ritardo del piano di crescita delle attività legate alla ristorazione fuori casa (Horeca); Risultati semestrali (in M €)

• la buona crescita dell’Italia e la ripresa della Penisola iberica, sia in termini di fatturato che di risultati. Prospettive S2 2017 Nel secondo semestre 2017, STEF intende portare avanti il proprio percorso di sviluppo grazie ai solidi fondamentali in tutti i Paesi in cui il Gruppo è presente. D’altro canto, dovrà però far fronte alle tensioni legate alla ripresa dell’economia, tra cui, in particolare, la diminuzione delle flotte di veicoli disponibili in Europa. A luglio, La Méridionale ha ricevuto l’assegnazione di una delega di servizio pubblico temporaneo, il cui termine è stato fissato per il 31 maggio 2019. Il Gruppo STEF è presente in tutti i segmenti della logistica a temperatura da –25 °C a +15 °C, con collaboratori specialisti del freddo e della logistica, con mezzi e strumenti all’avanguar-

dia (depositi, piattaforme, camion) e un completo know how dei sistemi informativi. Le varie attività all’interno del gruppo sono divise tra le varie società: • STEF Logistique si occupa delle prestazione logistica (surgelati, fresco e ristorazione fuori casa), gestisce magazzini a temperatura controllata e negativa; • il trasporto dei prodotti freschi e surgelati è di competenza della STEF Transport; • la logistica e il trasporto dei prodotti ittici competono a STEF Seafood; • STEF Information et Technologies produce e gestisce i sistemi d’informazione connessi al pilotaggio dei flussi di merci lungo tutte le supply chain agroalimentari. Le attività internazionali sono gestite dalle società del gruppo presenti nei vari paesi: STEF Italia e STEF Iberia (Spagna e Portogallo). >> Link: www.stef.com

S1 2016

S1 2017

%

1359,3

1433,0

+5,4%

EBIT/ Risultato ante oneri finanziari

49,2*

44,9

–8,8%

Risultato finanziario

(6,9)

(5,1)

Risultato ante imposte

42,3

39,8

–5,9%

Risultato netto, quota del Gruppo

30,8

30,7

–0,3%

Fatturato consolidato

*

include la vendita della nave Scandola e il noleggio della nave Monte d’Oro

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INFO ALLE IMPRESE

Regione Puglia

Contributi a fondo perduto

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Regione Puglia Finanziamenti a fondo perduto del 50% settore ittico Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca (FEAMP) 2014 – 2020 Bando misura 5.69 trasformazione e commercializzazione dei prodotti ittici È operativo fino al 9 ottobre 2017 il bando per richiedere un contributo a fondo perduto del 50% per i seguenti investimenti: 1. costruzione e ristrutturazione di fabbricati legati al progetto; 2. acquisto di terreni e fabbricati legati all’iniziativa per un costo non superiore al 10% dell’investimento; 3. acquisto di impianti e macchinari di lavorazione, confezionamento, refrigerazione, ecc…; 4. acquisto di cassoni coibentati e della relativa parte frigorifera per il trasporto dei prodotti ittici (esclusa la motrice); 5. acquisto di automezzi dotati di coibentazione e gruppo frigorifero non amovibile dalla motrice;

6. investimenti diretti al miglioramento dell’efficienza energetica ed ambientale, all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile prodotta e reimpiegata in azienda; 7. spese per il miglioramento delle condizioni d’igiene e sanitarie e dei sistemi di produzione; 8. acquisto di hardware e software dedicati ai processi produttivi; 9. spese generali, spese tecniche, spese di progettazione, ecc… Bando misura 2.48 per investimenti produttivi nel settore dell’acquacoltura È operativo fino al 9 ottobre 2017 il bando per richiedere un contributo a fondo perduto del 50% per i seguenti investimenti: 1. costruzione/ampliamento o miglioramento degli impianti di acquacoltura e maricoltura per la riproduzione di pesci, crostacei e molluschi o altri organismi marini di interesse commerciale; 2. acquisto di barche di 5a categoria al servizio degli allevamenti;

3. acquisto di attrezzature o macchinari per impianti d’acquacoltura; 4. acquisto di impianti frigoriferi o produttori di ghiaccio o coibentazione sui mezzi di trasporto; 5. lavori di sistemazione o di miglioramento dei circuiti idraulici; 6. impianti di energia da fonte rinnovabile ad uso aziendale; 7. spese per il miglioramento delle condizioni d’igiene e sanitarie e dei sistemi di produzione con l’acquisto di attrezzature volte a proteggere gli allevamenti dai predatori; 8. programmi informatici hardware e software dedicati ai processi produttivi; 9. spese generali.

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SPECIALE IRLANDA

Il salmone bio made in Ireland Prosegue il viaggio alla scoperta dell’industria ittica e d’allevamento irlandesi. In questa tappa approfondiamo il comparto del salmone biologico, un prodotto in grande crescita. Nell’estremo nord dell’isola, a Lough Swilly nel Donegal, abbiamo visitato un allevamento del gruppo Marine Harvest. Un mix perfetto di tecnologia, competenze e tradizione di Elena Benedetti

Quando si pensa all’Irlanda, vengono subito alla mente le sue spettacolari scogliere, le lunghissime spiagge e il mare meraviglioso che la circonda. Non c’è quindi da stupirsi se l’Isola di smeraldo venga considerata come uno dei Paesi più interessanti per il settore dell’acquacoltura e, in particolare, per l’allevamento del salmone. Secondo i dati raccolti dal BIM, l’Irish Sea Fisheries Board,

l’industria dell’acquacoltura in Irlanda ha aumentato la produzione del 27% nel 2015, con un valore totale pari a 149 milioni di euro. Questa crescita potrebbe essere attribuita a vari fattori, tra i quali la rinascita dell’allevamento del salmone. Oggi si contano circa 250 or­ganizzazioni di acqua­ coltura at­tualmente operanti in Irlanda.

I numeri del salmone irlandese Il settore dell’allevamento di salmone in Irlanda è stato valutato ben 90 milioni di euro nel 2015: la produzione del salmone in Irlanda è aumentata da 10.000 a 13.000 tonnellate nel 2015, ossia una crescita complessiva pari a 32 milioni di euro. Un recente studio condotto dall’EUMOFA (Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acqua-

Darren Carr, Patrick McGrenaghan, Eamon Dougherty e Pat Connors. 48

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L’allevamento a mare di salmone di Marine Harvest a Lough Swilly, nel nord dell’isola, conta 8 vasche, per una produzione di 1.200 tonnellate di prodotto. coltura) conferma che il consumo di pesce è in aumento in Irlanda e rivela che esiste una grande fedeltà tra i consumatori irlandesi nei confronti dei loro prodotti alimentari. Lo studio analizza le strategie dei rivenditori in Europa e le campagne nazionali che promuovono il consumo di pesce, indicando la crescente rilevanza dei prodotti ittici d’allevamento nel mercato europeo, data la necessità di garantire un approvvigionamento costante dei prodotti. Nel 2015 le esportazioni di pesce irlandese sono cresciute del 7%, con un valore totale di mercato di 564 milioni di euro. Il successo dell’industria nel 2015 è dovuto ai notevoli risultati ottenuti dall’esportazione di salmone irlandese. Come pioniere nel campo del salmone biologico d’allevamento, la scelta di qualità del settore di acquacoltura irlandese è stata pre­ miata con un prezzo unitario di 7,70 e/kg, che rappresenta un aumento del 33% sul prezzo raggiunto dal salmone irlandese rispetto a quello scozzese e norvegese. 50

Gli sforzi dell’Irlanda nell’attuare metodi di allevamento del salmone innovativi e sostenibili, in combinazione con l’attenzione sullo sviluppo del mercato, hanno posizionato l’Irlanda tra i maggiori produttori di salmone nel mondo. Bio è meglio Il salmone biologico allevato in Irlanda è stato il primo prodotto alimentare a ottenere la certificazione e ad essere riconosciuto su tutto il mercato europeo. Sono diversi gli enti che oggi verificano i processi di allevamento e la mangimistica per decretare se un salmone può fregiarsi del titolo di prodotto organic. Essi sono AB Bio, Naturland, Irish Quality Organic e l’European Organic standard. Perché quest’isola è così vocata alla produzione di salmone biolo­ gi­co? Sicuramente per la conformazione del suo territorio, per la presenza delle coste che si affacciano sull’Atlan­tico che espongono i salmoni alle forti correnti marine e che forniscono oltre 10.000 m3 di acqua nei quali i pesci possono nuotare.

Gli sforzi dell’Irlanda nell’attuare metodi di allevamento del salmone innovativi e sostenibili, in combinazione con l’attenzione sullo sviluppo del mercato, hanno posizionato l’Irlanda tra i maggiori produttori di salmone al mondo

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zione dell’area nord-occidentale, dove venne industrializzata la pro­ duzione del lino), le acque lungo le coste non contengono livelli significativi di contaminanti ambientali. Il National Residue Control Plan, approvato dalla Commissio­ne europea, è uno strumento di controllo della sicurezza alimentare del Paese ed è gestito dalla FSAI, acronimo di Food Safety Authority of Ireland. Un altro ente strategico nella supervisione delle acque e del territorio è il Marine Institute of Ireland, responsabile del controllo dei residui presso gli allevamenti e lungo le coste.

In alto: il mangime utilizzato è rigorosamente biologico, NO-OGM e certificato per garantire standard e qualità. In basso: in Irlanda Marine Harvest alleva 10.000 tonnellate di salmone biologico; in foto un particolare delle reti che ricoprono le vasche di allevamento. La densità di allevamento è infatti piuttosto bassa, pari a 2 pesci per 1.000 litri di acqua di mare. Basti pensare che in un arco temporale di 18 mesi il salmone irlandese nuota un equivalente di 13.000 chilometri prima di raggiungere il peso richiesto dal mercato. Altri fattori chiave che promuo­ vono l’allevamento bio sono: • i mangimi, sostenibili, no OGM e natu­ralmente certificati organic; • la bassa densità di popolamento delle vasche; • il monitoraggio ambientale, di controllo e riduzione degli sprechi; 52

• l’eliminazione dei materiali non riciclabili. In merito ai mangimi bio, questi non contengono antiossidanti sintetici. I salmoni sono cresciuti e alimentati con ingredienti naturali e sostenibili, a base di pesce, oli e vegetali, ricchi di acidi grassi Omega-3. National Residue Control Plan L’Irlanda si estende su una superficie che ha il più alto tasso di terreni a pascolo in Europa e lungo la costa è pressoché assente l’industria pesante. Dato che storicamente questo Paese non ha vissuto la cosiddetta “rivoluzione industriale” (ad ecce-

Origin Green Il consumatore europeo chiede sempre più rassicurazioni in materia di ambiente e biodiversità, oltre a esigere elevati standard di qualità e sicurezza alimentare. Le aziende irlandesi si sono mosse con anticipo su questo fronte e dal 2012 hanno iniziato ad aderire al programma Origin Green lanciato da Bord Bia, l’ente governativo per la promozione dei prodotti alimentari, delle bevande e dell’orticoltura irlandesi. “Quest’ultimo si era prefissato un traguardo ambizioso: mettere, entro il 2016, tutte le aziende agricole e del settore food & beverage irlandesi sulla strada verso la produzione sostenibile. Da allora sono stati compiuti enormi passi avanti verso la realizzazione di questo obiettivo, grazie alle 137.000 valutazioni già effettuate nelle aziende agricole, alla partecipazione di 527 aziende e all’introduzione della Carta di Sostenibilità per il settore Retail & Ristorazione” (www.origingreen.ie). Marine Harvest Visitare un allevamento di salmoni bio in Irlanda è sempre una bella esperienza. L’impatto che l’ambiente incontaminato ha sul visitatore è forte. Qui la natura è potente, l’aria purissima, le infinite distese collinari ricoperte da un soffice manto erboso dalle tante tonalità di verde, le coste e insenature e l’acqua cristallina rendono il paesaggio unico e spettacolare. Ancor di più nella regione settentrionale dell’isola, a Lough Swilly, la vasta e stretta insenatura IL PESCE, 5/17


L’Irlanda ha il più alto tasso di terreni a pascolo in Europa e lungo la costa è pressoché assente l’industria pesante. Storicamente questo Paese non ha vissuto la cosiddetta “rivoluzione industriale”, perciò le sue acque non contengono livelli significativi di contaminanti ambientali

situata tra le penisole di Inishowen, ad est, e di Fanad, ad ovest, è una massa stretta di acqua salata lungo le coste del Donegal. Questa era la destinazione della nostra visita all’allevamento di salmoni biologici del gruppo leader Marine Harvest. Ci caricano su una piccola imbarcazione e dopo una mezz’ora di navigazione arriviamo all’impianto di allevamento. Qui ci sono 8 vasche per una produzione di 1.200 tonnellate di prodotto. Il cielo minaccia pioggia e l’aria è tersa. La prima cosa che il personale di Marine Harvest effettua sul sito è la misurazione del livello di plancton nell’acqua del mare, prelevando un campione. Se il livello è alto, allora non si procede a dare il mangime ai pesci, che così restano nelle acque più in profondità. «Qui bisogna sempre osservare le condizioni atmosferiche e del mare per regolarsi con le attività» ci spiega Pat Connors, responsabile del Sales & Processing dei siti di allevamento di salmone biologico di Marine Harvest in Ir-

landa. «Facciamo ciò che è meglio per i pesci, sempre!». In Irlanda Marine Harvest alleva 10.000 tonnellate di salmone biologico. Le uova sono prodotte qui in Irlanda nelle avannotterie di proprietà. La densità dei salmoni è inferiore ai 10 kg per metro cubo. Si tratta di una misura standard degli allevamenti biologici che non si può superare. «Ora nelle vasche dei sito di Lough Swilly la densità è addirittura inferiore, pari a 6 kg per metro cubo» precisa Connors. In tutto il Paese Marine Harvest conta 12-15 impianti di allevamento, ma, per esempio, quest’anno solo 6 siti sono stati attrezzati per il salmone. Elena Benedetti Fonti • BIM Irish Sea Fisheries Board, www.bim.ie • Bord Bia, www.bordbia.ie • Origin Green, www.origingreen.ie • Department of Agriculture, Food and the Marine, www.agriculture.gov.ie/animalhealthwelfare

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PESCA

Analisi effettuata nel periodo estivo

Esiti della pesca da riva e a bolentino nel Ponente ligure di Nicola Enrichens In questo contributo si intendono riportare gli esiti di un piccolo censimento delle specie marine presenti dalla riva sino ai “primi cespugli” che si trovano a circa 200 metri dalla battigia demaniale che si snoda tra Alassio e Laigueglia (SV). La battigia demaniale ed il fondale sono, in larga prevalenza, di tipo sabbioso; quest’ultimo si estende dalla battigia ai “primi cespugli” facilitando la pesca da riva o a bolentino. Pertanto, esulano dal censimento le specie marine da scoglio — prevalentemente triglie e, secondariamente, salpe — e le specie marine che si pescano nell’acqua contenuta nelle darsene, in quanto non pertinenti all’oggetto

del contributo. In via preliminare, occorre effettuare distinzione tra l’esercizio della pesca da riva e l’esercizio della pesca a bolentino su imbarcazioni non superiori a 5 metri, eventualmente supportate da motori da 4 a 9,5 cavalli max, ad esempio con un motore Johnson o Mercury, oppure a remi. Per quanto riguarda la pesca da riva, le ore consigliate per l’esercizio di tale passatempo sono quelle serali e le prime ore notturne. Nella pesca da bolentino le specie ed il peso dei pesci che si possono catturare varia a seconda dell’ora in cui si esercita la pesca. Tendenzialmente, le specie ittiche che si possono catturare, nel

periodo estivo, lanciando da riva a 50 metri con piombo da g 30 a g 50, variabile a seconda del mare, della corrente e del vento, sono l’occhiata, la mormora, l’orata e, molto raramente, il branzino: non conviene esercitare la pesca da riva prima delle ore 22:00, perché si rischia di incrociare una tracina che, seppur di modeste dimensioni, costringe il pescatore al taglio del filo con conseguente perdita dell’amo. Infine, quando il mare è mosso e l’onda è alta, è facile incontrare un sarago, anche di modeste dimensioni. In merito al peso dei pesci che si possono catturare con questa tecnica, si può dunque arrivare ad un

Con il termine “bolentino” vengono chiamate una serie di tecniche che si praticano da un’imbarcazione ed a una certa distanza dalla costa, utilizzando canna e mulinello. Queste tecniche puntano alla cattura di prede che comunemente non si avvicinano alla costa, oppure risultano di più facile cattura su fondali profondi e, infine, ad insidiare specie costiere utilizzando un’imbarcazione (fonte: www.pescare.net; una boga, cattura frequente a bolentino; photo © it.wikipedia.org). 54

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massimo di g 500 per l’orata, per la mormora e per il branzino, mentre per l’occhiata ed il sarago il peso diminuisce (max 3/400 grammi). Il peso dei pesci che si possono pescare a bolentino, peraltro, aumenta in considerazione della possibilità di pescare su di una imbarcazione. Nella presente ricerca ci siamo spinti sino a 200 metri da riva, coprendo la zona nota come “primi cespugli”. Pescando a fondo su questa zona, si incontrano nuove specie ittiche differenti rispetto alle precedenti, sicuramente meno pregiate, eccezion fatta per il pàgaro che, comunque, non è un pesce da cespuglio, anche se suole girarvisi intorno per ricercare nutrimento. Ad esempio, troviamo il tordo (pesce marrone striato con una vescica natatoria molto sviluppata), la donzella (pesce variopinto), la castagnola, la mènnola e, di recente, anche il pesce pagliaccio che, sino a dieci anni fa, prediligeva fondali interamente sabbiosi e non ricoperti da alghe (c.d. cespugli). Procedendo verso riva è più facile incontrare un rombo (piccola sogliola), un’occhiata e, naturalmente, una tracina. Per tutti questi pesci non si superano i 2/300 grammi di peso. Viceversa, quando il mare lo consente, al mattino di buonora si possono catturare dentici superiori ai 500 grammi e pàgari di 3/400 grammi. La situazione muta se si pesca in queste zone di notte: gronghi, grongalli e, soprattutto,

Tabella 1 – Pesca estiva a bolentino sino ai “primi cespugli” (da 0 a 200 m dalla riva) Pesca di prima mattina

Pesca durante il giorno

Pesca notturna

Dentice

Tracina

Mormora

Sorallo

Rombo

Signorina (piccolo grongo)

Buga

Pesce pagliaccio

Grongo

Pàgaro

Donzella

Cefalo

Aguglia

Tordo

Occhiata

Ciùccola

Sparàglio

Sarago (dipende dal mare)

Occhiata

Orata

Castagnola

Branzino

Mennola

Morilongo

Pagaro

Tabella 2 – Pesca estiva da riva (ore 22:00-03:00). Lancio con piombo da 30-40 grammi sino a 50 metri Occhiata Sarago (dipende dal mare) Mormora Orata Branzino mormore anche superiori ai 700 grammi si possono catturare nella zona intermedia tra la battigia ed i primi cespugli. In Tabella 1, distinguendo tra pesca notturna, di prima mattina e

pomeridiana, si riportano le tipologie di pesci che si possono incontrare. Confrontando le due tabelle, notiamo che la varietà ittica presenta alcune differenze. Dott. Nicola Enrichens


Coste fragili: progetto promosso da Slow Food Italia per la tutela delle identità peculiari dei territori costieri italiani

Il nostro Paese conta 7.548 km di coste: sono numerose le fragilità da tutelare e gli abusi che le comunità locali da tempo cercano di contrastare. Pensiamo alle aree portuali, alle aree militari attive e dismesse, alle aree di pregio ambientale, alla cementificazione incontrollata. Come si difende un patrimonio così vasto? Attraverso una collaborazione con gli abitanti del luogo e un impegno volto a recuperare e salvaguardare prodotti e tradizioni che rendono unico quel particolare tratto di costa. Questa è la direzione che Coste fragili vuole intraprendere. Dopo il Delta del Po romagnolo, anche quello veneto firma un accordo con Slow Food per difendere le nostre “coste fragili”. Il progetto, condiviso dal GAL Delta Po, è stato sottoscritto dai sindaci dei comuni di Adria, Ariano nel Polesine, Corbola, Loreo, Porto Viro, Porto Tolle, Papozze, Rosolina e Taglio di Po, insieme al Parco del Delta Po. Questa firma rappresenta un’ulteriore tappa nel processo strategico, intrapreso da Slow Food, di promozione delle eccellenze enogastronomiche locali. Il nuovo protocollo è finalizzato alla valorizzazione, alla tutela e al recupero delle identità peculiari dei territori costieri italiani, attraverso il ruolo e la partecipazione attiva delle varie comunità. In questo caso ci si rivolge a un’area di straordinario pregio ambientale, la più importante in Europa tra quelle “umide”, con un ecosistema altrettanto unico. L’accordo ambisce a sensibilizzare, attraverso specifiche attività formative, i produttori agricoli, gli operatori della ristorazione e del settore turistico-alberghiero sul recupero di prodotti di qualità, sulla valorizzazione delle tradizioni del territorio e sulla consapevolezza del proprio ruolo rispetto alla valorizzazione dell’identità del territorio. Slow Food Italia, inoltre, si prefigge di realizzare progetti di educazione alimentare in scuole di ogni ordine e grado, per sensibilizzare gli studenti e il personale scolastico riguardo ai temi gastronomici, di difesa del paesaggio e della memoria storica. I presidi, nati per sostenere piccoli progetti di produzioni tradizionali che rischiano di scomparire e per salvare dall’estinzione razze autoctone e varietà di formaggi o verdure tipiche, costituiscono un altro dei settori in cui gli interessi della partnership potrebbero svilupparsi. Il protocollo d’intesa sottoscritto è scaricabile on-line (photo © Strada delle Valli e della Bonifica del Parco Regionale del Delta del Po Veneto). (Slow Food Italia) >> Link: www.slowfood.it

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SPECIE ITTICHE

Rombo sì ma… quattrocchi di Luca del Grammastro

Il rombo quattrocchi (Lepidorhombus boscii) è un pesce di mare della famiglia Scophthalmidae, molto simile al rombo giallo di cui è congenere, dal quale lo distinguono alcuni caratteri tra cui il più vistoso è sicuramente quello delle 4 macchie nere presenti nella parte posteriore della pinna dorsale e della pinna anale, molto evidenti ma che possono facilmente scomparire anche sfregandole con le dita. Specie bentonica di colore bruno giallastro, con pelle poco pigmentata, corpo translucido, piatto, allungato ovaliforme con gli occhi sul lato sinistro ricoperto di scaglie molto caduche, leggermente ctenoidi sul lato oculare e cicloidi sul lato cieco. Riguardo agli altri rombi, gli occhi sono più grandi (il superiore è arretrato rispetto all’altro), allo stadio di 17 mm, la migrazione dell’occhio è già quasi completata e la mandibola è meno sporgente e appuntita. Demersale, vive sui fondali sabbiosi e fangosi in genere tra 100 e 400 m, 58

adagiato sul lato cieco, ma anche a profondità maggiori. Può raggiungere una lunghezza fino ai 30-40 cm, si nutre di piccoli pesci, crostacei e molluschi bentonici. Reperibile durante tutto l’anno, comune nel Mar Ligure e nel Tirreno settentrionale, meno comune al Sud e molto raro in Adriatico, sui nostri mercati compare con discreta frequenza. I rombi sono poveri di grassi, ricchi di proteine, sali minerali come sodio, potassio, calcio, ferro, fosforo, e di vitamina C ed E. Sono specie ittiche molto apprezzate e pregiate (soprattutto il rombo chiodato), vengono venduti freschi o surgelati, interi o a filetti ed hanno un sapore delicato, quindi si prestano ad ogni tipo di cottura: al forno, alla griglia, arrosto. Una ricetta tipica toscana che lo vede protagonista è il rombo alla livornese, con pomodori e capperi.

È una specie bentonica che vive a profondità variabili tra i 100 e i 900 m. La riproduzione avviene in primavera. Si nutre di crostacei, pesci e policheti. Si cattura con reti a strascico da maggio a luglio, tra i 100 e i 200 m. Nei mari italiani è comune nel mar Ligure e nel Tirreno settentrionale. Meno comune al Sud e molto raro in Adriatico

Nota Photo © www.sospeix.org IL PESCE, 5/17



MERCATI

Il mercato dei gamberi nel 2016 Incremento della domanda in Vietnam, Cina e Giappone, più moderato in Europa e USA. Produzione e prezzi stabili di Roberto Villa

La produzione da acquacoltura nei paesi asiatici, seppur avversata da condizioni atmosferiche sfavorevoli e da parassitosi, è riuscita a tenere il passo, soprattutto con un recupero nella seconda metà dell’anno nei principali paesi produttori. Il rapporto Globefish della FAO stima che il totale raccolto nel 2016 in quel continente sia stato di 2,5 milioni di tonnellate, delle quali 400.000 sia in India sia in Vietnam (in questo

paese sono state raccolte, nel delta del Mekong, 250.000 t della specie nota come gambero gigante indopacifico o Black tiger), 350.000 in Indonesia, 300.000 in Tailandia. In Cina la produzione è rimasta al di sotto dei livelli registrati nel 2015; si stima per il 2016 una produzione compresa tra le 600.000 e le 800.000 t, nelle sole sei maggiori province meridionali dove è diffuso l’allevamento dei gamberi; la produzione

del gambero dalle zampe bianche o Whiteleg è calata di 150.000 t. Il secondo polo produttivo è l’America latina, dove la produzione del 2016 è data tra le 500.000 e le 600.000 t, con i principali contributi da Messico ed Ecuador. Relativamente ai gamberi selvatici pescati, l’Argentina ha visto un incremento a doppia cifra rispetto all’anno precedente (167.000 t, equivalenti a un +17%), mentre negli Stati Uniti le catture sono state le

Lo scorso anno, nell’Unione Europea, la domanda al dettaglio di gamberi è rimasta piuttosto ferma: le importazioni provenienti dai Paesi non comunitari, che rappresentano il 73% delle importazioni nei Paesi Membri, sono aumentate solo del 2%, mentre il commercio intracomunitario è cresciuto del 25% (photo © tiwakorn – stock.adobe.com). 60

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I cinque maggiori paesi esportatori nel 2016 sono stati l’India, il Vietnam, l’Ecuador, l’Indonesia, la Tailandia, mentre la Cina, nonostante i cali di produzione interna, ha comunque incrementato a 205.000 tonnellate le proprie esportazioni Tra i principali fornitori di gamberi sul mercato europeo si è registrato un aumento dell’export di Ecuador, Argentina, Groenlandia e Vietnam (photo © Africa Studio – stock.adobe.com). più basse dal 2010. I prezzi medi del gambero dalle zampe bianche sono cresciuti di poco nel 2016, negli Stati Uniti, che rappresentano il secondo mercato mondiale; i prezzi hanno avuto un incremento medio del 5,5% con variazioni tra il +2,7% dei gamberi indiani e il +7,8% di quelli provenienti dall’Ecuador, mentre un calo dei prezzi all’importazione dell’1,5% circa ha riguardato i prodotti provenienti da Indonesia, Tailandia e Vietnam. I cinque maggiori paesi esportatori nel 2016 sono stati l’India (con 438.500 t, +14,5% sul 2015), il Vietnam (con 425.000 t, +19% sul 2015), l’Ecuador (con 372.600 t, +7,8% sul 2015), l’Indonesia (con 220.000 t, +21,0% sul 2015), la Tailandia (con 209.400 t, +22,0% sul 2015), mentre la Cina, nonostante i cali di produzione interna, ha comunque incrementato a 205.000 t (+7%) le proprie esportazioni. I maggiori mercati di importazione sono stati in ordine decrescente l’Unione Europea (780.000 t, +2% sul 2015), gli Stati Uniti (606.000 t, +3,2% sul 2015), la Cina (350.000 t, +4% sul 2015), il Vietnam (323.000 t, +48%) e il Giappone (223.600 t, +4,6%). Nell’Unione Europea la domanda al dettaglio è rimasta piuttosto stagnan­te. Le importazioni proveIL PESCE, 5/17

nienti dai paesi non comunitari, che rappresentano il 73% delle importazioni nei Paesi Membri, sono aumentate solo del 2%, mentre il commercio intracomunitario è cresciuto del 25%. Tra i principali fornitori, hanno beneficiato di un incremento nelle esportazioni Ecuador, Argentina, Groenlandia e Vietnam, mentre le importazioni dall’India hanno conosciuto un declino, a motivo dei controlli veterinari imposti dall’Unione a partire dall’autunno del 2016, che hanno generato maggiori costi e deviato le preferenze degli importatori verso il prodotto da altri mercati. Gli Stati Uniti hanno visto un aumento complessivo delle disponibilità di gamberi salire del 3%, prevalentemente grazie ad un aumento delle importazioni, dal momento che il raccolto degli stati appartenenti alla federazione ha fatto registrare un decremento rispetto al 2015. In questo quadro va comunque segnalato che la Food and Drug Administration (FDA) ha disposto nel 2016 il rigetto di 133 partite di gamberi per la presenza di antibiotici non ammessi, provenienti rispettivamente da India (95), Vietnam (17), Cina (15) e, in misura minore (6), da altre nazioni. Tra le categorie commerciali sono aumentate le importazioni di

gamberi interi, gamberi sgusciati e gamberi cotti, mentre sono diminuite quelle di gamberi impanati; in salita l’import di gamberi interi di grandi dimensioni (90.000 t, +6% sull’anno precedente), stabile quello dei gamberi interi di dimensioni medie che è rimasto su volumi simili al 2015 (87.000 t). In Giappone le importazioni hanno visto salire la percentuale di prodotti a valore aggiunto come gamberi cotti, gamberi per tempura e gamberi per sushi con riso, che hanno costituito il 27% in valore delle transazioni commerciali. I paesi di provenienza principali sono stati Vietnam, Tailandia, India, Indonesia e Cina. L’Asia ha visto un incremento degli scambi commerciali intraregionali, parte dei quali è stata destinata alla riesportazione tal quale o dopo lavorazione e condizionamento. La Cina ha registrato una robusta domanda con il +4% dai mercati esteri, originata in gran parte da Argentina, Canada, Ecuador, Tailandia e Groenlandia. Il Vietnam ha visto un’impennata delle importazioni, salite da 203.000 a 323.000 t nell’ultimo anno, provenienti da Ecuador, India, Tailandia, Iran, Malesia, Venezuela, Argentina, Canada. Roberto Villa 61


Il mercato dei bivalvi nel 2016 Produzione stabile, prezzi in leggero calo tranne poche eccezioni. Problemi sanitari per i mitili in Cile e per le ostriche in Francia di Roberto Villa

La produzione mondiale dei bivalvi da allevamento è piuttosto stabile, intorno ai 14 milioni di tonnellate all’anno, con la Cina che rappresenta approssimativamente l’80% di tale volume; tuttavia, il commercio mondiale è alquanto ridotto poiché la maggior parte dei consumi è rivolta ai mercati interni dei paesi produttori. Unica eccezione sono i mitili, oggetto di esportazione per circa 250.000-300.000 tonnellate, seguite da 150.000-180.000 tonnellate di vongole, 130.000-160.000 tonnellate fra pettini, pettini maggiori e can-

nolicchi, 40.000-60.000 tonnellate di ostriche. L’Unione Europea assorbe più di un terzo del commercio mondiale di bivalvi, con un picco di due terzi per quanto riguarda i mitili. Molto intenso è lo scambio intracomunitario, mentre i paesi extra UE ammessi all’esportazione di bivalvi vivi sono solamente tredici, per via delle rigorose condizioni igieniche che devono essere rispettate per varcare i confini comunitari. La Francia rappresenta uno dei principali mercati, con una

produzione di ostriche che viene largamente esportata negli altri paesi dell’Unione, e, per contro, una forte importazione di altre specie di bivalvi dagli altri Paesi Membri, così come dai paesi non comunitari autorizzati. Mitili Dei 2 milioni di tonnellate allevati nel mondo, metà sono prodotti in Cina; seguono a notevole distanza Cile e Spagna; con quantitativi attorno alle 220.000 tonnellate. Tra il 10% e il 15% della produzione mondiale è oggetto di scambi commerciali.

L’Unione Europea assorbe più di un terzo del commercio mondiale di bivalvi, con un picco di due terzi per quanto riguarda i mitili (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com). 62

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L’acquacoltura europea si basa sull’allevamento sul fondale, tipico nei paesi settentrionali come i Paesi Bassi, oppure su corde, come in Spagna e Italia. La produzione spagnola, concentrata in Galizia, ha risentito delle importazioni dal Cile a prezzi competitivi, tanto da vedere chiudere molte attività a carattere familiare o artigianale

Il commercio intracomunitario di mitili è alto, mentre resta ridotta a 13 paesi l’esportazione extra UE, per motivi legati al rispetto degli standard fissati dalle norme igieniche comunitarie (photo © savoieleysse – stock.adobe.com). La cosiddetta marea rossa o red tide — un fenomeno di colorazione rosso porpora delle acque, causato dalla presenza di alghe del genere Dynophysis — ha determinato forti ripercussioni per la produzione in Cile; tali alghe producono una tossina che rende le cozze e altri bivalvi inadatti al consumo umano poiché provoca gastroenteriti, nausea e vomito. La tossina, nota come DSP (Diarrhetic Shellfish Poisoning), è in realtà composta da quattro molecole distinte e l’Unione Europea ha fissato un limite massimo di 0,16 μg/g. 64

Nel 2015 simili episodi avevano messo in ginocchio la mitilicoltura in Irlanda con un crollo di oltre il 70% del raccolto. Secondo i dati diffusi dalla rete FAO Globefish, le stime per il 2016 indicano per il Cile un decremento del 5% nella quantità totale prodotta rispetto al 2015, che si è riflessa in un calo più che proporzionale delle esportazioni: le circa 70.000 tonnellate di mitili congelati esportate dal paese andino hanno trovato mercati di destinazione più diversificati rispetto al recente passato, quando

la Spagna era il mercato prevalente, mentre Stati Uniti, Italia e Francia hanno aumentato le loro quote. L’acquacoltura europea è basata sulla tecnica dell’allevamento sul fondale, tipica nei paesi settentrionali come i Paesi Bassi, oppure su corde, come in Spagna e Italia. La produzione spagnola, molto concentrata in Galizia, ha risentito negli ultimi anni delle importazioni dal Cile a prezzi competitivi, tanto da causare la chiusura delle attività a carattere familiare o artigianale; unica nicchia che ha resistito è quella IL PESCE, 5/17



Ostriche di Cancale (photo © Delphotostock – stock.adobe.com). per l’esportazione fuori stagione verso la Francia, quando cioè il mercato francese ha terminato le disponibilità delle cozze bouchot allevate in patria. Il prezzo dei mitili nel 2016 nell’Unione Europea è stato in media di 4,8 euro/kg, con una variazione al ribasso del 5% sull’anno precedente. Pettini, cannolicchi e vongole Sia i volumi che i prezzi sul mercato europeo sono risultati in declino, in particolare nel mercato francese che è il principale dell’Unione Europea (–28% le quantità importate nei primi sei mesi del 2016 sul corrispondente periodo dell’anno precedente). Cina, Stati Uniti e Francia si confermano i principali bacini di consumo di pettini, pettini maggiori e cannolicchi. La produzione di pettini, pettini maggiori e cannolicchi negli Stati Uniti sta vivendo una situazione particolarmente florida sulla costa atlantica, dove si stima che nel 2017 i volumi possano raggiungere 21.500 tonnellate (+18% sul saldo del 2016) e nel 2018 gli analisti 66

di mercato prospettano di arrivare a 32.500 tonnellate, cioè un valore sostanzialmente doppio di quello acquisito nel 2016. Nonostante ciò, le importazioni negli Stati Uniti hanno raggiunto circa 19.000 tonnellate nei primi nove mesi del 2016, segno di una notevole domanda. Il commercio mondiale delle vongole è risultato in calo, con 37.400 tonnellate nei primi nove mesi del 2016 rispetto alle 51.000 tonnellate del medesimo periodo 2015. La Cina costituisce l’origine della maggior parte delle importazioni di vongole del Giappone e della Corea del Sud, con una quota prossima al 90%: i due paesi hanno importato oltre 30.000 tonnellate nei primi sei mesi del 2016. Per quanto riguarda il mercato del prodotto pescato, l’Italia rappresenta un mercato interessante, soprattutto per le vongole di origine tunisina, paese nel quale la FAO sta cercando di favorire la creazione di una filiera certificata a tutela della specificità del prodotto e dello sviluppo dell’economia locale.

Ostriche Anche per le ostriche, fatte salve le annate caratterizzate da parassitosi, la produzione annua è piuttosto stabile, con 5 milioni di tonnellate, delle quali anche in questo caso l’80% è prodotto in Cina, mentre l’export è limitato a circa 60.000 tonnellate per anno. I prezzi sono risultati altalenanti sui principali mercati di consumo come gli Stati Uniti e la Francia: in quest’ultima il prezzo all’ingrosso di una dozzina di ostriche, ad aprile 2016, era di 8,73 euro, vale a dire 1 euro meno rispetto a dodici mesi prima, mentre a fine anno sono saliti a 10,00 euro la dozzina: tale prezzo è molto alto se paragonato con i 6,00 euro del 2008, ma si spiega con un altro anno di difficoltà produttive nel paese transalpino, dove in alcuni comprensori di allevamento si sono toccati cali dell’80%. Nonostante i prezzi alti, i consumi nell’Unione Europea sono leggermente aumentati e con essi le esportazioni francesi verso tutti i Paesi della UE (+20% rispetto al 2015). Roberto Villa IL PESCE, 5/17



Alghe: un ingrediente esotico sempre più vicino Molti consumatori europei hanno già avuto modo di assaggiare le alghe, soprattutto grazie alla crescente diffusione del sushi e dei locali giapponesi o orientali. Eppure sono tantissimi i potenziali utilizzi in cucina delle alghe e che vanno decisamente oltre ai maki. Stimolare l’economia locale, preservando il patrimonio locale In Danimarca ci sono 27 isole con meno di 1.000 residenti, molte delle quali rinomate per una o più particolari produzioni alimentare. Tuttavia, la mancanza di prodotti innovativi da proporre ad un mercato sempre più esigente, oltre allo spopolamento, pone oggi la necessità

di un cambiamento nell’economia di queste realtà. Un piccolo gruppo di produttori danesi appartenenti a due Danish FLAGs (Fisheries Local Action Groups) dell’isola di Bornholm e di altre isole minori ci sta provando attraverso un progetto di produzione di alghe commestibili che rappresenta una possibile soluzione alle problematiche delle isole danesi, in quanto aiuta a diffondere un prodotto locale stimolando l’economia del territorio e contribuendo quindi a mantenere vive le comunità. Tenersi al passo coi tempi: l’innovazione nei prodotti del mare L’iniziativa danese legata all’alghicoltura nasce da una serie di

incontri tra questi piccoli produttori alimentari e diversi esperti del settore, e rappresenta il vero spirito dell’imprenditorialità. Non esisteva infatti alcuna tradizione pre­esistente relativa alla coltivazione di alghe in Danimarca, ma questo gruppo di imprenditori ha saputo riconoscere un’opportunità e ha deciso di sfruttarla! Hanno iniziato raccogliendo molte informazioni sulle differenti specie di alghe e sui loro utilizzi, organizzando successivamente seminari su tutte le isole in cui le comunità avessero mostrato interesse per questo settore innovativo e redditizio. Con il crescere della motivazione, hanno cominciato ad apparire nuove aziende, ad oggi tutte operative. Sin

Coltivazione di alghe in Danimarca. 68

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Grappa e birra alle alghe, miscele di farine per prodotti da forno, condimenti vari: i prodotti realizzati con le alghe commestibili coltivate sulle piccole isole danesi e sull’isola di Bornholm vengono attualmente venduti principalmente in Danimarca, ma anche nel resto d’Europa si registra un forte interesse per questo genere di prodotti. Nel 2016 è stato pubblicato un libro di cucina dal titolo “Nordic seaweed. A cookery book from the sea” che conferma il potenziale di crescita delle alghe nella gastronomia europea (photo © blog.nordal.eu). 70

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Tartelletta di ravanello e olio al rafano realizzata con alghe proposta dal Noma di Copenaghen (photo © Table No. 7).

Moltissime alghe sono commestibili e vengono utilizzatenellapreparazione di piatti. Sono considerate come i semi dei “super foods”, cioè cibi da assumere regolarmente in piccole quantità come dose di benessere quotidiana. Una curiosità: contengono tantissimo iodio, più di qualsiasi altro alimento

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dall’avvio del progetto, è stata sviluppata un’intera varietà di prodotti in tutte le varie isole, che comprende grappa, miscela di farina di alghe per prodotti da forno, senape, insalata, pesto alle alghe e, sì, anche birra. La creatività degli isolani ha coinciso con l’emergere della nuova cucina nordica, un movimento di giovani chef volto a promuovere ingredienti locali sottoutilizzati per preparare i piatti della tradizione in nuove forme. Oltre al crescente appetito di sushi degli europei, ciò ha aiutato a creare le condizioni di mercato ideali per una proposta variegata a base di alghe. Nelle fasi iniziali, il progetto ha ricevuto un sostanzioso aiuto dal fondo dell’Asse 4 dell’UE, che ha fornito i finanziamenti per le iniziative nel settore della pesca, così come da finanziamenti nazionali e privati. Dopo aver sfruttato con successo questo primo voto di fiducia sotto forma di sostegno finanziario, il gruppo alle redini del progetto danese è riuscito a limitare la necessità di nuovi investimenti. In effetti, i semi-

nari europei di cui hanno usufruito questi talentuosi imprenditori sono espressamente studiati per offrire le conoscenze necessarie per avviare nuove attività. Il futuro delle alghe danesi I produttori di alghe stanno già guardando al futuro. Stanno infatti lavorando ad un nuovo progetto per sfruttare l’enorme potenziale delle alghe nel settore degli alimenti destinati agli animali, così come diverse collaborazioni per progetti con altri paesi dell’UE. E la domanda culinaria di alghe è in continua crescita, come dimostra la recente pubblicazione in Norvegia di un libro di cucina ad hoc. Una cosa è certa. Il pensiero innovativo di questi produttori, oltre all’interesse e alla collaborazione dei maggiori chef locali attivi nella scena della nuova cucina nordica, assicurano tantissimi interessanti sviluppi in arrivo. Fonte: Rivista n. 75/ 2017 Affari marittimi e pesca in Europa ec.europa.eu/dgs/maritimeaffairs_fisheries/magazine/it 71


INDAGINI

Il pesce a scuola, un buon alleato

Negli ultimi anni il sushi ha conquistato il favore di bimbi e ragazzi, che lo apprezzano per il gusto e lo considerano facile e divertente da consumare, anche con le classiche bacchette di legno (photo © ulianna19970 – stock.adobe.com). Il pesce nelle mense scolastiche piace ai genitori, aiuta la memoria dei ragazzi e dà il giusto sprint per il ritorno sui banchi. In quanto al menu ideale in fatto di prodotti ittici a scuola, le mamme e i papà italiani vorrebbero pesce, molluschi e crostacei due volte a settimana, meglio se pescati e di stagione. Come emerge da un’indagine F edercoopesca Confcooperative, realizzata in vista dell’avvio dell’anno scolastico. Oltre il 20% degli intervistati vorrebbe veder servito pesce anche più di due volte a settimana, per un 16%, invece, è sufficiente una sola volta. Per la maggioranza, oltre il 69%, la frequenza ideale è due volte a settimana. Quando si tratta di scegliere quali prodotti portare sulle tavole degli studenti, le famiglie hanno le idee chiare, spiega l’associazione: no 72

al prodotto in scatola, sì ai prodotti di allevamento (14%) e anche ai surgelati (11%). I più, però, vorrebbero che nei piatti dei loro figli finisse prodotto pescato (39%) e di stagione (36%). Quanto ai gusti dei ragazzi, i pesci sono i più amati (51%), seguiti da molluschi (31%) e crostacei (18%). A prescindere dalla specie, la frittura è la cottura preferita dai più piccoli. «A scuola — evidenziano i genitori nelle interviste — dobbiamo sostituire il pangasio vietnamita o la vongola del Pacifico con prodotto locale e di stagione». Per garantire prodotto ittico di qualità, rispettando quelli che sono i budget scolastici, “bisogna puntare — afferma Federcoopesca — su prodotto nazionale fresco, di pesca o di allevamento, pesce bianco o azzurro, di grande pezzatura, perché

è più facile da ridurre in porzioni. Va benissimo, quindi, proporre nella ristorazione organizzata specie meno conosciute o dimenticate, buone ed economiche”. L’associazione ricorda l’importanza di inserire pesci, molluschi e crostacei nella dieta dei ragazzi, soprattutto in periodi dove è richiesto maggiore sforzo psicofisico, come alla ripresa delle attività scolastiche. Mangiare pesce almeno una volta a settimana, come più volte evidenziato dalla ricerca scientifica, sembrerebbe, infatti, aumentare del 4,3% il volume della materia grigia cerebrale responsabile della memoria e del 14% quella relativa alle facoltà cognitive. Questo in virtù delle proprietà degli Omega-3. (Fonte: Federcoopesca www.federcoopesca.it) IL PESCE, 5/17



Mangiare etnico in Italia In Italia vi è una significativa presenza di immigrati e si sta diffondendo il gusto dei cibi e delle cucine esotiche, con significativi problemi sociali, ma soprattutto di sicurezza alimentare di Giovanni Ballarini

Mangiare etnico e sicurezza Gli ultimi vent’anni sono stati ca­rat­ terizzati da profondi cam­bia­menti sociali, strutturali e gestionali, che hanno interessato la produzione, il trasporto, il commercio e l’uso degli alimenti. Le nuove tecnologie di pro­ duzione e conservazione, i sempre più veloci ed economici mezzi di trasporto e lo scambio delle derrate alimentari hanno portato alla rapida emergenza e diffusione di agenti patogeni, chimici e microbiologici che pongono nuovi problemi alla sanità alimentare (food security) e all’emergenza di incidenti che, anche se di limitata dimensione, sono comunque enfatizzati dall’informazione me74

diatica. In questo quadro va posto l’odierno fenomeno della diffusione in Italia del mangiare etnico. Mangiare etnico, fenomeno non solo italiano Il cibo e il mangiare etnico, nella qualità e intensità che oggi stiamo conoscendo, è arrivato nella nostra nazione così come era successo in passato in Francia, Regno Unito, Belgio, paesi che avevano colonie dalle quali provenivano persone e alimenti, o negli Stati Uniti, interessati da immigrazioni di popolazioni diverse. Anche l’Italia, anni addietro, senza arrivare all’antico Impero romano, ha conosciuto cibi

etnici quali la melanzana e il riso di provenienza asiatica, la patata, il pomodoro e il mais d’origine americana, e, nell’ultimo dopoguerra, la diffusione in tutta la penisola di un cibo e un tipo di ristorazione locale quasi di tipo “etnico”, come la pizza e le pizzerie. Oggi, il fenomeno non solo è molto più rapido, ma è accompagnato dalla presenza di popolazioni immigrate e da profondi cambiamenti culturali e sociali che modificano anche gli stili alimentari. Inoltre, sempre più numerosi sono gli Italiani che vanno all’estero, dove imparano a conoscere e ad apprezzare i cibi locali, uscendo dall’ambito territoriale che prima li caratterizIL PESCE, 5/17


Il tema del cibo e della cucina proveniente da tutto il mondo ha ricevuto un’ampia eco mediatica negli ultimi anni. Merito della globalizzazione, che ha favorito i flussi di persone e di tradizioni gastronomiche diverse dalle nostre

Peper Ikan, tradizionale piatto indonesiano, a base di pesce avvol­to in foglie di banana (photo © project1photography – stock.adobe.com). zava. Simultaneamente è aumentata l’usanza di mangiare fuori di casa, prediligendo soprattutto le pizzerie, che sempre più frequentemente sono oggi gestite da extracomunitari che le hanno trasformate in pizzeriekebaberie e hanno creato ristoranti etnici di diverso tipo. Un’indagine del 2014 mostra che, su circa 3.000 imprese gestite a Milano da Cinesi, la maggioranza (61%) riguarda l’alimentare: 35% ristoranti, 14% macellerie, 12% gastronomie.

Il piatto etnico, con un costo medio relativamente contenuto, è un valido diversivo “anti-crisi” alla portata di tutti. Le motivazioni per cui si mangia? Sono legate anche al desiderio di provare qualcosa di nuovo, di diverso, ma anche a ragioni di tipo culturale

Locali di ristorazione etnica in Italia Un tempo le insegne erano chiare

Tabella 1 – Ristoranti etnici in Italia Regione

Ristoranti

Regione

Ristoranti

Abruzzo

5.208

Molise

1.104

Basilicata

1.349

Piemonte

13.991

Calabria

6.011

Puglia

11.115

Campania

17.103

Sardegna

5.974

Emilia-Romagna

14.703

Sicilia

12.504

4.078

Toscana

14.461

Lazio

21.517

Trentino-Alto Adige

3.246

Liguria

7.354

Umbria

2.902

26.336

Valle d’Aosta

5.605

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

Lombardia Marche Totale

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e permettevano di orientarsi con sicurezza, anche in una certa graduatoria di valori e prezzi. Vi era la sequenza discendente di ristorante, trattoria e osteria: il primo di lusso, la seconda con una cucina familiare e la terza considerata uno spaccio del vino o poco più. In modo analogo vi era il caffè o gran caffè spesso con unita pasticceria, poi seguiva il bar. Oggi non è più così e l’insegna di Osteria o Hosteria può celare un locale molto ricercato, con prezzi alti se non elevatissimi. La locanda non è più il luogo dove un tempo si locavano o affittavano camere (e si accoglievano i cavalli, quando era

664 14.734 189.959

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L’etnico non si mangia solo fuori casa: una delle ultime tendenze che si registra anche tra i nostri connazionali è il prepararlo direttamente tra le mura domestiche. Sono infatti aumentati gli acquisti presso i negozi specializzati e la grande distribuzione di prodotti esteri

una locanda con stallatico), ma è spesso un ristorante che offre una cucina a una o più stelle e con prezzi ugualmente stellari. Non mancano poi i locali con nomi nuovi, in un processo iniziato nell’ultimo dopoguerra, con la diffusione delle pizzerie, a cui sono seguite le paninoteche con diverse denominazioni (come Clinica del Panino: panini da mangiare a letto o per ammalati?…), fino alle odierne kebaberie, pizza-kebaberie e snackerie. A Milano, dove il Regolamento di Polizia Urbana impone l’uso di una “corretta lingua italiana”, fioriscono insegne in russo, cinese, giapponese e altre lingue e suoni come quelli latino-americani. Le nostre città, afferma Elena Carpi dell’Università di Pisa, in questo periodo si presentano come uno spazio multilingue e l’insieme delle cosiddette scritture esposte nello spazio pubblico, come ad esempio le insegne dei negozi o le scritte sui muri, permettono di valutare in che modo un gruppo linguistico si segnala nel territorio; da questo punto di vista, in molte città risultano particolarmente interessanti taluni quartieri, dove si concentrano attività commerciali e abitazioni di cittadini cinesi, senegalesi e norda76

Sushi e sashimi. Un tempo apprezzate da pochi “appassionati” ora anche nel nostro Paese queste pietanze sono gradite a milioni di persone, che affollano ogni giorno i ristoranti giapponesi. Peccato però che, parallelamente al crescere dei locali specializzati, siano in aumento i casi d’intossicazione legati al consumo di questi cibi. Quello che non tutti sanno, infatti, è che anche il pesce ha dei parassiti, che possono essere trasmessi all’uomo con estrema facilità se non vengono osservate alcune norme (photo © lev dolgachov). fricani. In Italia, nel 2014, sono stati censiti 200.000 ristoranti etnici, in continuo aumento dal 2% al 4% ogni anno. In prevalenza questi locali sono gestiti da asiatici, soprattutto cinesi (58%), egiziani (21%), peruviani (15%) e latino-americani (6%), senza contare gli emergenti ristoranti turchi, iraniani e mediorientali, che si aggiungono a quelli già ben stabiliti di provenienza nord-americana. La frequentazione di questi ristoranti è in continuo aumento, così come il consumo di prodotti alimentari esteri. Un processo simile a quello avvenuto nel secondo dopoguerra per la pizza, trasformatasi in piatto nazionale da tradizionale napoletano. Cucine etniche in Italia Se gli Italiani stanno conoscendo cibi e cucine esotiche, di pari passo le popolazioni immigrate conoscono le diverse cucine italiane. Per questo, nel nuovo panorama sociale e alimentare italiano, come già avvenuto in altri paesi occidentali, anche in Italia si deve parlare di alimentazione e cucina transculturali, che hanno diverse e complesse basi, nelle quali interagiscono due principali pulsioni. Da una parte, nelle popolazioni immigrate vi è un’importante affet-

tività alimentare di tipo identitario, perché “io sono quello che mangio”. Da un’altra parte, negli Italiani vi è il gusto e il piacere della ricerca del nuovo. Questa situazione, solo tratteggiata, che potrà portare anche a nuovi tipi di coltivazioni e allevamenti animali, sta continuamente evolvendo, ponendo diversi problemi che riguardano molti assetti sanitari e sociali. La sicurezza degli alimenti si associa alla loro importazione da paesi diversi, dove vi sono differenti abitudini alimentari e, soprattutto, non di rado, normative sanitarie di livello diverso dal nostro. I sistemi di controllo sono spesso limitati, se non addirittura inesistenti, il tutto aggravato frequentemente da diciture su certificati ed etichette di difficile comprensione. Altrettanto importanti sono gli aspetti sociali dell’alimentazione etnica interculturale: si pensi alle mense scolastiche, sempre più spesso frequentate da scolari di diverse etnie, con differenti culture alimentari familiari, e alla presenza di ristoranti ed esercizi alimentari esotici nelle aree storiche italiane. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma IL PESCE, 5/17



La ricerca IZSVe sulla sicurezza alimentare del cibo etnico L’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delleVenezie (www.izsvenezie.it) ha realizzato una ricerca con l’obiettivo di studiare le caratteristiche dei consumatori di prodotti etnici nel contesto italiano. Lo studio è stato effettuato nell’ambito del progetto di ricerca “Ristorazione etnica e sicurezza alimentare: problematiche microbiologiche, reazioni avverse, frodi e percezione del rischio da parte del consumatore finale” finanziato dal Ministero della Salute (RC 17/12). Conoscere queste dinamiche è importante non solo per fotografare un fenomeno sociale, ma soprattutto per collocare il tema della sicurezza alimentare in una cornice sociologica. L’indagine, infatti, è parte di una ricerca più ampia che ha l’obiettivo di conoscere la percezione del rischio da parte dei consumatori e di verificare i requisiti igienico-sanitari nel settore della ristorazione etnica. I dati sono stati raccolti da un campione di 1.317 intervistati. Dove e cosa si mangia L’etnico non si mangia solo fuori casa; una delle ultime tendenze è prepararlo direttamente fra le mura domestiche. Il 75% dichiara di acquistare prodotti alimentari etnici, e lo fa soprattutto in supermercati della grande distribuzione (48,3%) o in piccoli negozi alimentari gestiti da stranieri (17,2%). Quali prodotti si comprano di più? Quelli della cucina cinese o giapponese (38,8%), seguiti dalla messicana/latino-americana (25,7%), araba/mediorientale (14,2%), del Sud-Est asiatico (10,6%) e infine africana (5,4%). A casa si cucinano soprattutto cuscus, riso cantonese e sushi. Perché si mangia etnico Con un costo relativamente contenuto, il piatto etnico è anche un valido diversivo “anti-crisi” alla portata di tutti, considerando che più della metà del campione arriva a fine mese con qualche difficoltà (51,4%). Le motivazioni per cui si mangia etnico sono infatti diverse: sicuramente per mangiare qualcosa di diverso (51,4%), ma anche per ragioni culturali (31,1%) ed economiche (7,4%). Come si viene invece a contatto con la cucina etnica? Principalmente tramite famigliari e amici (50,4%) o da viaggi in paesi stranieri (24,5%). In conclusione, la fotografia mostra che l’accettazione e la diffusione di nuove abitudini alimentari fra la popolazione italiana dipende da una crescente disponibilità di ristoranti e negozi etnici. Esistono tuttavia altri fattori — che richiedono opportuni approfondimenti — che possono influenzare le scelte alimentari, come gli scambi turistici con paesi stranieri, le richieste di consumatori sempre più esigenti in fatto di varietà degli alimenti, l’atteggiamento esplorativo e ludico nei confronti del cibo, in particolare per alcune fasce di popolazione come i più giovani.

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MIPAAF: al via decreto su denominazioni delle specie ittiche di interesse commerciale Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali rende noto che è stato firmato il decreto che stabilisce la denominazione delle specie ittiche di interesse commerciale, adempiendo agli obblighi unionali previsti dall’art. 37 “Denominazione commerciale” del Regolamento (UE) n. 1379/2013. Viene abrogato così il Decreto Ministeriale del 31 gennaio 2008 contenente l’elenco delle denominazioni provvisorie in lingua delle specie ittiche di interesse commerciale. «In due anni di lavoro — ha dichiarato in proposito il sottosegretario con delega alla pesca Giuseppe Castiglione — sono state riesaminate le denominazioni di oltre un migliaio di specie ittiche con l’intento di costituire un elenco epurato sia dai refusi relativi alla denominazione scientifica e commerciale di alcune specie sia dai nomi scientifici obsoleti. Con questo nuovo elenco definitivo l’Italia compie un importante passo in avanti non solo verso una normativa in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti ittici sempre più armonizzata a livello unionale ma anche verso una maggiore riconoscibilità dei prodotti ittici da parte del consumatore». Un apposito Gruppo di Lavoro ha proceduto alla denominazione delle specie per le quali, nel corso degli ultimi anni, è pervenuta richiesta ufficiale di denominazione commerciale presso la Direzione Generale della Pesca. Il Gruppo composto da esperti ha lavorato secondo criteri di ordine geografico, in base alla distribuzione della specie in esame, e di ordine commerciale, in base al consolidamento della denominazione della specie in uso e il suo livello di conoscenza e diffusione. Le disposizioni contenute nel decreto avranno efficacia a decorrere dal 365o giorno successivo alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Entro tale termine gli operatori della filiera provvederanno ad adottare quanto stabilito. La vendita dei prodotti, esposti in imballaggi preconfezionati in data precedente all’entrata in vigore del decreto, recanti “denominazioni” conformi al DM 31 gennaio 2008, è consentita fino all’esaurimento delle scorte. (Fonte: MIPAAF)

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LOCALI DI GUSTO

Prevista per novembre l’apertura del grande parco agroalimentare

Aspettando FICO! di Massimiliano Rella

Aprirà a novembre alle porte di Bologna il più grande parco agroalimentare al mondo: FICO, Fabbrica Italiana Contadina, il progetto più ambizioso di Oscar Farinetti, già ideatore di Eataly. “FICO” sarà un luogo di promozione delle eccellenze italiane, un luogo di formazione e didattica, di intrattenimento e ristora-

zione, con 45 spazi ristoro tra osterie, pizzerie, bar, caffè, ristoranti, ma soprattutto — ed è questo a fare la differenza — un luogo di produzione del cibo. Saranno infatti 40 le “fabbriche” contadine: pasta, formaggi, salumi, carni, uova, ortaggi, frutta, pane; tutto sarà prodotto all’interno di un’area di 80.000 m2, comprensiva

di ampi spazi verdi, laboratori di trasformazione, caseifici, salumifici, forni, allevamento di animali, in un’area collegata alla città con frequenti navette e aperta al pubblico gratuitamente. Dentro quest’avveniristico parco a tema si potrà mangiare a partire da pochi euro fino a proposte gourmet decisamente più care.

Prevista per novembre l’apertura di FICO, l’avveniristica fabbrica contadina, ultimo ambizioso progetto di Farinetti. 80

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Un po’ fattoria, un po’ Disneyland del cibo, un po’ scuola, un po’ ipermercato Tante cose insieme per un’iniziativa unica nel suo genere che ha già acceso i riflettori mediatici sull’Italia, su Bologna e sui nostri giacimenti agroalimentari. L’80% degli ingredienti utilizzati nei 45 punti ristoro sarà prodotto internamente a FICO, in una logica di filiera corta e km 0. Tra i ristoranti ce ne sarà anche uno interamente dedicato a servire un centro congressi da 1.000 posti. «Il nostro Paese ha ereditato un grande patrimonio agroalimentare» ha commentato Farinetti durante la presentazione al centro congressi romano di Eataly a Roma. «Abbiamo 1.000 varietà di mele sulle 1.200 esistenti in Europa, 1.200 vitigni autoctoni,

siamo al primo posto tra i desideri dei turisti mondiali ma al quinto per effettiva attrazione, dietro ad altri Paesi. C’è un problema tra quel primo e il quinto posto: il problema siamo noi. Con FICO — promette Farinetti — vogliamo farci perdonare la fortuna d’essere nati in Italia con il più grande parco agroalimentare mai realizzato al mondo. L’obiettivo è di far arrivare ogni anno 2 milioni di turisti internazionali, mezzo milione di bambini e studenti e 1 milione dei 17 milioni di pensionati italiani». E se FICO rischia d’apparire co­ me un luogo di spettacolarizzazione del cibo, come un non-luogo, un grande contenitore di eccellenze delle province italiane ma fisicamente accentrato nel cuore dell’Emilia,

sarà in ogni caso un grande attrattore per il made in Italy, anche un primo approccio verso l’agroalimentare di qualità per quella parte di pubblico meno esperta. Sarà però anche un veicolo di promozione dei territori dove nascono tradizionalmente quei prodotti delle nostre regioni? Ovvero, da questa operazione trarrà beneficio anche il turismo enogastronomico nel resto d’Italia? Oppure FICO sarà principalmente un attrattore locale-regionale? «Abbiamo fatto un accordo con l’UNESCO per promuovere i nostri 51 siti protetti, il più alto numero al mondo, uno più della Cina», ha dichiarato Farinetti. Una cosa al momento è certa: FICO darà lavoro direttamente a 700 persone e a 3.000 nell’indotto.

L’area su cui si svilupperà FICO è di 80.000 m2. IL PESCE, 5/17

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Fuoco, mare, animali, terra, bottiglia e futuro Tanti i nomi che salgono sul carro di questa nuova avventura dell’im­ prenditore di Alba. Per la ristorazione a tema, ad esempio, il ristorante La Pasta proporrà i primi piatti della Trattoria di Amerigo (Savigno, BO); il ristorante Il Pesce vedrà ai fornelli i fratelli Raschi del ristorante Guido di Rimini; il Salumi e Formaggi-Osteria del Culatello sarà curato da Antica Ardenga (Diolo, Soragna, PR); il ristorante La Carne proporrà piatti di razze bovine come Piemontese e Chianina, ma anche selvaggina e cacciagione, grazie al consorzio piemontese La Granda e alla famiglia Zivieri, macellai e norcini di Monzuno (BO). La pizza napoletana sarà preparata da Rossopomodoro, e così via. Inoltre, troveremo un cocktail bar che usa solo ingredienti italiani. Invece sul fronte della produzione tanti chioschi e piccole botteghe: la Porchetta di Renzini di Norcia, la Piadina di Romagna Food, il Pollo Campese. In alcune delle 40 “fabbriche” che produrranno a FICO il meglio dell’enogastronomia nazionale sarà possibile degustare autentiche specialità: la Prosciutteria di Ruliano, Mortadella World gestita dal Consorzio della Mortadella di Bologna Igp, i salumi di Nero di Calabria e Cinta senese del chiosco Il Suino Nero, gestito da Madeo (Calabria) e Savigni (Toscana). Inoltre, produzione di Pasta di Campofilone, Pastificio Gragnanese e chioschi di Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Per tutti anche piste ciclabili interne e 6 grandi giostre multimediali educative per un percorso didattico che descrive il rapporto dell’uomo con le principali scoperte del mondo naturale: fuoco, mare, animali, terra, bottiglia e futuro. E ogni giorno 30 eventi e 50 corsi. Massimiliano Rella

Parco a tema avveniristico con spazi ristoro, dalla produzione di formaggio alla tartufaia, FICO sarà soprattutto un luogo di produzione del cibo. 82

FICO – Eatalyworld Srl Via Paolo Canali 1 – 40127 Bologna Web: eatalyworld.it www.instagram.com/eatalyworld www.facebook.com/eatalyworld IL PESCE, 5/17



IL PESCE IN TAVOLA

Le sarde a beccafico Un piatto “povero” e gustoso della tradizione siciliana, con tante varianti, utilizzato oggi sia come antipasto che come secondo di Nunzia Manicardi

Prima ancora di assaggiarle, per quanto siano invitanti, inevitabilmente ci si chiede: “ma che cos’è il beccafico”? Ebbene, il beccafico non è un pesce bensì un volatile della famiglia dei Silvidi, simile alla capinera e al passero, dalle carni molto saporite. Questo uccello andava spesso a beccare i fichi, particolarmente diffusi in Sicilia, ed è per questo che venne chiamato con questo nome evocativo. Essendo poi considerato una vera prelibatezza, veniva cacciato, cucinato e servito dopo le battute venatorie a raffinata conclusione di una giornata faticosa e divertente (per i signorotti del posto, naturalmente!). La farcia, costituita dalle stesse viscere e interiora del beccafico, era il completamento ideale. Ne risultava un piatto ricco e appetitoso, ma inavvicinabile per il popolino. Che fare, allora? Restare a guardare con l’acquolina in bocca? Niente affatto… La creatività popolare escogitò un sostituto del lussuoso beccafico trovandolo nella povera sarda, povera nel senso che era alla portata di tutti, nell’amplissimo mare un tempo così pescoso, da cui tutti riuscivano a trarre il sostentamento quotidiano. 84

Anche per il ripieno l’inventiva si scatenò sfruttando al meglio quello che poteva avere a disposizione: mollica di pane, un po’ di succo di limone, per cercare di attenuare il forte odore caratteristico di questi pesci, e infine pinoli. Tutto qui, arrotolando il pesciolino fino a conferirgli un aspetto, a fine cottura, non troppo dissimile da quello dell’omologo uccellino. In seguito nacquero varianti locali con l’aggiunta di alcune erbe aromatiche, come alloro e prezzemolo, e poi anche un po’ di aglio, olio se ce n’era, uva sultanina, olive, formaggio e così via. Chi più aveva, aggiungeva. Ma, in ogni caso, sempre nell’ambito di una preparazione gastronomica che deve il suo successo proprio alla semplicità e facile reperibilità degli ingredienti, tutti a basso-bassissimo costo. Ciononostante, o proprio per questo, le sarde a beccafico sono diventate un piatto tipico talmente riconosciuto da essere da tempo inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Siamo in presenza dunque di un prodotto molto antico, una rielaborazione dal “basso” di una ricetta di

origine “alta” che riveste un significato anche antropologico che la rende particolarmente interessante, oltre al fatto di unire in maniera perfetta il sapore del mare ai gusti della terra. Per questi motivi le sarde a beccafico sono oggi considerate un elemento distintivo della cucina tradizionale siciliana nel suo complesso. La zona d’elezione, tuttavia, è quella di Palermo, Messina e Catania. Nei mercati palermitani, come quello della Vucciria, le sarde a beccafico non possono mancare! Si mangiano anche come cibo di strada, ma in genere — visto che vengono vendute soprattutto nelle versioni arricchite con tanti ingredienti — costituiscono un secondo ottimo e completo. Nei pranzi, specialmente in quelli da cerimonia, sono invece un antipasto molto gradito. La ricetta di base prevede di preparare le sarde arrotolandole e fermandole con uno stecchino (o stuzzicadenti) dopo averle riempite con una farcia per lo più a base di pangrattato, aglio tritato, prezzemolo tritato, pinoli (talvolta uva sultanina, anch’essa tipicamente impiegata in Sicilia), sale, pepe e olio d’oliva. Per sistemare bene IL PESCE, 5/17


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Piatto tipico della cucina tradizionale siciliana, le sarde a beccafico devono il loro successo agli ingredienti semplici, facilmente reperibili, e alla loro versatilità , che le fa apprezzare sia come cibo da strada che come antipasto o secondo completo (photo Š www.ladanigourmet.com). 86

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la farcia è opportuno che la sarde siano aperte a libro e, soprattutto, che rimangano intere il più possibile. Quindi bisogna fare molta attenzione nella fase preliminare di pulitura. Molta cura va posta anche nella rosolatura del pangrattato, operazione che può sembrare facilissima ma che in realtà va fatta con abilità perché se il pangrattato sarà troppo umido formerà una poltiglia e, se tenderà a bruciare, comprometterà il sapore finale. Importante, infine, è asciugare bene le sarde prima di farcirle per non portarsi dietro troppa acqua nella cottura, che invece deve risultare asciutta o tutt’al più inumidita dall’intingolo. Le diverse varianti sono basate sull’aggiunta di qualche particolare ingrediente, ma soprattutto sulla modalità di cottura.

Alla messinese Nel Messinese il ripieno contiene sempre mollica di pane, ma con l’aggiunta di capperi. La differenza fondamentale con la preparazione di Palermo è però la cottura, che avviene non al forno ma mediante frittura. Il piatto finale risulta quindi con una bella panatura dorata. Alla catanese A Catania nella farcia si aggiunge il

caciocavallo. Anche qui le sarde vengono impanate e fritte, però, anziché arrotolarle sulla farcia, sono disposte una sopra l’altra, a due a due. Spiedini di sarde a beccafico Con le sarde a beccafico si possono ottenere anche degli ottimi spiedini. Si preparano le sarde come di consueto, anche se c’è chi, oltre a pangrattato, pinoli, uva sultanina, prezzemolo, aglio e succo di limone, aggiunge pecorino grattugiato e albicocche secche a pezzetti (connubio, quest’ultimo, molto interessante e finalizzato sempre ad attenuare il sapore forte delle sarde). Si mettono di solito tre sarde arrotolate per ogni spiedino. Gli spiedini vengono poi sistemati in una pirofila unta d’olio e cosparsi con un po’ di pangrattato. Si cuoce in forno per 10 minuti a 180° e si serve caldo, appena tolto dal forno. Nunzia Manicardi Nota A pagina 84, photo © o.meerson – stock.adobe.com

LB Comunicazione

Alla palermitana Nel Palermitano le sarde vengono, come sempre, squamate, eviscerate, private della lisca centrale e della testa, lavate e asciugate. Si prepara la farcia facendo dorare in padella

il pangrattato con un po’ olio e aggiungendo aglio e prezzemolo tritato, pinoli, uva sultanina e un cucchiaio di zucchero (per dare un effetto di caramellatura), poi sale, pepe e mezzo bicchiere di olio d’oliva. Quando il composto risulta amalgamato, se ne distribuisce una piccola quantità su ciascuna sarda ben distesa che infine vi viene arrotolata intorno. Le sarde così preparate vengono unte e poi infornate con un intingolo a base di olio, succo di limone, sale, pepe e alternate da foglie d’alloro. Cotte per 15 minuti, si servono fredde.

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SAPORE DI MARE

Pescaria, il pesce come fast food gourmet Da una pescheria tradizionale ad una vera e propria impresa. Numeri record anche sui social e il sogno di uno sbarco oltreoceano di Veronica Fumarola

Pescaria nasce a Polignano a Mare, in provincia di Bari, in un posto magico tra le insenature dell’Adriatico, e porta con sé tutta la tradizione pugliese, l’amore per il mare e per il pesce, tipico di questa zona. Pescaria non è solo un locale, ma una vera e propria case history, dato il successo e i numeri raggiunti in poco più di due anni dall’apertura. Tutto nasce da un’intuizione,

trasformata nel tempo, quasi inaspettatamente, in una vera e propria impresa. Il successo è frutto di un lavoro curato: non solo l’eccellenza delle materie prime, ma soprattutto la comunicazione, su cui Pescaria ha puntato fin da subito. Le origini In principio c’era Lo Scoglio, la pescheria di Bartolo L’Abbate, che

allora vendeva prevalentemente pesce crudo ai noti ristoranti della zona. Il suo desiderio di dar vita a un nuovo modo di mangiare pesce, creando il giusto mix tra le abitudini pugliesi e un concept più metropoli­ tano, da fast food, hanno portato alla nascita di Pescaria, grazie all’aiuto dell’agenzia di marketing e comunicazione Brainpull, di cui Domingo Iudice (secondo membro del trio) è

Pescaria, il più celebre “fast food ittico” italiano, è nato a Polignano nel 2015. Lo chef di Pescaria rielabora gli ingredienti tipici della cucina pugliese e li ripropone in una versione contemporanea. 88

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L’esterno del locale di Polignano.

È sui media che si può notare ancora di più il successo di Pescaria: la pagina Facebook conta 140.000 followers, centinaia di like e commenti quotidiani. Si pensi che nei primi trenta giorni dall’apertura sono state vendute 3.000 unità del primo panino postato sui social

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direttore, e alla collaborazione con Lucio Mele, chef foggiano, che con la sua inventiva ha ideato abbinamenti gourmet. Il locale apre a Polignano a mag­ gio 2015. È un successo sin dagli esordi, dovuto probabilmente anche alla scelta di usare come strumento i social per pubblicizzare la nuova apertura. «Ho lanciato un contest sul mio profilo privato mettendo in palio 200 euro per chi avesse suggerito il nome per il fast food che stavamo per aprire» rivela Domingo. «“Pescaria – Pescatori in cucina”, infatti, non è una nostra invenzione, bensì un suggerimento giunto da Facebook». Numeri record I numeri sono impressionanti fin da subito. Nei primi trenta giorni dall’apertura sono vendute 3.000 unità del primo panino postato sui social. Ed è proprio sui media che si può notare ancora di più il successo di Pescaria: la pagina Facebook conta 140.000 followers, centinaia di like e commenti quotidiani. Cosa dire, poi, della fila di curiosi (in

coda per ordinare) che ha da sempre caratterizzato il locale? La continua richiesta ha spinto Bartolo, Domingo e Lucio a lasciare il punto vendita di via Roma e ad aprirne uno tutto nuovo in piazza Aldo Moro, più grande e luminoso. La formula resta invariata: ristorazione marinara priva di servizio, informale e più rapida dei classici ristoranti, sempre nel segno di materie prima di assoluta qualità. Il menù Da mezzogiorno a mezzanotte si possono gustare diversi prodotti che abbinano alla maniera abitudinaria di mangiare pesce dei pugliesi un approccio decisamente più gourmet: primi piatti, pesce crudo e cotto, fritture, polpette di crostacei, panzerottini e frise (tipici prodotti pugliesi) rivisitati e presentati in molte varianti. «Lo chef — come afferma Domingo — rielabora gli ingredienti tipici della cucina pugliese e li ripropone in una versione più contemporanea e gustosa». Ma i panini, i cui abbinamenti sono curati nei minimi particolari, 89


Domingo, Lucio e Bartolo, il magico trio alla guida di Pescaria. sono sempre i più richiesti; anche a due anni dall’apertura del locale il bestseller resta sempre il panino con la tartare di tonno, burrata, pomodoro fresco, pesto al basilico e olio al cappero. Le alternative, però, non sono meno appetitose: polpo fritto, tartare di salmone, gamberoni al ghiaccio con chips di patate, cotoletta di sgombro, hamburger di pesce 90

spada, tutti rigorosamente abbinati alle specialità locali. Milano e i progetti futuri Dopo il successo riscosso a Poligna­ no, a distanza di poco più di un an­no, nel settembre 2016 Pescaria inaugura un nuovo locale anche a Milano, in via Nino Bonnet. La formula e il menù restano invariati. Qualche dif-

ferenza si riscontra nei prezzi, ma la maggiorazione serve per “rimediare” alle spese di trasporto. «Nonostante la distanza, la logistica ci permette di portare ogni giorno, a Milano, in totale sicurezza, prodotti freschi e controllati» assicura Domingo. La qualità è stata apprezzata anche nel capoluogo lombardo, tanto da attirare le attenzioni di molti. Sono molte le proposte ricevute. Il progetto futuro, ad esempio, è quello di mi­ grare oltreoceano, a New York, con una gestione diretta o in franchising del locale, ma attualmente le attenzioni sono concentrate tutte su Milano. «In ballo c’è la possibilità di aprire un secondo locale» confida Domingo. Veronica Fumarola Pescaria P.zza A. Moro 6/8 70044 Polignano a Mare (BA) Telefono: 080 4247600 Via Nino Bonnet 5 20154 Milano Telefono: 02 6599322 Web: www.pescaria.it facebook.com/pescaria.it IL PESCE, 5/17



Tunisia, profumo di mare e di casa L’amore della Tunisia per la risorsa ittica, documentato fin dagli antichi mosaici, si esprime oggi nella successione dei numerosi locali specializzati che si incontrano lungo la costa del paese. Tappa a Port el Kantaoui, a pochi chilometri da Sousse, al mercato del pesce Bab Jedid e al ristorante Le Méditerranée di Riccardo Lagorio

Con la lenza, per mezzo di trappole, una rete da lancio o nasse. Sono gli strumenti di pesca di duemila anni fa che un ignoto artista riprese su uno dei mosaici che oggi fa parte della eccezionale collezione del Museo Archeologico di Sousse, la più importante raccolta di mosaici d’epoca romana dopo il Bardo di Tunisi. I tasselli mutano colore nei 92

riflessi della luce che arriva radente nel tardo pomeriggio. Li osservano da vicino gli occhi di Medusa, che fissano incantatori attraverso lo specchio appeso al soffitto. La scena racconta l’antico amore di questa terra verso la risorsa ittica. Attrazione fatale alla quale il popolo tunisino sa difficilmente rinunciare. Lo rivelano anche i ristoranti di pesce che si

incontrano lungo la costa e che si concentrano nelle città a forte richiamo turistico. A Sousse il mercato del pesce Bab Jedid funziona dalle prime ore della mattina sino al calare della sera. C’è chi del buonumore ha fatto la propria regola di vita, come Saidi Zouhaied, che alla prima occasione, ripreso dalla macchina fotografica, alza al cielo il polpo ancora vivo e IL PESCE, 5/17


Mercato del pesce Bab Jedid a Port El Kantaoui, Sousse, Tunisia. IL PESCE, 5/17

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Adel Fathallah, chef del ristorante Le Méditerrannée, sulla marina di Port el Kantaoui.

Sui banchi di marmo i pescivendoli esibiscono i loro mérou, termine che individua una serie di pesci dall’aspetto diverso tra loro: la cernia bruna, bianca, a macchie arancio. E c’è chi passa tra i banchi per offrirne le sacche ovariche e il lattume, una prelibatezza da gustare col vino rosato delle cantine locali

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si mette in posa con il ghiaccio sul capo; chi come Mohamed Bunab, di fronte al taccuino, descrive con atteggiamento professionale i luoghi di allevamento e cattura delle orate, alle quali squarcia le branchie per mostrarne il colore rubicondo. Sui banchi di marmo i pescivendoli esibiscono i loro mérou, termine vernacolare che individua una serie di pesci dall’aspetto diverso tra loro: la cernia bruna, bianca, a macchie arancione. E chi passa tra i banchi per offrirne le sacche ovariche e il lattume che, stretto tra due pezzi di legno, salato ed essiccato all’ombra per almeno 20 giorni, diventerà una prelibatezza da gustare con il vino rosato delle cantine locali. Nel caratteristico brusio dei mercati di tanto in tanto si alza qualche voce. Come quella di Jbara Mansour intento a mostrare i suoi tonnetti, argentei e avvolti ancora da brandelli di posidonia. Lì vicino un altro pescatore apre le reti direttamente sul tavolo di marmo. Ne escono cefali guizzanti. Il migliore locale dove fermarsi per

assaggiare questo pesce freschissimo? Si raggiunge in dieci minuti di automobile; è il ristorante Le Méditerranée, sulla marina di Port El Kantaoui. Amuse-bouche: polpo in leggero sugo rosso e olive. La cucina è nelle mani di Adel Fathallah, che sfoggia con orgoglio la casacca che riporta sul colletto il tricolore in evidenza. È originario di Mahdia, una cittadina poco distante, storico porto di pesca da cui provengono numerose creazioni culinarie, che puntualmente Adel ha portato con sé e sono diventate vanto del locale. Come la kamounia, lo stufato di rondelle di polpo che prende delicato gusto dal primo ripasso in curry e dalla successiva cottura in sugo di pomodoro e un poco di peperoncino. Il filo d’olio extravergine d’oliva sul prezzemolo e la cipolla freschi conferiscono un piacevole tocco finale. Nella zona di Sfax a questo piatto aggiungono anche patate: il sugo diventa più denso e l’assenza di olio d’oliva lo rende pesante. C’è infatti chi lo prepara con carne d’agnello, IL PESCE, 5/17



Pentola del vecchio pescatore con cozze, triglie, piccoli polpi, filetti di cernia.

Non è sufficiente usare ottime materie prime, pesce appena pescato. Il cuoco deve saper creare preparazioni che rendono originale il proprio locale: una continua sfida. Parola di Adel Fathallah, chef del ristorante Le Méditerranée, sulla marina di Port El Kantaoui. Il cuscus di pesce, però, non manca mai

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ma a Mahdia pesce e olio di oliva sono i simboli culinari della città. «È un piatto che suggerisco sempre quando esco in sala». Nel frattempo Adel termina con cura i carpacci di mare: spigola, polpo e tonno. «Qui da noi la cucina è espressa, non abbiamo precotture». Le attese per certi piatti, in effetti, sono un po’… imbarazzanti. Come per la pur squisita Pentola del vecchio pescatore, un trionfo di cozze, triglie, piccoli polpi, filetti di cernia cotti a puntino in un sugo rosso che ha indosso quel piccante sempre discreto. Il pane non sarà mai sufficiente a raccogliere il sugo, dopo avere terminato pesce e molluschi. «Non è abbastanza però usare ottime materie prime, pesce appena pescato. Il cuoco deve anche saper creare preparazioni che rendono originale il proprio locale: una continua sfida». Parola di Fathallah. E la sfida ha anche un nome, anzi due, di vaga ispirazione francese. Il primo piatto è una composizione di quattro gamberi sgusciati, saltati e ripassati in una crema di panna e pomodoro che ha al centro una porzione di riso e verdure. Qualche granello di pepe

verde rende il piatto gradevole benché per qualche commensale possa apparire una riedizione di piatti degli anni Settanta. L’altro piatto, di gran lunga più arrischiato, è il filetto di manzo alla Oscar. I gamberi saltati alla griglia e avvolti da sottili fette di salmone affumicato vengono posizionati sul filetto. Sotto, una salsa bernese che dà vivacità al piatto. «Ovviamente non possono mancare piatti tradizionali», annuncia il cuoco. Ecco accontentato chi non credeva che potesse mancare il cuscus di pesce, monumentale. Mentre la cucina mediterranea riprende il sopravvento con la cernia allo stile di Sfax: pomodoro, alloro, cartamo, harissa, prezzemolo e cumino. Essenze che riportano ai profumi di casa. Riccardo Lagorio Ristorante Le Méditerranée Port El Kantaoui Sousse (Tunisia) Web: www.facebook.com/Restaurant.LeMediterrannee Nota A pagina 92 Port El Kantaoui (photo © Victor Marques Fernandez). IL PESCE, 5/17



Il cuore della cucina veneziana si apre al nuovo

La nuova vita del Vecio Fritolin

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L’esterno del Vecio Fritolin.

A Venezia, nel cuore dell’affascinante città sospesa tra terra e acqua, una storica insegna fa capolino nei vicoletti di Santa Croce. Irina Freguia, anima del Vecio Fritolin, ci apre le porte del suo locale e della sua cucina

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Una storia tutta veneziana, che inizia nel Settecento con un semplice bacaro e continua nel presente con le proposte gourmet di due chef: Pierluigi Lovisa e Raffaele Minute. Esperienza e tradizione creativa per il primo; giovinezza, freschezza e creatività nel secondo. La patron Irina Freguia ha saputo creare un ambiente caldo e accogliente che racconta la storia della cucina veneziana, emozionante e generosa, in un ristorante che si approvvigiona del meglio del pescato (e non solo) al Mercato del Pesce di Rialto, tra i più antichi della città e distante un centinaio di metri dal ristorante. Sulla tavola del Vecio Fritolin risplendono le migliori materie prime, fresche di stagione. Tra le tipicità da gustare troviamo le moeche, piccoli granchi in fase di muta, dalla polpa tenerissima, in primavera e in autunno, e le masanete, le femmine dei granchi con il guscio, che a fine estate sono ricche di uova. Immancabile per tradizione il miglior baccalà con le sarde in saor e il fritto misto di pesce e verdure accompagnato da quadrotti di polenta bianca abbrustoliti.

La carta del Vecio Fritolin oscilla tra innovazione e tradizione, dando molto più spazio alla prima che alla seconda, lasciando però il pesce a farla da padrone. Grande attenzione è riservata a vegetariani, vegani e celiaci: numerosi piatti in carta sono pensati per essere alla portata di tutti. Il pane è a lievitazione naturale con farina macinata a pietra, i grissini sono fatti a mano, la pasta è trafilata giornalmente al bronzo e i dolci rigorosamente artigianali. Una tipica osteria veneziana che racchiude, nella sostanza, un ristorante di alto livello Gli arredi del Vecio Fritolin sono volutamente antichi, con le architetture originali del Cinquecento, travi a vista e le lanterne in ferro battuto a creare atmosfera. Sui tavoli apparecchiati con tovagliato bianco candido spicca qualche dettaglio elegante color rosso Murano, oggi dei pesciolini di vetro soffiato, come caldo benvenuto agli ospiti. La cantina Un tempo i signori di Venezia pro99


1) Piatto realizzato con pescato del giorno. Irina si occupa di selezionare personalmente la materia prima ogni giorno al vicino mercato di Rialto. 2) Irina Freguia, patron e anima del Vecio Fritolin. 3) Lo staff del locale.

Tra le tipicità da gustare le moeche, piccoli granchi in fase di muta, dalla polpa tenerissima, e le masanete, granchi femmine che a fine estate sono ricche di uova

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ducevano il vino in laguna e ancora oggi, per gustare a pieno la cucina veneziana, è d’obbligo accompagnarla ad un ottimo calice. Con le sue 130 etichette, la carta dei vini del Vecio Fritolin dà risalto ai vitigni autoctoni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, spazia senza preconcetti in tutta la penisola e sconfina in Francia. Nella cantina anche un’ampia scelta di distillati e liquori. Maître di grande esperienza Matteo Gottardo.

Vecio Fritolin Calle della Regina 2262 Sestiere Santa Croce 30135 Venezia Telefono: 041 5222881 Web: www.veciofritolin.it Nota A pagina 98, lo chef Lovisa durante la preparazione della Variazione di crostacei; per tutte le immagini: photo © Valentina Gallimberti Ballarin). IL PESCE, 5/17



I PIATTI DI PESCE DI GREGORI NALON Mezze penne al sugo di pesce spada

Trancio di pesce spada gratinato

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 12 minuti Dosi: per 4 persone

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 10 minuti Dosi: per 4 persone

Ingredienti

Ingredienti

• 300 g di pesce spada Noriberica • 400 g di mezze penne di grano duro • 100 g di farina tipo 1 • 10 g di basilico • 20 g di prezzemolo • 10 g di aglio fresco • 50 g di cipolla viola

• 100 g di funghi champignon • 100 g di pomodorini • 150 g di olio evo • 50 g di vino bianco • 50 g di pecorino grattugiato • rosmarino, peperoncino, sale e pepe

Preparazione Mentre mettiamo a bollire la pasta in abbondante acqua salata, in una padella con un filo d’olio, aglio e cipolla, cuciniamo i funghi, aggiungendo sale e pepe. Facciamo cuocere qualche minuto e aggiungiamo i pomodorini, sfumando con pochissimo vino bianco. A parte, tagliamo a cubetti lo spada e infariniamolo leggermente, prima di metterlo in un’altra padella con un filo d’olio, rosmarino, peperoncino, un pizzico di sale e di pepe. Lasciamo cuocere velocemente per conservare il sapore e la testura ideale del pesce, prima di versare il tutto nella padella con i funghi e i pomodorini. Appena la pasta è cotta, la scoliamo e la saltiamo in padella con il resto degli ingredienti per finire il piatto. Aggiungiamo basilico emulsionato con olio, amalgamiamo bene con il pecorino e serviamo. Presentazione Disponiamo la pasta al centro del piatto e decoriamo intorno con qualche goccia di emulsione di basilico.

• 4 tranci di pesce spada Noriberica • 50 g di farina tipo 1 • 100 g di pane grattugiato • 50 g di pane bianco per tramezzini • 3 g di rosmarino fresco • 5 g di basilico fresco • 5 g di menta fresca • 2 g di timo fresco

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2 g di erba cipollina 10 g di prezzemolo 4 piccoli pomodori 150 g di olio evo sale e pepe

Preparazione Infariniamo leggermente i tranci di spada e sistemiamoli in una pirofila. Condiamo con olio, rosmarino, sale, pepe e, sopra ogni trancio, adagiamo i pomodori tagliati a fette sottili e conditi leggermente con sale, pepe e olio. A parte, prepariamo il pane aromatico, frullando le erbe con pane bianco, pane grattugiato e olio. Appena pronto, lo cospargiamo sui tranci, aggiungiamo un filo d’olio e andiamo in forno a 210° per 6 minuti. Presentazione Serviamo con decorazione di erbette aromatiche, aggiungendo delle gocce di olio alle erbe (e/o al pomodoro).

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Scaloppine di sgombro al limone e peperoni

Polpettine di merluzzo al sugo

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 10 minuti Dosi: per 4 persone

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 15 minuti Dosi: per 4 persone

Ingredienti

Ingredienti

• 8 filetti di sgombro Noriberica • 100 g di carote a cubetti • 100 g di peperoni rossi e gialli a cubetti • 100 g di farina tipo 1

• 20 g di prezzemolo tritato • 50 g di succo di limone • buccia di mezzo limone • 100 g di olio evo • sale e pepe

Preparazione Tagliamo a fette sottili i filetti di sgombro e infariniamoli, disponendoli, poi, in una pirofila con olio, sale e pepe, dal lato della pelle. Aggiungiamo succo di limone, un goccio d’acqua e pochissimo prezzemolo. Giriamo lo sgombro, con la parte della pelle verso l’alto, e mettiamo in forno per 5 minuti a 200°. Nel frattempo tagliamo a cubetti le carote, i peperoni rossi e gialli e passiamoli in padella, con un filo d’olio, sale e pepe, per qualche minuto, aggiungendo della buccia di limone. Prima di impiattare, prepariamo un olio al peperoncino, con prezzemolo e aglio triturato, che useremo per dare un tocco di freschezza al piatto. Presentazione Disponiamo nel piatto le scaloppe, cospargiamo con i peperoni e il sughetto dello sgombro. Decoriamo con l’olio al peperoncino.

• 500 g di merluzzo Noriberica • 200 g di pane bianco • 100 g di patate lesse • 10 g di capperi • 2 g di aglio • 20 g di prezzemolo • 10 g di basilico fresco • 50 g di carote

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50 g di cipolla 50 g di peperone rosso 50 g di peperone giallo 50 di zucchine 100 g di pomodoro cotto 10 g di acciughe 100 g di olio evo rosmarino, maggiorana farina, olio per friggere

Preparazione Mettiamo a bollire dell’acqua in una pentola e tagliamo a cubettini sottili le carote, le zucchine, la cipolla, i peperoni rosso e giallo. Aggiungiamo le verdure nell’acqua che bolle e lasciamo cuocere per due minuti. A questo punto prepariamo le polpette. In un frullatore mettiamo il prezzemolo, uno spicchio d’aglio, le acciughe, i capperi, rosmarino e maggiorana. A seguire, sale, pepe, olio, pane bianco (o mollica di pane), cubettini di patata lessa e il merluzzo a pezzettini. Frulliamo il tutto e lasciamo da parte l’impasto da cui ricaveremo le polpettine. Scoliamo le verdure e scottiamole in una pentola con olio, basilico e alloro triturati. Dopo un paio di minuti aggiungiamo il pomodoro cotto per ottenere il sugo vegetale. Versiamo della farina in una teglia e mettiamoci le polpettine. Friggiamo le polpette con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio in camicia. Non appena saranno dorate, togliamole dal fuoco e serviamole con il sugo vegetale. Presentazione Disponiamo il sugo nella parte centrale del piatto e sopra mettiamo le polpettine dorate. Serviamo con crostini di pane all’olio extravergine d’oliva.

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SAPORI DAL MONDO

Alla scoperta di una specialità tradizionale islandese a base di carne di squalo

Mangiare l’hákarl con Andrea Falaschi e Walter Mitty di Gaia Borghi

Per Walter Mitty, alias Ben Stiller, protagonista dell’omonimo film del 2013 The Secret Life of Walter Mitty (in Italia tradotto con “I sogni segreti di Walter Mitty”), uno degli scopi della vita è “vedere il mondo”. Se vi state chiedendo da dove iniziare, noi vi diamo un primo suggerimento. Vulcani e campi di lava, ghiacciai e lagune, fiordi, cascate, panorami da togliere il fiato, geyser, aurore boreali… L’Islanda è tutto questo e molto, molto di più. L’attore americano, che del film firma anche la regia, ha infatti scelto questo specifico e

decisamente affascinante “pezzetto” di mondo per ambientare la maggior parte delle riprese della sua commedia e, più in particolare, la penisola di Snæfellsnes, a nord di Reykjavík. La stessa scelta l’ha fatta Andrea Falaschi (ma prima di loro Jules Verne, il quale riteneva fosse possibile proprio da lì, attraverso il cratere dello Snæfellsjökull, raggiungere il centro della terra), macellaio di San Miniato, in provincia di Pisa (con la famiglia Andrea è proprietario della storica macelleria Falaschi, www.sergiofalaschi.com), e amico, che in Islanda ha trascorso le sue

La carne di squalo appena pescato è tossica, non commestibile. L’hákarl islandese e il lungo processo di lavorazione messo a punto per ottenerlo rappresentano uno dei rari esempi che consentono all’uomo di cibarsene

Andrea Falaschi. 104

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I tagli di carne di squalo appesi nell’essiccatoio esterno. IL PESCE, 5/17

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1) Alla fattoria Bjarnarhöfn, sede del museo dedicato a questa curiosa specialità ittica tradizionale islandese, si produce l’hákarl da decenni. In foto, il capanno di legno dove viene fatta essiccare la carne di squalo. 2) L’aspetto dell’alimento in tavola è simile a quello di cubetti di zucchero bianco: durante l'essiccazione si sviluppa infatti una crosta brunastra che viene rimossa prima della messa in commercio del prodotto. L’odore che emana è forte: è quindi consigliabile conservarlo in vasetti ermetici. Il suo assaggio si accompagna tradizionalmente al Brennivín, letteralmente“vino ardente”, distillato di patate al cumino. 3) I tranci sono lasciati all’aria aperta al riparo dai raggi diretti del sole per diversi mesi prima di diventare commestibili. 4) L’hákarl confezionato sottovuoto. In Islanda si può trovare facilmente in vendita nei negozi per tutto l’anno, eventualmente tagliato a pezzetti. 106

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vacanze estive. Rientrato in Italia Andrea mi ha parlato di una specialità ittica tradizionale islandese piuttosto curiosa che ha avuto modo di conoscere e assaggiare: l’hákarl. Si tratta di carne di squalo che subisce una sorta di fermentazione ed è noto anche come squalo marcio o putrefatto. Il pesce in generale, sia di mare che d’acqua dolce, ha un ruolo fondamentale nella dieta degli abitanti di questa piccola nazione, per i quali la pesca resta tutt’oggi una delle principali fonti di approvvigionamento e introito a livello economico. Sulla tavola islandese finiscono infatti merluzzi, aringhe, eglefino, gamberi, aragoste, salmoni (per non parlare delle balene, che però pesci non sono…), ma un posto speciale spetta senz’altro a questo derivato dello squalo, se non altro per l’originalità della sua produzione. La “nascita” dell’hákarl risale all’inizio del 1600 e sarebbe frutto, come spesso è ac­caduto per altre specialità gastronomiche più o meno famose, di una scoperta fortuita, dal momento che la carne di squalo, prima di essere sottoposta ad un lungo processo di lavorazione, non è commestibile. «Nel comune di Stykkishólmur, a 12 km dal capoluogo della penisola di Snæfellsnes, è situato il Museo dello squalo di Bjarnarhöfn, con tanto di essiccatoio e laboratorio annesso. Lo gestisce una famiglia di pescatori che da tanti anni prepara l’hákarl con il metodo tradizionale ed è possibile osservare tutta la lavorazione grazie ad un video» mi racconta Andrea. «La tipologia di squalo che viene utilizzata per produrre l’hákarl è il Somniosus microcephalus o, più semplicemente, squalo della Groenlandia. È uno degli squali più longevi al mondo (può raggiungere un’età compresa tra i 300 e i 400 anni) che vive tra l’Islanda e la Groenlandia. Un pesciolone di fondale che si nutre soprattutto di pesci ma anche di altri mammiferi, come le foche o le focene. Non è considerato pericoloso l’uomo, non lo attacca, e quindi, come risposta, lo attacchiamo noi…». Un vero e proprio gigante degli abissi, che può IL PESCE, 5/17

raggiungere i 7 metri di lunghezza e un peso di circa 500-600 kg. «Una volta pescato l’animale, gli vengono tolte la testa e la coda e si completa l’eviscerazione. La lavorazione avviene all’aria aperta. La carcassa viene messa in una buca sotto terra, non troppo profonda, nei pressi della spiaggia sassosa vicino alla fattoria. La buca viene ricoperta con una specie di “mausoleo” di pietre che serve a pressare la carcassa, così da far espellere alla carne le tossine. L’animale infatti è velenoso: lo squalo, non avendo un sistema urinario, ha presente nel sangue l’urea e l’ossido di trimetilammina e deve espellere tutti questi “veleni” tossici per l’uomo prima che si possa mangiare». Il clima islandese ghiaccia il suolo e favorisce l’asciugatura della carne. «Questa fase dura dai 3 ai 5 mesi — puntualizza Andrea — fino a quando il sentore di amuchina non si fa più sentire e la carcassa viene estratta da sotto terra. Viene poi tagliata a tranci, messi ad essiccare per altri 6-8 mesi sfruttando l’azione del vento freddo». Pare che tra i divertimenti degli Islandesi figuri l’osservare le reazioni degli “impavidi” turisti che si avventurano nell’assaggio del prodotto. Una sorta di sfida man versus food, che ha visto impegnati in trasmissioni televisive che si occupano di gastronomia e turismo anche chef come Anthony Bourdain o Gordon Ramsay, il quale non è riuscito a superare la prova indenne. «Il sapore dell’hákarl è abbastanza forte — mi dice ancora Andrea — con un vago sentore di gorgonzola e una nota evidenziata di amuchina. Si abbina perfettamente ad uno shoottino di Brennivín, un’acquavite al cumino sui 40 gradi. L’aspetto più curioso di questo prodotto, però, e che mi ha fatto parecchio riflettere — conclude —, è che la carne che ho assaggiato era di un animale di circa due secoli. Non mi era mai capitato di mangiare un essere vivente così anziano». Only the brave! Gaia Borghi Bjarnarhöfn – Telefono: 438 1581 E-mail: bjarnarhofn@simnet.is Web: bjarnarhofn.is


WEEK-END

Oostduinkerke e l’antica arte della pesca dei gamberetti a cavallo Oostduinkerke è un paesino lungo la costa occidentale del Belgio che affaccia sul Mare del Nord. Questa piccola frazione di Koksijde, a 20 km dalla più conosciuta Ostenda, è l’unico luogo in tutta Europa dove si pratica, immutata nel tempo, l’arte della pesca dei gamberetti a cavallo. Certo, adesso le reti sono più fitte e le fibre di cui si compongono più resistenti, ma il metodo di pesca è rimasto praticamente intatto nei secoli. Se ne rintracciano testimonianze già a partire dal 1500 dove, nei registri dell’abbazia cistercense di Ter Duinen, si possono leggere note relative all’acquisto di reti

(seynen); così come negli archivi di Bruges, risalenti alla stessa epoca, si racconta di un tipo di pesca praticato con la rete a strascico (seynevissen) trainata da cavalli. Un tempo diffusa lungo le coste del Mare del Nord, dalla Francia al Belgio, all’Olanda, così come sulle coste dell’Inghilterra del sud, questo tradizionale tipo di pesca è sopravvissuto al passare del tempo solo a Oostduinkerke, sia grazie all’ecosistema che favorisce il proliferare dei gamberetti, sia grazie ad un irriducibile numero di pescatori che ha deciso di tener viva la tradizione e tramandarla di

generazione in generazione. Un’arte e una tradizione il cui valore è stato riconosciuto ufficialmente nel dicembre del 2013, quando l’UNESCO ha deciso di aggiungerla all’elenco del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità. La pesca si pratica un paio di giorni la settimana, nei mesi tra giugno e settembre. L’appuntamento è alle 8:00 circa del mattino, si sfruttano le ore in cui la spiaggia si allunga grazie alla bassa marea. I possenti cavalli da traino, per lo più di razza Brabantina, vengono scortati fino alla battigia e lì i paardenvissers, questo il nome dei pescatori, predispongono le lun-

A giugno la tradizione della pesca a cavallo è celebrata con la Festa del Gambero (photo © 4092miles.wordpress.com). 108

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I “paardenvissers”, così vengono chiamati questi pescatori, setacciano il mare da fine giugno a inizio settembre alla ricerca di una speciale varietà di gamberetti grigi chiamati “rikze garnalen”, che in Belgio vengono usati per molti piatti tipici

I piccolissimi gamberetti grigi rikze garnalen, chiamati anche caviale del Mare del Nord per la loro bontà, entrano in molti piatti tipici delle Fiandre (photo © 4092miles.wordpress.com). ghe reti triangolari che serviranno per catturare i gamberetti e posizionano ai lati della sella le grosse ceste in vimini, dove il prezioso pescato verrà raccolto. Pronti alla “caccia” i cavalieri dalla lucente cerata salgono in sella e, fieri, si dirigono in acqua. Solo quando il cavallo è immerso quasi fino al petto, ecco allora che ciascun pescatore, calcolando la giusta distanza tra l’uno e l’altro, si allinea parallelamente alla spiaggia e inizia a setacciare lentamente il fondo. Dopo circa quindici minuti, cavallo e pescatore riemergono sulla spiaggia per controllare il risultato e riposare tra un’andata e un ritorno. IL PESCE, 5/17

Nella rete insieme a pesciolini, granchi e residui del mare, ecco spuntare finalmente i piccolissimi gamberetti grigi (rikze garnalen) che, convinti della sicurezza del rifugio, sostavano sotto la sabbia. Al primo bottino ne seguono altri, fin quando, con l’arrivo dell’alta marea, dopo circa due ore, la giornata di lavoro si conclude. Chiamati anche “caviale del mare del Nord” per la loro prelibatezza, i gamberetti grigi sono l’ingrediente principe per molti piatti tipici della zona e rinomati in tutto il territorio delle Fiandre. Le croquettes, una squisita pastella che avvolge gamberi e formaggio fuso, e le tomate-cre-

vettes, pomodori ripieni di gamberi e salsa rosa, sono solo alcuni tra i piatti più rinomati. Uno spettacolo unico che trova il suo culmine a giugno, quando la tradizione della pesca a cavallo è celebrata con la “Festa del Gambero”: un fine settimana di parate, eventi e tanti saporiti gamberetti da gustare! (Fonte: www.visitflanders.com) Nota Per maggiori informazioni su date e orari in cui poter assistere alla pesca a cavallo: oostduinkerke.com, www. paardevissers.be (in olandese) o visitor.koksijde.be (ufficio del turismo). 109


FIERE

Alimentaria, un appuntamento da non mancare Segnatevi una data, 16-18 aprile 2018, ma, soprattutto, un luogo, Barcellona. La capitale della Catalogna ospiterà infatti nuovamente Alimentaria, la fiera multiprodotto che con cadenza biennale chiama a raccolta gli operatori del food europei con un incoming anche da USA, Oriente e America Latina. Nel quartiere fieristico Gran Vía le aspettative sono alte e gli organizzatori stanno mettendo a punto un fitto calendario di eventi che, confermando ancora una volta l’anima internazionale della manifestazione, troverà un equilibrio tra la parte orientata al business e la valorizzazione di gastronomia e ristorazione. Con operatori in arrivo da oltre 150 Paesi, Barcellona si conferma quindi una piattaforma espositiva capace di catalizzare interesse nello scenario del food & wine. Tra le priorità di Alimentaria 2018 c’è lo sviluppo di nuove opportunità per il comparto food & drink spagnolo su di un contesto globale. Su queste premesse gli organizzatori hanno iniziato la campagna promozionale per identificare e attrarre i buyer chiave dell’Europa (non dimentichiamo che il 70% del prodotto alimentare spagnolo viene esportato sui mercati EU, NdR), Stati Uniti, America Latina (con cui Alimentaria ha da sempre un forte legame), il Magreb e tutto il bacino del Mediterraneo, oltre all’Asia. Per quanto riguarda gli espositori, ad oggi le stime parlano di quasi 4.000 aziende, mille delle quali provenienti da 78 Paesi, e di 40.000 professionisti del food che giungeranno a Gran Vía da 160 Paesi. La forza di Alimentaria, però, al di là della location strepitosa che garantisce zero problemi in quanto a logistica e accoglienza, sta anche nell’organizzazione di migliaia di incontri B2B all’interno della fiera. L’obiettivo di 110

Dal 16 al 18 aprile 2018 torna a Barcellona Alimentaria (photo © Wijkmark). quest’anno è quello di superare il record dell’edizione 2016, che aveva raggiunto oltre 11.200 incontri tra 800 buyer esteri. «Questo traguardo ideale ci spinge ad essere ancora più efficaci in termini di piattaforma di business per i nostri espositori e per i visitatori, catalizzando ancora una volta e ancora di più l’interesse dell’agroalimentare mondiale verso i mercati del Sud Europa» ha dichiarato J. Antonio Valls, CEO e direttore di Alimentaria. Tra le parole chiave dell’edizione 2018 troveremo innovazione, ga­ stronomia e attrezzature per l’Horeca, con la pianificazione di attività che legheranno il cibo all’industria e al turismo. Sono in corso di definizione 200 attività che prenderanno forma all’interno di Alimentaria

Hub e Alimentaria Experience, le due grandi aree tematiche della fiera. Alimentaria Hub ospiterà i saloni Innoval e Best Pack, oltre ai Food & Drink Business Meeting già citati, gli eventi dell’ICEX, un convegno sulla nutrizione, spazi per start-up legate al food e un’area riservata ai food blogger. Nella formula multiprodotto Ali­mentaria 2018 si articolerà attraverso 6 saloni tematici specializzati: Intervin, Intercarn, Restaurama, Interlact, Expoconser e Multiple Foods. Per cogliere le opportunità di business di ogni settore, nell’ottica di export e di innovazione.

>> Link: www.alimentaria-bcn.com IL PESCE, 5/17


International Food, Drinks & Food Service Exhibition

Canned food show

BARCELONA Aprile 16-19 Fiera Barcellona Gran Via www.alimentaria-bcn.com

A unique Food, Drinks and Gastronomy Experience

Co-located event


LA PAGINA SCIENTIFICA

Confronto tra due modalità di stabulazione di astici americani (Homarus americanus): studio preliminare dei parametri emolinfatici di Valentina De Moliner, Erica Tirloni, Simone Stella, Patrizia Cattaneo, Vittorio Moretti, Mauro Vasconi, Tiziana Casali e Cristian Bernardi

L’astice è una specie ittica di alto valore commerciale ed è tra le più importanti pescate nell’Oceano Atlantico occidentale. Come evidenziato dalle statistiche sviluppate dalla FAO (Food and Agriculture

Organization of the United Nation), la sua cattura ha subito un continuo incremento nel corso degli anni, passando da 62.457 t nel 1988 a 82.764 t nel 1999, a 252.602 t nel 2009 (di cui il 54% rappresentato

da astici americani). L’Italia è uno dei principali paesi importatori; nel 2009, infatti, sono stati importati per via aerea circa 4387 t di astici americani. Gli astici sono tradizionalmente venduti vivi e tenuti in acquari con

L’astice americano (Homarus americanus, H. Milne-Edwards, 1837) è un crostaceo della famiglia dei Nefropidi, strettamente imparentato con l’astice europeo (Homarus gammarus). 112

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sistema di ricircolo in condizione di digiuno e chele legate. La cattura degli astici può avvenire tramite pesca a strascico oppure tramite l’ausilio di trappole. La legislazione italiana, attualmente, non obbliga i commercianti a vendere gli animali vivi, ma suggerisce esplicitamente di farlo, in quanto ne comporta un aumento di pregio e del valore commerciale (Reg. CE 853/2004). Per molti consumatori, inoltre, comprare l’animale vivo è percepito come una buona pratica e una garanzia della freschezza del prodotto. Benessere animale Nel corso degli anni le norme europee relative al benessere degli animali si sono ampliate sempre più fra convenzioni, direttive e regolamenti, spostandosi da una mera prospettiva etica alle visioni più allargate di sicurezza alimentare e salvaguardia ambientale (Libro bianco della sicurezza alimentare, 2000; Reg. CE 178/2002; Reg. CE 852/2004; Reg. CE 853/2004; Reg. 854/2004). La questione del benessere animale è diventata con gli anni sempre più centrale in funzione della tutela della salute del consumatore finale del prodotto di origine animale, fino ad essere considerata prioritaria nell’ambito della catena alimentare ed uno degli ambiti principali del mandato dell’EFSA (European Food Safety Authority), come definito nella Conferenza internazionale sul benessere animale (Animal welfare, a part of EU food chain policy, 30 marzo 2006). Se si considerano, però, i crostacei commercializzati vivi, ci si trova in una situazione di totale assenza di normativa, sia comunitaria che nazionale (Veissier et al., 2008; Commissione europea, 2012). Questi animali, infatti, sono esclusi dagli ambiti di applicazione delle più recenti norme in materia di benessere animale e dalla più recente strategia UE per la protezione e il benessere animale 2012-2015. Gli unici riferimenti normativi disponibili sono contenuti nel Reg. (CE) n. 853/2004, in cui la preoccupazione del legislatore risulta essere incentrata unicamente sulla sicurezza alimentare e sulla garanzia della freschezza IL PESCE, 5/17

del prodotto. La questione relativa al benesse­re dei crostacei, però, nonostante que­sta incertezza normativa, è mol­to attuale; il consumatore, da una parte, è sempre più attento e sen­sibile verso questa tematica e chie­ de garanzie, preoccupandosi non so­lo della qualità del prodotto, ma anche di “come” è stato gestito fino a quel momento. Dall’altra parte, anche gli “addetti ai lavori”, quali per esempio i veterinari, chiedono una maggiore chiarezza e una normativa che permetta quantomeno di uniformare il trattamento di questi animali e di imporre una formazione agli operatori che si trovano a gestirli e a manipolarli. Spesso, infatti, questi ultimi, seppure inconsapevolmente, causano danni e lesioni che, oltre a ripercuotersi negativamente sullo stato di salute degli animali, influiscono anche sulla loro valutazione commerciale; di conseguenza quelli lesionati risulteranno di minor pregio o, nei casi peggiori, non riusciranno a sopravvivere fino alla vendita. È perciò anche nell’interesse dello stesso venditore, sotto una mera ottica commerciale, garantire un trattamento adeguato a questi animali. Alla carenza normativa sul rispetto del benessere dei crostacei vivi hanno sopperito diversi comuni, con sensibilità differenti senza un adeguato supporto scientifico (Liuzzo et al., 2017). Recentemente la Regione Lombardia (Delibera n. X/6196 del 08-02-2017) ha approvato delle indicazioni operative per la gestione sanitaria della filiera ittica in regione Lombardia: nella sezione II, relativa ai crostacei vivi, vengono stabilite alcune indicazioni per l’operatore del settore alimentare sul mantenimento degli animali, sui controlli dell’acqua e sulla manutenzione degli acquari. Attualmente è in atto un intenso dibattito scientifico riguardante i crostacei commercializzati vivi: se siano in grado di provare dolore e necessitino, quindi, di una tutela. Secondo alcuni pareri (Advances for Animals, 2005) la forte reazione che questi animali hanno al momento dell’immersione in acqua bollente sarebbe la conferma che essi sono

La questione relativa al benesse­re dei crostacei è mol­to attuale: il consumatore, da un lato, è sempre più sen­sibile verso questa tematica e chie­de garanzie; dall’altro, anche gli “addetti ai lavori”, quali per esempio i veterinari, chiedono maggiore chiarezza e una normativa specifica in grado di provare dolore; questa tesi verrebbe inoltre supportata dal fatto che in questi animali sono stati identificati diversi recettori per gli oppioidi. Altri studiosi (Norwegian Scientific Committee for Food Safety, 2005), invece, affermano che la reazione dell’animale è un semplice riflesso che non comporta una percezione cosciente del dolore. Il sistema nervoso dei crostacei sarebbe infatti troppo semplice per permettere una tale percezione. Risposte comportamentali, quali sfregamento e grooming della parte interessata dallo stimolo doloroso ed elusione del pericolo (avoidance learning), sono state proposte in alcuni studi (Barr et al., 2007; Elwood et al., 2009) per supportare la tesi secondo cui anche nei crostacei ci sia una percezione del dolore. Altri studi scientifici, invece, si sono concentrati sulla risposta fisiologica dei crostacei allo stress, cercando di identificare i parametri che meglio permettono la valutazione del benessere di questi animali; l’obiettivo finale di tali ricerche è stato quindi quello di concentrare l’attenzione su parametri oggettivi che sono in grado di definire in maniera altrettanto oggettiva lo stato in cui si trova l’animale. I principali fattori stressanti a cui sarebbero esposti i crostacei com113


Tabella 1 – Dati ottenuti dalle analisi effettuate sui campioni di emolinfa, trasformati in medie e deviazioni standard per ognuno dei due gruppi e per ognuno dei parametri considerati Gruppo C (controllo)

Parametri Peso

g

ds media

Vitalità Ammoniaca

media

ds

µg/dl

Glucosio

mg/dl

Proteine totali

g/dl

Urea

mg/dl

Lattato

mg/dl

media ds media ds media ds media ds media ds

Tempo 0

Tempo 1

510,50 37,62 4,90 0,32 3.265 513,78 2,50 1,43 1,48 0,30 3,64 1,7 11 11

522,60 1 37,61 5 0 1.903 1 82,58 1,44 0,71 1,66 0,60 1,10 3 0,74 23 1

Gruppo T (trattamento) Tempo 0 510,40 31,96 5 0 3.427 1.567,70 3,78 3,27 1,47 0,54 3,20 1,49 11 14

Tempo 1 522,80 1 33,35 5 0 2.030 1 341,53 2,10 1,10 1,45 0,60 13 0,82 23 1

Legenda Numeri in apice = significatività statistica rispetto al tempo 0 1 – valore significativo (P < 0,05) 2 – valore molto significativo (P < 0,01) 3 – valore altamente significativo (P < 0,001) mercializzati vivi sono: la cattura, l’esposizione all’aria, le variazioni di temperatura e la manipolazione. I parametri che hanno mostrato un incremento, e che quindi sono risultati significativi per definire lo stato di stress dell’animale, sono: glicemia, ammoniemia, concentrazione emolinfatica del lat­ tato, protidemia, colesterolo, tri­gliceridi e vari elettroliti (calcio, cloro, sodio, potassio, magnesio) (Lorenzon, 2005; Lorenzon et al., 2007; Basti et al., 2010; Bernardi et al., 2014; Elwood et al., 2015). Materiali e metodi Per questo studio sperimentale si sono utilizzati 40 astici americani (Homarus americanus) pescati con l’utilizzo di nasse in zona FAO 21 (Oceano Atlantico nord-occidentale) il giorno 20-10-2016 e mantenuti in acqua refrigerata marina in condizioni di digiuno fino al giorno della spedizione per Milano, avvenuta il 09-11-2016. Questi animali, dal momento della cattura e per tutta la durata di questo studio, sono rimasti 114

in condizione di digiuno e con le chele legate. L’attività sperimentale si è svolta presso il centro di acquacoltura del Centro Zootecnico Didattico Sperimentale del Polo Universitario Veterinario di Lodi, dove gli animali sono stati trasportati mantenendo adeguate condizioni di refrigerazione. I 40 astici americani, quindi, sono stati sottoposti alla valutazione della vitalità (valutata in base al Vitality Index – CrustaSea Project, 2006) e a pesatura tramite bilancia elettronica. Per questo studio sono stati selezionati soggetti con grado di vitalità 5 (ottimo), appartenenti al genere sia maschile che femminile. Successivamente si è proceduto a marcare i vari animali sugli elastici utilizzati per la legatura delle chele, (assegnando loro i numeri da 1 a 40) e a formare due gruppi di pari genere (controllo = gruppo C e trattamento = gruppo T) in maniera randomizzata e casuale. Prima di inserire gli animali all’interno delle rispettive vasche di stabulazione è stato effettuato il primo prelievo (tempo 0) di 1,5 ml

circa di emolinfa dal seno addominale ventrale tramite puntura del primo segmento addominale con siringa sterile da 2,5 ml e con ago 22 G. Tale procedura è stata preceduta dalla disinfezione dell’area interessata dal prelievo con alcool isopropilico 70%. Immediatamente dopo il prelievo si è processato il campione per le analisi programmate. I due gruppi di astici americani precedentemente formati (gruppo C e gruppo T) sono stati quindi inseriti nelle due vasche di stabulazione allestite (dimensioni esterne: 148 cm x 58 cm x 70 cm; dimensioni interne 69 cm x 51 cm): entrambe le vasche si presentavano con le medesime caratteristiche per quanto riguarda l’illuminazione (impostata tramite un timer dalle 9.00 alle 21.00) e le caratteristiche dell’acqua (temperatura 6°C; densità 1020; ossigeno 87%). L’unica differenza era rappresentata dalla presenza di 4 rifugi (30 cm x 30 cm x 14 cm) all’interno della vasca trattamento. I rifugi utilizzati in questo studio sono stati scelti di colore nero, forma rettangolare e disposti in modo che IL PESCE, 5/17


due appoggiassero sul pavimento della vasca di stabulazione, mentre gli altri due sul lato superiore dei rifugi precedentemente sistemati. Dopo 24 ore dal primo prelievo effettuato (tempo 1), si è proceduto a un nuovo prelievo e una nuova valutazione degli animali oggetto di studio per quanto riguarda la vitalità e il peso. La valutazione dell’ammoniemia è stata effettuata su un ridotto numero di soggetti (8) per contenere i costi analitici. L’ammoniemia è stata analizzata con l’apparecchio Ammonia Checker II – Menarini, utilizzando strisce reattive Ammonia test kit II – Menarini. Le analisi dell’emolinfa si sono svolte presso il Laboratorio di Medicina Emotrasfusionale Veterinaria del Dipartimento di Medicina Veterinaria (DiMeVet) dell’Università degli Studi di Milano. Qui si è proceduto all’esecuzione delle analisi ematochimiche previste: proteine totali, urea, lattato e glucosio. I dati raccolti durante questo studio sperimentale sono stati, quindi, sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA). Tale analisi è stata effettuata utilizzando Software RStudio, Version 0.98.1103. Risultati e discussione I risultati delle analisi emolinfatiche eseguite sono riassunti nella Tabella 1. La vitalità dei soggetti al tempo 0 è risultata essere di 4,9 ± 0,32 nel gruppo C e di 5 ± 0 nel gruppo T. Nel gruppo C, infatti, un soggetto presentava vitalità di grado 4. Al tempo 1 (dopo 24 ore dalla reimmissione in acqua), però, tutti gli animali si sono presentati con una vitalità di grado 5 (ottimo). Il peso medio dei soggetti al tempo 0 è risultato 510,5 g ± 37,62 g per il gruppo C e 510,4 g ± 31,96 g per il gruppo T. A distanza di 24 h (tempo 1) si è potuto registrare un peso medio di 522,6 g ± 37,61 g nel gruppo C e di 522,8 g ± 33,35 g nel gruppo T. Il tempo è risultato avere un effetto sul recupero del peso statisticamente significativo (P < 0,05). Tale riscontro potrebbe essere spiegato dal fatto che, durante il trasporto, gli animali hanno subito una certa IL PESCE, 5/17

perdita di acqua (disidratazione) manifestatasi oggettivamente tramite una riduzione del peso corporeo, mentre una volta reimmessi in acqua si è ripristinata la normale idratazione con conseguente recupero del peso corporeo (Edo D’Agaro et al., 2014). A differenza dello studio condotto da Edo D’Agaro et al. (2014) su Homarus americanus, in cui il cambiamento del peso nel corso di 4 settimane di osservazione non era risultato statisticamente significativo, in questo lavoro il recupero del peso dopo 24 ore è risultato statisticamente significativo (P < 0,05). Non si sono, però evidenziate variazioni statisticamente significative al tempo 1 tra gli individui trattati (presenza di rifugi) e quelli del gruppo C. La valutazione delle proteine totali in questo lavoro non ha permesso di rilevare variazioni statisticamente significative in funzione del tempo e relativamente alla presenza dei rifugi; i valori medi di proteine totali rilevati al tempo 0 sono risultati essere di 1,48 g/dl ± 0,3 g/dl per il gruppo C e 1,47 g/dl ± 0,54 g/dl per il gruppo T, mentre al tempo 1 di 1,66 g/dl ± 0,6 g/ dl nel gruppo C e 1,45 g/dl ± 0,6 g/dl nel gruppo T. Quanto osservato non coincide con le valutazioni effettuate da Lorenzon et al. (2007), che ha descritto un aumento della concentrazione di proteine totali (in particolar modo dell’emocianina) in soggetti sottoposti a situazioni di ipossia ed alte temperature; questo rilievo potrebbe essere legato al fatto che, durante l’esposizione all’aria, l’emocianina gioca un ruolo fondamentale nel trasporto dell’ossigeno (Taylor e Whiteley, 1989), in quanto l’ipossia stimolerebbe l’espressione e la sintesi delle proteine nell’astice. L’assenza di riscontri statisticamente significativi in questo studio potrebbe essere connessa con il fatto che i valori iniziali di proteine totali (tempo 0) nei soggetti appartenenti ad entrambi i gruppi (C e T) sono risultati molto vicini (addirittura inferiori) al valore basale proposto da Lorenzon et al. (2007) di 2,6 mg/ dl ± 1,2 mg/dl. L’ammoniaca è un catabolita derivato dal metabolismo delle

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L’astice ha due chele di struttura diversa: la più grossa e pesante serve a rompere il guscio delle prede, mentre quella più dentellata serve ad estrarla da quest'ultimo (photo © Silvio Serber). proteine e degli amminoacidi che, nei crostacei, viene escreta dalle ghiandole alla base delle antenne e per diffusione passiva attraverso le membrane delle branchie durante i normali scambi respiratori. YoungLai et al. (1991), nel suo lavoro, ha specificato come l’ammoniaca potrebbe essere anche trasportata attivamente tramite un gradiente di concentrazione: si assisterebbe così ad uno scambio con altri ioni, come per esempio il sodio. In questo studio si è registrata una diminuzione statisticamente significativa (P < 0,05) di tale valore in entrambi i gruppi unicamente in relazione al tempo trascorso. Tale risultato va a confermare diversi studi scientifici in cui si è dimostrato come lo stress legato all’esposizione all’aria (ipossia) influenzi direttamente la concentrazione di questo parametro emolinfatico. Al momento dell’arrivo (dopo un viaggio iniziato circa un giorno prima), tale valore medio era di 3.265 µg/dl ± 513,78 µg/dl per il gruppo C e 3.427 µg/d ± 1.567,7 µg/d per il gruppo T, mentre a distanza di 24 ore dalla reimmissione in acqua marina di 1.903 µg/dl ± 82,58 µg/dl per il gruppo C e 2.030 µg/dl ± 341,53 µg/ dl per il gruppo T. Il valore fisiologico di ammoniaca riportato da Young-Lai et al. 116

(1991) è 0,57 mg/dl–1. Un aumento della concen­trazione di ammoniaca emolinfatica è valutato generalmente come una disfunzione del meccanismo respiratorio bran­chiale (Basti et al., 2010); di conseguenza è ragionevole supporre che il mantenimento degli astici in ambiente aereo influenzi negativamente l’attività respiratoria di questi animali, portandoli ad accumulare prodotti di scarto del metabolismo, come l’ammoniaca, che risultano di fatto tossici per l’organismo. La reimmissione in acqua marina degli animali, però, come si è visto anche in questo studio, permette una rapida diminuzione di ammoniaca già nell’arco di sole 24 ore. Harris e Andrews (2005), nel loro studio sullo scampo Nephrops norvegicus, ipotizzano che l’iperammoniemia nei crostacei potrebbe essere anche legata all’intenso catabolismo proteico che l’animale mette in atto per far fronte alla maggiore richiesta di energia in condizioni di stress e deficit energetico cui sono sottoposti gli animali commercializzati. Bisogna, inoltre, ricordare che questi ultimi si trovano in una situazione di digiuno. La presenza di rifugi nella vasca di stabulazione T (trattamento) si è visto non influire in modo statisticamente significativo sulla velocità di discesa di tale parametro.

In questo lavoro sperimentale si è scelto di esaminare anche l’urea: tale parametro è stato preso in considerazione in uno studio per la valutazione degli effetti indotti da patologie dell’esoscheletro in Cancer pagurus, senza fornire però correlazioni significative (Vogan et al., 2002). In un lavoro sperimentale relativo alla valutazione dei parametri emolinfatici in Homarus americanus per valutare gli effetti di due diversi metodi di commercializzazione (mantenimento in ambiente aereo e reimmissione in vasca) si è potuto registrare un decremento del livello di urea a seguito della reimmissione in acqua marina degli animali (Bernardi C. et al., 2014). In modo analogo, in questo caso la concentrazione emolinfatica media di urea nei soggetti valutati al tempo 0 è risultata rispettivamente di 3,64 mg/dl ± 1,7 mg/dl nel gruppo C e 3,2 mg/dl ± 1,49 mg/dl nel gruppo T, mentre al tempo 1 i valori medi di urea evidenziati sono stati di 1,1 mg/ dl ± 0,74 mg/dl per il gruppo C e 1 mg/ dl ± 0,82 mg/dl per il gruppo T. Il tempo ha mostrato, quindi, di avere un effetto sulla riduzione dell’urea altamente significativo (P < 0,001). I valori registrati a tempo 1, però, non mostrano differenze statisticamente significative tra i soggetti appartenenti al gruppo C e quelli del gruppo T: ciò sottolinea come la presenza dei rifugi non abbia influito in alcun modo sulla riduzione della concentrazione emolinfatica di urea. La concentrazione di urea è un parametro ancora poco indagato nell’astice, ma sembra presentarsi come un elemento interessante nella valutazione oggettiva dello stress: il mantenimento degli animali in condizioni di ipossia potrebbe, infatti, determinare una minore capacità di escrezione di cataboliti altamente tossici come l’ammoniaca, con un aumento dell’ureogenesi come risposta al fine di limitare la produzione di composti tossici. Il metabolismo dell’astice cerca di far fronte alle richieste di energia delle cellule nel corso di situazioni d’ipossia (condizione stressante) tramite il metabolismo anaerobio, IL PESCE, 5/17


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L’astice americano vive nelle acque temperate e fredde dell’America settentrionale (photo © Silvio Serber). responsabile quest’ultimo di produrre nei crostacei un rapido accumulo finale di lattato (Spicer et al., 1990). L’aumento della concentrazione di tale elemento nell’emolinfa durante l’esposizione aerea si è visto indicativo dell’incremento del metabolismo anaerobio e presumibilmente deriva dall’incapacità di mantenere un adeguato livello di ossigeno nei tessuti (Spicer et al., 1990; Ridgway et al., 2006). Il valore di lattato determinato in questo studio si trova perfettamente in linea con questa osservazione, in quanto il valore medio di lattato riscontrato nei soggetti del gruppo C al tempo 0 è risultato essere 11 mg/ dl ± 11 mg/dl e in quelli del gruppo T di 11 mg/dl ± 14 mg/dl. Al tempo 1, invece,è risultato avere un valore medio di 2 mg/dl ± 1 mg/dl nel gruppo C e 2 mg/dl ± 1 mg/dl nel gruppo T. Come si può notare, quindi, la reimmissione in acqua degli animali e il ritorno ad una fisiologica concentrazione di ossigeno ha permesso una netta riduzione della concentrazione di lattato in sole 24 ore; il tempo è risultato, infatti, avere un effetto sulla concentrazione del lattato altamente significativo (P < 0,01). Questa netta diminuzione non si è osservata in altri studi (Bernardi et al., 2014), forse legata al fatto che gli animali non hanno avuto sufficiente tempo per eliminare o metabolizza118

re rapidamente il lattato (Taylor e Whiteley, 1989). Molto probabilmente in questo studio la rapida discesa del valore è stata possibile anche grazie al fatto che gli animali già al tempo 0 (prima della reimmissione in acqua marina) presentavano una concentrazione di lattato piuttosto bassa e vicina ai valori basali indicati da Taylor e Whiteley (8,11 mg/dl ± 0,9 mg/ dl) e da Lorenzon et al. (3,60 mg/ dl ± 3,24 mg/dl), mentre nel lavoro condotto da Bernardi et al. i valori medi iniziali erano di 46,26 mg/ dl ± 62,56 mg/dl e di 60,43 mg/ dl ± 52,58 mg /dl. La concentrazione di lattato, infatti, solitamente ritorna a livelli basali entro le 48 ore dalla reimmersione in acqua marina degli animali (Taylor e Whiteley, 1992; Lorenzon et al., 2007). Dai risultati ottenuti in questo studio, però, si può notare come questo parametro non abbia subito nessuna influenza statisticamente significativa legata alla presenza dei rifugi nel gruppo T. L’aumento della concentrazione di glucosio si è visto legato alla mobilizzazione delle riserve di energia immagazzinate a causa dell’aumentata richiesta in condizioni stressanti con basse concentrazioni di ossigeno (Lorenzon S., 2005). Il rilascio di glucosio dai siti di riserva è coordinato dal sistema neuroendocrino (complesso XO/SG-X organ/Sinus

Gland), posizionato sul peduncolo oculare in corrispondenza dei gangli ottici, tramite il rilascio dell’ormone peptidico cHH (crustacean Hyperglycemic Hormone). In condizioni stressanti, come l’esposizione all’aria e la presenza di sforzi fisici estremi (per esempio durante la cattura e la manipolazione, nel tentativo ultimo di fuggire), tramite feedback positivo, si ha il rilascio di cHH (Spicer et al., 1990; Ridgway et al., 2006). In questo studio i valori medi di glucosio emolinfatico riscontrati al tempo 0 sono risultati essere, rispettivamente, 2,5 mg/dl ± 1,43 mg/dl per il gruppo C e 3,78 mg/dl ± 3,27 mg/dl per il gruppo T, mentre dopo 24 ore (tempo 1) di 1,44 mg/dl ± 0,71 mgdl/ per il gruppo C e 2,1 mg/dl ± 1,1 mg/ dl per il gruppo T. Il tempo, per quanto riguarda questo parametro, non è risultato avere un effetto statisticamente significativo, anche se si è potuta comunque evidenziare una tendenza (P = 0,0524). Dopo 24 ore dall’inserimento in acqua (tempo 1), infatti, i valori di glucosio erano diminuiti, in linea con quanto dimostrato negli studi sopra citati, in cui un aumento si è visto strettamente correlato a situazioni stressanti. È interessante notare, però, come i valori al tempo 0 siano risultati già inferiori ai valori basali riportati da Lorenzon et al. (2007) e da Basti et al. (2010). Questi autori, infatti, hanno definito come concentrazioni basali di glucosio rispettivamente 12,07 mg/ dl ± 3,42 mg/dl e 9 mg/dl. Ciò potrebbe essere legato al fatto che gli animali non si sono trovati a fronteggiare situazioni estremamente stressanti per lunghi periodi e che, durante l’esposizione all’aria, si è mantenuta una bassa temperatura. Lorenzon et al. (2007) hanno infatti dimostrato come l’aumento della temperatura ambientale sia strettamente correlato con un aumento della glicemia in Homarus americanus; risultati analoghi si sono potuti evidenziare anche in studi condotti su altre specie come Maia squinado (Durand et al., 2000) e Chasmagnathus granulata (Santos e Colares, 1986). Un elemento importante risultato da questo studio è sicuramente quello relativo alle IL PESCE, 5/17


osservazioni comportamentali degli animali valutati; pur non avendo influenzato in maniera significativa i parametri emolinfatici oggettivi, che si sono visti comunemente coinvolti nei soggetti stressati, la presenza di rifugi ha decisamente influito sul comportamento di Homarus americanus. Gli astici americani inseriti nella vasca di stabulazione contenente i rifugi (gruppo T) si sono mostrati immediatamente più tranquilli, calmi e tolleranti verso gli altri animali, rispetto ai soggetti appartenenti al gruppo C (inseriti nella vasca di stabulazione priva di rifugi), che al contrario, dopo l’inserimento in vasca, sono risultati essere piuttosto nervosi, agitati e aggressivi verso gli altri individui presenti nella medesima vasca. Questi comportamenti, completamente differenti tra loro, hanno trovato ulteriore conferma al tempo 1 (dopo 24 ore dall’immissione nelle vasche di stabulazione): gli animali appartenenti al gruppo T, infatti, si sono presentati decisamente più tranquilli, pacifici e tolleranti verso gli altri soggetti presenti nella medesima vasca di stabulazione. Un’ulteriore osservazione riguarda il fatto che gli astici valutati in questo studio hanno mostrato di apprezzare particolarmente la presenza dei rifugi, soprattutto nel momento in cui questi elementi riuscivano a fornire loro delle aree buie, riparate dall’intensa luce ambientale. Gli animali, infatti, tendevano a cercare riparo in queste piccole aree, disponendosi anche uno sopra l’altro pur di sistemarsi in una zona della vasca meno luminosa e più riparata. Gli studi relativi all’utilizzo dei rifugi da parte dell’astice americano (Homarus americanus) sono un numero esiguo e non sono strettamente correlati al loro uso in una comune vasca di stabulazione utilizzata per fini commerciali. La presenza di rifugi è sicuramente un elemento determinante per la colonizzazione dei fondali da parte dell’astice americano: Jeffries, nel 1966, ha riportato la presenza degli astici strettamente legata ad aree con fondale roccioso, ricco di anfratti, con la possibilità, laddove non siano presenti rifugi naturali, di costruirli. IL PESCE, 5/17

Elisa B. Karnofsky, Jelle Atema e Randall H. Elgin (1989) hanno effettuato delle osservazioni in campo, nel corso di tre anni, per valutare il comportamento sociale, alimentare e l’utilizzo dei rifugi in Homarus americanus. Essi hanno notato come di fatto il rifugio in natura, per questi animali, sia un punto critico, in quanto trascorrono la maggior parte del tempo al suo interno (di giorno non sono mai stati osservati uscire) ed alcuni hanno anche mostrato un certo grado di fedeltà verso il rifugio scelto, ritornandoci di volta in volta. Queste osservazioni relative ad Homarus americanus nel suo ambiente naturale risultano di fatto molto utili per comprendere appieno l’importanza che i rifugi hanno per questi animali. J. S tanley C obb (Graduate School of Oceanography, University of Rhode Island, Kingston) ha condotto uno studio sul comportamento dell’astice americano relativamente all’utilizzo dei rifugi, premettendo che il rifugio di un tipo piuttosto che di un altro è uno dei requisiti principali per la sopravvivenza di numerose specie. Nel suo studio, Cobb ha preso in esame l’utilizzo dei rifugi da parte degli astici americani in campo ed in laboratorio, focalizzando la sua attenzione soprattutto sulle dimensioni del rifugio scelto e sulla capacità, da parte di questi animali, di crearsi un rifugio scavando nel terreno. Egli ha concluso che, per gli astici, la fototassi negativa è un elemento decisamente più importante rispetto alla tigmotassi positiva nella scelta di un rifugio. Ciò si mostra in linea con la tendenza, osservata in questo studio, da parte degli astici a posizionarsi nelle porzioni più in ombra, preferendo quindi i rifugi più riparati dalla luce ambientale e lasciando praticamente deserti quelli maggiormente esposti. La fototassi negativa si può quindi considerare un elemento determinante nella scelta del rifugio, come pure le sue dimensioni. Di fatto un rifugio piccolo è internamente più buio di uno piuttosto ampio; di conseguenza sarà preferito dall’animale, indipendentemente dalla sua taglia. Cobb


inoltre, a conferma di una tigmotassi positiva, ha evidenziato come in un acquario privo di rifugi gli astici tendano a disporsi presso gli angoli della vasca. Tale comportamento si è potuto notare anche in questo studio, in cui i primi soggetti del gruppo C, introdotti nella vasca di stabulazione, cercavano di disporsi inizialmente soprattutto agli angoli. Un altro elemento riportato da Cobb, che proverebbe l’importanza dei rifugi, è l’aver spesso ritrovato, in condizioni di sovraffollamento (maggior numero di astici rispetto ai rifugi, condizione ricreata anche in laboratorio), più astici all’interno di uno stesso rifugio, nonostante l’indole solitaria e aggressiva dell’animale. Nel corso di questo studio gli astici sono stati posti in vasche di stabulazione volutamente con altri animali, al fine di ricreare le condizioni il più possibile fedeli a quelle in cui sono normalmente sottoposti gli animali commercializzati, e quanto riportato da Cobb ha trovato conferma: gli astici del gruppo T, molto più numerosi rispetto ai rifugi, vi si sono collocati anche uno sopra l’altro pur di starne all’interno. Le valutazioni effettuate in questo studio, pur non avendo dato dei risultati statisticamente significativi per quanto riguarda i parametri emolinfatici legati alla presenza dei rifugi, hanno permesso di evidenziare come questi ultimi siano comunque in grado di modificare il comportamento degli animali, confermando l’importanza di questi elementi per Homarus americanus. La presenza di rifugi in vasche di stabulazione comporta problemi di ordine pratico di non semplice risoluzione. Quello principale è la possibilità di individuare i soggetti disvitali, o morti nei rifugi, che costituiscono un serio pericolo per l’inquinamento dell’acqua, con conseguenze sulla sicurezza alimentare. Inoltre, la presenza di rifugi comporta maggiore difficoltà nella cattura degli astici, maggiore manipolazione, e quindi maggiore causa di stress. Conclusione Questo studio sperimentale non ha evidenziato variazioni statistica120

mente significative nei parametri e­molinfatici considerati (proteine totali, ammoniaca, glucosio, urea, lattato) legate alla presenza dei rifugi all’interno della vasca di stabulazione. Si sono potute però rilevare modificazioni comportamentali decisamente rilevamenti nel gruppo di astici americani inserito nella vasca di stabulazione dotata di rifugi. Considerando le difficoltà operative poste dalla presenza di rifugi negli acquari, non ci sembra che offrano un vantaggio sufficiente, in termini di riduzione di stress, per essere adottati a fronte di una gestione più complicata. La sperimentazione eseguita, comunque, ha prodotto interessanti risultati che saranno il punto di partenza per ulteriori studi sul benessere e la sicurezza alimentare di questi crostacei. Valentina De Moliner Erica Tirloni Simone Stella Patrizia Cattaneo Vittorio Moretti Mauro Vasconi Cristian Bernardi Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare Università degli Studi di Milano Tiziana Casali Responsabile Qualità e Sicurezza Orobica Pesca Srl Bibliografia • Advocates for animals, Cephalopods and decapod crustaceans, their capacity to experience pain and suffering, 2005, www. hsvma.org. • Andreawartha H.G, Birch L.C. (1955), The distribution and Abundance of Animals, Univ. Chicago Press., 782 pp. • B ernardi C ristian , B aggiani Luciana, Tirloni Erica, Stella Simone, Colombo Fabio, Moretti Vittorio Maria, Cattaneo Patrizia (2014), Haemolymph parameters as physiological biomarkers in American lobster (Homarus americanus) for monitoring the effects of two commercial maintenance methods, Fisheries

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Un parametro da considerare nella validazione dei CDM: la % di abbattimento di E. coli di Luciano Boffo, Renzo Mioni e Paola Perini

La funzionalità di un impianto di depurazione, relativamente al parametro E. coli, deve essere valutata in funzione del livello di contaminazione dei molluschi e del tempo necessario per riportare i valori all’interno dei parametri previsti dal Reg. 2073/05 (230 E. coli per 100 g di polpa e liquido intervalvare). Però è necessario anche considerare le situazioni limite, quando cioè i molluschi che giungono al CDM hanno o

potrebbero avere cariche microbiche elevate prossime ai 4.600 E. coli per 100 g di polpa e liquido intervalvare. In queste situazioni è molto importante calcolare la percentuale di abbattimento di E. coli nel tempo di depurazione stabilito. Questo valore dovrebbe necessariamente essere uguale o superiore al 95% nel periodo di tempo considerato per poter garantire i criteri di sicurezza alimentare previsti dal Reg. 2073/05

(230 E. coli). Infatti, se i molluschi raccolti in un’area hanno un valore di contaminazione di 4.600 E. coli e la funzionalità dell’impianto in un determinato periodo di tempo di depurazione è del 95%, otteniamo un abbattimento di: 4.600 x 95% = 4370 E. coli Pertanto il nostro prodotto avrà una carica di: 4.600 – 4.370 = 230 E. coli valore che rientra nei limiti fissati

L’analisi della percentuale di abbattimento dell’E. coli in un determinato periodo di tempo è un indicatore molto importante per la validazione degli impianti di depurazione e per valutare l’efficacia del trattamento di depurazione (photo © www.itwedding.ro). 122

IL PESCE, 5/17


dalla normativa in materia. Qualora la funzionalità dell’impianto sia inferiore al 95%, si potrebbero determinare situazioni di rischio, soprattutto nel caso i molluschi in arrivo al CDM abbiano valori di contaminazione alti, prossimi ai limiti superiori per la zona B. Per chiarire questo concetto facciamo un esempio (Grafico 1): Nel caso specifico le vongole sono state sottoposte a depurazione per un periodo di 6-12-24 ore. Già dopo 6 ore rientrano nei limiti di sicurezza alimentare previsti dal Reg. 2073/05. Si potrebbe a prima vista dire che l’impianto funziona perfettamente e che ha una buona capacità di depurazione. Però, se calcoliamo nelle prime 6 ore il valore percentuale di abbattimento di E. coli, vediamo che questo è uguale al 90%, inferiore al limite di sicurezza che è del 95%: questo potrebbe determinare, in certe situazioni, condizioni di rischio. Ipotizziamo infatti che nello stesso impianto giungano vongole di zona B con cariche prossime a 4.600 E. coli. L’impianto, come sopra evidenziato, ha una percentuale di abbattimento dell’E. coli, nelle prime 6 ore, del 90%. Il che significa che vengono eliminati 4.140 E. coli e che, al termine delle 6 ore di depurazione, nelle vongole depurate sono ancora presenti 4.600 – 4.140 = 460 E. coli valore superiore ai criteri di sicurezza alimentare previsti dal Reg. 2073/05. Di conseguenza, in questo caso, un processo di depurazione di 6 ore non è sufficiente per riportare i livelli di contaminazione all’interno dei limiti di accettabilità. Se calcoliamo, facendo sempre riferimento al Grafico 1, la percentuale di abbattimento di E. coli dopo 12-24 ore di depurazione, vediamo che il valore è del 94,24%, leggermente inferiore al limite del 95%. Anche in questo caso l’impianto, sia pure con parametri prossimi al limite, non avrà la capacità di depurare molluschi con cariche dell’ordine di 4.600 E. coli. Infatti, se calcoliamo che i coli eliminati dall’impianto nelle 12-24 ore sono 4.335,04, emerge che al termine del IL PESCE, 5/17

Tabella 1 – Valori di riferimento per il monitoraggio dell’acqua dell’impianto di depurazione Parametro

Valore minimo

Valore massimo

25%

38%

10 °C

20 °C

Ossigeno

70%

110%

pH

7,0

9,0

Salinità Temperatura

Nitriti

0,50 ppm

Nitrati

50 ppm

Ammoniaca

1 ppm

Grafico 1 – Livelli di contaminazione di vongole veraci (E. coli MPN/100 g)

processo di depurazione sono ancora presenti 4.600 – 4.335,04 = 264,96 E. coli valore superiore ai criteri di sicurezza alimentare previsti dal Reg. 2073/05. Alla luce di quanto sopra emerge che una valutazione del processo di depurazione basata unicamente sull’analisi del Grafico 1 ci porterebbe a dire che l’impianto funziona perfettamente. Però, se consideriamo il parametro “percentuale di abbattimento” di E. coli nei tempi di depurazione stabiliti (6-12-24 ore), vediamo che tutti i valori sono inferiori al 95% e pertanto l’efficacia del processo di depurazione potrebbe non essere adeguata in certe situazioni limite (contaminazione dei molluschi prossima ai 4.600 E. coli per 100 g di polpa e liquido intervalvare). Va però sottolineato che anche questo parametro non deve essere

considerato in forma assoluta, ma deve rappresentare un indicatore importante per aiutarci a capire il livello di funzionamento dell’impianto di depurazione in esame. Inoltre, questo parametro è anche un indicatore per calcolare in maniera più precisa e puntuale il tempo di depurazione tenendo conto di eventuali situazioni estreme. Un risultato non conforme, in un contesto di dati favorevoli, non pregiudica la validazione dell’impianto e può trovare giustificazione in diverse situazioni e condizioni che si possono determinare durante il processo di depurazione: • condizione di stress dei molluschi che vengono sottoposti a processo di depurazione, per cui l’attività filtratoria risulta più o meno compromessa. A volte il sistema di pesca potrebbe non essere adeguato e compromettere la vitalità del prodotto. Analogamente il 123


1) Fase di rifinitura ditta Blupesca Chioggia. 2) Centro depurazione BLUPESCA Chioggia. 3) Area confezionamento prodotto Blupesca Chioggia. 4) Vongole veraci Tapes semidecussatus. sistema di trasporto e le temperature durante le fasi di conservazione prima della depurazione potrebbero influire sull’attività filtratoria dei molluschi e quindi sull’efficacia del processo di depurazione. Teniamo presente che i molluschi sono organismi vivi, che risentono molto dei fattori ambientali esterni e delle condizioni che si vengono a determinare lungo tutta la filiera produttiva. È sufficiente l’instaurarsi anche momentaneo di una qualsiasi situazione negativa o di criticità per rallentare il processo di depurazione e di filtrazione dei molluschi. Pertanto è necessario agire in maniera da creare condizioni ottimali di benessere per influenzare positivamente tutto il processo; • anche parametri non conformi dell’acqua dell’impianto di depurazione potrebbero rallentare l’attività filtratoria. I dati che di norma dovrebbero essere costantemente monitorati sono riportati nella Tabella 1. Qualora venga124

no trovati valori difformi dagli intervalli riportati in Tabella 1 si dovrà sospendere l’attività di depurazione e informare i tecnici per l’individuazione delle cause. L’attività di depurazione potrà riprendere solo quando saranno state ripristinate le condizioni di funzionalità; • un eccesso di ozono potrebbe rallentare l’attività filtratoria dei molluschi. Il limite critico è di 0,5 mg/l; dosaggi superiori devono essere rimossi. Di norma non viene mai fatta una misurazione diretta di questo parametro nell’acqua; la determinazione viene fatta in forma indiretta misurando il potenziale redox che deve essere inferiore a 300 millivolts. In realtà una misurazione diretta risulta molto più precisa; • un eccesso di cloro potrebbe rallentare, se non addirittura compromettere l’attività filtratoria dei molluschi. La concentrazione non dovrebbe mai essere superiore ai 0,2 ppm; valori superiori

possono determinare una irritazione dei ctenidi del mollusco con blocco completo dell’attività filtratoria. In genere, nei moderni impianti l’acqua viene fatta passare su filtri a carboni attivi proprio per abbattere l’eccesso di cloro e ozono. Sono parametri da tenere costantemente monitorati per garantire la perfetta funzionalità dell’impianto; • anche la torbidità dell’acqua può influenzare l’attività filtratoria e il processo di depurazione poiché riduce l’efficacia dei raggi UV (che normalmente hanno una gamma di lunghezza d’onda tra i 200 e 280 nanometri) e parzialmente anche l’attività filtratoria dei molluschi. Sono sufficienti 5 NTU di torbidità per ridurre l’efficacia dei raggi UV. Con valori superiori a 20 NTU viene seriamente compromesso tutto il sistema di depurazione. Pertanto sono opportuni una periodica pulizia delle lampade (possibilmente con sistemi automatici), IL PESCE, 5/17


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1) La vongola verace di Chioggia, un prodotto tradizionale italiano a marchio. 2) Centro depurazione CLAM Chioggia. 3) Centro depurazione CAM Chioggia. 4) Centro e vasche di depurazione C.R.A.M.E. un costante controllo dei punti di presa dell’acqua, delle vasche di sedimentazione, dei filtri a quarzite e delle fasi di controlavaggio; • la temperatura dell’acqua del­ l’impianto di depurazione ha una notevole influenza sull’attività filtratoria dei molluschi. Durante il periodo invernale non può essere utilizzata acqua troppo fredda: temperature di 5-6 °C rallentano notevolmente l’attività filtratoria dei molluschi prolungando i tempi di depurazione. A temperature inferiori l’attività filtratoria si blocca. Normalmente vengono mantenute temperature intorno ai 10 °C. Va però anche sottolineato che è opportuno non creare uno stress termico eccessivo rispetto all’acqua di provenienza. L’adattamento deve essere fatto gradualmente. Analoghe considerazioni possono essere fatte per la temperatura dell’acqua durante il periodo estivo, che non dovrebbe mai superare i 20 °C. 126

Variabili del parametro percentuale di abbattimento La percentuale di abbattimento da E. coli è strettamente correlata con il livello di contaminazione dei molluschi. Più elevato è il livello di contaminazione, maggiore sarà la percentuale di abbattimento. Più si abbassa il livello di contaminazione, più lento è il processo di depurazione e conseguentemente la percentuale di abbattimento. Così, nel caso di cui sopra, nelle prime 6 ore la percentuale di abbattimento è stata del 90% (da 780 E. coli a 78), nelle 12 ore successive del 42,31% (da 78 E. coli a 45), considerato che il livello di contaminazione era molto più basso. Pertanto, nella valutazione di questo parametro si deve considera­re anche il livello di contaminazione dei molluschi, che potrebbe influire sulla velocità di depurazione e di abbattimento della carica microbica. È una variabile di non facile gestione, che comunque deve es­ sere valutata dal professionista

che effettua la validazione dell’impianto. Altra variabile che influenza la percentuale di abbattimento è il tempo di depurazione. Più si prolunga il tempo di depurazione, più aumenta la percentuale di abbattimento. Così, nel caso specifico di cui sopra, con 6 ore si arriva al 90% di abbattimento; prolungando la depurazione a 24 ore si arriva al 94%. Pertanto questo parametro diventa un indicatore importantissimo per stabilire la durata del processo di depurazione, ovviamente tenendo in considerazione tutte le variabili che possono influire sul processo. La percentuale di abbattimento deve essere fatta sulla base di un certo numero di prove che siano statisticamente rappresentative del processo, anche al fine di valutare la ripetitività del dato. Un grafico che si discosta dal normale andamento può essere espressione di situazioni e/o condizioni dipendenti da altri fattori che andranno opportunamente approfonditi. IL PESCE, 5/17



Grafico 2 – Livelli di contaminazione di Venus gallina (E. coli MPN/100 g)

Grafico 3 – Livelli di contaminazione di mitili (E. coli MPN/100 g)

Associazione la Vongola Verace di Chioggia

La vongola verace di Chioggia è iscritta nell’elenco dei prodotti tradizionali italiani

Analisi di alcuni grafici Ora cerchiamo, sulla base dell’analisi del livello di contaminazione dei molluschi, del tempo di depurazione 128

e della percentuale di abbattimento di E. coli, di fare alcune valutazioni sull’efficacia o meno del processo di depurazione.

1º esempio (Grafico 2) Valutazione dei risultati L’analisi del grafico permette di fare alcune considerazioni: • la capacità depurativa dell’impianto risulta buona. Sono sufficienti 6 ore di depurazione per portare i livelli di contaminazione di Venus gallina entro i limiti di legge (≤ 230 MPN/100 g di E. coli); • l’andamento della curva del grafico dimostra che la capacità depurativa dell’impianto è in continua progressione nel tempo; • analisi del rischio: se consideriamo la percentuale di abbattimento dell’E. coli nelle prime 6 ore, vediamo che questa è del 91,54%; nelle 12 ore il valore sale al 94%; nelle 24 ore al 98,47%. Dall’analisi di questi dati emerge che l’efficacia del processo di depurazione è garantita, anche in eventuali condizioni estreme con livelli di contaminazione elevati, solo se fissiamo un tempo di depurazione di 24 ore. Quindi, la valutazione di questo parametro è fondamentale per fissare il tempo di depurazione che tenga in considerazione anche delle eventuali situazioni di rischio estreme. 2º esempio (Grafico 3) Valutazione dei risultati L’analisi del grafico permette di fare alcune considerazioni: • la capacità depurativa dell’impianto risulta molto buona. Sono sufficienti 6 ore di depurazione per portare i livelli di contaminazione dei mitili entro i limiti di legge (≤ 230 MPN/100 g di E. coli); • l’andamento della curva del grafico dimostra che la capacità depurativa dell’impianto è in continua progressione nel tempo; • se consideriamo la percentuale di abbattimento dell’E. coli nelle prime 6 ore, vediamo che questa è del 95,42%; nelle 12 ore il valore sale al 98,83%; nelle 24 ore al 98,95%. Dall’analisi di questi dati emerge che l’efficacia del IL PESCE, 5/17


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Grafico 4 – Livelli di contaminazione di mitili (E. coli MPN/100 g)

Grafico 5 – Livelli di contaminazione di vongole veraci (E. coli MPN/100 g)

processo di depurazione, anche in eventuali condizioni estreme con livelli di contaminazione elevati, è garantita con tempi di depurazione di 6 ore. 3º esempio (Grafico 4) Valutazione dei risultati L’analisi del grafico permette di fare le seguenti osservazioni: • la capacità depurativa dell’impianto sembra buona. Sono sufficienti 6 ore di depurazione per portare i livelli di contaminazione E. coli dei mitili da 330 a 45 MPN/100 g, entro cioè i limiti di legge (≤ 230 MPN/100 g di E. coli); • l’andamento della curva del grafico dimostra che la capacità depurativa dell’impianto è in continua progressione nel tempo; • se consideriamo la percentuale di abbattimento dell’E. coli nelle prime 6 ore, vediamo che questa 130

è dell’86,37%; nelle 12 ore il valore sale al 94,55%, per poi mantenersi costante nelle 24 ore sempre al 94,55%. Dall’analisi di questi dati emerge che, quando il livello di contaminazione dei molluschi risulta molto basso, è più difficile fare una valutazione oggettiva e assoluta della percentuale di abbattimento e dell’efficacia del processo di depurazione. Comunque, anche nel caso specifico è opportuno, per fronteggiare eventuali situazioni estreme con livelli di contaminazione elevati, definire un tempo di depurazione di almeno 12 ore e valutare il comportamento dell’impianto anche con cariche microbiche più elevate. 4º esempio (Grafico 5) Valutazione dei risultati L’analisi del grafico permette di fare le seguenti considerazioni:

• la capacità depurativa dell’impianto è discontinua (arresto del processo depurativo tra le 6 e le 12 ore) e merita degli approfondimenti per individuarne la causa, che potrebbe essere legata a vari fattori. Sono necessarie 24 ore di depurazione per portare i livelli di contaminazione E. coli delle vongole veraci da 3.100 a 18 MPN/100 g, entro cioè i limiti di legge (≤ 230 MPN/100 g di E. coli); • se consideriamo la percentuale di abbattimento dell’E. coli nelle prime 6 ore, vediamo che questa è del 77,75%; nelle successive 12 ore il valore si abbassa e va 74,84%, per poi passare, nelle 24 ore successive, al 99,42%, con completa depurazione dei molluschi. Dall’analisi di questi dati emerge che, per fronteggiare anche eventuali situazioni estreme con livelli di contaminazione elevati, è opportuno definire un tempo di depurazione di almeno 24 ore. Conclusioni L’analisi della percentuale di abbat­ timento dell’E. coli in un determinato periodo di tempo è un indicatore molto importante per la validazione degli impianti di depurazione e per valutare l’efficacia del tratta­mento di depurazione. Inoltre risulta un indicatore indispensabile per de­ fi­­­ni­re i tempi di depurazione, te­ nen­do in considerazione anche le eventuali situazioni di criticità che insorgono quando vengono introdotti nell’impianto molluschi con livelli di contaminazione elevati, ai limiti della zona B. Ovviamente questo parametro va considerato con i limiti più sopra esposti e correlato anche con tutti gli altri indicatori che esprimono il corretto funzionamento del processo di depurazione. Dott. Luciano Boffo Medico Veterinario Consulente Sicurezza Alimentare Dott. Renzo Mioni Direttore Struttura Complessa Valorizzazione delle Produzioni Alimentari, IZSVe Dott.ssa Paola Perini Scienze Tecnologie Animali IL PESCE, 5/17


Una porzione alla settimana di pesce grasso riduce il rischio di infarto nelle donne se sostituisce carni bianche,rosse,trasformate o pesce magro Un recente studio danese (Würtz A.M., Hansen M.D., Tjønneland A., Rimm E.B., Schmidt E.B,. Overvad K., Jakobsen M.U., Substitutions of red meat, poultry and fish and risk of myocardial infarction, Br. J. Nutr. 2016 Mar 7:1-8) ha seguito per oltre 13 anni più di 29.000 donne e oltre 26.000 uomini (età media: 56 anni per le donne, 55 per gli uomini), registrando il consumo settimanale di proteine animali, ovvero da carne rossa, carne lavorata, pollame e da pesce magro o grasso. Il dato di consumo è stato poi associato al rischio di infarto cardiaco, aggiustando i risultati per tutte le variabili potenzialmente confondenti, come l’abitudine al fumo, l’uso di terapia estrogenica sostitutiva tra le donne, il BMI, il girovita, la sedentarietà, la presenza di ipercolesterolemia, ipertensione, diabete. Al termine del follow-up si è osservato che la sostituzione di 150 g (una porzione) alla settimana di carne rossa (lavorata o meno) o avicola o di pesce magro con una porzione di pesce grasso, ovvero ricco di Omega-3, comportava una significativa riduzione del rischio di infarto tra le donne. La sostituzione di carne rossa, fresca o lavorata con pollame o pesce magro non ha invece fatto rilevare alcun vantaggio. Anche la sostituzione di carne lavorata con carne non lavorata non ha portato, negli anni, a riduzione del rischio di infarto miocardico. Negli uomini si metteva in luce un’identica tendenza, che non risultava però statisticamente significativa. Queste osservazioni confermano l’efficacia preventiva dell’assunzione di pesce grasso, mentre suggerirebbero l’assenza di differenze tra le altri fonti proteiche (carni rosse o bianche, pesce magro, carni conservate) nell’effetto sul rischio coronarico. >> Link: www.nutrition-foundation.it


SICUREZZA ALIMENTARE

Pavimenti e sicurezza alimentare Che cos’è un sistema di gestione della sicurezza alimentare HACCP e in che modo riguarda la pavimentazione? di Stefano Perris

Il sistema di gestione della sicurezza alimentare HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) è uno strumento preventivo di valutazione dei rischi utilizzato dall’industria alimentare per assicurare che vengano considerati tutti i possibili pericoli per la sicurezza alimentare e che vengano messi in atto controlli adeguati per eliminare o ridurre la contaminazione degli alimenti. Si tratta di un requisito regolatorio in molte parti del mondo e, per l’intera catena alimentare, rappresenta un modo per dimostrare l’adozione dei criteri di debita diligenza. Questo sistema, oltre ad offrire le metodo-

logie per ridurre i pericoli a cui sono soggetti i processi alimentari per problemi, ad esempio, di controllo inadeguato della temperatura, corpi estranei provenienti dalle macchine o contaminazione da parte degli addetti alla manipolazione degli alimenti, prevede anche il controllo dei pericoli per la sicurezza alimentare derivanti dall’ambiente circostante e quindi dai materiali utilizzati in fabbrica e da altri elementi quali la pavimentazione. I principi HACCP mirano a proteggere sicurezza alimentare e consumatori a tutti i livelli del processo di produzione degli alimenti,

dalla raccolta al consumo. I costi della mancata protezione dalla contaminazione degli alimenti possono essere molto elevati per tutti i soggetti in causa. I produttori possono subire perdite finanziarie e danni di reputazione, mentre i consumatori rischiano la trasmissione di malattie che, nel peggiore dei casi, possono rivelarsi letali. Lo sviluppo del protocollo HACCP Il protocollo HACCP è stato ideato negli anni ‘60 del secolo scorso da un team di esperti della NASA, dell’esercito statunitense e del Pillsbury Food Group. L’obiettivo era quello

Tecnologia Flowcrete per le pavimentazioni in resina in ambito alimentare (photo © Flowcrete Flowfresh). 132

IL PESCE, 5/17


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Godfred Phillis, manifattura di sigarette, Mumbai, India. Il sistema di pavimentazione in poliuretano Flowcrete senza soluzione di continuità fornisce una superficie resistente all’abrasione resistente e antiscivolo facile da pulire. di sviluppare una prassi basata sulla valutazione dei rischi per identificare e gestire i pericoli che minacciano la sicurezza alimentare e prevenire la conseguente contaminazione degli alimenti introdotti a bordo delle navicelle spaziali. L’analisi dei pericoli del sistema consente di redigere un elenco esaustivo di tutti i possibili fattori che, all’interno dello stabilimento alimentare, potrebbero costituire un rischio come, ad esempio, la contaminazione derivante da macchine poco pulite o inadatte, problemi dovuti all’uso di

prodotti chimici inadeguati, rischi fisici legati all’introduzione di frammenti di plastica o metallo presenti in fabbrica o degli scarti di lavorazione delle materie prime. Il successo del progetto della NASA ha portato all’integrazione del protocollo HACCP nel Codex Alimentarius, una pubblicazione congiunta di OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e FAO (Food and Agriculture Organisation) che definisce le regole da seguire per implementare un sistema di gestione della sicurezza alimentare basato su

I vantaggi offerti dalla tecnologia Flowcrete per la pavimentazione in resina sono diversi e vanno da un’eccellente resistenza chimica e meccanica alla possibilità di finitura antiscivolo per ambienti umidi; ottima resistenza alle variazioni termiche, con possibilità di lavare il pavimento con acqua bollente; basso contenuto di COV; finiture esenti da solventi e antimacchia; traspirabilità del sistema

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HACCP nell’industria alimentare a livello globale. Oggi, la maggioranza dei settori nell’industria alimentare è consapevole che la conformità HACCP non si limita a garantire il rispetto dei requisiti delle autorità regolatorie, ma rappresenta anche un forma di garanzia, per i consumatori, che i prodotti che stanno acquistando vengono approvvigionati e lavorati in base a principi di sicurezza alimentare. Panorama regolatorio La legislazione nazionale ed europea per il settore alimentare insiste sull’importanza di implementare procedure di debita diligenza, molte delle quali fanno riferimento ai principi HACCP in materia di progettazione e costruzione delle strutture. Il documento Food Safety & Hygiene (England) Regulations 2013 ripropone l’articolo 5(1) del Regolamento 852/2004 del Parlamento europeo che afferma: “Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP”. Una legislazione parallela è in vigore IL PESCE, 5/17



molti gli stati che richiedono che gli alimenti vengano prodotti secondo standard HACCP; negli Stati Uniti, ad esempio, gli alimenti destinati alla vendita devono conformarsi al Food Safety Modernization Act. Dimostrare che un’azienda è in grado di implementare il necessario livello di debita diligenza è indispensabile per garantire, ai clienti all’estero, che gli alimenti in questione sono stati prodotti secondo standard di igiene da loro riconosciuti.

Finiture per il centro di pensionamento australiano Moses Montefiore Retirement Village. anche in Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Nel Regno Unito, la FSA (Food Standards Agency) ha sviluppato — in associazione con varie organizzazioni — una serie di Linee guida ufficialmente riconosciute per aiutare gli operatori delle aziende alimentari a conformarsi ai regolamenti europei e nazionali sull’igiene alimentare. La FSA è assolutamente consapevole dell’importanza di minimizzare i rischi di contaminazione e, nel suo Annual Report of Incidents 2015, ha sottolineato il pericolo rappresentato dalle malattie di origine alimentare. Questo report contiene la disamina di 1.645 eventi di contaminazione che, per quasi un quarto, sono di origine microbiologica. I costi di questi incidenti sono significativi. La trasmissione di malattie di origine alimentare non si limita a procurare gravi danni finanziari e di reputazione al produttore, ma, secondo una stima della FSA, ogni anno sono quasi un milione le persone che nel Regno Unito ne subiscono gli effetti, con un costo netto per il paese di 1,5 miliardi di sterline. Questo è il motivo per cui la FSA ha deciso di implementare la Foodborne Disease Strategy, un piano che mira alla conformità e all’adozione di importanti iniziative di salvaguardia della salute pubblica attraverso un sistema regolatorio basato sui rischi, 136

migliore e più efficiente. Al centro di questa strategia c’è lo sviluppo di un programma che tratta temi quali le modalità di valutazione e descrizione dei rischi, il loro monitoraggio, l’incentivazione dei comportamenti conformi e il modo di gestire le non conformità. Una di queste attività è la pubblicazione di consigli pratici per aiutare le aziende alimentari a conformarsi ai requisiti HACCP sanciti nella legislazione sull’igiene alimentare. Inoltre, durante le ispezioni di routine, i funzionari FSA incaricati di controllare l’applicazione delle direttive si occuperanno anche di verificare che un’azienda abbia in atto un adeguato sistema di gestione della sicurezza alimentare basato su HACCP. Altri organismi e regolamenti che è importante conoscere nel campo dell’igiene alimentare e della conformità HACCP includono la GFSI (Global Food Safety Initiative), il BRC (British Retail Consortium), la FSSC22000 (Food Safety System Certification 22000), la IFS (International Featured Standard for Food), il Regolamento 1169/2011 dell’Unione Europea e la EFSA (European Food Safety Authority). Essendo un riferimento accettato a livello globale per la sicurezza alimentare, il sistema HACCP è importante anche per le aziende che vogliono accedere ai mercati di esportazione. Sono

Conformità HACCP e certificazione da parte di organismi terzi HACCP International adotta uno schema di certificazione dei prodotti riconosciuto a livello globale che valuta materiali, macchine e servizi utilizzati nell’industria alimentare. La certificazione si basa sulla valutazione dell’evidenza oggettiva che un produttore abbia identificato i pericoli potenziali per la sicurezza alimentare derivanti dai materiali o dalle macchine e abbia implementato gli opportuni controlli. HACCP International giudica i prodotti usando un protocollo basato sulla valutazione dei rischi a supporto di uno standard conosciuto come Food Safe Products for Use in the Food Industry e strettamente allineato alla metodologia utilizzata dall’industria alimentare per il rispetto del Codex Alimentarius. Questo standard definisce nove criteri di base per la valutazione dei prodotti. Ogni criterio esamina i pericoli potenziali per la sicurezza alimentare e il modo in cui il costruttore della macchina o del materiale ha controllato tali pericoli per evitare che incidano negativamente sul sistema di gestione della sicurezza alimentare basato su HACCP e adottato dall’azienda alimentare. I membri del team tecnico e gli addetti alla valutazione dei prodotti di HACCP International hanno tutti una qualifica in campo scientifico o nel settore delle tecnologie alimentari, con un esteso background operativo e una vasta esperienza all’interno dell’industria alimentare. Questa certificazione attesta l’adeguatezza di un prodotto ad essere utilizzato negli stabilimenti IL PESCE, 5/17


MILANESE snc dal 1953 produce e commercializza una vastissima gamma di attrezzature per l’acquacoltura, che esporta in ben 40 paesi di tutto il mondo. Inoltre progetta e costruisce su misura sistemi di automazione per l’allevamento del pesce

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calcestruzzo e innescare fenomeni di proliferazione microbica e diffusione dei batteri che, a loro volta, si traducono nel degrado dell’ambiente di produzione e nella contaminazione dei prodotti stessi.

La continuità della pavimentazione in poliuretano cemento rappresenta un grande vantaggio per le operazioni di pulizia, dato che non ostacola il deflusso di acqua, liquidi, olio e grassi verso il canale di drenaggio. alimentari di produzione e imballaggio che operano nel rispetto degli standard più rigorosi. Linee guida HACCP sulla pavimentazione Una pavimentazione adeguata è critica per l’implementazione di un efficace piano HACCP di gestione della sicurezza alimentare. All’interno di una struttura, infatti, questo elemento può essere all’origine di una serie di problemi in materia di salute e sicurezza, soprattutto nei grandi stabilimenti industriali, dove è necessario considerare attentamente i rischi di scivolamento, i pericoli di contaminazione e le pratiche di lavoro potenzialmente pericolose. Il pavimento riveste un’importanza particolare dato che i contaminanti che vi cadono sopra per forza di gravità possono essere facilmente calpestati da chiunque. Quindi, se il pavimento è difficile da pulire e favorisce la proliferazione di pericolosi agenti patogeni, lo stabilimento potrebbe mettere a rischio sia i lavoratori che i clienti. Di conseguenza, il materiale scelto per rivestire il pavimento svolge un ruolo molto più importante di quanto si possa immaginare nel campo della sicurezza alimentare e dovrebbe essere considerato seriamente in fase di progettazione. Il programma di certificazione 138

di HACCP International sottolinea l’importanza di pavimentazioni con­ tinue e impermeabili, dato che in cuciture, giunti, fughe e fenditure possono annidarsi facilmente batteri, funghi e muffa. Una pavimentazione costituita da una superficie liscia e continua favorisce la rapida rimozione della sporcizia e delle eventuali sostanze indesiderate. Inoltre, è importante essere certi che la pavimentazione sia in grado di mantenere le sue proprietà di continuità e impermeabilità per un lungo periodo di tempo, senza degradarsi a causa del carico di lavoro. Una pavimentazione inadeguata che, nel tempo, si spacca e diventa porosa rischia di diventare un ricettacolo di microbi, polvere e muffe, trasformandosi in una superficie non igienica, poco sicura e dall’aspetto sgradevole. Considerate le condizioni generali in cui operano gli impianti alimentari, un rivestimento non sufficientemente robusto può essere facilmente danneggiato. Il pavimento è soggetto a impatti, brusche variazioni di temperatura, carichi puntuali, calpestio intenso ed esposizione a prodotti di lavorazione secondari che possono rivelarsi corrosivi come, ad esempio, grassi, olio caldo, sangue, soluzioni zuccherine e acidi alimentari naturali. Queste sostanze, inoltre, possono infiltrarsi nel

Efficacia della pulizia per rispondere ai requisiti dei programmi per la sicurezza alimentare basati su HACCP Per conformarsi allo standard di HACCP International, i pavimenti devono poter essere puliti e drenati adeguatamente, per facilitare la rapida ed efficace rimozione dei liquidi e delle sostanze scivolose. Per soddisfare questo requisito, nel piano del pavimento dovrebbe essere integrato un sistema di drenaggio in acciaio inossidabile facilmente pulibile e la superficie dovrebbe avere un’inclinazione tale da favorire lo scarico dell’acqua e dei liquidi di scarto nella giusta direzione. Un rigoroso processo di pulizia è fondamentale per assicurare che i contaminanti vengano rimossi rapidamente ed efficacemente, ma se il pavimento non è abbastanza resistente, anche i processi di pulizia possono rappresentare un pericolo. Pulizia a vapore, lavaggi a pressione, risciacqui con acqua calda ed uso di detergenti aggressivi sono tutti trattamenti che rischiano di usurare la pavimentazione, esponendo il calcestruzzo sottostante nei punti più deboli e portando alla penetrazione di batteri in un materiale che diventa sempre più poroso. Per salvaguardare le caratteristiche igieniche del rivestimento, è opportuno ricorrere ad alcuni accorgimenti pratici. L’installazione di un giunto su entrambi i lati di un canale di drenaggio, ad esempio, servirà a compensare il diverso coefficiente di movimento tra lo scarico in acciaio inossidabile e il sistema di pavimentazione circostante. Senza un giunto di questo genere, in caso di variazioni di temperatura, i due materiali tenderanno ad espandersi e contrarsi in concorrenza tra loro e l’innesco di una fessurazione in questo punto potrebbe creare molti problemi, dall’accumulo di sporcizia all’introduzione di acqua. IL PESCE, 5/17


Una pavimentazione inadeguata che, nel tempo, si spacca e diventa porosa rischia di diventare un ricettacolo di microbi, polvere e muffe, trasformandosi in una superficie non igienica, poco sicura e dall’aspetto sgradevole. Considerate le condizioni generali in cui operano gli impianti alimentari, un rivestimento non sufficientemente robusto può essere facilmente danneggiato

Nei grandi stabilimenti alimentari ci si orienta sempre più spesso verso superfici continue a base di resina che hanno buone caratteristiche igieniche e prestazionali (resistenza all’usura). I robusti si­stemi in poliuretano cemento si rivelano particolarmente adatti a sopportare impatti pesanti, sostanze corrosive, traffico pedonale intenso e sollecitazioni termiche

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Materiali da pavimentazione conformi ai requisiti di HACCP International Il sistema di classificazione in zone di HACCP International suddivide uno stabilimento alimentare in quattro aree fisiche e/o applicazioni e, in base a questa suddivisione, si giudica l’adeguatezza di un elemento (ad es. il pavimento). La pavimentazione rientra nella classificazione SSZ (Splash or Spill Zone) che, in linea generale, identifica gli elementi adatti all’uso nelle aree di lavorazione alimentare come cucine e zone di produzione e di processo, ma che non sono destinati a entrare in contatto diretto con gli alimenti o con elementi che toccheranno gli alimenti. Nelle zone in cui gli alimenti vengono prodotti, trattati, imballati o immagazzinati, gli inerti scoperti devono essere rivestiti da un sistema di pavimentazione ad alte prestazioni. I materiali tradizionali per la pavimentazione degli impianti alimentari, come, ad esempio, rivestimenti termoplastici, finiture a terrazzo, resine epossidiche e massetti di poliuretano cemento, soddisfano i requisiti generali di igiene perché creano un rivestimento continuo, non assorbente e facile da pulire, ma ciò non significa che siano tutti automaticamente certificati HACCP International. Nei grandi stabilimenti alimentari ci si orienta sempre più spesso verso superfici continue a base di resina che hanno buone caratteristiche igieniche e prestazionali (resistenza all’usura). I robusti si­stemi in poliuretano cemento si rivelano particolarmente adatti a sopportare impatti pesanti, sostanze corrosive, traffico pedonale intenso e sollecitazioni termiche. La continuità della pavimentazione in poliuretano cemento rappresenta un grande vantaggio per le operazioni di pulizia, dato che non ostacola il deflusso di acqua, liquidi, olio e grassi verso il canale di drenaggio. In linea generale, lo spessore del rivestimento incide sia sulla sua durata che sulla capacità di resistere ai danni. Per evitare di specificare un rivestimento troppo sottile, destinato a rompersi facilmente nelle reali condizioni d’uso, è importante conoscere nei dettagli l’attività operativa dello stabilimento.

HACCP e il futuro dell’industria di produzione Il fatto che molte altre industrie — farmaceutica, cosmetica, aviazione, chimica e automobilistica — stanno scoprendo i vantaggi di implementare sistemi di qualità e sicurezza che, per molti aspetti, possono confrontarsi a un sistema basato su HACCP non fa che avvalorare la validità di questi criteri. Anche se originariamente questo protocollo mirava a ridurre il numero di malattie di origine alimentare, la costruzione di un grande complesso industriale in base a questi principi è una buona indicazione del fatto che la struttura sarà in grado di garantire nel tempo uno spazio di lavoro altamente igienico, nonostante le problematiche intrinseche di tali luoghi. L’utilizzo di materiali rispondenti alle esigenze di un sistema HACCP di gestione della sicurezza alimentare è probabilmente destinato a diventare sempre più critico, considerato che gli stabilimenti diventano sempre più grandi e complessi per rispondere alla crescente domanda da parte dei consumatori. L’aumento delle velocità di produzione va di pari passo con l’aumento dei rischi di contaminazione dei processi; di conseguenza, le procedure di debita diligenza e un’analisi attenta delle misure preventive sono sempre più importanti. Integrare i principi HACCP nelle fasi di progettazione, costruzione e manutenzione di una struttura è quindi fondamentale per conformarsi ai più recenti principi di igiene e sicurezza negli ambienti sensibili alla contaminazione. D’ora in poi è opportuno che le aziende alimentari tengano sotto stretto controllo l’evoluzione delle Linee guida e dei protocolli HACCP perché questi criteri sono destinati a diventare — quando già non lo sono — indispensabili per gli standard richiesti per commerciare a livello nazionale e all’estero. Stefano Perris

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STORIA E CULTURA

Memorie di pesca e pescatori nelle testimonianze di Vinicio Biagi di Maurizio Dell’Agnello

Il 29 luglio si è tenuta a San Vincenzo, in provincia di Livorno, una conferenza dal titolo Memorie di pesca e pescatori nelle testimonianze di Vinicio Biagi. Tra i promotori dell’iniziativa, l’amministrazione comunale, lo Yacht Club Marina di San Vincenzo, sede dell’incontro, il Circolo pescatori e l’ARCI pesca (un particolare ringraziamento va agli Amici del Polpo del Nini), che hanno offerto uno speciale assaggio di prodotti del mare alla fine della serata. Vinicio Biagi (1936-2004) era un farmacista di professione e un naturalista marino per passione. L’amore per il mare e le sue creature, nonché per i pescatori che col mare si 140

guadagnano da vivere, l’aveva spinto ad osservare e studiare attivamente questo ambiente, i prodotti della pesca, unitamente alle sue tradizioni e alle sue storie. A testimonianza di tale attività ci sono 25 articoli scientifici, 6 libri e 10 articoli pubblicati su riviste di pesca sportiva, ma anche prestigiose collaborazioni accademiche come la revisione della collezione di cefalopodi Targioni Tozzetti, conservata presso il Museo della Specola di Firenze, lo studio sulla distribuzione cefalopodi nel Tirreno settentrionale e le osservazioni sulle migrazioni verticali dei sepiolidi. Biagi amava la malacologia ed in particolar modo la teutologia,

interessandosi della classificazione dei molluschi cefalopodi. Molti dei lavori da lui pubblicati riguardano segnalazioni di spiaggiamenti o ritrovamenti di specie rare che raccoglieva percorrendo la costa dopo le tempeste o che gli venivano portate dagli amici pescatori, con i quali aveva uno stretto legame. Complice di questo metodo di lavoro era l’amico illustratore Roberto Fiordiponti che, grazie alla sua abilità figurativa, sapeva cogliere i particolari dei colori e delle forme di questi animali, alcuni dei quali inusuali abitanti dei mari toscani: Argonauta argo, Ommastrephes bartramii, Thysanoteuthis rhombus, Tremoctopus violaceus… IL PESCE, 5/17


Vinicio Biagi era membro della Società Italiana di Biologia Marina, della Società Italiana di Malacologia dalla sua costituzione e della Società Italiana di Scienze Naturali. Collaborò con il Gruppo Malacologico Livornese e con i Quaderni del Museo di Storia Naturale di Livorno. La conferenza di San Vincenzo ha avuto come oggetto la figura di Biagi in qualità di studioso dei pescatori, delle loro abitudini e dei loro strumenti di lavoro, con una serie di interventi di storici e appassionati della materia che lo hanno conosciuto. Lorenzo Bientinesi ha descritto innanzitutto come l’arte della pesca si sia sviluppata nel territorio di Biserno, prima interessando le paludi costiere, con produzioni significative che raggiungevano principalmente i mercati fiorentini, e successivamente spostandosi nel mare, i cui prodotti trovavano collocazione nazionale così come locale, nelle mense aziendali della Solvay e presso i turisti che frequentavano la costa. Gianfranco Benedettini ha sottolineato la capacità di Biagi di raccogliere la memoria e raccontare coi suoi libri “le piccole storie che fanno la storia di un territorio”. Mauro Carrara ha invece ricordato una sua collaborazione con Biagi con il quale studiò i flussi migratori stagionali dei pescatori che si trasferivano sulla costa toscana dalla Campania. La ricerca, sviluppata su base anagrafica, ha portato alla identificazione dei cognomi provenienti dalla zona di Pozzuoli ed Ercolano come i Della Monica, i Briglia, i Criscuolo, che col passare del tempo si sarebbero stabiliti definitivamente sul territorio toscano. Andrea Baldocchi, critico d’arte, ha parlato del rapporto tra Biagi e Fiordiponti. Una collaborazione che ha dato vita ad una ricca produzione di raffigurazioni scientifiche di animali acquatici, ma anche di numerose rappresentazioni di tecniche di cattura, giunte ad impreziosire persino le pagine dell'Enciclopedia Treccani (tra i più prestigiosi contributi scientifici di Biagi c’è la redazione della voce “Reti da pesca” della Treccani). Infine, R odolfo T agliaferri ha raccontato la storia, descritta IL PESCE, 5/17

Un esempio degli studi fatti da Biagi sugli strumenti di cattura è stato fornito proprio dall’illustratore Roberto Fiordiponti in persona, il quale, insieme a Maurizio Dell’Agnello, ha ripercorso l’evoluzione dell’uso degli attrezzi di pesca, spesso influenzata dalle tecniche che sia l’emigrazione meridionale, campana e laziale, sia quella settentrionale, prevalentemente ligure, introducevano nel territorio regionale. Di particolare interesse è stato il ricordo dell’artigianalità di alcuni personaggi del territorio che si dedicavano alla costruzione di fiocine e trappole di vario tipo per la cattura degli organismi acquatici. Una grande abilità rappresentata in una teca, allestita da Roberto Fiordiponti con la disponibilità della famiglia Biagi (in foto; photo © Rodolfo Tagliaferri), che ha consentito di esporre alcuni degli oggetti che la passione ci consente oggi di poter apprezzare.

da Biagi nei suoi libri, della mitica Friggera, cioè dell’impianto di trasformazione del prodotto per la produzione di scatolette sottolio di acciughe e sardine, più volte spostato e aggiornato nei processi produttivi, che fu elemento importante nell’economia ittica della Costa degli

Etruschi, permettendo al pescato di conquistare nuovi mercati e nuovi clienti. Maurizio Dell’Agnello Nota Al seguente link il video della manifestazione: youtu.be/oRAyEZDvrFk 141


LIBRI

Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero L’Italia gode di un indubbio fascino a livello mondiale, e questo anche grazie al cibo e al vino made in Italy e all’importante ruolo che essi svolgono nell’immaginario collettivo “globalizzato”. Al tempo stesso, per molti consumatori oltre confine, questo forte appeal si riflette anche sui prodotti che esportiamo: dalla pasta al vino, dall’olio ai salumi e ai formaggi, mangiare e bere italiano è, per chi si trova all’estero, un modo per “visitare” il Belpaese rimanendo a casa. Per riuscire a portare questi eccellenti prodotti all’estero c’è sempre più bisogno di un approccio di marketing ben strutturato e di competenze specifiche che si sintetizzano in una figura professionale relativamente nuova, l’export manager. Tali competenze includono aree d’azione sempre più ampie e hanno spesso bisogno di altre risorse specializzate, interne o esterne all’azienda: dall’individuazione e la creazione di contatti e rapporti di fiducia con buyer e importatori alla scelta dei corrieri, dalle complicate norme doganali a un tipo di comunicazione sempre più digitale e transculturale. Oggi più che mai l’export si rivela un canale essenziale per la crescita di un’azienda, ma se è vero che il mercato è sempre più globale e che i canali digitali rendono più facile raggiungere consumatori e utenti anche molto lontani, è pure vero che la competizione è elevata e che non c’è spazio per l’improvvisazione. Scritto da Slawka G. Scarso, Luciana Squadrilli e Rita Lauretti — professioniste del marketing, della comunicazione e dell’export del settore enogastronomico — questo volume vuole fornire strumenti strategici e consigli pratici ai piccoli e grandi produttori e imprenditori del settore che vogliano rivolgersi a mercati diversi da quello italiano, e naturalmente a chi ambisca a rico142

Slawka G. Scarso, Luciana Squadrilli, Rita Lauretti Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero. Guida completa per l’export delle eccellenze italiane Collana: MDB, Modelli di Business – Edizioni LSWR – e 19,90 prire la figura di export manager o si trovi a dover coadiuvare tale figura o dei corrispondenti in loco, avendo come obiettivo l’internazionalizzazione e la gestione di nuovi mercati, dalla logistica alla comunicazione attraverso i canali social e digitali. Dopo l’iniziale focus sul marketing dell’agroalimentare di qualità orientato all’export e l’attenta analisi delle risorse disponibili, si delineano le opzioni di internazionalizzazione più adatte alle specifiche esigenze aziendali. Si analizzano poi le figure chiave del settore che bisogna prendere in esame (competitor, buyer, consorzi, enti vari) e si affronta il marketing mix dell’export.
Grande attenzione viene data alla comunicazione che da locale diventa globale: dal packaging usato — anche — come strumento di comunicazione all’importanza di creare una “marca globale” che sappia mantenere ben saldi i valori di fondo dell’azienda,

fino all’annosa questione dell’Italian sounding. Infine si affrontano gli aspetti più operativi dell’export: dai suggerimenti per trovare e approcciare buyer e importatori ai consigli per affrontare il processo di selezione dei prodotti, fino alla partecipazione a fiere, eventi e concorsi e alla delicata gestione degli aspetti logistici, come le spedizioni e gli sdoganamenti. Un compendio teorico-pratico arricchito da numerosi esempi e testimonianze di chi lavora quotidianamente in quest’ambito, ulteriormente approfondite nella parte finale del libro attraverso casi pratici di aziende, format di successo e interviste a professionisti, le cui testimonianze si vanno ad aggiungere ai riferimenti concreti fatti nelle parti precedenti del libro. Una ricca serie di illustrazioni e grafici, esempi, dati, foto a colori e schemi riassuntivi rendono il libro di facile consultazione e molto utile come supporto didattico. IL PESCE, 5/17



Osterie d’Italia 2018, il racconto della nostra identità «In un panorama gastronomico affollato, la guida rimane un pilastro di attendibilità. La selezione di Slow Food è un ritorno alle origini, una ricerca di quelle tipicità radicate al territorio, in controtendenza a una globalità che tende a rendere tutto uguale. Noi siamo cresciuti in osteria, i clienti ci hanno visto crescere. Ecco, questa sensazione di grande famiglia noi la ritroviamo nella guida» ci racconta Sofia, figlia di Angelina, abile cuoca della storica osteria campana di Sant’Anastasia, Napoli, ‘E Curti, gestita dalla stessa famiglia da ben quattro generazioni a partire dal 1924.«Non c’è molto da dire» aggiunge Enzo, gestore della trattoria Di Pietro di Melito Irpino, nella provincia campana di Avellino, presente fin dalla prima edizione. «Osterie d’Italia è la numero uno. E il riscontro è effettivo: tutti quelli che vengono da me dicono che quando consultano la guida di Slow Food non sbagliano mai». 1.616 le osterie recensite nell’edizione 2018, di cui la maggior parte con un menù che non supera i 35 euro. In continuità con la scorsa edizione, i locali un po’ più cari della media sono segnalati dal bollino con Euro e freccia, mentre Novità sta, naturalmente, per le nuove segnalazioni, che sono 176. Il simbolo dell’Annaffiatoio indica i locali con un orto di proprietà, la Chiave quelli dove si può anche dormire, il Formaggio è usato per quelli che propongono una selezione di prodotti caseari di qualità, la Bottiglia per un locale dalla proposta di vini articolata, rappresentativa del territorio, con prezzi onesti. Infine, la Chiocciola, dedicata ai locali più in sintonia con i principi di Slow Food. Inoltre ci sono caratteri speciali per indicare quali osterie aderiscono al progetto Alimentazione Fuori Casa dell’Associazione Italiana Celiachia e quali all’Alleanza tra i cuochi e i 144

Presidi Slow Food, cioè dove si utilizzano regolarmente nei menù almeno tre presidi della propria regione. «La ristorazione, attraverso le proprie scelte e le proposte, svolge un ruolo significativo nella valorizzazione di prodotti e territori. Per questo motivo gli osti segnalati nella guida rappresentano veri e propri ambasciatori dei nostri messaggi, con la capacità di raccontare ogni piccola sfumatura del lavoro che svolgono, facendo emergere la biodiversità delle produzioni alimentari, le vocazioni territoriali e il rispetto delle trazioni» dichiara Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia. “Come vorremmo che fosse la cucina delle osterie d’Italia? È una domanda alla quale non è facile rispondere” scrivono nell’introduzione alla Guida i due curatori Marco Bolasco e Eugenio Signoroni. “Siamo convinti che né il termine tradizionale né l’espressione di territorio siano più sufficienti a riassumere ciò che sta avvenendo e che raccontiamo nelle pagine che seguono. Un po’ perché sono stati usati anche troppo, un po’ perché la tradizione, per esistere, deve continuamente cambiare, evolversi, adattarsi ai tempi (...). Nel nostro Paese, poi, fatto di tanti caratteri quanti sono i campanili, non esiste una sola tradizione, ce n’è almeno una per ogni famiglia. E all’interno della stessa casa se ne può trovare una più borghese — quella dei piatti della domenica e delle feste — e una più popolare — quella dei piatti di ogni giorno. Anche il territorio, sebbene più facilmente misurabile, è un’entità che muta nella nostra percezione: basti pensare a quanto siamo attenti, oggi, a una biodiversità che appartiene a zone particolarmente circoscritte (...). Ci piace quando il cuoco è in grado di dare lustro a tagli di carne, verdure, pesci dimenticati perché

Marco Bolasco, Eugenio Signoroni (a cura di) Osterie d’Italia 2018 Sussidiario del mangiarbere all’italiana 896 pp. – € 22, 00 complessi da cucinare, difficili da pulire o troppo grassi. Ci piace quando li prepara interpretandone in modo nuovo la natura e le origini. Ci piace quando ne esalta le caratteristiche, anche quelle più difficili se necessario. Questa cucina italiana che non cerca di uniformarsi in un unico stile con cotture millimetriche, sottolinea le differenze e non si piega alle mode. Una cucina equilibrata e sempre riconoscibile. Una cucina che non può ignorare il contesto nel quale opera e per questo non solo è buona ma ci racconta di luoghi e persone. Fissando nella nostra memoria gustativa profumi e sapori che per sempre ricollegheremo a quell’angolo di campagna incantata o a quella valle in montagna in cui ci siamo fermati a mangiare grazie a Osterie d’Italia”. IL PESCE, 5/17


3, Impasse de la Vigie 35400 Saint Malo Tel.: +33 299 892 885 – Fax: +33 299 891 354 E-mail: togie@wanadoo.fr Web: www.togie.fr


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Cocci Luciano Srl - Via Maranello 1 - 47853 Coriano (RN) - Italy - Tel. 0541.658449 Fax 0541.657984 - email: cocci@cocci.it


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